venerdì 16 marzo 2012

Un mazzo di fiori scelti




UN MAZZO DI FIORI SCELTI



Stasera di pensieri ce n’è un’insalata.

Un uomo patetico.

Ecco cosa sono.

Non sono tipo da restare a lungo di cattivo umore.

Non mi lamenterò.

I giorni delle lamentele sono finiti, ormai.



Non riesco ad agire perché per tutto il tempo, nonostante gli scoppi d’indignazione, penso di commettere un terribile errore, una sequela di terribili errori.

Le cose non possono stare come io sono sempre più certo che stiano.

“Che cosa sto facendo?” mi chiedo sgomento mentre ritraggo il pugno che ha appena sfiorato la parete, contrito.

Chiaramente non sono saggio come Marco Aurelio Antonino, imperatore filosofo e valoroso.

Non so tenere una conversazione brillante, ma forse un ho pregio ce l’ho: sono abituato a contare solo su di me senza aspettarmi mai favori piovuti dal cielo, come mi aveva insegnato Nonna Jole. Non posso dimenticarmi il suo volto saggio e profumato, gli occhi celesti e i capelli grigi raccolti dietro la testa.

Brrr.

Mi sento gelare a questi ricordi.

Lasciamo stare.

Simonetta è una donna che si preoccupa di tutto.

La lista delle cose di cui si preoccupa in ogni dato momento è interminabile: il benessere dei figli, per esempio, o l’inadeguatezza del nostro stipendio, o il taglio delle spese scolastiche minacciato nella scuola di nostro figlio Alessandro, o la macchia d’umidità sopra la finestra, o lo scricchiolio delle sue giunture ogni volta che si alza la mattina, o il libro che da tempo nostro figlio Gabriele deve restituire alla biblioteca comunale e non riesce più a trovare, o il riscaldamento del pianeta.

Ma in questo momento particolare ci sono due cose che le danno ulteriori motivi di preoccupazione: la minacciosa certezza dell’avanzare del tempo (Tempus fugit!) nonché lo stato della salute mentale di suo marito (vale a dire, del sottoscritto).

Mi dice: “Guardati intorno. Ci sono uomini che fanno jogging, che coltivano ortaggi, che vanno in bicicletta, che costruiscono case. La tua specialità è quella di essere negato per qualsiasi lavoro manuale”.

Questo vale anche per l’educazione dei figli.

Mi accusa di essere come Ulisse, l’Odisseo che lascia il figlio appena nato e quando lo riabbraccia ha venti anni e si è fatto uomo: Telemaco.

Difatti, a suo dire, mi sono ritrovato Gabriele maggiorenne senza aver fatto nulla, perché ha pensato sempre a tutto lei.

Del resto dice che la mia filosofia di vita è l’utilitarismo spinto.

In poche parole sarei un integralista dell’edonismo estremo.

Ognimodo ho due figli svegli.

Beh, per dirla giusta a volte non mi sento del tutto realizzato nella vita professionale e in quella creativa.

Malumori passeggeri.

Ah, tra il ventiquattrenne Gabriele e il diacessettenne Alessandro qualsiasi contatto è fuori discussione finché non raggiungono la privacy impenetrabile del salotto di casa.

Il casino è che il grande non ama avere il più piccolo tra i piedi.

Ma giunti a casa….

Fin da piccoli, col pretesto di disegnare, scrivere e colorare, in realtà si assestano colpi di matita e pastelli negli occhi, nelle orecchie ed in altre parti del corpo, mentre guardo impotente Simonetta che, sfigatissima, sembra avere il sorriso teso e lo sguardo perso di chi non desidera altro che essere trasportata il più lontano possibile.

Meglio uscire, faccio un salto a Collevecchio!

Detto fatto.

Toh, guarda chi c’è proprio lì davanti a me.

Sandro con la moglie.

Sandro, un uomo potente, a differenza di me…

Il classico uomo, di quelli che ti sembra strano che siano stati anche loro bambini.

Ti dava l’idea di esserci sempre stato, di essere stato sempre così.

Anch’io, che l’ho conosciuto, mi ricordo che a tredici anni era più o meno come quando ne aveva quaranta.

Alto, secco, con un ghigno da faina e gli scrupoli morali di un colone delle delle SS.

Se io non lo faccio a te, prima o poi te me lo fai a me.

Era questo il suo motto.

Uno così deve mettere su famiglia per forza.

E una bella famiglia.

Si è sposato giovane con una ragazza timida.

Una di quelle bambine brave che quando sono piccole fanno quello che dice il papà, e quando crescono fanno quel che dice il marito.

Umile, discreta, al suo posto.

E brutta.

Brutta come una giornata senza pane.

Li saluto e continuo a passeggiare.

La vita, si sa, è fatta di aspettative.

Si può essere felici nella vita?

A volte sì.

Stare in compagnia è meglio che stare da soli.

Grazie al cazzo, direte voi!

Ohi, ohi, immerso nei miei pensieri non mi accorgo di essere andato addosso a un ragazzotto.

Ci sono persone con cui si può essere scontrosi impunemente, e persone con cui bisogna avere delle cautele.

“Senta, signore, giochiamo a capirsi. ……faccia un po’ di attenzione…!”

Se, per esempio, siete un cinquantaseienne, fuori forma e con un ginocchio indolenzito, e la persona con cui dovete discutere è un ragazzotto cubiforme con il naso rotto, le orecchie a cavolfiore e un avambraccio tatuato con una svastica, un pochino di prudenza non fa male..

“Guardi, scusi, non l’avevo vista…”

E batto in ritirata.

Ho un leggero soprassalto, che per un istante mi fa dimenticare dove sto andando: non mi sono accorto di essere molto vicino al Convento.

Dunque in un attimo arrivo al Parco della rimembranza. Intorno a me, fiori.

Ne scelgo alcuni.

Li porto a papà.

Antonio Valeriano.

Poeta collevecchiano.



Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 14 marzo 2012

L'arte di vivere in difesa




L’arte di vivere in difesa

Mi sveglio di soprassalto.
Mal di testa.
Rombi di tuono mi pulsano alle tempie e mi sembra di veder baluginare sottili filamenti di fulmini, che subito svaniscono.
Mi stringo le tempie con la punta delle dita, i gomiti all’infuori, in parte per placare il martellamento.
Sento la bocca secca.
Ho la sensazione che le mie gambe siano rigide come pezzi di legno.
Comincio a analizzare ogni mio pensiero, cercando qualcosa di anormale o di alterato.
i costringo a star sveglio di notte perché ho paura dei miei sogni.
I sogni sembrano reali e non lo sono, e mi rendo conto che sono molto vicini alla pazzia.
Mi alzo e mi trascino in bagno.
Tiro lo sciacquone.
Entro in cucina.
Simonetta è seduta a tavola, legge il giornale.
Mi vede e ride.
“Vuoi bere un caffé”.
Annuisco.
Si alza e accende il bollitore.
Mi siedo e lei mi porta una tazza di caffè fortissimo e dolcissimo.
“Grazie”.
Bevendo il caffè, mi sveglio di più.
Mi avvicino alla finestra; una vespa ci si scaglia contro, schizzando il veleno sul vetro nell’affannoso tentativo di uscire.
Sollevo il telaio, sventolo la mano per mandarla fuori e mi siedo sul davanzale a guardare in strada.
Un gruppo di rumeni sta attraversando Corso duca di Genova. Quelli dell’est Europa hanno invaso Ostia.
Penso ai tizi con l’aria da zingari che trovi di notte a ciondolare intorno ai negozi di roba usata, che rovistano nei sacchi della spazzatura e rubano i vestiti.
Che grugno rabbioso ha questa gente.
Quando giri in macchina sono quelli che rompono di più, sempre a strombazzare il clacson e a guardarti incarogniti.
Rifletto: ho cambiato punto di vista sulle cose.
Ero fortunato.
Il lavoro mi dava stimoli.
Ora non più.
Credevo nella giustizia.
Ora non più.
Credevo negli ideali.
Ora non più.
Avevo un sacco di carne al fuoco.
Si è bruciata.
Ero coinvolto in progetti interessanti.
Sono svaniti nel nulla.
Mi piaceva il calcio.
Ora un po’ di meno.
Il cibo mi ha fatto venire la nausea.
Sospiro con aria dolente.
Pensare mi manda in paranoia.
Scuoto la testa.
Mi trovo insopportabile, e perdo il controllo: “Mario, sei solo un cinico cantastorie” sibilo, tanto forte da farmi sentire. Gabriele rimane senza fiato.
Il mio auto-insulto è sbalorditivo.
“Che dici, papà?”.
Se ne va via disgustato, rivolgendomi un ghigno insolente. Ho le mani fredde. Fisso il cielo. Finisco il caffè.
Penso.
L’ho visto accadere.
Con papà.
E’ l’effetto del cortisone, principalmente.
In questi casi viene somministrato spesso, aiuta il paziente a tenersi su.
E ha anche un effetto tangibile sul morale: uno si sente sicuro di sé.
Allegro e sfrontato, mi capite?
E’ stato di quell’umore lì per qualche settimana.
Poi…
Respiro a fondo.
Poi era cominciata la parte brutta.
I capelli che cadono.
La nausea continua. La diarrea.
La debolezza che ti parte dalle ossa, come se ti avessero cambiato il materiale di cui è sempre stato fatto il tuo corpo.
E il buonumore che scompare, da un giorno all’altro.
E così arriva quel giorno di pasquetta del novantadue che lo ha ucciso, ma non piegato.
Mi passo la mano sui miei capelli bianchi.
Ho delle priorità e, per quanto mi riguarda, la vanità non ne ha mai fatto parte.
Non sono tipo da vantarmi delle mie doti ben sapendo che la superbia può trasformarle in debolezze.
Mi stringo le mani.
Rientro in cucina.
Saluto Alessandro.
Lui mi guarda e fa dei gesti goliardici con le mani.
Faccio una doccia.
L’acqua è calda, il sapone ha un ottimo profumo.
Rimango sotto il getto e mi levo la puzza di sudore e rabbia dalla pelle.
Prendo la schiuma da barba.
Mi rado con vari movimenti verso il basso.
Mi guardo allo specchio. Indugio ad ascoltare le voci in salotto, all’altro lato della casa.
Entro in salotto.
Mi sdraio sul divano.
Incrocio le braccia e fisso il soffitto.
E poi penso a mamma.
La cosa più brutta di essere ricoverati in medicina è la noia.
In altri reparti, i problemi sono diversi: dolore, mancanza di lucidità, possibilità di decesso imminente eccetera.
Ma, quando sei ricoverato in Medicina, solitamente la cosa peggiore è rappresentata dal fatto che ti rompi i coglioni in modo irreparabile nell’attesa di dovere fare le analisi.
Casa di Cura "Nuova Ito".
Lì si trova mamma, da due settimane per una forte forma di anemia.
Il posto è bello: lindo quanto vi pare, ma sei comunque in ospedale.
Non c’è aria fresca.
Non c’è il profumo di casa tua.
Per cui, quando mamma sente che qualcuno bussa alla sua porta, ha un autentico fremito di gioia.
Visite. Visite. Visite. C’è qualcuno per me.
Resistendo alla tentazione di mettersi a ballare come Snoopy quando arriva la cena, lei si da un contegno e si limita ad essere cortese.
Dalle finestre aperte davanti a me vedo il cielo di Ostia.
Entra un venticello caldo profumato di mare.
Ormai la primavera è quasi arrivata.
Sembro sul punto di iperventilare.
Falso allarme.
Qualche secondo dopo, esco.
Vagare senza meta a Ostia, senza doveri né obblighi da assolvere, dà una piacevole sensazione di libertà.
Incontro un'amica.
Ha un cane al guinzaglio.
Pastore.
Puzza.
Appunto.
Del resto non si può impedire a un cane di puzzare di cane.
Incontro un amico.
Triste.
La moglie se n'è andata.
Per sempre.
"Coraggio" gli sussurro.
Cammino finché non mi trovo di fronte a un ampio belvedere che da sul mare.
Oltre la linea dell'orizzonte si staglia netto il profilo di una nave.
Cisterna.
Mi siedo sul parapetto, il vuoto sotto ai piedi.
Rimango per un pezzo a contemplare l'orizzonte.
Poi ritorno a casa, pensando a tante cose.
E comincio a ridere, fino alle lacrime.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 12 marzo 2012

Il Governo Monti mi ha deluso





IL GOVERNO MONTI MI HA DELUSO


Cavolo, mi va tutto storto!
Va bene che uno deve sempre guardare il bicchiere mezzo pieno,ma qui riesce difficile.
Comincio a pensare che il mio sia bucato in fondo.
Volto a destra e tiro a diritto in direzione mare.
“Mario!”
Mi sento chiamare.
Un troll di montagna.
Quel frammento di umanità che abita di fronte a me.
Una specie di orco, con le orecchie da pugile e il naso da pugile.
Mi offre una mentina.
Intanto, si lamenta.
“Non può esserci un governo di tecnici (cioè non diretta espressione dei partiti), non può esserci un governo che non faccia e non sappia fare politica” dice.
“Purtroppo, osservando alcune vicende degli ultimi giorni, si ha invece l'impressione che alcuni ministri del governo Monti, che pure bene ha fatto sul fronte economico, con l'arte della politica abbiano invece scarsa dimestichezza” aggiungo io.
C’è qualche secondo di silenzio.
Poi decido.
“Okay. E allora?”
Mi guarda, e sorride. Inutile far finta. E mi da la conferma.
“Questo oltre a incrinare la credibilità del governo, proietta all'esterno, nell'opinione pubblica interna e sul palcoscenico internazionale, un'immagine di debolezza del nostro Paese.”
Pesante. Rimango in silenzio. Ci rimango parecchio. Poi dico “ E qui sta il punto. Ed è proprio quello che dobbiamo evitare”.
“Esatto” ammette lui.
Sarebbe stato tutto fantastico, se non fosse stato per Monti.
Se devo dire la mia, posso dire che Monti mi ha già deluso.
L’innalzamento dell’IVA, la reintroduzione dell’iniqua ICI, l’aumento dei carburanti, la tracciabilità a sole 1000 euro delle transazioni, sono misure depressive, che altro non potranno fare se non disincentivare ulteriormente i consumi ed a costringere gli anziani ad aprire, loro malgrado, un conto in banca.
Tassare i capitali rientrati poi è un incentivo a riportare i soldi in Svizzera, od a lasciarceli per sempre.
Le uniche che gioiscono, sin qui, sono le banche!
Siamo governati da un Governo non eletto dal popolo.
Domanda: ma in questo modo non nascono le dittature?
Alla fine si stava meglio quando si stava peggio.
Poi aggiungo “Andiamo al bar, che è meglio”.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 8 marzo 2012

SI ' TAV




SI’ TAV

Non penso che tutta la popolazione della Val di Susa sia contraria alla realizzazione della Tav e della galleria per la Torino-Lione.
Che poi i No Tav blocchino le autostrade non mi sorprende: sono minoranze rumorose.
Le loro sono proteste ideologiche.
E’ strano, del resto, che una storia così locale abbia avuto un’eco del genere.
Un'Eco nelle Tenebre!
Le ragioni sono due.
La prima è la persistenza di un radicalismo politico da sempre alla ricerca di un incendio sovversivo dalla scintilla di qualsiasi tensione sociale o locale.
Se la Val di Susa è diventata un’emergenza è solo perché lì questo radicalismo è stato accolto e perfino usato da chi si batte contro il progetto.
La seconda ragione per cui in Italia va peggio è che qui non c’è un movimento d’opinione che dica “Sì Tav”.
Perché politici e intellettuali trovano più conveniente invaghirsi della protesta.
Poi ci sono i maestri della tv, con Santoro che esalta come “Resistenza” una resistenza alla forza pubblica, e tratta i carabinieri come forze di occupazione cui fanno eco inviati televisivi ormai incastrati al movimento.
E infine ci sono i demagoghi come Di Pietro che da ministro delle infrastrutture e da forte sostenitore del progetto, deliberò il cantiere di Chiomonte e ora ne chiede la moratoria.
Oppure come Vendola a Bari e De Magistris a Napoli, che vogliono fermare la Tav in Val di Susa ma farla al più presto tra le loro città, dove evidentemente l’alta velocità si fa democratica e popolare.
Tutti gli altri, in silenzio.
L’unico leader che ha impugnato la bandiera di un possibile movimento “Sì Tav” è stato finora Bersani.
C’è da augurarsi che non resti solo.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)