giovedì 29 dicembre 2016

Turismo culturale da tutelare


Turismo culturale da tutelare

L’Italia è un Paese universalmente conosciuto per la grande ricchezza culturale che lo caratterizza tra musei, siti culturali tra monumenti, aree archeologiche, beni architettonici vincolati; luoghi di spettacolo; siti Unesco, centinaia di festival ed iniziative culturali, tradizioni che animano i territori.

 Questa eredità rappresenta non solo il nostro passato e il presente, ma anche il futuro del Paese, una risorsa da tutelare e valorizzare e che ci rende unici nel panorama internazionale.

Ma è ormai ampiamente noto come non sia sufficiente possedere una quota anche cospicua di beni culturali per attrarre automaticamente la domanda di consumo culturale.

Un territorio come quello italiano dotato di un così ampio e articolato complesso di emergenze archeologiche, di siti storico-architettonici, di beni artistici, di paesaggi culturali, di tradizioni storiche richiede un livello di progettazione adeguato per l’offerta dei servizi culturali che rendano facilmente fruibili i beni artistici.

Ciò significa, non soltanto rendere accessibili musei o aree archeologiche, biblioteche o parchi ambientali, ma qualificare la rete di servizi primari che ne favoriscano la corretta fruizione: informazione, comunicazione, trasporti e ricettività turistica. Il turismo culturale continua a rappresentare una quota rilevante dell’industria turistica nazionale.

Del resto l’Italia è  il Paese con il più elevato numero di beni artistici e culturali, ma per la nostra incapacità di valorizzarli in modo adeguato, non siamo il Paese con il più elevato numero di visitatori.

Rilanciare il turismo e il turismo culturale significa, dunque, creare le condizioni per sviluppare il Pese in una logica territoriale omogenea, creare occupazione e fare del turismo il più importante settore industriale su cui l’Italia possa contare per la crescita.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 6 dicembre 2016

Tassa unica: pagare meno, per pagare tutti


Tassa unica: pagare meno, per pagare tutti

In Italia sarebbe opportuno introdurre la Flat tax, che è un sistema che adotta un'aliquota fiscale unica, uguale per qualunque livello di reddito, che riconosce tuttavia una deduzione personale a tutti i contribuenti, tale da rendere il sistema progressivo, secondo il dettato della nostra Costituzione.

 La Flat tax è stata già adottata da circa 40 Paesi nel mondo, come la Spagna dove il premier Mariano Rajoy ha lanciato una Flat tax sul lavoro, per cui le imprese che assumono giovani a tempo indeterminato, per i primi due anni dall'assunzione pagano solo 100 euro di contributi al mese.

Con la Flat tax l'eliminazione degli scaglioni cancella il fenomeno per cui i contribuenti evitano di lavorare di più per non vedersi compensato tutto il maggior reddito dalle maggiori tasse dovute.

La Flat tax, inoltre, riduce l'evasione e l'elusione fiscale. Inoltre, con la tassa unica famiglie e imprese sarebbero in grado di calcolare velocemente le proprie tasse senza ricorrere alle costose consulenze di tributaristi, commercialisti e avvocati, anche per effetto della ridotta probabilità di effettuare errori di calcolo.

L'idea di  tartassare il ricco con aliquote crescenti produce maggiori risorse da distribuire alle fasce più basse è falsa alla prova dei numeri.

Ritengo che sarebbe quindi opportuno una sola bassa aliquota per rilanciare l'economia.

Così tutti godrebbero di un notevole abbassamento del carico fiscale ed i soldi tornerebbero a circolare nell'economia, determinando una vera ripresa.

Pagare meno, per pagare tutti.

Tagliare le tasse è possibile.

La flat tax prevede un’aliquota unica del 15% per persone fisiche e imprese.

Una rivoluzione fiscale per l’Italia massacrata da una tassazione iniqua e distruttiva.

I ricchi per lo Stato italiano sono i contribuenti con un reddito di duemila euro netti al mese. Sono quelli che pagano la maggior parte del gettito fiscale.

 Ma una famiglia monoreddito, dove c’é una sola persona che lavora e che dunque guadagna questa cifra, può essere considerata ricca?

Non è povera, ma non la definirei nemmeno ricca.

I ricchi effettivi in Italia sono pochissimi: solo trentamila persone hanno una dichiarazione superiore ai trecentomila euro, su quaranta milioni di contribuenti.

E come dicevo, non sono solo i ricchi a pagare di più ma anche chi guadagna 2.000 euro netti al mese, che oggi pagano l'aliquota del 38% che arriva al 43% se il reddito sale di un migliaio di euro mensile.

Possiamo dire che sono questi i ricchi? Senza contare che già oggi anche per i redditi più bassi l'aliquota parte dal 23%.

Con la flat tax grazie alle deduzioni l'aliquota effettiva per questi redditi potrebbe scendere fino all'8%.

 Dunque tutti i percettori di reddito godrebbero di un notevole abbassamento del carico fiscale.

L’obiettivo è evitare che le famiglie e le imprese vengano spolpate.

I loro soldi ora vengono divorati dallo Stato che li utilizza per i mega stipendi, le mega pensioni, i mega sprechi.

Solo liberando risorse potrà determinarsi una vera ripresa economica.

Questa politica fiscale ha incentivato la delocalizzazione, ovvero il depauperamento del nostro patrimonio.

Attraverso un sistema fiscale così penalizzante cosa abbiamo ottenuto?

Che gli imprenditori abbiano portato all’estero aziende, risorse, occupazione e sviluppo. Il risultato è autodistruttivo.

Attivare la flat tax al 15% per tutte le imprese e per tutte le famiglie costerebbe circa 50 miliardi.

Renzi ha speso 30 miliardi per il jobs act, per gli 80 euro e per la cosiddetta flessibilità per l’immigrazione: con Imu e altre misure è arrivato tranquillamente a 40 miliardi.

Riforme che si sono rivelate inutili.

Con la tassa unica si attuerebbe una riforma storica all’incirca con la stessa cifra.

Con la differenza che si otterrebbero maggiori risorse grazie all’emersione del sommerso.

La vera piaga è che le persone per difendersi da un fisco aggressivo, impositivo ed esoso, creano economia sommersa.

Lo fanno per poter sopravvivere.

Viene chiamata economia di sopravvivenza.

Se si abbassasse drasticamente il peso fiscale, si otterrebbe l’emersione dell’economia sommersa, che in Italia vale 400 miliardi.

Sono riforme vere come la Flat tax che riporterebbero l'Italia a crescere.

L'Europa vuole riforme vere come questa per concedere spazi di flessibilità che vadano bel oltre quelli già previsti.

L'insieme di tutto questo ci può portare non solo ad avere tassi di sviluppo costanti sopra il 2%, ma anche capacità di creare occupazione in misura tale da colmare il nostro gap con i Paesi con i quali siamo in competizione.

Caro Renzi, con l’esito del referendum gli annunci e i bluff sono finiti.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 15 novembre 2016

Frutta e verdura nelle mense scolastiche


Frutta e verdura nelle mense scolastiche

Il programma europeo “Frutta e Verdura nelle Scuole”  è finalizzato ad aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e ad attuare iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione. Ritengo che sia una buona iniziativa quella di fornire frutta nelle mense scolastiche, per educare i bambini all'uso quotidiano. Infatti distribuire frutta nelle scuole è di per sé un'ottima cosa dal punto di vista dell'educazione alimentare. È anche un'iniziativa culturalmente ed economicamente lodevole perché abitua i bambini a consumare prodotti naturali e del territorio. Ora l'Italia ha ottenuto fondi per oltre 26 milioni di euro per l'edizione 2016-2017 di questo programma comunitario “Frutta nelle scuole”. Così, per l’ottavo anno consecutivo potrà quindi continuare la campagna di sensibilizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che ha raggiunto già più di quattro milioni di alunni, con lo scopo di trasmettere l'importanza di sane abitudini alimentari fin dai primi anni dell'infanzia, e che coinvolge, oltre agli alunni delle scuole primarie di tutte le Regioni italiane, anche i loro genitori e insegnanti. Certo, non è tutto oro quello che riluce: tre anni fa sui giornali è apparsa la notizia di un gruppo di persone, un misto fra politici e manager, inquisito per una truffa da circa trenta milioni di euro per appalti truccati. Ed uno dei settori interessati era proprio quello  riguardante iniziative dirette alla fornitura di frutta nelle scuole. Purtroppo temo siamo sempre stati un po' così: armati di buone intenzioni, ma spesso disarmati nel realizzarle, lasciando quindi campo libero a furbetti e malfattori. E  naturalmente c'è chi se ne approfitta. Oscar Wilde diceva: "Le cose peggiori sono sempre fatte con le migliori intenzioni". In ogni caso con questa iniziativa molti bambini hanno modo di fare merenda in modo sano, per abituarli sin da piccoli  al consumo regolare di frutta, preziosa alleata per il loro benessere. Un progetto che mi piace molto e mi auguro  che possa essere presto esteso a tutte le scuole, non solo alla primaria, diventando permanente perché la salute passa anche dalla tavola.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 14 novembre 2016

flop maschile: DISTURBI DELL'EREZIONE


Flop maschile

In Italia quasi il 30% degli uomini sopra i 50 anni, soffre di disfunzione erettile, avendo infatti un deficit dell’erezione e una diminuzione delle erezioni involontarie al risveglio, e l’eiaculazione permane seppur di volume a volte ridotto, con orgasmo attenuato.

E, ovviamente, le donne  non gradiscono.

Oltre all’età, le cause dell’impotenza vanno ricercate anche nelle cattive abitudini: alcol, fumo e sedentarietà.

Questi stili di vita poco salutari dopo i 50 anni aumentano il rischio di disturbi sessuali e di cancro alla prostata, avvertono i medici.

 Per cercare di risolvere i problemi di letto, gli italiani ricorrono sempre più spesso e a tutte le età, alle pillole dell'amore: Viagra, Cialis e Levitra.

Si allarga l'armamentario farmacologico per chi ha difficoltà a letto.

Ho sentito dire che ora arriverà sul mercato il “francobollo dell'amore” a base di sildenafil.

Si tratta di una sorta di cerotto che si scioglie in bocca e fa effetto dopo circa mezz'ora.

Uno dei miei registi preferiti è  Gianni Di Gregorio che non ha il piglio da eroe di Nanni Moretti, l’aria da artista severo di Marco Bellocchio o il piglio travolgente di Paolo Virzì.

Lui è dimesso, dolce, tranquillo, sorridente.

Eroe di un cinema in punta di piedi.

E, nella sua garbata commedia “Gianni e le donne”  ad un certo punto al sessantenne protagonista maschile fa esclamare questa frase:  “Da giovane ero contento quando le donne mi dicevano sì. Ora ho paura se lo fanno!”

Del resto, l'erezione è come la teoria della relatività.

 Più ci pensi e più diventa difficile. 

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 11 novembre 2016

Leonard Cohen: addio a un poeta


Leonard Cohen: addio a un poeta

Addio a Leonard Cohen, morto a 82 anni.

 Il suo primo album “Songs of Leonard Cohen” è uscito nel 1967, quando il cantautore aveva 33 anni.  L’ultimo, “You want it darke”,  lo scorso 21 ottobre.

Quando quest’estate è morta Marianne Ihlen, la sua musa ispiratrice, la sua antica amante, Cohen le ha scritto una lettera meravigliosa, una poesia che Marianne ha fatto in tempo a leggere prima di morire e in cui Leonard Cohen stesso prediceva la sua morte: Ti ho sempre amata per la tua bellezza e la tua saggezza, ma non serve che io ti dica di più poiché lo sai già. Adesso, voglio solo augurarti buon viaggio. Addio vecchia amica. Amore infinito. Ci vediamo lungo la strada. È venuto il tempo in cui si è vecchi e i nostri corpi cadono a pezzi: credo che ti seguirò presto. So di esserti così vicino che se tu allungassi la mano, potresti raggiungere la mia.”

 Ho allevato i miei figli con Bob Dylan, Bruce Springsteen e Leonard Cohen.

Leonard Cohen, il poeta della musica.

Sì, se non ci fosse stato Leonard Cohen con le sue storie delicate e nello stesso tempo dure, poesie esistenziali su tessuti sonori, la mia vita sarebbe stata più povera.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

mercoledì 9 novembre 2016

L’economia di Trump


L’economia di Trump

Donald Trump ha vinto a sorpresa, contro ogni pronostico. Gli americani lo hanno infatti preferito a Hillary Clinton ed alla sua garanzia di continuità politica con l’amministrazione Obama. Ora Trump raccoglie in eredità una America con un’economia in moderata crescita e una disoccupazione ridotta ai minimi termini. E’ quindi possibile che a medio termine l’economia americana tragga beneficio dal programma del nuovo presidente. In fondo la vittoria di Trump e la Brexit hanno la stessa causa: la paura dell'immigrazione libera. I cittadini delle fasce deboli sentono la concorrenza dei nuovi venuti che produce un abbassamento dei salari. Tutti cercano di difendere il loro precario tenore di vita. E così coloro che avevano fatto donazioni milionarie ai Clinton (industriali banchieri grandi azionisti) adesso sono disperati. Perso i soldi e perso un riferimento alla Casa Bianca che facesse leggi in loro favore.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 8 novembre 2016

Compleanno di Alessandro Pulimanti (22 anni)


Compleanno di Alessandro

Alessandro, il mio secondogenito, è nato a Ostia, all'Ospedale Grassi, alle 4 del mattino di mercoledì 9 novembre 1994.

Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo splendido brano di Willie Nelson "Georgia in my mind".

Una settimana fa ha terminato gli esami universitari (quasi tutti 30 e lode!!!).

Ora sta scrivendo la tesi e a dicembre si laureerà  in Lingue e Letterature Straniere.
E dato che domani (mercoledì 9 novembre) compirà 22 anni, vorremmo dedicargli queste piccole frasi di auguri:

Alex ci sono giorni che passano inosservati... altri impossibili da dimenticare... oggi è uno di questi! Auguri di buon compleanno da papà Mario, mamma Simonetta e da tuo fratello Gabriele”.

Referendum e migranti


Referendum e migranti

Siamo in attesa dell'esito del referendum sulle riforme istituzionali ma qualunque sarà il suo esito ogni discorso sull'immigrazione orienterà in modo importante anche le scelte future degli elettori. Del resto è diventato veramente serio il  fenomeno dei migranti che ci costano 1500 euro al mese e godono molto spesso di alcuni vantaggi sotto forma di facilitazioni burocratiche, incentivi a fondo perduto e possibilità di non pagare le tasse. Il tema dell’immigrazione è piuttosto scomodo tanto che se si fa una critica si rischia di venire accusati di essere razzisti. Però è innegabile che noi italiani sembriamo quasi avere meno diritti dei migranti e  rischiamo di lasciare ai nostri figli la consegna dei nostri valori civici e costituzionali duramente conquistati.  

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 7 novembre 2016

Bipartitismo forzato


Bipartitismo forzato

 

Un sistema elettorale va valutato per la sua efficacia sul piano della governabilità e da questo punto di vista l'Italicum é una formula adatta al bipartitismo, cioè ad un sistema politico dove si contrappongono due partiti ma é meno adeguata per un sistema politico almeno tripolare (centrodestra, grillini e centrosinistra) come è ormai quello italiano. Con l'Italicum, infatti, un partito che prende il 30% dei voti al primo turno, potrebbe avere dopo il ballottaggio una maggioranza assoluta della Camera. Oltretutto il ballottaggio spinge gli sconfitti al primo turno a coalizzarsi per far perdere il vincitore. E ciò non favorisce la governabilità. Infatti l'Italicum è stato pensato nel periodo in  cui Renzi  affermava di sognare, un po' come Veltroni con la vocazione maggioritaria, un Pd al 40%. Obiettivo poi raggiunto con il voto alle Europee, quando il PD di Renzi era effettivamente riuscito ad ottenere il 40% e quindi con l'Italicum poteva aspirare a conquistare la maggioranza assoluta al primo turno. Ma ora non è più così. Del resto noi italiani continuiamo a votare numerosi partiti e questo non piace a chi vuole il bipartitismo, obiettivo per cui in realtà nacque il Pd nel 2007.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

mercoledì 19 ottobre 2016

Paolo Triestino in "Roma-Liverpool 1-1" alla Sala Massimo Troisi di Ostia


Paolo Triestino in "Roma-Liverpool 1-1" alla Sala Massimo Troisi di Ostia

Paolo Triestino in "Roma-Liverpool 1-1" alla Sala Massimo Troisi di Ostia La scorsa settimana al teatro Massimo Trosi di Ostia é arrivato il talento istrionico di Paolo Triestino con "Roma- Liverpool 1-1", l'evocazione della finale della Coppa Campioni del 30 maggio del 1984, che rivive un momento storico del calcio, metafora della vita. Grande performance del maestro Paolo Tiestino. Un monologo divertente ed appassionante. Il solo arredo scenico é rappresentato da una sedia. Esce fuori dal palcoscenico la voce di Bruno Pizzul e di altri personaggi eroici, non solo per i tifosi romanisti: su tutti Agostino Di Bartolomei. Il testo di Giuseppe Manfridi narra la storia di una squadra e di un’Italia nei mitici anni Ottanta. Il narratore e regista conduce così uno spettacolo che fa del calcio una metafora della vita. Ci si appassiona e ci si diverte anche senza essere tifosi romanisti (io infatti sono un tifoso dell'Atletico de Madrid). Paolo Triestino è un attore di teatro, cinema e televisione, conosciuto dal grande pubblico per i tanti lavori ed il grande successo riscontrato. E' attivo soprattutto nel teatro, ma anche in televisione ed occasionalmente è impegnato come doppiatore. Ok, "Roma- Liverpool 1-1". Restano i rimpianti. E i ricordi, che qui equivalgono ai primi. Pare di avvertire un languore, qualcosa d’irrisolto a livello personale in questo testo teatrale di rimpianti dai toni spesso intimi, in cui Pizzul appare solo come voce narrante, fuori campo. Così come sembra magica tutta la rappresentazione. E questo, non c’è dubbio, lascia un po’ di amaro in bocca. E' sempre un piacere vedere Paolo Triestino. Ed è piacevole assistere alle sceneggiature di Giuseppe Manfridi, che crea sempre un’incantevole storia (questa volta d'amore per la squadra del suo cuore, la Roma) raccontata con humor e dolore.

(Mario Pulimanti -Lido di Ostia-Roma)

Giusto il Nobel a Bob Dylan


Giusto il Nobel a Bob Dylan

Sono da sempre un grande fan di Bob Dylan ed ascolto i suoi dischi da quando avevo undici anni. Questo grande artista ha influenzato assolutamente tutto il paesaggio musicale degli ultimi 40 anni. Conosce pochissimi accordi eppure la sua esecuzione ha sempre qualcosa di speciale, di riconoscibile. Ci sono degli errori che sono diventati parte del suo suono. Del resto, per la prima volta introdusse l’elemento civile nelle canzoni.
È lui che ha creato la canzone civile, parlando anche della guerra nucleare.
Dylan è la quintessenza del rock’n'roll. Ho cominciato ad ascoltarlo a metà degli anni Sessanta, quindi non l’ho mai considerato un cantautore o un poeta folk. Per me lui era rock, elettricità, movimento. Quando, per esempio, canta "Hurricane", sembra il canto di un pugile, di un combattente e penso che si possa ben dire che, come Elvis ci ha liberato il corpo, Bob Dylan ci ha liberato la mente.  La prima volta che ho ascoltato "Highway 61 Revisited" sono rimasto affascinato dai suoni di tutti gli strumenti che ci sono in quel disco. Veramente emozionante. E’ senz’altro vero che è difficile dire su Dylan qualcosa che non sia già stato detto, e magari dirlo anche meglio.  Basterà forse ribadire che Bob Dylan è un pianeta ancora inesplorato.  Per un cantautore lui è indispensabile almeno quanto lo sono per un falegname chiodi, martello e sega, e, come ha detto parlando di lui un altro grandissimo della musica internazionale, Tom Waits: "In Dylan sono importanti anche i fruscii dei suoi bootleg degli anni Sessanta e Settanta. Lui vive nell’essenza delle sue canzoni". E allora rieccolo con 10 canzoni inedite, il suo 46esimo disco, il 33esimo realizzato in studio. Questa volta, con il nuovo album "Together Through Life", canta l’amore. Ovvero l’amore secondo Dylan. Un amore disperato e struggente o, al limite, giocoso e lascivo, come vuole la tradizione blues.  Certo nessuno si aspettava un nuovo album a meno di 3 anni dall’ultimo.  Tra un disco e l’altro, ormai, il menestrello ci aveva abituati a ben altre pause.  Basta scorrere le date di uscita dei quattro lavori precedenti.
Under the Red Sky 1990, Time Out of Mind 1997, “Love & Theft” 2001, Modern Times 2006. L’ultimo, in particolare, gli aveva restituito un successo degno dei tempi migliori, riportandolo per la prima volta dal ‘76 in vetta alle classifiche di tutto il mondo.
Ma Dylan, a 68 anni suonati, impegnato in una turnèe infinita ( il Never Ending Tour) che, dall’88 a oggi lo vede mantenere una media difficilmente sotto i 100/120 concerti l’anno, non ne vuole sapere di riposare sugli allori. Di Together Through Life si sta dicendo e si dirà di tutto, come sempre di ogni suo nuovo lavoro.  Che è un capolavoro, che il menestrello ha perso il tocco, che si ripete, che riesce ancora ad innovare, che non ha più voce Niente di nuovo.  In realtà, Bob segue ormai una strada che ha incominciato a percorrere almeno 20 anni fa.  Il suo cammino è tutto nel solco della tradizione americana, della musica che ascoltava quando era ragazzino (non di quella che faceva lui da giovane).  Appena ventenne, si sforzava di sembrare vecchio nel timbro e nell’intonazione vocale.  E oggi è arrivato nel punto dal quale, forse, voleva partire. Ritornato, dopo le sbandate degli anni ’80, come reincarnazione di un bluesman girovago, non ha più cambiato rotta. Quello che è stato uno dei più grandi innovatori della musica, l’eroe per antonomasia della controcultura, ci offre, oggi, un sound che sembra arrivare da una macchina del tempo sintonizzata sugli anni ‘40/50.  Ma, a pensarci bene, non è questa la vera trasgressione, il vero strappo con la musica sintetica e prefabbricata che domina, i giorni nostri, le classifiche? Non è questa la colonna sonora dei veri “Modern Times”? E se il penultimo album era un capolavoro, una sorta di manifesto di questo Dylan fuori dal tempo, Together Through Life è un gioiellino, una perla che va ascoltata e riascoltata. Questa volta il menestrello non canta l’apocalisse e la fine dei tempi .Con la collaborazione di Robert Hunter, paroliere dei Greateful Dead, scrive invece delle canzoni d’amore.  Ma il tocco del vecchio Bob riaffiora qua e là come un fiume neanche troppo sotterraneo.  “Oltre qui non c’è niente" -dice lapidario alla sua bella, alla fine di "Beyond Here There Is Nothin- "niente che non sia già stato fatto e niente che non sia già stato detto.” Ed ora che gli è stato giustamente insignito il Premio Nobel per la Letteratura. Il 13 ottobre del 2016. Proprio nel giorno della morte del grande Dario Fo. Grande, grandissimo Dylan. Giù il cappello. 75 anni e continui ancora a stupirmi.  Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)È lui che ha creato la canzone civile, parlando anche della guerra nucleare. Per me Dylan è la quintessenza del rock'n'roll. Ho cominciato ad ascoltarlo a metà dei Sessanta, quindi non l'ho mai considerato un cantautore o un poeta folk; per me lui era rock, elettricità, movimento. Quando, per esempio, canta "Hurricane", sembra il canto di un pugile, di un combattente e penso che si possa ben dire che, come Elvis ci ha liberato il corpo, Bob Dylan ci ha liberato la mente. Poi, a proposito di un suo famoso brano "Highway 61 Revisited", mi piace ricordare che, la prima volta che l'ho ascoltato, sono rimasto affascinato dai suoni di tutti gli strumenti che ci sono in quel disco. Veramente emozionante. E’ senz'altro vero che è difficile dire su Dylan qualcosa che non sia già stato detto, e magari dirlo anche meglio. Basterà forse ribadire che Bob Dylan è un pianeta ancora inesplorato. Per un cantautore lui è indispensabile almeno quanto lo sono per un falegname chiodi, martello e sega, e, come ha detto parlando di lui un altro grandissimo della musica internazionale, Tom Waits, che io condivido pienamente: "In Dylan sono importanti anche i fruscii dei suoi bootleg degli anni Sessanta e Settanta. Lui vive nell'essenza delle sue canzoni". Modern Times è stato il suo ultimo albumi. Esattamente il suo 44 album. Grande, grandissimo Dylan. Giù il cappello. 75 anni e continui ancora a stupirmi. Ed ora gli é stato giustamente insignito il premio Nobel per la Letteratura. Il 13 ottobre del 2016. Proprio nel giorno della morte del grande Dario Fo.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 7 ottobre 2016

Migliorare la produttività in Italia


Migliorare la produttività in Italia

Un eventuale aumento del Pil (Prodotto Interno Lordo) non sarebbe sufficiente per migliorare l’economia italiana. Infatti PIL è la ricchezza che un certo Paese è in grado di produrre nell’arco temporale di un anno, trattandosi della somma totale dei beni e dei servizi che si producono per essere consumati all’interno di uno Stato.  Facendo un conteggio preciso del PIL si è in grado di determinare la ricchezza di un Paese per l’anno in questione, facendo un rapporto tra il prodotto interno lordo e il numero delle persone che vivono in quel determinato Paese.  In questo modo si ottiene il reddito medio di ogni cittadino, quindi si può individuare il valore della ricchezza del Paese in questione e definire se si tratta di uno Stato ricco o meno. Perciò, per ottenere un miglioramento economico in Italia, sarebbe necessaria una crescita economica che venisse percepita come tale da tutti i ceti sociali e in particolare dal cosiddetto ceto medio. Un incremento del Pil che avvantaggi solo alcuni settori otterrebbe, al contrario, il risultato di aumentare le differenze sociali a tutto svantaggio dei ceti meno abbienti, cioè di coloro che già hanno pagato alla crisi il prezzo più alto con la conseguenza che i ricchi sarebbero più ricchi e il ceto medio sempre più povero. Per assurdo si potrebbe dire che il ceto medio sarebbe più povero di prima, tenuto conto che alcune risorse ambientali sono già state un po’ danneggiate per aumentare i pil precedenti.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 6 ottobre 2016

SI’ al Referendum e NO al Governo


SI’ al Referendum e NO al Governo

Renzi, dicendo che si sarebbe dimesso, aveva trasformato il referendum in elezioni politiche mascherate. Fa bene ora a restituire all'istituto del referendum il suo senso pur sapendo, comunque, che ormai l’esito del referendum, qualunque esso sia, avrà effetti sugli equilibri di governo. Intanto tutti i sondaggi dicono che  molte persone ignorano i contenuti del referendum. Quindi, invece di disegnare scenari futuri o futuribili, sarebbe opportuno far capire che con questo referendum si chiede agli elettori di approvare o respingere la riforma costituzionale del governo Renzi, che prevede un significativo cambiamento del Senato e una serie di altre modifiche al funzionamento dello Stato. Il referendum è senza quorum: significa che non ci sarà bisogno di un numero minimo di votanti per considerarne valido l’esito. Non essendo totalmente soddisfatto di questo Governo sarei tentato di votare NO. Però, parlando esclusivamente dei contenuti referendari, opterei invece per votare SI’. Infatti ritengo che con l’abolizione dell’anacronistico bicameralismo paritario si potrebbero evitare ritardi e sovrapposizioni, anche se i regolamenti di Camera e Senato dovranno necessariamente essere modificati per attuare il dettato costituzionale. Inoltre soltanto la Camera concederebbe la fiducia al Governo, instaurando così un rapporto fiduciario unicamente tra Camera e Governo, svolgendo il Senato un’altra funzione, ovvero quella di camera di compensazione tra Stato e Regioni. Nella riforma è prevista una limitazione del ricorso ai decreti legge. Un po’ tutti i governi ne hanno abusato, con la giustificazione della necessità e dell’urgenza dei provvedimenti. Vi sarebbe anche una notevole riduzione del contenzioso Stato-Regioni davanti alla Corte costituzionale, che è stato acuito a seguito della riforma del Titolo V varata nel 2001. Il nuovo Senato ha infatti, come si diceva, la funzione di camera di compensazione tra Stato centrale e territori. In ogni caso non ci sarebbe una deriva autoritaria, dato nel contesto storico in cui è nata la Costituzione (il 1948) prevalse il tema della riflessione più che quello della decisione perché, dopo il fascismo e con la guerra fredda alle porte, si temeva che il Paese potesse degenerare verso forme di autoritarismo. Oggi quel contesto storico è lontano.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 3 ottobre 2016

LIBIDO IN CUCINA


La libido vacilla e il talamo annoia al punto tale che neppure la più sensuale delle guepière riesce a risvegliare gli stanchi sensi.

Certo, non è ancora arrivato il momento di mettere la sensualità in pensione.
Ehilà, basta affinare la fantasia e trovare nuove rotte.

E se il letto annoia, il divano é troppo scontato e la casa non è dotata di un ascensore che prometta una bollente risalita, ecco sbucare dal cilindro la “sexy room” del momento.

La cucina.

Sì, proprio il regno della casalinga, quello fatto di pentole, mestoli e coltellacci.

Tra un minestrone che bolle e un brasato che si rosola la fantasia erotica galoppa, quasi a far invidia a Jack Nicholson e Jessica Lange, magistralmente avvinghiati su un tavolino dopo che lui ha trillato il campanello per ben due volte.
Non è la perversione del momento, ma è la nuova tendenza del sesso domestico.

Nei sogni di noi italiani a quanto pare le lenzuola di seta, gli avvolgenti materassi ad acqua e i celebrati effluvi di N.5 hanno lasciato il posto a tovaglie quadrettate, ampi grembiuli, zaffate di aglio e peperoncino e tavoli sui quali… consumare.

Del resto con il frenetico modificarsi della vita non poteva che cambiare anche l’uso dello strumento che ci appartiene di più: la nostra casa, appunto.

Sfidando le ire dei nutrizionisti ormai si mangia in salotto, davanti a maxi schermi che lasciano i più con la forchetta sospesa tra una soap e una partita.

Le camere da letto sono diventate delle biblioteche, sommerse di riviste, libri, computer portatili e blocchi notes: letti come immense scrivanie dove tra penne e quotidiani anche il più ben disposto degli spiriti cerca un’altra strada.
Non rimane che la cucina: avvolgente, calda, sensuale, ahimè spesso disertata dalla donna che trascorre ormai la maggior parte del proprio tempo fuori casa.

Bisognava pur consegnarle un nuovo ruolo.

E cosa c’è di più nobile di votarla a talamo: luci soffuse, profumi che se non inebriano i sensi senza dubbio stuzzicano l’olfatto e il gusto, qualche fantasia la fanno pur venire.

Diciamolo, gli ingredienti ci sono tutti, basta saperli cogliere: i grandi amatori teorizzano da secoli che il sesso va giocato coinvolgendo tutti i cinque sensi.

E se poi si vuol strafare, si possono allargare gli orizzonti, d’altra parte le moderne soluzioni di design di spazi sui quali accoccolarsi ne offrono più d’uno.
Il tavolo è scontato?

C’è il piano lavoro, ci sono le sedie che diventano sempre più poltrone e meno sedili.

Insomma, aguzziamo l’ingegno.

Un solo piccolo accorgimento.

Occhio ai nuovi spazi, oggi tanto di moda: se le alcove infatti avevano il dono della privacy, la cucina e gli spazi aperti non si sono ancora attrezzati, e con porte inesistenti e ampie vetrate come vuole la moda, è molto facile passare da un momento di intimità ad una pubblica esibizione.

Questo sì che sarebbe fare una frittata!

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

 

sabato 1 ottobre 2016

LE MAROCCHINATE

Ieri sera alla deliziosa Sala Massimo Troisi di Ostia ho assistito ad un altro interessantissimo spettacolo: "Le Marocchinate", raccontato con una magistrale interpretazione di ARIELE VINCENTI e la regia di un grande NICOLA PISTOIA.
Con il termine "marocchinate" vengono chiamati gli stupri di massa, gli abusi e le feroci torture subite dal popolo italiano nel 1944, quando inquadrati nel "Corpo di spedizione francese in Italia" sbarcarono in Italia i soldati marocchini, passati alla storia come liberatori e che invece spezzavano tutti i denti anche ai bambini per violentarli oralmente.

Di questo argomento sui libri di storia non c'è scritto niente.
Nessun tribunale internazionale si è mai interessato alla vicenda, e nessun soldato è mai stato punito per "crimini di guerra" o contro l'umanità.
Gli "alleati" avevano bisogno di soldati per scacciare i tedeschi dall'Italia, e pensarono bene di assoldare le truppe marocchine, con una promessa: il diritto di preda: tra i cosiddetti
Goumiers fu distribuito un volantino, redatto dai francesi, che recitava quanto segue:

« Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete »


Ed è proprio così che andarono le cose. Le truppe marocchine scacciarono i tedeschi, e ne combinarono di tutti i colori. Furti nelle abitazioni, violenze, omicidi, feroci stupri di gruppo ai danni prevalentemente di donne e bambini, ma anche di uomini.
Le violenze non durarono solamente 50 ore; andarono ben oltre al lasso temporale di anarchia concesso dai francesi alle truppe marocchine, anche se certamente quelle ore furono le più terrificanti, con i soldati marocchini che spadroneggiavano come predatori, saccheggiando, picchiando, stuprando, uccidendo.


Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono un minimo di 20.000 casi accertati di violenze, numero che comunque non rispecchia la verità; diversi referti medici dell'epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, sia per vergogna o pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal "Corpo di Spedizione Francese", che iniziò la proprie attività in Sicilia e le terminò alle porte di Firenze, possiamo affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, e ben 18.000 violenze carnali. I soldati magrebini mediamente stupravano in gruppi da 2 o 3, ma ci sonio anche testimonianze di donne violentate da 100, 200 e 300 magrebini .

Le testimonianze sono atroci, capaci di far accapponare la pelle ancora oggi, dopo 70 anni.

Il sindaco di Esperia (comune in provincia di Frosinone) affermò che nella sua città 700 donne su un totale di 2.500 abitanti furono stuprate, e alcune di esse, in seguito a ciò, morirono. Con l'avanzare degli Alleati lungo la penisola, eventi di questo tipo si verificarono altrove: nel Lazio settentrionale e nella Toscana meridionale.

Lo scrittore Norman Lewis, all'epoca ufficiale britannico sul fronte di Montecassino, narrò gli eventi:

« Tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate... A Lenola il 21 maggio hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n'erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi. I Marocchini di solito aggrediscono le donne in due - uno ha un rapporto normale, mentre l'altro la sodomizza. »



Il popolo italiano, stremato dalla guerra, dopo aver subito le violenze degli "oppressori" tedeschi, dovette subire anche quelle dei "liberatori", che per 50 lunghissime ore scatenarono l'inferno, dettero sfogo ad una violenza disumana.


Di seguito riporto una testimonianza sconvolgente:
"



Tre soldati(marocchini) hanno completato il loro turno di esercitazione e si avviano verso la baracca della mensa.
Parlano tra di loro, Lorenzo esce allo scoperto e li saluta in arabo.
I tre restano sorpresi, poi, sorridendo, si avvicinano al bambino ed uno di essi lo carezza sui fianchi e sulle cosce. Lorenzo allora comprende il suo fatale errore ed inizia a correre urlando: "Mario resta nascosto, dopo scappa via ed avverti mia madre".
I tre non capiscono le parole di Lorenzo, ma lo inseguono e si allontanano da dove è nascosto Mario che attraverso il foro del recinto riesce a uscire e mettersi in salvo.
Arriva a casa di Lorenzo, ma la porta è chiusa, Fedora non è ancora tornata.
Si siede sul primo gradino ed aspetta piangendo.
Trascorre un’ora.
Un contadino di Cardito trova Lorenzo seminudo, ricoperto di sangue, abbandonato in un viottolo
di campagna, non lontano dal campo dei marocchini.
Lo porta in Ospedale.
Il referto riporta: stato di choc, ferite lacero contuse sul viso, sulle gambe e sulla schiena,
lacerazioni nella zona anale da penetrazioni multiple, lacerazioni delle corde vocali da penetrazione
orale, i denti completamente rotti per evitare morsi difensivi .
Da qual giorno Lorenzo non disse più una parola".

Questa pagina nera della nostra storia è stata "rimossa" dai libri, dalla memoria,


Tanto sappiamo sulle brutalità dei nazisti, mentre di quelle degli "alleati" che ci hanno insegnato fin da piccoli a ringraziare non vogliono che ce ne ricordiamo.

Le marocchinate non sono state "le uniche" violenze subite dagli italiani da parte dei "liberatori", anche se probabilmente sono state le più feroci e disumane. Si, disumane è la parola giusta.

Uno dei tanti controsensi della "liberazione"... Incaricare dei selvaggi al ripristino della civiltà...

Se cercate su google "la ciociara streaming" trovate il film anni 60 di sophia loren regia di vittorio de sica sui fatti delle marocchinate, però è molto "light" rispetto alla realtà. sono state fatte crudeltà indicibili.
Per esempio spezzare tutti i denti anche ai bambini per violentarli oralmente, cagionando danni alle corde vocali era frequentissimo, oltre che da "dietro", una ferocia incredibile e disumana. anche italiani, tedeschi etc uccidevano e talvolta torturavano ma non così. questi sodomizzarono a morte per una nottata intera anche un parroco.

Una vera barbarie.

 
Quindi dopo la coppia Milena Miconi /Francesca Nunzi in "Beate Noi" ho ieri visto Le Marocchinate con Ariele Vincenti: due spettacoli straordinari.



Un grande inizio per l'incantevole Sala Massimo Troisi e un meritatissimo applauso ai suoi fondatori, Antonia Di Francesco e Luca Franco.


 

Mario Pulimanti (lido di Ostia -Roma)




lunedì 26 settembre 2016

Attenti ai borseggiatori!


Mi chiamo Mario ed abito a Ostia. Certamente mi dispiace lamentarmi di un episodio accadutomi nella città che io amo moltissimo, la mia Roma. Ma...attenzione ai borseggiatori! A me hanno nuovamente rubato il portafoglio sulla metro B. E dire che si sente continuamente dire che sul bus o sulla metro occorre stare attenti ai borseggiatori. Ora sono io a dirvi di non mettere il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni, come faccio io, e di tenere sempre sotto controllo borse e portamonete. Alcuni dipendenti del Cotral-Roma, ai quali mi sono rivolto, mi hanno anche consigliato di prestare, per il futuro, particolare attenzione al momento in cui si chiudono le porte della metro, in quanto il particolare avviso immediatamente antecedente alla chiusura può facilitare ladruncoli e borsaioli, che imperversano indisturbati le nostre metropolitane. Che mi hanno rubato il portafogli sulla metro B di Roma, me ne sono reso conto solo quando, uscito dalla metro, mi sono ignaro recato dal mio giornalaio di fiducia. A questo punto, dopo aver saldato il conto in natura -faccio naturalmente dell’ironia- vado a denunciare il furto, come penso farebbe qualunque persona nelle mie condizioni. Tuttavia, nell’ufficio di polizia mi dicono che uno scippo compiuto da ignoti può essere denunciato solo come semplice smarrimento. La denuncia di furto si può fare se il ladro è preso sul fatto. Difatti se non si hanno in quel momento a disposizione corpo del reato e testimoni, non sei altro che uno sprovveduto che si e' perso il portafoglio. Se non ho capito male, quindi,  se ti rubano la borsa o il portafogli devi acchiappare il ladro o almeno sapere come si chiama. Converrete con me, a questo punto, che non è facile ottenere questo, nella stragrande maggioranza dei casi. Ritorno a casa, ancora avvilito per il furto subito questa mattina. Stasera fa freddo fuori, e la metro è di nuovo strapiena. Mentre vengo cullato dal vagone della metro, penso che d’ora in poi dovrò stare più attento per non farmi sorprendere per l’ennesima volta dai borseggiatori e, intanto, con la coda dell’occhio controllo due zingarelle furbe, smaliziate, petulanti e insistenti che chiedono soldi alla gente asserendo che servono per comperare latte in polvere e quant'altro per i loro fratellini e le loro sorelline piccole. Hanno quest’aria di sfida ed un penetrante profumo che punge le narici togliendoti il respiro, ma di elemosina ne ricevono poca, almeno nel mio vagone. All’angolo un giovane parla distrattamente con una sua amica che, anche se è nel fiore della sua giovinezza, mi sembra che gli ispiri sentimenti d’intimorita curiosità medica più che un eccitamento sessuale. Intorno a me ci sono uomini ciarlieri, uomini faceti e uomini arroganti; pettegoli, pensatori, sognatori e disadattati. Ma sembra che, almeno questa volta, non ci sia nessun borseggiatore. Nel frattempo due turiste americane sono sedute vicine ad una studentessa che legge una rivista ed a quattro giovanissimi supporters giallorossi che, raggianti, decantano le grandi imprese calcistiche del Capitano Francesco Totti. Scendo alla fermata della “Piramide” che  è buio e prendo la coincidenza per Ostia. Ormai è ora di tornare a casa. Tanto, i borseggiatori, saranno ancora sulla metro B ad aspettarci domani. Assurdo!  Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 14 settembre 2016

Ma che guaio che é, questo amore!


Ma che guaio che è, questo amore.

 

 

Lavoro troppo, sono sottopagato e socialmente disadattato.

E sono un paranoico ipocondriaco.

Se per caso sento un dolorino al braccio, penso di essere sull’orlo dell’infarto anche se il braccio è quello destro.

Certi disturbi comportamentali non spariscono così, in un amen.

L’amore è un guaio.

Un guaio, sì.

Uno magari trova un equilibrio, una quiete.

Si convince di avere raggiunto un minimo di serenità, che è un traguardo importante.

Poi arriva l’amore, con il suo fantasma di felicità e ti fa sembrare tutto grigio, inutile.

Quello che hai diventa poco, una piccola, inutile meschinità.

La musica, le canzoni, le poesie, il mare, il cielo, il vino, il cibo e l’aria.

Tutto perde senso.

E’ per questo che l’amore è un guaio, un guaio grosso.

Perché quando ce l’hai, lo puoi perdere.

L’amore è un sentimento vigliacco.

E’ come un liquido: pensi di tenerlo in mano e quello ti scivola attraverso el dita.

L’amore è sempre disperato, però ha sempre qualche speranza.

L’amore non si rassegna.

Il tormento non esiste senza l’amore.

L’amore è l’altra faccia.

E’ un grido disperato che ti fa dormire male.

Di notte, o si dorme e si sogna o si è svegli e si sogna ugualmente.

E’ di notte che ci mettiamo di fronte a noi stessi, è di notte che non ci sono scuse.

L’amore è un guaio; eppure c’è di peggio.

Il tradimento è peggio dell’amore.

Improvvisamente un rumore mi allontana da queste meditazioni.

Riesco a recuperare i popcorn dal forno a microonde un attimo prima che si trasformino in un’arma di distruzione di massa, com’è successo la settimana prima. Bevo un sorso di passito.

Vino da meditazione.

Mi avvicino la mia piccola pila di quotidiani e settimanali, dando un’occhiata alla foto di Nicole Kidman.

Ho comprato un pollo in rosticceria.

Ma quando lo guardo, il mio stomaco si rivolta.

Lo metto in frigo per domani, preparando al suo posto un gin tonic bello carico.
Prendo fiato e ne mando giù un sorso.

Mah.

Forse per oggi può bastare

Il mio stomaco non gradisce nemmeno quello, ma il cocktail mi aiuta a eliminare un po’ di tensione.

E infatti quando lo termino mi metto a sbadigliare.

Incoraggiato da questo fausto presagio, mi dirigo in camera da letto.

Mi spoglio, lasciando cadere i vestiti dove capita.

Poi mi infilo sotto le coperte e spengo la luce.

Sospiro, rassegnato a un’altra notte insonne.

Intanto penso.

Ricordi, sensazioni, cose così…

Non so perché.

Collevecchio.

Ripenso a un giorno di primavera.

Mi trovo nell’impossibilità di distinguere la fantasia dalla realtà.

Oltre il Parco della Rimembranza, ai margini del cimitero, il mare delle vette d’albero che ondulavano al vento.

La fragile luminosità pomeridiana s’incupiva e rischiarava sugli occhi di mia madre secondo il passaggio delle nuvole.

E poi, oltre la linea dei campi, il rumore dei trattori che transitavano cigolando a brevi intervalli.

Un altro debolissimo ricordo mi attraversa la memoria, un esile guizzo reminiscente…

Erano i tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin.

Non vedevo l’ora di andare all’università; per quanto mi riguardava, era lì che la vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo.

Sacro Cuore dai salesiani, al ginnasio e Socrate, al liceo.

In questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a quello che pensavo del mondo.

All’università sono diventato un vero studente.

Partecipavo alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo.

Ricordo i miei primi giorni di lavoro.

Neoassunto e infimo nella gerarchia.

Con uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c’era un lavoro importante di un collega in malattia.

Io avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani.

No, non devo pensare.

Smetto di farlo.

Devo avere la mente vuota.

E’ quello il trucco.

Se non avessi niente a cui pensare, non ci sarebbe niente che mi tenga sveglio. Immagino un immenso campo di grano, mosso dal vento, circondato da un alto recinto.

Fuori dal recinto ci sono milioni di pensieri: la famiglia, il lavoro, i soldi, eccetera eccetera.

Ma il mio recinto è troppo alto, troppo solido, e io non li lascerei entrare.
Sono proprio sull’orlo del sonno, pronto a caderci dentro senza riserve, quando il telefono squilla.

“Pulimanti.”
“Mario? Vedo che sei ancora sveglio.”

Batto le palpebre per un paio di volte. Per quanto brami il sonno, ci sono cose più importanti.
“Ciao, Ferruccio. Va tutto bene?”

“Va tutto a meraviglia, Mario. Non è che ti ho svegliato vero? So che sei un animale notturno e dopo le ventitré le telefonate costano meno.”

Sbadiglio.

“Sono sveglio. Lo sai che puoi chiamarmi quando vuoi.”

Parliamo del più e del meno.

Parliamo del Milan, la sua squadra del cuore.

Parliamo dell’Atletico de Madrid, la mia squadra del cuore.

Poi riattacca.

Adesso il sonno è lontanissimo.

Ricordo mio padre.

Per poco non mi usciva di bocca una parola che non pronuncio da ventiquattro anni.

La prima in assoluto che ho imparato a formulare, quando ancora non ero nemmeno capace di stare in piedi.

Da quando è morto, nella pasquetta del novantadue, non mi sono più capacitato dal non riuscire più a rivederlo davvero. Papà. Piango, tanto non mi vede nessuno.
Penso a mamma.

Alle diciotto e trenta di un triste pomeriggio di quattro anni fa, domenica 29 luglio 2012, all’Ospedale San Camillo di Roma moriva mia madre.

Ernesta Aloisi.

Moglie di Antonio Valeriano Pulimanti, poeta collevecchiano.

Ah. Ok.

Madre di Antonella.

Madre di Stefano.

E madre mia.

Lei, che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica.

Lei,  un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio.

Lei, con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino.

Lei,  che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé.

Lei, una canzone nella notte.

Lei, una ninna nanna speciale.

Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole.

Lei, quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me.

Lei, quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare.

Lei, il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto.

Lei,  mamma, una parola: la prima che ho detto.

Lei, mamma, un sorriso: il primo che ho visto.

Lei, mamma, una voce: la prima che ho udito.

Lei, mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato.

Lei, mamma, una culla: la prima che ho avuto.

Lei, mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere.

Lei, che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita.

Sfoglio un vecchio album di fotografie: qui avevo sei anni.  “Vieni!” sembra dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa.  

Mi manchi, mamma.

Alle madri non dovrebbe essere permesso morire.

Scaccio con decisione quel pensiero dalla mia testa, per evitare di scivolare nella svenevolezza.
Nel frattempo, rientra Gabriele, detto Gabry.

Aspirante Notaio.

Gabriele, il mio primogenito, è nato a Roma all'Ospedale San Giacomo alle 20 e 30 di sabato 18 ottobre 1986. 

Mentre nasceva, la TV stava trasmettendo la sigla di apertura della trasmissione “Fantastico 7” con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini, Alessandra Martines, il Trio Lopez-Marchesini-Solenghi e Nino Frassica.

La sigla era “Tutto matto” cantata da Lorella Cuccarini.

Gabriele non ha paura di dire ciò che pensa.

Lui esprime sempre le sue idee.

Però non è uno sconsiderato.

Sostiene che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori dal suo controllo, come foglie al vento.

Una verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale.

Ecco perché non parla di politica fuori di casa.

O con estranei poco affidabili.

“Dove sei stato” gli chiedo quando entra in soggiorno con i suoi jeans chiari e una maglietta rossa.

Ha gli occhi un po’ stanchi, ma a parte questo sembra che stia bene.

“Che bella accoglienza” replica.

“Vuoi rispondermi?”

“Se proprio lo vuoi sapere, sono stato alla gelateria di Carletto.”

“Dove si trova?”

“Vicino al Borghetto dei Pescatori”.

“E che succede lì?”

“Non succede niente di particolare. Il gelato è ottimo. La gente lo mangia e si diverte”.

Gabriele è innamorato del borghetto ed è intenzionato a trasferirvisi, appena avrà superato il concorso di Notaio.

Del resto questo potrebbe essere proprio il momento giusto: infatti al Borghetto dei Pescatori di Ostia a due passi dal mare è attualmente in costruzione un complesso residenziale che prevede la costruzione di nuove case ecologiche costituite da appartamenti e villini a schiera.

Esco sul balcone.

Di nuovo, pensieri.

Penso che il bricolage non è adatto a me.

Del resto, così come sul versante femminile, esistono le mani di fata, su quello maschile esistono gli uomini veri, quelli da amaro Montenegro, capaci di salvare cavalli ma anche di aggiustare oggetti, di riparare guasti domestici, di lavare i piatti e di cucinare.

Io, ahimé, come molti altri uomini, non appartengono a questa categoria.

In realtà so fare tante altre cose. Leggo moltissimi libri e me li ricordo.

Credo di cavarmela con la scrittura e malgrado quello che dicono certi miei colleghi, penso di lavorare con impegno e con discreta abilità.

Faccio delle belle fotografie.

E poi quando c’è da bere e da mangiare sono un vero professionista!

Ma, come dice mia moglie Simonetta, in tutto il resto, o quasi, sono un disastro.

E quando dico disastro non esagero.

Perché la mia vita è punteggiata, quotidianamente, da sconfitte imbarazzanti.

Prendiamo la botanica.

Vi dico subito che Simonetta ha il pollice verde.

Ogni pianta che lei mette in casa diventa un baobab.

Io, invece, sono una catastrofe vivente.

Ogni pianta che metto in ufficio muore dopo pochissimi giorni. Sono l’Attila delle azalee, dei ficus e degli oleandri.

Passiamo alla cucina.

Per sintetizzare il mio rapporto con i fornelli sarò esplicito: non so cucinare nemmeno un uovo al tegamino.

Quando prendo in mano una padella divento Fantozzi.

Confondo il sale con lo zucchero.

Mi brucio le mani quando scolo l’acqua della pasta.

E le poche volte che ho provato a cuocere una bistecca i vicini hanno chiamato i pompieri per via del fumo, che ho provocato nel palazzo.

Poi c’è il bricolage. Se c’è da attaccare un quadro mi prendo a martellate da solo.

Se devo bucare una parete col trapano mi ritrovo nel salotto dei vicini di casa.

Non parliamo dei miei maldestri tentativi quando c’è da sturare un water: provoco un maremoto e allago l’appartamento.

Se cerco di aggiustare una presa elettrica faccio saltare la corrente in tutto il quartiere.

Da solo non riesco a mettermi un cerotto al dito.

E se prendo in mano un tubetto di attaccatutto resto per tre giorni con il pollice incollato all’indice. Piuttosto che cambiare una gomma della mia automobile, vendo l’automobile.

Perché potrei restare lì, a combattere col crick, per intere settimane.

Impazzisco quando c’è da registrare qualcosa in Tv.

Se decido di registrare un film mi ritrovo sul decoder un documentario sulla vita delle renne nella Lapponia orientale

Comunque sono un uomo fortunato perché mia moglie, nonostante tutto, è innamorata dei miei difetti e, sempre vigile sul destino dei nostri due figli, Gabriele ed Alessandro, finisce con l’essere lei il vero fulcro della famiglia, anzi ne è l’unica colonna portante.

E, anche se il suo tentativo di trasformare la nostra famiglia in una unità di cui andare socialmente fieri fallisce inevitabilmente, eppure l’amore rimane lo stesso. 

Rientro a casa e trovo Alessandro seduto davanti al computer.

 Alessandro, il mio secondogenito, è nato a Ostia, all'Ospedale Grassi alle 4 del mattino di mercoledì 9 novembre 1994.

Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo splendido brano di Willie Nelson "Georgia in my mind".

Sono cose che succedono.

Di rado, certo, una volta nella vita, forse due, ma posso assicurarvi che succedono perché è successo a me.

Non ci potevo credere neppure io, eppure ero lì: la mattina del nove novembre all’ospedale Grassi di Ostia, una buona struttura idonea a favorire un trattamento più umano del paziente.

Era il 1994. Il calendario della Chiesa Cattolica Romana, festeggiava Sant’Oreste di Tiana medico morto nel 304 martire in Cappadocia, durante la persecuzione di Diocleziano.

Torturato e martoriato con i chiodi perché non rispettava i principi deontologici della corporazione dei medici pagani, che nella sostanza praticavano la stregoneria facendosi pagare lautamente dai loro pazienti.

Ero appena uscito dall’Ospedale.

Stavo rientrando a casa.

L’autoradio mi stava facendo ascoltare Willie Nelson che cantava “Georgia on My Mind”, la canzone ufficiale dello stato degli  Stati Uniti della Georgia.

Erano le 5 di un mattino piovoso.

Due ore prima era nato Alessandro.

Forte, imbattibile, nulla può ostacolare la sua volontà.

Frequenta il corso di laurea in Lingue, Culture, Letterature e Traduzione.

Con la media del 30 e lode.

Anche a lui chiedo dove è stato.

“Da Anema e Core” risponde.

“Profumi di mare”.

Il ristorante è sulla spiaggia, papà. Si vede il mare. Senti se hai intenzione di   assillarmi in questo modo, me ne vado a letto. Devo andare all’Università domani, non te lo ricordi?”

E con questa ultima frase Alex va a passi pesanti nella sua stanza.

Faccio per andargli dietro, ma poi ci ripenso.

Per quanto sia agitato, capisco che non è il caso di intraprendere una lunga discussione con mio figlio. Me la vedrò con lui domani.

Lo sento fare rumore in cucina, tirare l’acqua del bagno e chiudere la porta della sua camera da letto.

Ormai è impossibile tornare a dormire, malgrado la stanchezza.

Se avessi un cane lo porterei a spasso.

Mi alzo.

Mi verso un dito di cognac.

Nella stanza accanto tutto tace.

Forse con Gabry e Alex ho sbagliato. Ricevuto. Sono stato inescusabilmente malaccorto.

Chiaramente.
Vado in bagno.

Decido di uscire, anche se è molto tardi.

Esamino mentalmente il mio guardaroba.

Il vestito migliore è di Armani.

Normalmente non posso permettermi abiti firmati, infatti questo l’ho comprato in un outlet.

Quello di Ponzano Romano.

Il prezzo era comunque alto, nonostante lo sconto, però quando lo indosso mi sento molto più sicuro di me.

Poi ci ripenso, e torno a letto.

Quando finalmente arriva il sonno, arrivano anche gli incubi.

Ma che guaio che è, questo amore.

 

 

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)