lunedì 29 dicembre 2008

Buon 2009



E' una serata chiara con la luna piena.
Seduto sul divano, leggo.
Dalla lettura dei quotidiani, apprendo che il problema dei botti illegali è diventata una questione scottante.
Scrollo le spalle.
Lo scorso anno era il botto "Finanziaria" o la "testata di Zidane", negli anni precedenti sul mercato clandestino era andato a ruba lo "Tsunami", prima ancora lo storico "Pallone di Maradona".
Fisso il giornale con occhi spaventati.
Quest'anno, tra a i botti illegali, ci sono anche gli "Occhi di Bin Laden", sinistro nomignolo affibbiato ad una vera e propria bomba che esplode con grande potenza.
Non so cosa dire: sono ordigni pericolosissimi.
Mi accarezzo il mento.
Nervosamente, cercando di smaltire lo shock provocatomi da questa notizia.
A Napoli hanno attivato addirittura un numero verde per segnalare i venditori di botti illegali.
Mi ricordo le foto-choc del pronto soccorso il primo dell'anno.
Di ogni anno.
Già.
Entra in casa Gabriele.
Con una amica.
Bella e col cane.
Un cocker.
Alan.
Mi salutano e vanno in un'altra stanza.
Alan li ignora e, dal momento che la porta del salone è aperta, entra e si infila sotto il divano.
Mentre accarezzo il capo del cane festante, do uno sguardo al telegiornale.
"Anno nuovo vita nuova!"
Sono troppo distante dalla finestra, ma sento ugualmente il frastuono dei botti di capodanno.
Di tanto in tanto delle vere e proprie esplosioni illuminano il cielo notturno.
Improvvisamente, alle mie spalle, Alan trema.
Spengo la tivvù e lo accarezzo per riportarlo alla calma.
Agita allegramente la coda e abbaia debolmente.
Lo prendo tra le braccia.
Mi sdraio sul divano, accarezzando il suo muso con le mani.
Altri botti.
Nonostante la piccola stazza, il cagnolino é forte e determinato e si agita ancora.
Nello stesso momento, i rumori dall'esterno si affievoliscono.
Alan si calma.
Sto bene qui sul divano.
Sto talmente bene che quasi mi appisolo.
In uno strano stato di dormiveglia, penso a chi non mi ama.
Oh, Signore, Dio delle vendette, mostra la tua gloria!
Fino a quando certe persone trionferanno, accaparrandosi consensi e applausi?
Salvaci, Supremo giudice della terra!
Abbatti i nostri nemici, fai cadere loro addosso una pioggia di carboni accesi, distruggili nel fuoco eterno, seppelliscili in fosse profonde da cui non possano risorgere!
Amen!
Un botto più forte degli altri mi fa sobbalzare, svegliandomi.
Apro gli occhi, abbandonando strane preghiere sacrificali.
Dopo qualche minuto riaccendo la tivvù.
"Anno nuovo vita nuova!"
Ci metto un pò a digerire le ultime notizie.
Mentre il cronista parla, penso.
I telegiornali-disgrazia, con persino notizie visive sopra, scritte scorrevoli sotto sono ormai monotoni.
La gente non sa più come ammazzarsi: con coltello, pistola, affettamento, in macchina, ascensore, scuola, cucina ecc.
"Anno nuovo vita nuova!"
Ancora un po' e la novita sarà quell'antica normalità del passare il capodanno in compagnia, mangiando "sono a dieta ma", bevendo "tanto non guido", ridendo e "spettegolando" (che adesso si legge gossip) degli amici appena andati via.
Nel frattempo sono arrivati Alessandro con Simonetta.
Guardo Alan.
I suoi occhi sono umidi e sinceri.
"Anno buono per tutti!"
Dico bene?
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Capodanno al Teatro Nino Manfredi di Ostia


Un’idea per il Capodanno?
Eccola: “RAP-SODIA” al Teatro Nino Manfredi di Ostia.
Correte al botteghino del Manfredi.
I posti stanno terminando.
Un consiglio a tutti quanti da parte di Mario Pulimanti!
Buon 2009!

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RAP-SODIA

Regia: Pino Ferrara
Attori: DOSTO & YEVSKI con la partecipazione di Donna Olimpia
Da: mercoledì 31 dicembre 2008
A: mercoledì 31 dicembre 2008
Orario: 22.30

INFO/PRENOTAZIONI 0656324849

Note:Vincitori del Premio Televisivo BRAVO GRAZIE 2007 in onda su RAI2 Dopo 400 repliche e quattro anni di tournee in Italia ed all’estero (Francia, Spagna, Grecia, Germania, Argentina, Perù, Uruguay, Cile, Corea, etc.) tornano sulle scene italiane ed approdano al Teatro NINO MANFREDI per festeggiare con voi l’arrivo del nuovo anno


Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 27 dicembre 2008

L'Ideologia Gender




Mi alzo.

Oggi non lavoro.
E' festa!
Decido di uscire senza una meta precisa.
Prove generali di vita da pensionato, mi dico, tra il divertito e lo sconsolato.
Quando esco, mi ritrovo davanti a una giornata dicembrina senza una nuvola, fredda e luminosa.
Salgo in macchina.
Destinazione? Incerta!
Inaspettatamente, inizia a piovere.
Sempre di più.
Il diluvio non accenna a perdere forza.
Cammino praticamente alla cieca perché i tergicristalli non ce la fanno a spazzare l’acqua.
Allora, accosto.
Scendo dalla macchina.
Entro in un bar.
Sono tutto bagnato.
Prendo un caffé.
Leggo il giornale.
Ma cosa c'é scritto?
Incredibile!
Benedetto XVI critica quella che definisce "l’ideologia gender", dichiarando che è Dio a decidere tra uomo e donna e che " volersi
fare da soli è una forma di autodistruzione dell’uomo".
Lo afferma Benedetto XVI per spiegare, nell'atteso discorso alla Curia Romana riunita per gli auguri natalizi, la posizione della Santa Sede contro la discrimnazione dei gay ma anche contro l'equiparazione di queste coppie alle altre che sono state molto contestate in queste ultime settimane.
"Qui - spiega il Papa - si tratta di fatto della fede nel creatore e dell'ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un'autodistruzione dell'uomo e quindi una distruzione dell'opera stessa di Dio".
E conclude: "Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine “gender” si risolve in una autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal creatore ".
Un rumore mi fa voltare di scatto.
Qualcosa si agita dietro di me.
Mi guardo intorno a occhi sgranati.
Da un tavolino fa capolino un viso sorridente.
E' Ferruccio.
"Ehi! Accidenti a te! Mi vuoi spaventare?" gli dico scherzando.
Ferruccio ride e mi guarda negli occhi. "Che cosa c'é che non va?"
"Niente."
"Senti, si vede lontano un miglio che stai male".
Si siede vicino a me.
"Che cosa ci fai in questo bar?"
"E' un bel posto, qui. Ci vengo spesso".
Poi gli faccio leggere l'articolo del giornale.
"Ah, ecco!" fa lui, col tono di chi ha capito tutto. "Sei stupito di questo fatto".
"E già. Il Papa ha detto..."
"Chiudi la bocca, Mario" scherza Ferruccio, ma anche lui é colpito dall'ideologia gender.
Ed infatti, subito aggiunge, contraddicendosi: "Dimmi, Mario, che cosa ne pensi tu?".
Prendo coraggio. La domanda mi pare sibillina, ma decido di rispondere con sincerità. "Ecco, io...la penso come il Papa".
"Capisco", fa lui. "E posso sapere come hai raggiunto questa consapevolezza?"
"L'uomo crede di farsi da solo e disporre da solo, sempre ed esclusivamente, di ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo spirito creatore e va verso l’autodistruzione" replico.
"E non ti pare che questo sia un motivo quanto mai sciocco per rispondere?".
Il tono é così duro che io comincio a rimpiangere la mia risposta.
Ma, subito dopo, dico: "Non è l’uomo che decide, è Dio che decide chi è uomo e chi è donna".
"E' importante che la tua motivazione sia forte, Mario, perché avere delle certezze assolute come le hai tu, é arduo. Inoltre, il saggio é chi ha sempre dubbi".
Sobbalzo sulla sedia. "Come Ferruccio?"
"E' così difficile riuscire a capire cosa sia giusto e cosa no..."
Rimango colpito dalla sua risposta.
Alla fine decidiamo di uscire dal bar.
Non piove più.
Il nostro ritorno a casa ce lo possiamo prendere con comodo.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 26 dicembre 2008

Presepe


Mi sento strano questa mattina.

Mi ha svegliato la radio sveglia.

Più precisamente Fabrizio de Andrè e il suo Testamento.

“Questo ricordo non vi consoli…quando si muore, si muore soli”

Mi alzo.

Simonetta ha preparato il caffè.

Lo bevo.

E penso.

A mio padre.

Non dimenticherò mai il suo viso, perché lo vedo ogni volta che mi guardo allo specchio.

Amava ripetermi spesso due citazioni.

Quella di William Shakespeare: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.”

Nonché quella di Arthur Schnitzler: “E nessun sogno è mai interamente un sogno”.

In fondo non è affatto male il caffè.

Peccato che la radio interrompa le mie riflessioni.

Una notizia traumatica.

Un indice sconvolgente dei tempi dolorosi in cui viviamo.

Siamo, purtroppo, arrivati a questo!

Non scherzo, sto dicendo sul serio.

Anche i più innocenti simboli del Natale, come Gesù bambino ed il Presepe, da sempre i più cari all'infanzia, stanno in questi giorni aprendo un forte problema di convivenza fra religioni e culture, specialmente nelle scuole.

Sono trascorso quattro anni da quando una sentenza del Tribunale dell'Aquila aveva imposto la rimozione del Crocefisso dalla scuola elementare di Ofena a seguito della richiesta avanzata da Adel Smith, presidente dell’Unione Musulmani d’Italia, il quale si è sempre caratterizzato per i suoi atteggiamenti fondamentalisti.

Ed infatti, anche negli anni successivi, sempre ad Ofena (la cittadina abruzzese dove vive Smith) per non offendere la sua sensibilità e quella della sua famiglia, si era preferito rinunciare del tutto al Presepe e ai canti di Natale, sia nelle scuole che nelle strade.

Tutto questo è inaccettabile.

Fortunatamente in questo Natale del 2008 le cose sono andate diversamente.

A questo punto, senza neppure radermi, esco.

Camminando sul lungomare, continuo a riflettere.

Rimane, comunque, un fatto grave che noi italiani, che viviamo in una comunità che ha profonde radici cattoliche, siamo obbligati ad assistere inermi e questo storpiamento religioso.

Certo, si può ben parlare di razzismo al contrario.

Queste scelte, a mio parere, non appaiono, infatti, motivate da senso di rispetto e tolleranza per le altre religioni ma costituiscono, invece, una vera e propria rinuncia alla difesa dei nostri valori cristiani e tradizioni culturali.

Ma l’esposizione del crocifisso (così come il Bambino del Presepe) non lede in alcun modo la libertà dei mussulmani e degli ebrei (o degli atei), come non ledono la libertà dei cristiani le stelle di David dello Stato ebraico o le mezze lune delle bandiere islamiche.

Difatti le recenti esperienze insegnano che abbiamo, sparsi per l'Italia, educatori vittime della sindrome di Stoccolma, che solidarizzano ostentatamente con chi sta sequestrando i valori cattolici fino a togliere il Crocifisso dai muri e Gesù dal testo di canzoni e preghiere natalizie, nonché dal Presepe.

Penso che noi cattolici dovremmo uscire dal letargo e dal torpore e cominciare, intanto, a chiedere ai mass media di dare maggiore attenzione al significato cristiano del Natale, come del resto ha anche recentemente consigliato Papa Benedetto XVI.

Se, invece, restiamo in silenzio di fronte a queste vicende, si potrebbe con il tempo arrivare ad una violazione della libertà dei bambini, ai quali potrebbe essere scippata del tutto la festa più simbolica dell'infanzia: la nascita di Gesù.

Il principio di tolleranza è certamente, in primo luogo, un valore a difesa delle minoranze; ma anche le minoranze debbono prender serenamente atto dei modi di essere, di sentire, di esprimersi della maggioranza.

E rispettarli.

Speriamo che, sull’onda di quando è successo ad Ofena, triste cittadina senza Natale, certa magistratura non abbia eliminato anche in altre città i festeggiamenti tradizionali come il presepe, cosa peraltro avvenuta, oltre che ad Ofena, anche in molte altre scuole emiliane e romagnole su indicazione di alcuni insegnanti.

Ed io, romano de Roma, da cittadino dell’Urbe auspico un ritorno alla riscoperta delle nostre tradizioni.

Un’ultima occhiata al mare.

Poi torno a casa, con la mia barba e la mia stanchezza.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 12 dicembre 2008

Pensieri di Natale



Natale. Penso a miei genitori.

In tasca ho una piccola foto del loro matrimonio. Davanti alla Chiesa del Testaccio. Mio padre elegantissimo nel suo completo nero, mia madre una giovane e sorridente principessa in bianco. Ricordo mio padre: “Ho un problema, Mario”. “Un problema?” “Di salute. Niente di serio. Devo farmi curare.” E’ morto due mesi dopo, il 20 aprile 1992. Ne è passato di tempo, ormai, ma il ricordo è ancora vivo. Bruciante. Proprio come allora. Che tristezza.

Natale. Penso a Blade Runner.
Un film mitico. Rivedo la scena finale sotto la pioggia, in cui il replicante dice a Deckard: "Ho visto cose che non potresti immaginare. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orion. E ho visto i raggi beta balenare al buio vicino alle porte di Tanhauser. E tutti questi momenti andranno perduti, come lacrime nella pioggia". Straziante.

Natale. Penso a Simonetta.
Non so come avesse fatto Simonetta a innamorarsi di me…da giovanissima era così bella che quando le top-model la vedevano si mettevano a piangere. Sono patetico? E’ proprio così tremendo vedere qualcosa con gli occhi contenti? Parenti e amici mi invidiano per la mia vista-mare. Io invidio loro per i soldi. Mia moglie mi rimprovera che a causa mia è una fila d’anni che non fa più niente di niente, a parte le cose che fa ogni giorno della sua vita.

Natale. Penso all'ufficio.
Entro dall’ingresso principale e mi dedico al mio allenamento giornaliero: salire una rampa di scale anziché prendere l’ascensore. La mia stanza è al primo piano. Per arrivarci percorro un corridoio lungo e largo. Il mio capo vi entra di rado e posso lavorare in pace e senza interruzioni. Accendo il computer. Sullo schermo si apre la finestra “Proprietà, data e ora”. E’ la funzione del sistema operativo Windows XP che si usa per attivare il PC. A destra del desktop appare un calendario con indicata la data del giorno e, sulla sinistra, le barre di icone dei siti web e il menù a tendina con i comandi equivalenti. Occhieggio la foto di mio figlio Gabriele, sentendomi rassicurato dal suo sorriso. Metto la mia borsa sopra la poltrona, accanto alla scrivania. Apro i documenti che mi interessano e inizio a lavorare, poi interrompo per andare a una riunione. Ho iniziato a lavorare con un dirigente pignolo, che imponeva uno standard molto alto: c’era sempre qualcos’altro da fare, qualche nuova pratica da istruire, un’ora in più da trascorrere in ufficio. Poteva farti impazzire. Poteva anche insegnarti a diventare un gran bravo funzionario.

Natale. Penso a me stesso.
Sono uno scrittore? No, anche se scrivo. Cavolo, avete da guardarmi a quel modo? Scrivere mi distende. I nervi. Certo, certo. Ma le ingiustizie rimangono. A volte mi piace credere che prima o poi otterrò qualcosa anch’io. Chimere. Scrivo perché questa per me è la sola opportunità di essere guardato e non soltanto visto, di essere ascoltato e non soltanto udito.

Natale. Penso a quando ero ragazzo.
A volte giocavo a calcio. Ma in campo mi comportavo in modo patetico, facevo un errore dopo l’altro, rovinavo le azioni dei compagni e stavo sempre tra i piedi a bloccare un buon passaggio. Scorrazzavo in modo inconcludente urlando che mi passassero il pallone, ma più gridavo, gesticolando come un matto, meno mi consideravano. Quando fu chiaro che non avevo neanche un briciolo di talento calcistico, decisi di trasformarmi in un tifoso appassionato. Era più facile gridare di gioia quando la mia squadra segnava e urlare insulti all’arbitro quando infliggeva un calcio di rigore contro il mio club.

Natale. Penso alla scuola.
Quando frequentavo il ginnasio al Sacro Cuore, avevo un salesiano che ci insegnava filosofia. Era anche il preside dell’istituto, ma non mi ricordo come si chiamasse. Il problema era che vedeva il mondo in bianco e nero. Era lui a decidere cos’era bianco e cos’era nero. Non si può amare una persona così senza temerla Forse nemmeno senza odiarla un po’. E fui rimandato in filosofia.

Natale. Penso a nonno Angelino.
Lui amava spesso dirmi che a Collevecchio, prima della Grande Guerra, esistevano salotti dove si giocava forte, frequentati dagli uomini più facoltosi del paese. In una notte si potevano vincere o perdere interi patrimoni!
Nonno Angelino. Ricordo in che mese e anno sia successo. E il ricordo vive in me, un frammento di passato perfettamente conservato. Difatti sono diventato la persona che sono oggi all’età di ventitre anni, in una calda giornata estiva del 1979. Ricordo il momento preciso: ero seduto su una panchina del parco Sant’Angelo a Collevecchio. E’ stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventotto anni che sbircio di nascosto in quel parco. Oggi me ne rendo conto. Seduto sulla panchina all’ombra di un salice mi torna in mente la frase che mio fratello Stefano mi aveva detto: “Nonno Angelino è morto”. Mi ricordo che alzai gli occhi verso il cielo e piansi. Penso alla mia vita fino a quell’estate del 1979. Quando tutto è cambiato. E io sono diventato la persona che sono oggi.

Natale. Penso a Collevecchio.
L'aria odora come il reparto profumeria di Panorama e le vicine colline di Calvi e Casperia sono quiete come sempre, coperte di erba e trifogli, verdeggianti di vigneti, pini e cipressi nodosi.

Natale. Penso a zio Mario.
Sottile l'umorismo dei suoi discorsi. Sorrisi al momento giusto. Tanto lavoro. Tanta fantasia e altruismo. Ascoltava tutti con pazienza, senza salire mai sul piedistallo. L'ultima volta insieme è stata a Collevecchio. Ristorante Reginus. Pranzo dei cugini Pulimanti, pronipoti di Gigiotto. Peccato non aver spinto l'accellatore per ritornare con lui all'Olimpico. Quello zio giusto, forte, umano è rimasto dentro di me. Ora me ne sono accorto.

Natale. Penso a Hitler: un pazzo, che ha fatto uccidere milioni di innocenti. Come Stalin.

Natale. Penso alla pittura.
Sono fortemente attratto dalla pittura di rottura, che rifiuta il neoclassicismo ottocentesco vetusto e arrogante. Ammiro l’opera
coraggiosa dei primi espressionisti e dei secessionisti viennesi. Mi illumino davanti alle scomposizioni cubiste di Cezanne e Picasso, mi esalto con le pennellate di Van Goch, piango con Munch e le sue angosce dilatate.

Natale. Penso a un vecchio amico.
Ricordo che fosse un buon diavolo e che non avesse mai preso per il collo nessuno, a parte la bottiglia.

Natale. Pensieri vari. Passi stanchi di casalinghe affannate. Impronte di scarpe da tennis di finti poveri. Tracce di suole che hanno ballato poco e male in tutti i locali di Ostia. Sotto la pioggia siamo tutti uguali, puzziamo alla stessa maniera.


Natale. Penso a Dante.
Nel mezzo del cammin di nostra vita…
…mi ritrovai per una selva oscura…
…che la diritta via era smarrita.
Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
facevi la divina podestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
Se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.


Natale. Rientro a casa, mi lavo le mani e la faccia. In attesa che Simonetta torni, chiamo Gabriele e parlo con lui e Alessandro.
Quindi telefono a mio fratello. Intanto mangio un sandwich e stappo il vino. Scoraggiato, bevo. Ora in pancia ho quasi un’intera bottiglia di buon Brunello. Da Montalcini, ovviamente. Molti mi ritengono pazzo: un prete mancato, ex fumatore incallito, ossessionato dal fare esattamente ciò che la Bibbia mi dice, terrorizzato da Dio, impossibilitato a prendere decisioni da solo nel timore di offenderlo. Ipnotizzato dalle infallibili certezze religiose, dove i cattivi sono cattivi e i buoni sono buoni. Sbagliato: non sono un integralista. Non sono mai stato razzista, e non mi ritengo nemmeno stupido. Basta così. Sono esausto. E’ stata una giornata molto lunga.

Natale. Come faccio a essere sicuro di non sognare in questo momento?

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 5 dicembre 2008

Il sogno di Mario

Spesso e volentieri mi capita di fare sogni senza capo né coda.
Cosa ho sognato?
Ho sognato Nicole.
Nicole Kidman.
Ma non è stato un gran che, come sogno, dico con faccia di cuoio.
La Nicole del sogno ha la voce di un soprano che canta un’aria leggera.
Gli occhi sono due stelle che rischiarano la notte, e risplendono nello squallore della stanza come diamanti nel deserto.
Abbandono ogni difesa di fronte a tanta grazia.
“Signorina, che piacere” balbetto arrossendo.
Lei mette un broncio appena scherzoso.
Gli occhi restano seri.
Il suo corpo pare animato di vita propria tanto è sinuoso e vitale.
Quello che io vedo squadrandola con occhi da troppo tempo digiuni di pane e companatico non si possono raccontare a tutti.
Lei è una donna bionda e magra. E scaltra. La Kidman, isomma.
Si accorge della mia reazione e decide di porre fine al mio imbarazzo “Mario, soffri di paresi facciale?”
Certo nei sogni può succedere di tutto.
Anche che la bella australiana mi chiami per nome.
Reagisco.
“Domando scusa signorina, stavo seguendo il filo di un mio…personale ragionamento”.
Lei riprende con tono grazioso ma fermo: “Meglio che torni domani, Mario”.
Mi scuoto “Le domando di nuovo scusa, signorina, stavo pensando…per i fatti miei e non avevo afferrato bene cosa mi stava dicendo. Rimedio subito. Lo gradisce un caffè?” dico.
Quando voglio la parte del ruffiano mi riesce alla perfezione.
Lei accetta il caffè.
Anche lei non è indifferente al mio fascino discreto.
Mi trova simpatico con quegli atteggiamenti da anatroccolo goffo che prende a cazzotti le forme verbali.
Merita un bacio.
Al volo ci capiamo.
Bella donna e bel cervello.
Chi l’ha detto che l’una esclude l’altro?
E poi, mi sveglio.
Mi sento stanco, di quella stanchezza buona che prende dopo uno sforzo felice, o dopo l’amore.
Mi alzo.
Entro in cucina.
“Vedi di levarti quella faccia da due novembre”, dico ad un Alessandro agitato per il compito in classe di greco che dovrà fare da qui a un paio d’ore.
In bocca al lupo!
Saluto una Simonetta contenta.
Mi fissa con occhi di donna.
Stamattina farà un salto a Collevecchio.
Con Silvia, che è intanto arrivata da noi.
Simonetta la saluta regalandole uno di quei sorrisi che tra donne sono una rarità.
Buon Viaggio!
Saluto Gabriele.
E’ livido come un’alba di gennaio.
Domani ha l’esame di Procedeura.
Civile.
In bocca al lupo!
Esco.
Prendo la metro alla stazione di Ostia centro.
Nuvole a grappoli si rincorrono nell’azzurro. Il mattino frizza di tramontana lidense.
Scendo alla stazione della Piramide.
Un braccio di sole intiepidisce Roma irrorandola di raggi benefici.
Arrivo in ufficio.
Entro nella mia stanza.
E’ presto.
Chiudo la porta a chiave, apro il secondo cassetto della scrivania e mi tuffo sui cracker salati.
Mangiando penso.
E pensando rifletto.
Penso a mio nonno Angelino.
Parlava poco, ma ogni parola era pesata.
Papà Valeriano glielo rimproverava ma lui lo guardava e diceva: “Ascolta il vento, figlio mio. Il vento parla”.
Ho voglia di piangere.
“Ti voglio bene papà”.
Guardo fuori dalla finestra del mio ufficio.
C’é il sole. E piove.
Sciabolate di luce cade a pioggia sulla terra. Come lacrime del cielo.
Aculei d’ortica mi dilaniano il torace.
Entra una collega.
Un donnone.
Mi chiede lo stato dell’arte di una pratica.
Le rispondo.
Il donnone ciondola il capo dubbioso.
Poi esce maestoso portandosi dietro mezzo quintale di fondoschiena.
Con un amico vado a prendere il caffè.
Al bar, colleghi stanno affrontando mistici discorsi.
Parlano di quelle sette che richiamano strampalate e farneticanti teorie supportate da pseudointerpretazioni di testi antichi per giustificare l’ingiustificabile.
Rientrando in stanza, mi imbatto con una consulente.
Una signora dei trucchi, una maliarda, che sta portando scompiglio nell’ufficio.
Sa come stornare gli uomini, e come condannarli a una dipendenza vergognosa.
Torno a riprendere il totale controllo di me stesso.
Allora prendo il mouse, ci penso un tantino sopra e poi mi metto a lavorare.
Certo!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 28 novembre 2008

week end



Stavo sognando prati fioriti.
Alle sette meno un quarto, nonostante sia sabato e l’oscurità avvolga Ostia come un manto umidiccio profumato di mare e di muschio, sono in piedi.
Mi ficco sotto la doccia per sciacquare gli incubi, e mi abbandona alla prolungata carezza dell’acqua.
Mi rado con cura, poi mi bagno la faccia, mi asciugo e mi rinfresco guance e mento col nuovo dopobarba.
Completo la toilette, infilandomi le pinzette nel naso per estirpare un paio di peli lunghi e bianchicci.
Vado in cucina mezz’ora dopo.
Simonetta è già alzata e sta leggendo.
Quando mi vede, accende il fornello e mette la caffettiera sul fuoco.
Novembre.
Questi giorni di questo maledetto mese dei morti flagellato dalla tramontana.
Guardo fuori dalla finestra.
Il cielo indossa il cappotto nero, scuro come il mio umore.
Bevo il caffè.
Sto già meglio.
Mangio un dolce.
Diverso.
Dolce al punto giusto, un misto di sapori che richiamano la terra e il mare, sa d’aria e di vento.
E’ poesia.
Mastico a occhi chiusi, lentamente, e ogni boccone è un ricordo, è una carezza gentile.
Gabriele irrompe nella cucina con gli occhi di fuori.
A giudicare dalla barba lunga e gli occhi gonfi e inviperiti, ha dormito poco e male.
La camicia a quadri, d’un azzurro violento, penzola fuori dai jeans.
Balla, tanto è nervoso.
Fa una smorfia, contraendo le labbra secche, le mani si muovono nervose.
Mi guarda, lampi d’ira si affacciano su abissi di sconforto, rivelando un ragazzo, un pezzo di legno sballottato dalla furia del mare, travolto dalle onde gigantesche e approdato infine sulla rena, di fronte a me.
Fa pena.
“Papà, la Lazio non meritava di perdere la partita” dice d’un fiato, liberando insieme vergogna e rancore che bruciano in petto.
Per poco non ruzzolo dalla sedia.
Poi si rilassa e mi parla di una ragazza.
“Che fortuna avere alla scuola di teatro una così splendida discendente di Venere”, mi dice.
Poi esce.
Il groviglio dei miei pensieri è sempre lì, e ristagna come la fuliggine nei comignoli.
Penso al lavoro.
Per quale motivo non reagisco mai?
Difficile darsi delle risposte quando stanno sepolte negli abissi del cuore.
Ho voglia di piangere.
Dentro mi urla la rabbia antica dell’uomo impotente di fronte alle ingiustizie della vita.
Penso a un collega.
La mente umana è un abisso infinito di miserie umane nere come il diavolo.
Penso a una collega.
Racchia.
Tutta casa, avemaria e padrenostro.
Esco.
Passeggio sul lungomare.
Alzo gli occhi.
Ora il cielo non è più nuvoloso.
L’indaco lambisce il turchino e il violetto carezza il turchese fino a sfumare nel grande respiro dell’infinito.
Dio che spettacolo!
Perché gli uomini hanno smesso di guardare il cielo?
Davanti a me, una barca.
Dietro, una coppia.
Lui, anziano.
Avvinghiato a una giovane donna, tradisce sua moglie.
Un amplesso violento, animalesco, antico.
Sto sudando freddo.
Mi allontano.
Giorno di mercato, oggi.
Manca ancora a Natale, ma l’aria sa di festa.
I banchi del mercato straripano di festoni, ghirlande e alberelli di plastica perfino raffinati e con le palline incorporate, di golfini tempestati di piume e di paillette, di scarpe dai colori sgargianti, dalla forma azzardata e il tacco a spillo.
Domani sarà domenica.
Andremo a Collevecchio.
Allora, penso a Collevecchio.
Una scorciatoia attraverso la campagna di mia suocera.
Novembre ha aperto le pance agli sterminati apprezzamenti bruni, le zolle rivoltate si aprono nei colori della terra, pronte ad accogliere semi da gonfiare e far esplodere alla vita.
Un ciclo antico in questi luoghi immoti si ripete anno dopo anno, perpetuando nella natura e negli uomini gesti che profumano di farina impastata e pane ancora caldo, cotto nel forno a legna.
Lunedì mi prenderò ventiquattrore di vacanza.
Niente impicci e rotture.
La pace dello spirito e la salute del corpo vengono prima di ogni cosa.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

sabato 15 novembre 2008

Collevecchio e novello




Novembre a Ostia giunge più triste che altrove. La nebbia che si leva ad avvolgere il mare e le spiagge da quel senso di immaterialità sospesa, un paesaggio da fiaba che cozza contro le infamie della vita. La nebbia mattutina sugli arenili di Ostia mi suggerisce pensieri amari. La nebbia si fa più spessa e la tristezza mi conduce per mano. Mi sento a disagio riflettendo su ciò che questa mattina mi ha detto un collega in ufficio. Parole vere e dure. Così dirette, un pugno nello stomaco di quelli che ti lasciano intontito per giorni, e quando riprendi coscienza, ti inchioda a una sedia e ti obbliga a fare quei conti che hai sempre rimandato. Mi ricordo di avergli risposto fissandolo e sacramentando contro tutto il sistema solare conosciuto e partendo con una sequela di improperi, maledicendo il tempo, il lavoro, il governo e il il Padreterno. Ho la bocca come una cava di sale. Meglio andare via. Seduto su una panchina un uomo sta accarezzando il suo cane. Lo fa con movenze eleganti, con amore, gli parla sottovoce, come si fa con la più cara delle amanti. Mi viene in mente una zia di mia moglie che siamo andat a trovare ieri al Gemelli. Non mi è mai andato giù l’odore di disinfettante degli ospedali. Mi resta appiccicato in gola, come se un pezzo di ovatta mi bloccasse la salivazione. Entro in un bar del porto. Assaggio il caffè. Com’è? Una delizia. La crema densa e scura si acquieta sul palato dove rimane a lungo, a solleticare le papille deliziate. Inghiotto sino all’ultima goccia con uno schiocco linguale. Mi sento chiamare. Mi volto. Tonino. Un vecchio conoscente. Balla, tanto é nervoso. Poi si mette seduto al mio tavolino. E' reduce da un incontro amoroso. Una giovane amante. Albanese. Nata sotto un cielo altrui. Mi parla di lei, con gli occhi di fuori lei. Con lei ama disfare il letto con lotte a corpo libero. La definisce polposa e saporita come uva matura. Una donna da letto capace di fare sentire un uomo un vero stallone. La conosco anch'io. Abita di fronte al mio palazzo. Mai a Ostia si è vista una racchia della portata di questa ragazza, tanto che a sentire queste parole, per poco non cado dalla sedia. Il pacchetto delle liquirizie mi cade sotto il tavolo e io mi chino lesto a raccoglierle, nascondendo ai suoi occhi le mie pupille, incapaci di celare il gran ridere che l’incredibile sortita di Tonino mi ha provocato. Lo saluto e torno a casa. Mi apre la porta Gabriele, il mio ventiduenne-primogenito. Mi prepara un gin tonic. Ci sediamo sul divano, sorseggiando i nostri drink. All'improvviso mi chiede se so chi siano gli Eunuchi. Vedendomi perplesso, sogghignando maliziosamente mi dice che gli eunuchi sono quelli che hanno costituito un sindacato: gli Evirati Arabi Uniti! Mi azo barcallando. Mi dirigo in cucina dove il mio secondogenito, il quattrodicenne Alessandro, é intento a leggere. Vedendomi arrivare, a bruciapelo mi domanda: “Papone lo sai a quale velocità va il cammello dei re magi? A tutta mirra!” Non ho il tempo di reagire che mi squilla il cellulare. E' Stefano, mio fratello. Prima scherza sul risultato del derby capitolino di domani, poi mi chiede: “Mario, sai cosa cantano le ragazze? si-la-do”. E dire che Stefano è da 3 anni papà: infatti il 30 novembre 2005 -nel giorno di S. Andrea, festa del Santo patrono di Collevecchio, paese d’origine di noi Pulimanti- é nata Sara. A questo punto sono giunto ad una conclusione: la colpa di tutte le stranezze che questi giorni sembrano moltiplicarsi sotto i miei occhi è da attribuirsi al successo sempre maggiore che sta ottenendo il novello. Sì proprio il novello! L’estate ci ha salutato, siamo ormai in inverno. Ed ecco, infatti, sfilare da novembre accanto alle castagne ed ai funghi, il vino novello arrivato da poco in Italia, sulle orme del novello. Quello del novello è, infatti, un fenomeno tutto contemporaneo, risultato di un attento e preciso processo di vinificazione, del tutto diverso da quello normale. Secondo gli esperti non è un vino vero, ma negli anni ha conquistato cuore e tavola di molti. Basti pensare alle innumerevoli manifestazioni e sagre che ruotano attorno a questo vino. Per me il novello è un simpatico prodotto da bere in compagnia di pochi amici, come faccio io il fine settimana a Collevecchio, davanti al camino di mia suocera, mangiando pane caldo, salumi e porchetta. E detto tra noi, che cosa c’è di meglio? Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 11 novembre 2008

Pensieri e parole




E’ una serata piacevole, con una brezza delicata che odora di mare e foglie fresche.
Passeggio sul lungomare di Ostia.

L’itinerario? Dal Pontile al Porto.
E intanto penso.
Ho pochi amici.

Ma veri.
Valter.

Ha un viso espressivo, dalla bellezza classica, i capelli neri e la carnagione rosata; le braccia e le spalle piuttosto ben fatte gli conferiscono un’aria atletica.

Sicuro di sé, non ha difficoltà a sostenere lo sguardo di nessuno.
Liliana è l’attraente donna dai capelli biondi che l'ha sposato. Sempre in forma e atletica.

Insieme al marito è stata la mia testimone di nozze.

Il suo sorriso va dall’esuberante al seducente.

Ragiona sulle cose, le analizza, le osserva, cerca di comprenderle, cerca di dotarle di un senso, di una spiegazione logica.

E ci riesce.

Spesso.
Giorgio.

Un bell’uomo dal volto importante.

Alto un metro e ottantatotto per settantacinque chili di peso e con i capelli tagliati cortissimi.

Non fuma, non beve e non dice mai parolacce.

Non indulge in lussi di alcun genere.
Di indole estremamente buona e gentile, Carmela, la moglie di Giorgio, ha un bell’aspetto.
Silvia.

Una psicologa.

E’ una dottoressa con gli occhi attenti e penetranti e il sorriso rassicurante di chi non ha pregiudizi.

E’ sensibile, molto allegra e solare.
Ferruccio, il marito.

Sempre in eccellente forma fisica.

Come al solito è perfettamente padrone di se stesso, come se sa già che le sue parole alla fine convincono tutti.

Ama indossare camicie button-down senza cravatta, jeans e scarpe sportive.
Ho due figli.
Come i cattivi dei film dell’orrore -alla Scream o Venerdì 13- le ex fidanzate spesso riescono a tornare dall’aldilà.
L’amore ci rende strani.

Dalla risata di Gabriele, che suona sorprendentemente adulta, è evidente che ha ora altre nidiate di amori da nutrire.
La vita è una lotta.
Anche per Alessandro, neo quattordicenne.

Sa sempre come cavarsela.

Anche al liceo.

I suoi occhi sono calmi, quasi divertiti, mentre si destreggia tra il greco e il latino.
Il latino.

Una lingua dall’ammirevole precisione.

Dove altro si possono trovare cinque declinazioni per i sostantivi e quelle stupefacenti coniugazioni dei verbi?
Mi volto e alla luce del sole vedo Simonetta.
E’ in gamba.
I rapporti con mia moglie sono sinceri.

E’ diversa da tutte le altre.

Dal settantacinque mi ha acceso qualcosa dentro.

E’ bella, ovviamente.

Ma soprattutto è…non convenzionale.

Lirica, poetica, a modo suo.
Ho visto in tivvù Montalbano tradire Livia con una ragazza, che ha usato una tattica per avvicinarsi a lui e usarlo, uccidendo l’assassino della sua gemella.
Il lavoro.
Bé, a volte servirebbe un po’ di spina dorsale, dopotutto.
Al Porto incontro un’amica.
Frequentava un artista.

Un tipo alla Sean Connery.

L’aveva fatta innamorare scrivendole versi, ma dalle sue parole colgo quelle che sembrano le ultime palate di terra sulla tomba dell’attore-poeta, troppo sposato per essere l’uomo ideale.
Buona fortuna!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 7 novembre 2008

Barack Obama a Collevecchio



Il fuoco abbraccia il camino di mia suocera come una creatura vivente.
La stringe sempre di più avvolgendosi intorno al suo profilo e infine la fa sua del tutto.
Le fiamme levano i loro tentacoli mentre i ceppi si ripiegano su se stessi dissolvendosi in una nube di fumo e cenere.
Osservo la scena dalla poltrona.
Socchiudo gli occhi.
Penso a Barack Obama.
Mi si dipinge un sorriso sul viso.
Da molti anni il Partito Democratico non conquistava tutto il potere: Camera, Senato e Casa Bianca.
Il destino ha voluto assegnare a Barack Obama un compito delicato: firmare la fine del primato economico americano, il primato di un Paese che dettava legge agli altri su prezzi, moneta e costi.
La coalizione che si è creata attorno a Obama fa pensare a quella che si formò negli anni Trenta attorno a F.D. Roosevelt; sindacati, intellettuali, minoranze etniche con in più le donne, i giovani e gli ispanici e con in meno il Sud che negli anni Trenta votava democratico e dagli anni Ottanta è passato al Partito Repubblicano a cui è rimasto fedele anche in questa elezione.
La colazione di Roosevelt garantì ai democratici quasi quarant'anni di presidenze con l'eccezione delle due del repubblicano Eisenhower.
Durante la campagna elettorale i due candidati hanno parlato poco di politica estera limitandosi ai temi più pressanti: il ritiro dall'Iraq, l'esigenza di nuove politiche in Afghanistan, i rapporti con l'Iran.
Per quanto importanti questi temi a cui Obama ha affidato la specificità delle sue posizioni rispetto a quelle di McCain la priorità va alla crisi finanziaria.
Globale quale essa è, potrà risolversi solo con uno sforzo collettivo e con una soluzione concordata da tutti. L'alternativa è ciò che successe negli anni Trenta quando alla grande depressione si rifiutò di dare una risposta comune e ogni Paese cercò una soluzione nazionale al problema.
Per Obama sarà il primo banco di prova di quel ritorno al multilateralismo a cui si è impegnato durante la campagna elettorale.
È la prima realizzazione di quel cambiamento di cui ha fatto la sua parola d'ordine. Multilateralismo e cambiamento assegnano a Barack Obama un compito che va molto al di là del mandato che gli è stato affidato dall'elettorato: quello di far comprendere al Paese che una nuova fase si è aperta nella storia dell'America e nei rapporti internazionali.
A differenza di quella che è seguita alla fine della guerra fredda, la fase nuova richiede un ruolo diverso per gli Stati Uniti, non quello egemonico in forza della sua politica economica e militare, ma quello di un Paese che insieme ad altri Paesi sappia affrontare la sfida dell'oggi e del domani, non solo quella della crisi finanziaria ma quelle della qualità della vita, di una crescita sostenibile e di una nuova era di pace.
Non è il compito di un uomo solo per di più relativamente nuovo alla grande politica mondiale.Obama dovrà raccogliere attorno a sè una nuova classe dirigente di personalità competenti e dedicate all'enorme compito che le aspetta.
L'America è ricca di queste energie, il merito storico del Partito Democratico è sempre stato quello di riuscire a promuoverle e a utilizzarle. Solo così si realizzerà quel new deal di cui si è parlato durante la campagna elettorale che a differenza di quello rooseveltiano non potrà essere solo per l'America ma dovrà riguardare anche il resto del mondo. A un certo punto sento bussare.
Dalla porta fa capolino un viso sorridente.
E' Gabriele. Mi alzo e lo faccio entrare. Alessandro strilla, agguanta un ceppo e glielo punta alla gola, sorridendo goliardico.
Mia suocera si mette seduta, le braccia intorno alle ginocchia, e guarda lo spicchio di luna che si intravede dalla finestra sforzando di scacciare l'angoscia. Silvia mi guarda sospettosa.
E mi parla della Roma.
Stefano non sa se fidarsi.
E mi parla della Lazio.
Ferruccio mi prende in disparte.
E mi parla del Milan.
E Simonetta?
Sospira.
Sempre più veloce e sospettosa.
E mi parla di Collevecchio.
E' questa la vita che amo?
Forse sì.
E Obama mi sembra ora solo un sogno lontano. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 5 novembre 2008

Barack Obama



Mi sento sfinito, stasera.

Non ho più risorse fisiche, e anche quelle mentali iniziano a vacillare.
Non avrei mai immaginato che compiere 53 anni potesse prostrarmi tanto.
Accendo la TV.
Rido di gusto.
Barack Obama, neo Martin Luther King, è il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti.
Ora per il nuovo presidente parte la sfida più difficile: quella per il rilancio dell'economia americana.
Barack Obama è nato alle Hawaii da padre keniota e madre bianca americana.
Il Senatore dell'Illinois, ha stravinto le elezioni aggiudicandosi il voto degli Stati chiave quali l'Ohio, la Pennsylvania e la Virginia.
Si tratta del primo Presidente nero nella storia degli Stati Uniti.
Lo sconfitto Johm McCain ha riconosciuto la vittoria dell'avversario telefonandogli personalmente e congratulandosi per il risultato ottenuto.
Ottimo.
Mi pare di ritrovare il respiro dopo una lunga apnea.
E' che...é così bello...
Spengo la TV.
Guardo a lungo il soffitto, non riesco a dormire.
Poi sento uno strano rumore e mi affaccio alla finestra. Piove.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

sabato 25 ottobre 2008

La riforma della Gelmini



Non si fermano le proteste degli studenti sulla riforma della scuola e neanche le polemiche politiche. Ma il ministro dell'Istruzione Gelmini ha detto che indietro non si torna e ha tirato dritto: "La scuola è da rifare, non cambio il decreto. Non è vero che in Italia si spenda poco per l'istruzione, anzi siamo tra i primi d'Europa. Il problema è che si spende male". Gli studenti hanno annunciato nuove proteste. Anche se le associazioni di destra hanno deciso di dialogare. Intanto l'iter parlamentare del provvedimento prosegue a tambur battente, in barba alle mobilitazioni, dato che la Gelmini è tornata a difendere con le unghie il suo provvedimento e ad attaccare lo statu quo, fatto di sprechi e di assurdità. E via con il balletto delle cifre: "È inaccettabile che l'università italiana produca meno laureati del Cile, che abbiamo 94 Università, più 320 sedi distaccate nei posti più disparati, che ci siano 37 corsi di laurea con 1 solo studente, che ci siano 327 facoltà che non superino i 15 iscritti; che negli ultimi 7 anni siano stati banditi concorsi per 13.232 posti da associato ma i promossi siano stati 26.000. Nel 99,3 per cento dei casi sono stati promossi senza che ci fossero i posti disponibili facendo aumentare i costi di 300 milioni di euro". Numeri e dati che, a giudizio della Gelmini, giustificano i tagli.

Inoltre la Gelmini precisa che: «È inaccettabile che non ci sia un'università italiana che figuri tra le migliori 150 del mondo, che ci siano 5500 corsi di laurea, mentre in Europa ne troviamo la metà". E ancora, che "siano insegnate 170.000 materie rispetto alle 90.000 della media europea, che nel 2001 i corsi di laurea fossero 2444, oggi 5500, che i ragazzi siano sottoposti ad un carico di ore di lezione triplo rispetto alla media europea per trovare giustificazione a corsi fatti solo per dare cattedre". Come darle torto?
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 23 ottobre 2008

"Sono Mario Pulimanti"



La domenica è impareggiabile.
Perché la domenica sono quasi sempre libero di fare quello che mi piace.
Io colleziono pensieri.
Tutto quello che si possa immaginare.
Stavolta c’è, però, qualcosa che mi tormenta.
Anche se non riesco a capire cosa.
Squilla il telefono.
Un amico mi chiede se posso intervistare un ex attore, nobile decaduto, per un giornalino locale, del quale sono un umile redattore.
Esco.
Incontro un collega con moglie e figli.
Gli occhi della famiglia sono affascinanti.
Ciascuno ha uno sguardo diverso.
E’ chiaro che sono tutti parenti: le espressioni hanno qualcosa di simile tra loro.
Ma al tempo stesso sono diversi, come se ciascuno vedesse la vita familiare in modo differente: felice, tormentato, rabbioso, sconcertato, manipolatore, manipolato.
E’ così che funziona una famiglia.
Li saluto.
Salgo in macchina.
Parto.
Cambio marcia, premo l’acceleratore e lascio due punti esclamativi di pneumatici sul nero opaco dell’asfalto.
La strada porta da Ostia all’Idroscalo.
Okay, non è più l’Idroscalo, quello degli anni settanta.
Il luogo dove Pasolini trovò la morte il 2 novembre del '75.
E’ migliorato, negli ultimi anni.
Grazie anche alla costruzione del vicino Porto.
Certo, questa zona andrebbe rilanciata maggiormente.
Ma tant’é.
Okay, questa è una sorpresa.
L’uomo che sto per intervistare abita a pochi passi da uno squallido gruppo di casupole abusive.
L’indirizzo mi ha indotto a sospettare che non sia un alloggio lussuoso, ma poco più che dignitoso.
Sbagliavo: è peggio di quello che pensassi.
Infatti è un postaccio, un misero palazzo popolato da tossici e ubriaconi.
Nell’atrio cadente, arredato con mobili malconci e spaiati, il deodorante ambientale non riesce a coprire il fetore di aglio, disinfettante da quattro soldi e sudore rancido. La maggior parte dei ricoveri per senzatetto è molto più accogliente.
Mi fermo sulla soglia e mi volto verso la strada.
Mi guardo intorno attentamente.
Nessuno sembra prestarmi particolare attenzione.
Studio un edificio abbandonato sul lato opposto della strada.
Al secondo piano c’è una finestra con il vetro rotto.
C’è forse qualcuno che mi osserva, da dietro i vetri sporchi?
Ehi, lassù!
Sono sicuro di aver colto un movimento.
E’ una faccia?
O solo la luce che filtra da un buco del tetto?
Mi avvicino all’edificio per esaminarlo meglio.
Ma non vedo nessuno e stabilisco che gli occhi mi hanno ingannato.
Torno verso il primo palazzo e vi entro, quasi trattenendo il respiro.
Mi viene incontro il portiere, un individuo disperatamente obeso che non pare né sorpreso né preoccupato dall’arrivo di uno sconosciuto.
Mi indica l’ascensore.
Quando la cabina si apre, ne esce un fetore insopportabile.
Okay, le scale.
Con una smorfia dovuta alla sciatica, salgo fino al quinto piano e trovo l’appartamento 22.
Busso.
Qualche secondo dopo si aprono alcuni catenacci.
E un chiavistello.
La porta si schiude di uno spiraglio, più largo di quello lasciato da una catena, ma rimane bloccato da una sbarra di sicurezza.
Non c’è abbastanza spazio per entrare.
Appare la testa di un uomo con i capelli lunghi e sporchi e una barba incolta sul viso. Gli occhi sono irrequieti.
“Sono Mario Pulimanti” dico.
L’uomo mi guarda, poi abbassa gli occhi e toglie la sbarra di sicurezza.
La porta si spalanca.
L’uomo guarda in corridoio, dietro di me, quindi mi fa cenno di entrare.
Avanzo con cautela.
“E’ lei Remigio Allocca”.
L’uomo dice di sì.
A un esame più dettagliato l’appartamento risulta essere un bilocale contenente un letto, una scrivania, una sedia, una poltrona e un vecchio divano.
La moquette grigio scura è macchiata.
Un’unica lampada a piantana proietta una tenue luce giallognola.
Le persiane sono aperte.
Non c’è una cucina, ma in un angolo del salotto c’è un frigorifero in miniatura, due forni a microonde e una caffettiera.
La dieta dell’uomo consiste essenzialmente in minestre e scatolette di fagioli. L’uomo tiene un centinaio di cartellette ben ordinate.
I vestiti vengono da un’epoca precedente della sua vita, un periodo migliore. Sembrano costosi, anche se ora sono sfilacciati e pieni di macchie.
I tacchi delle scarpe, anche queste in origine eleganti, sono consumate.
In quel momento l’uomo è occupato da un compito interessante: leggere un voluminoso libro di testo rilegato.
Sulla scrivania c’è una lente d’ingrandimento scheggiata, collocata su un supporto a collo d’oca.
Mi invita a sedermi sul divano e si sistema su una sedia traballante di fronte alla scrivania.
Poi comincia a parlare.
Di cose antiche.
E’ anziano.
Vive tra vividi ricordi di sessant’anni prima e una certa confusione nella percezione del presente.
Ad un certo punto entra una signora, la sua compagna.
Si chiama Gina.
Molto anziana.
Ci porta il caffè.
Percepisco diversi odori: la caffeina, certo, ma anche il sudore del nervosismo e due aromi diversi, forse lacca e deodorante.
Niente profumo.
Lei non sembra tipo da profumo.
Terminata l’intervista, esco.
Rientro a casa.
Mi lascio cadere sulla poltrona e accendo il computer.
Guardo i video.
E centinaia di altre foto, per la maggior parte scattate da Ferruccio, sempre rapidissimo a estrarre la macchina digitale.
Ehilà, che notizia riportata dall’Ansa.
La Cassazione ha confermato il cambiamento d'ufficio del nome di battesimo imposto da una coppia di Genova al loro figlio.
Il bimbo, per decisione dei giudici, non potrà chiamarsi Venerdì ma Gregorio il nome del santo festeggiato il 3 settembre giorno di nascita del bimbo.
Senza successo i genitori del piccolo hanno cercato di insistere sulla legittimità della scelta del nome in quanto anche personaggi noti, come Totti e Ilary Blasi, hanno battezzato la figlia con un originale Chanel, o come Jaki Elkann e Lavinia Borromeo che hanno chiamato Oceano il loro secondogenito.
Secondo i giudici di merito Venerdì sarebbe un nome ridicolo.
In un'epoca caratterizzata dalla creatività anagrafica la decisione fa già discutere. Gian Ettore Gassani, presidente dell'Associazione matrimonialisti italiani, commenta positivamente la sentenza della Cassazione che conferma il cambiamento del nome di battesimo del bambino genovese.
È giusto, secondo il legale, cambiare il nome dato dai genitori a un bambino, quando può avere effetti negativi sull'inserimento sociale dell'individuo, ricordando il caso di una signora milanese: si chiamava Vera Vacca, e ottenne di cambiare nome di battesimo.
Evidentemente la Cassazione ha messo in primo piano il futuro benessere del bambino rispetto alle esigenze dei genitori.
Controcorrente, invece, il parere di un nonno direttamente coinvolto nella questione come Alain Elkann, secondo il quale “Un nome originale, anche difficile da portare, può aiutare a temprare il carattere, ad avere una marcia in più. Ho due nipoti che si chiamano Oceano e Leone, e li trovo nomi straordinari”. Venerdì mi sembra un bel nome, fa pensare a Robinson Crusoe. Non credo possa creare al bambino problemi con i coetanei: sarebbe così se l'avessero chiamato Venerdì 13”.
Mi lascio sfuggire una risatina, attirandomi un’occhiata severa da parte di Alessandro.
Guardo il video.
Ma in fondo non mi importa più.
Spengo il pc.
Con Gabriele mi concedo un drink, considerando che ci resta più di un’ora prima di cenare.
Alzo le spalle e esco sul balcone.
Profumo di salmastro.
Non mi resta che respirare l’aria del mare.
Simonetta mi chiama.
Chino la testa e mormoro: “Okay”.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

sabato 18 ottobre 2008

Prodotti cinesi avariati



Leggo, seduto su una panchina del Pontile.
Prodotti alimentari cinesi alla melamina anche in Italia. I primi tre test risultati positivi riguardano due campioni di latte, sequestrati a Modugno (Bari), ed un campione di yogurt sequestrato in punti vendita etnici a Poggio Marino (Napoli). Il rischio melamina, dunque, arriva in Italia, anche se il sottosegretario alla Salute Francesca Martini - che ha reso noti i risultati delle ispezioni dei carabinieri dei Nas su prodotti cinesi dopo l'allarme, lo scorso settembre, del latte contaminato in Cina - precisa: "La situazione è sotto controllo, ma la guardia resta alta". Lo scandalo del latte alla melamina, ha detto, è "uno dei più grandi attentati alla salute globale del pianeta ed una delle più grandi frodi alimentari perpetrate, e ad oggi l'Organizzazione mondiale della Sanità non ha ricevuto ancora dalla Cina alcun aggiornamento epidemiologico sul caso". E per assicurare controlli ancora più stringenti, il Governo ha deciso di concentrare in soli quattro punti di accesso l'entrata in Italia di prodotti alimentari provenienti dalla Cina: si tratta degli aeroporti di Milano Malpensa e Roma Fiumicino, e dei porti di Genova e Napoli. Poso il giornale, faccio una faccia contrita. Mi alzo e mi metto a girovagare per la spiaggia. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 14 ottobre 2008

Lance Armstrong




Lance Armstrong è già nella storia del ciclismo, ma ha deciso di scommettere ancora forte sul suo fisico, accettando l'ennesima e forse ultima sfida della sua carriera: correre per la prima volta la corsa rosa a quasi 38 anni, ovviamente per vincere.

E' il re del Tour de France, dato che ne ha vinti vinto sette, tra cui anche l'edizione del centenario e potrebbe vincere anche l'edizione del centenario del Giro d'Italia, quella che partirà il 9 maggio 2009 da Venezia.
Lance Armstrong è già nella storia del ciclismo, ma ha deciso di scommettere ancora forte sul suo fisico, accettando l'ennesima e forse ultima sfida della sua carriera: correre per la prima volta la corsa rosa a quasi 38 anni, ovviamente per vincere.
Il grande ciclista texano ha capito che il Giro può essere una grande occasione per promuovere anche in Italia l'attività della sua fondazione contro il cancro. Da oltre dieci anni, infatti, Armstrong non è solo un ciclista: un cancro aggressivo lo ha costretto a due operazioni, ai testicoli e al cervello, i migliori specialisti gli concedevano al massimo il 40% di possibilità di sopravvivere ma niente, neanche i cicli di chemioterapia, lo hanno fermato.
Ha vinto sempre lui, anche contro il cancro, e ha deciso di fondare la Lance Armstrong Foundation nel 1997, una piccola organizzazione che nel 2003 è diventata LiveStrong, una macchina da guerra nella raccolta fondi capace di raggiungere la cifra di 265 milioni di dollari. Sembrava il suo unico impegno, dopo il ritiro agonistico, nel 2005, fino alla recentissima decisione di tornare a correre.
All'inizio di agosto, ha corso in Colorado una gara di mountain bike di 100 miglia ed è arrivato secondo.
Le Olimpiadi di Pechino gli hanno dato altro coraggio, perché ha visto Dara Torres che a 41 anni ha vinto l'argento e la romena Constantina Tomescu-Dita che a 38 anni è diventata campionessa olimpica niente meno che nella maratona.
E allora via in sella per tornare alla forma di un tempo.

Ci sono gli scettici come Francesco Moser che dice: "Non mi sembra una scelta molto azzeccata", c'è chi sospende il giudizio come Franco Ballerini, il quale afferma che: "A me i ritorni non danno grandi entusiasmi però conosciamo la sua caparbietà e penso possa ancora stupire", c'è chi crede che "darà filo da torcere a chi vuole vincere la corsa rosa" come Giuseppe Saronni e chi è piuttosto indifferente come Danilo Di Luca: "Per me non sarà un avversario per la vittoria finale perché punto sulle Classiche e sul Mondiale". Sono tutti d'accordo però sul fatto che la presenza del fuoriclasse americano darà visibilità mondiale alla corsa rosa.
E a gennaio, quando parteciperà al Tour Down Under in Australia, si inizierà a capire davvero se potrà anche lottare per la vittoria.
In ogni caso, in bocca al lupo Lance!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

domenica 12 ottobre 2008

Libido in cucina



La libido vacilla e il talamo annoia al punto tale che neppure la più sensuale delle guepière riesce a risvegliare gli stanchi sensi.
Certo, non è ancora arrivato il momento di mettere la sensualità in pensione.
Ehilà, basta affinare la fantasia e trovare nuove rotte.
E se il letto annoia, il divano é troppo scontato e la casa non è dotata di un ascensore che prometta una bollente risalita, ecco sbucare dal cilindro la "sexy room" del momento.
La cucina.
Sì, proprio il regno della casalinga, quello fatto di pentole, mestoli e coltellacci.
Tra un minestrone che bolle e un brasato che si rosola la fantasia erotica galoppa, quasi a far invidia a Jack Nicholson e Jessica Lange, magistralmente avvinghiati su un tavolino dopo che lui ha trillato il campanello per ben due volte.
Non è la perversione del momento, ma è la nuova tendenza del sesso domestico.
Nei sogni di noi italiani a quanto pare le lenzuola di seta, gli avvolgenti materassi ad acqua e i celebrati effluvi di N.5 hanno lasciato il posto a tovaglie quadrettate, ampi grembiuli, zaffate di aglio e peperoncino e tavoli sui quali... consumare.
Del resto con il frenetico modificarsi della vita non poteva che cambiare anche l'uso dello strumento che ci appartiene di più: la nostra casa, appunto.
Sfidando le ire dei nutrizionisti ormai si mangia in salotto, davanti a maxi schermi che lasciano i più con la forchetta sospesa tra una soap e una partita.
Le camere da letto sono diventate delle biblioteche, sommerse di riviste, libri, computer portatili e blocchi notes: letti come immense scrivanie dove tra penne e quotidiani anche il più ben disposto degli spiriti cerca un'altra strada.
Non rimane che la cucina: avvolgente, calda, sensuale, ahimè spesso disertata dalla donna che trascorre ormai la maggior parte del proprio tempo fuori casa.
Bisognava pur consegnarle un nuovo ruolo.
E cosa c'è di più nobile di votarla a talamo: luci soffuse, profumi che se non inebriano i sensi senza dubbio stuzzicano l'olfatto e il gusto, qualche fantasia la fanno pur venire.
Diciamolo, gli ingredienti ci sono tutti, basta saperli cogliere: i grandi amatori teorizzano da secoli che il sesso va giocato coinvolgendo tutti i cinque sensi.
E se poi si vuol strafare, si possono allargare gli orizzonti, d'altra parte le moderne soluzioni di design di spazi sui quali accoccolarsi ne offrono più d'uno.
Il tavolo è scontato?
C'è il piano lavoro, ci sono le sedie che diventano sempre più poltrone e meno sedili.
Insomma, aguzziamo l'ingegno.
Un solo piccolo accorgimento.
Occhio ai nuovi spazi, oggi tanto di moda: se le alcove infatti avevano il dono della privacy, la cucina e gli spazi aperti non si sono ancora attrezzati, e con porte inesistenti e ampie vetrate come vuole la moda, è molto facile passare da un momento di intimità ad una pubblica esibizione.
Questo sì che sarebbe fare una frittata!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 9 ottobre 2008

Ambulanti




Tempi di crisi ed è boom delle bancarelle a Ostia e in Italia.
Ma, accanto agli ambulanti regolari, nel settore si insinua un esercito di abusivi.
Che solo a Roma potrebbero essere addirittura più dei regolari.
E la maggior parte di loro sarebbero venditori ambulanti, in genere itineranti, che si affiancano a un ridotto numero di abusivi ipertecnologici che preferiscono usare il web per vendite al di fuori dei canali della legalità.
Ma quest'ultima categoria è ancora talmente limitata da non essere rilevante.
Mentre, a fronte di vendite nei mercatini rionali di tutto rispetto con un giro d'affari a livello nazionale di 25 miliardi di euro che rende la bancarella l'unico concorrente di rilievo del centro commerciale stupiscono le dichiarazioni dei redditi degli ambulanti, che registrano introiti medi di poco più di 10 massimo 12 mila euro all'anno.
Ma che i mercatini vadano benissimo resta un dato di fatto.
La Confesercenti, infatti, afferma che "pur ridimensionato rispetto alla forza numerica che aveva negli anni Ottanta tra il 2002 e la fine 2007 il numero di venditori ambulanti è aumentato in Italia di 36 mila unità".
Tra le ragioni dell'aumento ci sono le liberalizzazioni della legge Bersani e il forte incremento portato da molti giovani che hanno preferito questa scelta imprenditoriale a situazioni di precariato lavorativo.
La quasi totalità dei banchetti dei mercati sta diventando di proprietà di stranieri.
Resta ancora particolarmente fluttuante l'andamento degli acquisti e cessioni di licenze da parte di stranieri.
Quasi i due terzi degli ambulanti stranieri sono cinesi, che rappresentano il 15% degli operatori, trattano in genere abbigliamento, soprattutto intimo, e pelletterie di bassissima qualità e di basso costo, seguono i cingalesi, generalmente attivi come fruttivendoli, e i pakistani che trattano per l'abbigliamento etnico.
I maghrebini restano legati ai loro settori tradizionali quali cinture, chincaglieria varia e tappeti.
Non sempre facili i rapporti tra gli italiani e gli stranieri. Soprattutto i cinesi, che tendono ad acquistare le licenze in contanti a prezzi elevati sono accusati di far innalzare troppo i loro prezzi. Difatti molti ambulanti ritengono che gli stranieri stiano rovinando il mercato.
Ma, d'altra parte, c'é anche la speranza diffusa che i rapporti miglioreranno in futuro e che l'inserimento di stranieri tra le bancarelle migliorerà l'integrazione. In ogni caso é sotto gli occhi di tutti l'ottimo rapporto tra ambulanti e consumatori che vedono nel mercato sotto casa una garanzia di qualità e di cortesia.
Il problema più contingente, semmai, è la presenza, di uno stuolo di abusivi che nel Lazio nel 2007 avrebbero sottratto al mercato ben settecento milioni di euro.
Inoltre è consistente la fascia grigia che si pone a cavallo tra abusivismo e il rispetto, almeno parziale, delle regole.
È il caso dei mercatini dei collezionisti che, data la loro diffusione, non rispettano più lo spirito di luogo di incontro di appassionati, ma attirano veri e propri professionisti che godono delle facilitazioni concesse agli hobbysti.
E i commercianti lamentano in tutti i questi casi normative ancora inadeguate portando a modello l'Emilia Romagna dove sarebbe applicata con particolare scrupolo la legge regionale 4/2004 che prevede la confisca e la distruzione delle merci abusive.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

mercoledì 8 ottobre 2008

statali tartassati




Ho assistito alla trasmissione Domenica in di domenica 5 ottobre condotta da Massimo Giletti sul pubblico impiego e i cosiddetti fannulloni. Più che un dibattito è stato il solito show televisivo, peraltro moderato da un conduttore che non è stato, come avrebbe dovuto, super partes. Lo dimostra il fatto che quando veniva data la parola ai dipendenti pubblici presenti, oppure ai sindacalisti, in particolare al segretario generale della Funzione Pubblica Cgil Carlo Podda, questi non erano messi in condizione di fare un intervento esauriente. Un dibattito a spot e slogan, che non ha permesso ai telespettatori di capire l'oggetto della discussione, cioè quello che veramente fanno i 3 milioni di dipendenti pubblici. L'idea dominante è sempre stata quella che ha portato il ministro Brunetta a scagliarsi in modo indiscriminato e vessatorio contro i pubblici dipendenti. Non una parola sui tantissimi esempi di efficienza e di qualità di chi lavora negli uffici pubblici, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle scuole, nei ministeri, nelle agenzie fiscali, negli enti parastatali, nei settori socio assistenziali... La trasmissione, così come era impostata, ha voluto confermare il luogo comune secondo cui il lavoratore pubblico è un fannullone per definizione, salvo dimostrazione del contrario. Poco importa che il segretario Podda abbia dimostrato, dati alla mano, che in un anno i dipendenti pubblici sono assenti per malattia esattamente quanto i lavoratori privati, cioé in misura fisiologica, e che le sanzioni per i fannulloni sono inserite da anni nei contratti nazionali di lavoro e, semmai, rimangono inapplicate per responsabilità dei dirigenti. Il messaggio che è passato è sempre lo stesso: bisogna colpire i lavoratori pubblici. Bisognava trovare un capro espiatorio di fronte al Paese e, anche in questa trasmissione, ci sono riusciti.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 4 ottobre 2008

La Cresima di Alessandro




Stiamo organizzando una festicciola per la cresima di nostro figlio Alessandro, che ci sarà domenica 5 ottobre alla Chiesa di Nostra Signora di Bonaria di Ostia. La cresima si riceve in primo superiore, dopo che la preparazione è stata fatta in seconda e terza media. Amici dicono: “Mario, i nostri figli faranno la cresima, quando si dovranno sposare”. A loro faccio notare che, se nell’età adolescenziale può essere a volte problematico per i tanti impegni trovare tempo per le riunioni della cresima, certamente sarà ben più difficile quando saranno più grandi. Inoltre metto con loro in evidenza l’importanza che ha la scelta dell’impegno per la cresima fin da ragazzi. Sono, oltretutto, convinto che noi genitori abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri figli la via del bene e l'amore verso la Chiesa. Se, inizialmente, un ragazzo sembra dichiarare che non vuole impegnarsi nel cammino di cresima, la mia esperienza di padre mi conferma che, ben presto, ne troverà il significato e la gioia nel rapporto con i catechisti, con il loro compagni e amici di cammino. Quando, dopo alcuni anni, diverranno più indipendenti da noi genitori, il gruppo giovanile parrocchiale sarà una realtà straordinariamente viva e ricca per ritrovare, in maniera nuova ed adatta alla loro età, i valori cristiani che gli abbiamo trasmesso negli anni della loro infanzia. Come é successo con il mio figlio ventiduenne Gabriele, ora catechista, animatore dell'oratorio nonché attivista giovanile nell'ambito delle varie attività parrochiali giovanili. Per Gabriele la parrocchia é diventata una seconda casa per lui ed il suo gruppo di amici. Non mi vergogno a dire che è diventata il loro principale punto di riferimento. Con Gabriele posso dire di essere rimasto ben soddisfatto del cammino educativo di genitore. Chissà se lo sarò anche per Alessandro, il cresimando! Mmh, chi lo sa? Per il momento domenica sarà cresimato e spero che questo possa contribuire a farlo crescere nella consapevolezza dell’importanza della Cresima, ricordando, come dice il Concilio Vaticano II, che "la chiesa è innanzitutto una comunità, il popolo di Dio, in cui tutti ricevono lo Spirito Santo, tramite il sacramento della confermazione del battesimo, detto comunemente cresima". Accompagno Alessandro in Chiesa per l'ultimo ritiro in preparazione della Cresima. Faccio per andarmene. Simonetta si volta e mi fulmina con lo sguardo. "Non andartene via, mi devi accompagnare al supermercato". La Suprema Generalessa si sta ancora allontanando, con me umile scudiero al suo fianco, quando nell'oratorio risuonano delle voci che mi chiamano. Mi volto. Il Vice Parroco mi dice: "Se qualcuno fosse perplesso o non si sentisse chiamato, ricordi la frase di sant’Agostino "Se non ti senti chiamato, datti da fare perché il Signore ti chiami". Queste parole di Don Andrea spero non siano gettate al vento.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)