mercoledì 26 maggio 2010

Gondoliere, portami sopra l'arcobaleno




Nel tardo pomeriggio, dopo aver subito l’ennesimo sgarbo in un ufficio dove si premia più la raccomandazione che il talento, mi ritrovo nella Chiesa di Nostra Signora di Bonaria, poco lontano da casa mia.
Dopo essermi rivolto al gestore, mi stavo rivolgendo al Creatore in cerca di una risposta. Chissà se l’avrei avuta, alla fine.
Mi inginocchio davanti all’altare e mi lascio cullare dal profumo d’incenso e dalle immagini della natività e della crocifissione.
La cosa che mi colpisce di più delle chiese è che la loro bellezza deriva dal fatto che chi le ha costruite era ispirato da principi più alti e importanti.
Anch’io cerco di ispirarmi a essi, e di andare oltre me stesso.
Guardo l’altare e mi sfugge un sospiro.
Io credo in Dio. E’ semplice, lo è sempre stato.
Mi sembra un po’ strano, e presuntuoso, immaginare che Dio ragioni come noi, o che abbia sembianze umane e sia bianco, nero, giallo, olivastro o verde a pallini blu, o che ascolti le nostre preghiere giorno e notte, o chissà quando.
Tuttavia prego per me nel primo banco della chiesa di Nostra Signora di Bonaria e chiede a Dio non soltanto di rendermi giustizia, ma di rimediare a tutte le ingiustizie che finora ho subito.
Gli esseri umani reagiscono in maniera molto diversa alle controversie, sia loro personali che dei loro cari. Lo so per esperienza. Adesso, purtroppo, ne ho avuta una conferma.
Già che sono in vena di pregare, prego anche per mio padre, che è nei mie pensieri giorno e notte, in questi ultimi tempi.
A volte gli parlo persino. Non so che voglia dire. Spero che sia d’accordo sul modo in cui abbiamo cresciuto i n ostri figli, di cui parlavamo spesso quando era vivo.
Poi dico una preghiera per mia madre e la sua salute sempre più cagionevole, per i ragazzi e persino per il gatto Romeo, che ha buscato un brutto raffreddore che spero non degeneri in polmonite. Signore, fa che il nostro gatto non muoia. Non ora. E’ un bravo gatto.
Uscito dalla chiesa, vado a trovare un amico.
La strada che sto percorrendo di buon passo, è bella, alberata, costeggiata da case eleganti e ville signorili. Un quartiere residenziale abitato da ricchi, e lo si vede anche dalla auto che vi sono parcheggiate: Mercedes, Range Rover, una BMW, una Ferrari e anche una o due Porsche, lucidissime.
Non ci sono praticamente pedoni, tranne qualcuno che entra o esce di casa. Ottimo. Ho le cuffie e sto ascoltando Lester Young, un sassofonista jazz che mi piace molto. Dopo un po’, però, spengo la musica e faccio sul serio.
Penso.
Mi piacerebbe essere limpido, ma non servirebbe a nulla.
Cavolo, questi cinquantacinque anni carichi e feroci, che me li porto dietro e che non li conto, che se li conto, soffro molto.
Perché uno per tutta la vita vorrebbe essere ragazzo, mica uno scherzo invecchiare.
Non credo proprio.
Comunque, bisogna pur sbrigarla la pratica dell’esistenza.
A forza di derapate lente. Tra una delusione e l’altra mi ritrovo distrattamente davanti, moscia e genuflessa, la mia anima.
Questo monumento invisibile.
Oggi sono triste.
Non sopporto niente.
Neanche me stesso.
Soprattutto me stesso.
Solo una cosa sopporto.
Gondoliere, portami sopra l’arcobaleno.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)