martedì 30 dicembre 2014

Vorrei il nuovo Presidente della Repubblica fuori dai giochi di potere

Le dimissioni di Giorgio Napolitano sono ormai imminenti: il Presidente della Repubblica lascerà non oltre il 14 gennaio 2015. Che cosa accade in caso di dimissioni del presidente della Repubblica è scritto in maniera abbastanza chiara nell’articolo 86 della Costituzione: il Presidente annuncia ai presidenti delle Camere le sue dimissioni, il Presidente del Senato Pietro Grasso assume il ruolo di Presidente supplente, mentre la presidenza del Senato viene assunta a turno dai suoi vice-presidenti. Dal giorno della comunicazione ufficiale delle dimissioni, il Presidente della Camera ha quindici giorni per convocare il parlamento in seduta congiunta ed iniziare le procedure per l’elezione del nuovo Presidente. Chi sarà eletto? Circolano da giorni ormai tanti nomi candidati ufficiosamente o candidabili dai partiti: Romano Prodi, Emma Bonino, Roberta Pinotti, Anna Finocchiaro, Laura Boldrini, Walter Veltroni, Ignazio Visco, Giuliano Amato, Ferdinando Imposimato e Pier Carlo Padoan. Quindi tutti politici. Io sono convinto che, invece, sarebbe bene non cercare il Presidente della Repubblica solo nella casta politica dato che la Costituzione, nella scelta di candidati alla presidenza della Repubblica, parla di cittadini italiani e non di politici. Infatti si potrebbe candidare un premio nobel, un giornalista, uno scrittore, un magistrato oppure anche un cittadino qualsiasi che si sia distinto in qualcosa di particolare come, per esempio, lo scienziato Carlo Rubbia, il giurista Stefano Rodotà,il magistrato Ilda Boccassini, il giornalista Alessandro Cecchi Paone, l’economista Giorgio Alesina o lo stilista Giorgio Armani. Certo, il potere dei politici è più forte delle regole costituzionali, anche perché ci sono troppi intrallazzi e collusioni. Peccato, però. L’Italia sarebbe sicuramente una nazione migliore se non ci fossero questi interessi di parte a bloccare lo sviluppo del nostro paese. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

mercoledì 24 dicembre 2014

Vida gitana y colchonera de Mario Pulimanti

Versione italiana Vida gitana y colchonera de Mario Pulimanti Señores estimados tengo el gusto de presentarme así: Nombre: Mario 1º Apellido: Pulimanti 2º Apellido: Aloisi. Hijo de Antonio Valeriano Pulimanti Merlini y Ernesta Aloisi Talocci. Sono nato a casa. Al Testaccio, in via Bodoni 45. Allora, si nasceva a casa. E’ nata lì anche mia sorella, Antonella Maria. Mio fratello Stefano è nato invece alla Garbatella. Sempre a casa. A Via Enrico Cravero 20 Ci eravamo trasferiti lì da poco. Simonetta è nata invece a Collevecchio. A via Cavone 1. Come la sorella, Antonella. Sì, avete capito bene: ho una sorella che si chiama Antonella e pure una cognata con lo stesso nome. Viceversa, i mie due figli sono nati in ospedale. Gabriele, il mio primogenito, è nato all’ospedale San Giacomo, alle 20 e 30 di sabato 18 ottobre 1986. Mentre nasceva, la TV stava trasmettendo la sigla di apertura della trasmissione”Fantastico 7” con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini, Alessandra Martines, il trio Lopez-Marchesini-Solenghi e Nino Frassica. La sigla era “Tutto matto” cantata da Lorella Cuccarini. Alessandro, il mio secondogenito, è nato all’ospedale Grassi di Ostia, alle 4 del mattino di mercoledì 9 novembre 1994. Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo splendido brano di Willie Nelson “Georgia in my mind”. Mi alzo dal letto e mi muovo a passi incerti verso il bagno e la promessa di pulizia della doccia. Fa caldo come in un carcere del Burkina Faso. Sento il sudore scivolarmi come un dito freddo e sudicio per la schiena e, mentre regolo il miscelatore, prova nel mio intimo il desiderio di sciogliersi come una statua di sale sotto al forza del getto caldo e mescolarmi con l’acqua e con l’acqua scomparire per sempre, giù in fondo alla terra. Non riesco ad agire perché per tutto il tempo, nonostante gli scoppi d’indignazione, penso di commettere un terribile errore, una sequela di terribili errori. Sono un cacciatore di stelle cadenti. Le cose non possono stare come io sono sempre più certo che stiano. Al liceo, quando traducevo il latino, brillavo solo se il testo comportava grandi difficoltà. Ristagnavo nella media se il professore assegnava un tranquillo Cicerone, ma trionfavo sulle trappole, e la mia versione risultava la migliore, se l’insegnante proponeva un Tito Livio come si deve o un canto dello spinoso Lucrezio. Adoro Joaquín Sabina, poeta degli eccessi e delle battaglie perse nonché, come me, fervente tifoso dell’Atletico Madrid. L'Atletico è il club della classe operaia di Madrid: lo stemma ne rappresenta l'essenza. Il bianco e il rosso a strisce sulla maglia derivano dal fatto che, tempo fa, le divise erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi (di quel colore). “Atleti, Atleti, Atletico di Madrid Atleti, Atleti, Atletico di Madrid. Jugando, ganando, peleas como el mejor (giocando, vincendo, combatti come il migliore)”. “Che cosa sto facendo?” mi chiedo sgomento mentre ritraggo il pugno che ha appena sfiorato la parete, contrito; mentre distruggo deliberatamente la mia carriera. Ho sempre creduto di avere un romanzo in testa. Pensavo che la svolta del mio destino, il mio colpo di fortuna, mi avrebbe consentito di scriverlo. Ho scarabocchiato migliaia di frasi banali in questi mesi, e non riesco a trovarlo. Non c’é. Se c’è, é nascosto. Nei confini di un giardino. Dall’ottantaquattro mi trovo a Ostia, nel cuore dell’Italia. Ho raccontato ad un mio amico che sono un maniaco omicida uscito da un manicomio criminale grazie a un cavillo giuridico. Per questo, secondo me, mi abbraccia ogni volta che ci vediamo: vuole farmi vedere che mio è amico oppure vuole accertarsi che io non abbia addosso un’ arma. Non sono sicuramente un lettore con la puzza sotto il naso perché, accanto a molti classici, gli scaffali della mia libreria sono pieni di romanzi di evasione. Simonetta, lettrice dei fiori.. A volte si perde in una specie di mondo degli spiriti. Colpa delle stelle. Finché le stelle staranno in cielo. Belle per sempre. Spesso arriva in punta di piedi. E’ una donna temprata da mille battaglie familiari, forse un po’ scettica e miscredente, caratteristica che cade a pennello quando si tratta di smorzare gli impeti di Gabriele e di Alessandro. Tutto per amore. Gabriele, grandi speranze. Alessandro, una mano piena di nuvole. I segni rossi del coraggio. Con la passione della giovane età, in alcune occasioni si fanno trascinare dalle idee eccessive che nutrono. Suona il campanello. Apro la porta. Alzo gli occhi e guardo mia sorella e mio fratello. Che sorpresa! Stefano, in piedi accanto alla porta, mi scruta perplesso. Poi mi abbraccia. “Sei il mio fratellone, no?”. Con le mani appoggiate ai braccioli del divano, Antonella si rimbocca il vestito. Antonella, di noi tre, è quella anomala. Magra, con un’espressione costantemente tesa, animata, da sprazzi di vera energia. Così era mamma. Mamma Ernesta, più dolce delle lacrime. Tenera come la notte. Papà Valeriano, bello per sempre. Non c’è ritorno. Comunque, ora sono di buonumore. Nel giro di pochi minuti uscirò con Stefano a godermi Ostia. Incontriamo un tossico. Un tossico vero. Va fuori di testa. Discorsi mistici. Jonesco puro. Ci guardiamo come due cammellieri dopo il passaggio di una tempesta di sabbia. D’impulso rispondo: “Non importa che la tua fede discenda da Geremia e da Gesù, da Allah e da Maometto, o da Brama e Buddha, qualcuno ti dirà che sbagli e per questo ti combatterà”. Fa un ampio sorriso. E se ne va. “Che vuoi dire?” fa Stefano. “Cavolo ne so. Era lì che parlava e mi è venuta in mente questa risposta.” Mento, consapevole che senza una buona dose di ipocrisia non c’è più vita sociale. La stupidità è l’abito con cui i cinici vestono i puri. Stefano apre un pacchetto di sigarette. Ne accende una. Fa una risata sonora, con il fumo che gli esce dalla bocca e dalle narici. “Gli integralisti sono pazzi” dice. “Meglio evitarli. Mi ci è voluto tanto per impararlo, ma ci sto arrivando” rispondo sorridendo. “Bene. Spero che ce la farai”. E mi da un colpetto sulla spalla facendomi un cenno d’intesa. Il tempo è stupendo. Mi sento bene. Sono circa le sei di pomeriggio quando ci fermiamo su una panchina di fronte al Pontile. Ostia è bellissima a quest’ora del giorno. Ci saluta un musulmano. Si chiama ‘Abdu-l-‘Alîm (Abdulalim): servo dell'Onnisciente (عبد العليم). Lavora sotto casa mia, a un autolavaggio dove spesso porto la mia macchina. Dice: “gli ebrei sono gente del Corano. Come Gesù, che è riconosciuto come un profeta molto importante dall’Islam ma non è un dio. Esiste un solo Dio e soltanto Maometto ha comunicato al popolo la vera parola di Dio. Ma David e Ibrahim, che voi chiamate Abramo, sono importanti profeti per l’Islam e noi li rispettiamo per ciò che hanno fatto. Sono stati Ibrahim e suo figlio Ishmael a costruire la Kaeeba e a imporre la pratica dell’Haji, il pellegrinaggio alla Mecca.” Comincio a spazientirmi. “Grazie per la lezione di teologia, ma tutto questo cosa c’entra con il mio saluto?” Poi, silenzio. Il silenzio religioso che c’è prima del rosario. Perché un minuto dopo, quando arriva il rosario di maledizioni e imprecazioni e contumelie e promesse di morte lenta e vendetta cattiva, il silenzio non c’è più. E nella giaculatoria del porca puttana e del maledetto bastardo e del se gli metto le mani addosso, si proietta il film penoso e neorealista della povertà imminente, della mensa popolare, del cappello in mano. A questo punto ‘Abdu-l-‘Alîm va via. Offeso. Del resto prendi la storia di quel bravo ragazzo, scapolo, che abbandona il mestiere di falegname per mettersi a battere le strade dicendo alla gente che Dio li ama e che devono amarsi fra loro. Il giovanotto, in più, dà seguito alle sue parole: ti guarisce i lebbrosi, ti restituisce la vista ai ciechi, resuscita il suo amico Lazzaro, impedisce che una poveretta venga lapidata per essersi fatta scopare da un barbuto diverso dal marito eccetera, chi più ne ha più ne metta. Miracoli, massime, buone azioni a valanga, ecco il programma di Gesù. Ebbene, cosa ci ricava alla fine il ragazzo? A trentatré anni lo arrestano perché nessuno lo regge più, gli improvvisano un processo farsa e lo inchiodano su due tavole. Splendida ricompensa! E’ chiaro che da allora la vocazione alla gentilezza non va tanto per la maggiore. Bisogna essere un santo per fare il Gesù, dopo quello che è successo! Con queste parole voglio dimostrare che l’amore è dinamite. Che le persone che parlano d’amore passano per terroristi in una società retta dall’interesse e governata dalla paura. Non viviamo nel mondo delle fate! Un’amica mi raggiunge e rimane in piedi accanto a me. E’ struccata; il suo viso è luminoso e delicato. Indossa jeans e una t-shirt. Porta dei sandali aperti. “Spero che tu non mi consideri troppo spregiudicata se ti invito a cena stasera”, dice scherzando. “A cena?” La guardo come se avessi scarsa familiarità con la lingua parlata dalla ragazza. Mi dice: “Più siamo diversi e più siamo uguali”. Sciocchezze buddiste. Declino l’invito. Tengo fermo il timone dell’Enterprises. Stefano fa la faccia di quello che arriva alla maturità senza aver mai aperto un libro. Rientriamo a casa. La casa dei destini intrecciati. Stefano si avvicina al carrello dei liquori e si prepara un bicchierone di whisky. Con soda. Per me vodka tonic. “Sta andando tutto bene?” dice Simonetta con un sospiro, abbassando la testa. Non so cosa fare. Tento di abbracciarla. Rimango seduto con il mio imbarazzo. La guardo a bocca aperta. “Non preoccuparti” dico. Il suo sguardo si distende. Sorride e mi stringe il braccio. Risponde al cellulare. Mmmh, quanto è buona questa vodka! Stefano annuisce, guardandosi il drink. Dalle finestre aperte davanti a me vedo il buio che scende su Ostia. Entra un venticello caldo profumato di mare. La gente di Ostia possiede il mondo. Aupa Atleti! Vamos Colchoneros! “Yo me voy al Manzanares, al estadio Vicente Calderon, donde acuden a millares, los que gustan del fútbol de emoción. Porque luchan como hermanos, defendiendo sus colores, en un juego noble y sano, derrochando coraje y corazón. Atleti, Atleti, Atletico di Madrid. Atleti, Atleti, Atletico di Madrid. (E vado al Manzanares,allo stadio Vicente Calderon,dove accorrono a migliaia quelli che amano il calcio emozionante perché lottano come fratelli difendendo i loro colori in un gioco nobile e sano dando senza risparmiarsi coraggio e cuore). Accompagno Stefano alla macchina. Poi faccio l’ultima passeggiata notturna sul lungomare. “Atleti, Atleti, Atletico di Madrid Atleti, Atleti, Atletico di Madrid”. Alzo il viso verso la luna e lascio che la pioggia si mischi alle mie lacrime. Un grazie con l’inchino e il cappello piumato e svolazzante a tutti voi lettori che avete avuto il coraggio di leggermi fino alla fine. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma) ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ VERSIONE SPAGNOLA Vida y gitana COLCHONERA de Mario Pulimanti Señores Estimados tengo el gusto de presentarme Así: Nombre: Mario 1 Apellido: Pulimanti 2º Apellido: Aloisi. Hijo de Antonio Valeriano Pulimanti Merlini y Ernesta Aloisi Talocci. Yo nací en casa. En Testaccio, Via Bodoni 45. Entonces, él nació en el hogar. E 'nacido allí también mi hermana, Maria Antonella. Mi hermano Stephen nació en lugar Garbatella. Siempre en casa. A Via Enrico Cravero 20 Nos habíamos mudado allí recientemente. Simonetta nació en Collevecchio lugar. A partir de Piano 1. Como su hermana, Antonella. Sí, has leído bien: Tengo una hermana llamada Antonella y también una hermana del mismo nombre. Por el contrario, mis dos hijos nacieron en el hospital. Gabriele, mi primogénito, nació en San Giacomo, a las 20:30 del Sábado, 18 de octubre 1986. Aunque nacido, la televisión estaba transmitiendo el tema de apertura de la muestra "Fantastico 7" con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini, Alessandra Martines, el trío López-Marchesini-Solenghi y Nino Frassica. El tema fue "Todo loco" cantada por Lorella Cuccarini. Alessandro, mi segundo hijo, nació el hospital Grassi en Ostia, a las 4 am el miércoles 9 de noviembre de 1994. Aunque nacido, la radio estaba transmitiendo la hermosa canción de Willie Nelson "Georgia on My Mind". Me levanto de la cama y me muevo en pasos inciertos para el baño y la promesa de la limpieza de la ducha. Hace calor como en una prisión de Burkina Faso. Me siento el sudor deslizándose como un dedo frío y sucio para la espalda y, mientras me puse la mesa de mezclas, pruebe en mi corazón el deseo de fundirse como una estatua de sal bajo la fuerza del chorro y se mezcla con agua caliente y con agua desaparecer para siempre, en el fondo de la tierra. No puedo actuar porque todo el tiempo, a pesar de los estallidos de indignación, creo que de haber cometido un tremendo error, una cadena de errores terribles. Soy un cazador de estrellas fugaces. Las cosas no pueden permanecer como estoy cada vez más seguro de que lo son. En la escuela secundaria, al traducir la brillavo América sólo si el texto implicaba grandes dificultades. Promedio Ristagnavo si el profesor le asigna una tranquila Cicerón, pero trionfavo en trampas, y mi versión mostró el mejor, si el profesor propuso un Livy y cuando usted tiene una canción o la espinosa Lucrecio. Me encanta Joaquín Sabina, y poeta de los excesos de batallas perdidas y, como yo, un ferviente partidario del Atlético de Madrid. El Atlético es el club de la clase obrera en Madrid: el emblema representa la esencia. Las franjas blancas y rojas en el tallo camiseta del hecho de que, hace mucho tiempo, los uniformes eran fáciles de obtener a partir de los fondos de los colchones (que de colores). "Atleti, Atleti, Atlético de Madrid Atleti, Atleti, Atlético de Madrid. Jugando, Ganando, peleas como el mejor ". "¿Qué estoy haciendo?", Le pregunto estremecimiento consternación mientras que el golpe que apenas ha tocado la pared, contrito; mientras deliberadamente destruir mi carrera. Siempre he creído que tener una novela en la cabeza. Pensé que el punto de inflexión de mi destino, mi golpe de suerte, me permitiría escribo. Garabateé miles de frases banales en los últimos meses, y yo no lo encuentro. No hay. Si lo hay, está oculta. En los confines de un jardín. Dall'ottantaquattro estoy en Ostia, en el corazón de Italia. Le dije a un amigo mío que es un maníaco homicida liberado de una prisión psiquiátrica debido a un tecnicismo legal. Por eso, para mí, me abraza cada vez que veo: él me quiere ver que mi amigo es o quiere estar seguro de que yo no lo tengo en un 'arma. Ciertamente no son un jugador con el snob, ya que, junto con muchos clásicos, los estantes de mi biblioteca están llenos de novelas de evasión. Simonetta, un lector de flores .. A veces se pierde en una especie de mundo de los espíritus. Bajo la misma estrella. Mientras las estrellas en el cielo se mantendrá. Belle siempre. A menudo llega de puntillas. Es una mujer endurecida por una familia de mil batallas, tal vez un poco "escépticos e incrédulos, una característica que cae cepillo cuando se trata de bajar el tono de las oleadas de Gabriele y Alessandro. Todo por amor. Gabriele, grandes esperanzas. Alessandro, una mano llena de nubes. Las marcas rojas de coraje. Con la pasión de la juventud, en algunas ocasiones son guiados por las ideas que alimentan excesivo. Suena el timbre. Abro la puerta. Miro hacia arriba y veo a mi hermana y mi hermano. ¡Qué sorpresa! Stephen, de pie junto a la puerta, me miró perplejo. Entonces él me abraza. "Tú eres mi hermano, ¿verdad?". Con las manos apoyadas en los brazos del sofá, Antonella enrolla su vestido. Antonella, los tres de nosotros, que es anormal. Lean, con una expresión tensa constantemente, animada por destellos de energía real. Así fue mamá. Mamá Ernesta, dulce de lágrimas. Tender como la noche. Papá Valeriano, hermosa siempre. No hay regreso. De todos modos, ahora estoy en un buen estado de ánimo. A los pocos minutos voy a salir con Stefano disfrutar Ostia. Nos encontramos con un drogadicto. Un verdadero tóxico. Freak out. Discursos místicos. Jonesco puro. Parecemos dos camelleros después del paso de una tormenta de arena. En un impulso, respondo: "No importa lo que su fe es descendiente de Jeremías y Jesús, Alá y Mahoma, o Brahma y Buda, alguien te dirá que te equivocas y vamos a luchar." Sonríe. Se va. "¿Qué quieres decir?" Hace Stefano. "El hombre que sabía. Fue allí que hablaba y yo he llegado con esta respuesta ". Barbilla, conscientes de que sin una buena dosis de hipocresía hay más vida social. La estupidez es el vestido con el que los cínicos visten puro. Stefano se abre un paquete de cigarrillos. Se enciende una. Hace una carcajada, con el humo que sale de la boca y la nariz. "Los fundamentalistas son una locura", dice. "Es mejor evitarlos. Me tomó tiempo para aprender, pero me estoy poniendo allí, "dije sonriendo. "Bueno. Espero que lo hará ". Me da una palmada en el hombro haciéndome un guiño. El tiempo es precioso. Me siento bien. Hay alrededor de las seis de la tarde cuando nos detuvimos en un banco frente al muelle. Ostia es hermoso en esta época del día. Saluda a un musulmán. Se llama 'Abdu-l-'Alim (Abdulaim): siervo Omnisciente (عبد العليم). El trabajo en mi casa, a un lavado de autos donde suelen llevar mi coche. Él dice: "Judios son el pueblo del Corán. Al igual que Jesús, que es reconocido como un profeta importante en el Islam pero no un dios. Sólo hay un Dios y Mahoma anunció al pueblo la verdadera palabra de Dios. Pero David y Ibrahim, quien se llama a Abraham, son profetas importantes en el Islam y los respetamos por lo que hicieron. Fueron Ibrahim y su hijo Ismael para construir Kaeeba e imponer la práctica Hajj, la peregrinación a la Meca ". Empiezo a impacientarse. "Gracias por la lección de teología, pero todo esto que ver con mi saludo?" Entonces, el silencio. El silencio religioso que está delante del rosario. Debido a que un minuto más tarde, cuando se trata de rosario de maldiciones e imprecaciones e insultos y promesas de muerte lenta y venganza mal, el silencio ya no está allí. Y en el corto oración y el hijo de puta mierda Santo y si pongo mis manos sobre él, la película se proyecta la pobreza dolorosa y neorrealista inminente, el comedor, el sombrero en la mano. En este punto, 'Abdu-l-'Alim desaparece. Ofendido. Por otra parte tomar la historia de ese gran hombre, un soltero, que abandona a un carpintero para conseguir batir las calles diciendo a la gente que Dios los ama y que deben amarse unos a otros. El joven, además, da seguimiento a sus palabras: te cura leprosos, que devuelve la vista a los ciegos, resucitó a su amigo Lázaro, evita que una mujer pobre siendo apedreado a muerte por hacerse follar por un hombre barbudo que no sea su esposo y así sucesivamente, algunos más así sucesivamente y así sucesivamente. Milagros, máximas, buenas acciones avalancha, aquí es el programa de Jesús. Pues bien, lo que se pone al final el chico? A treinta y tres años lo arrestaron porque nadie más tiene, el improvisar un juicio con uñas y en dos mesas. Hermosa recompensa! Es claro que desde la vocación a la bondad no es tanto el mayor. Usted tiene que ser un santo para que Jesús, después de lo que ha sucedido! Con estas palabras quiero demostrar que el amor es dinamita. Que las personas que hablan de amor pasan a los terroristas en una sociedad regida por el interés y gobernado por el miedo. No vivimos en el mundo de las hadas! Un amigo se unió a mí y está a mi lado. Y 'el maquillaje; su cara es brillante y delicado. Con pantalones vaqueros y una camiseta. Gate sandalias abiertas. "Espero que no me considera demasiado imprudente si invitas a cenar esta noche", bromea. "La cena?" Me parece que tengo poca familiaridad con el idioma hablado por la chica. Yo dije: "Cada vez más somos diferentes somos los mismos". Tonterías budista. Rechazar la invitación. Sigo sosteniendo los dell'Enterprises timón. Stefano es la cara de lo que llega a la madurez sin nunca abrió un libro. Volvemos a casa. La casa de los destinos entrelazados. Stefano se acerca al carrito de las bebidas y prepara un vaso de whisky. Con soda. Para mí vodka tonic. "Va a estar bien?" Simonetta dice con un suspiro, bajando la cabeza. No sé qué hacer. Yo trato de abrazarla. Me siento con mi vergüenza. La miro con asombro. "No te preocupes", le digo. Su mirada se relaja. Él sonríe y sacude mi brazo. Contesta el teléfono. Hmmm, lo bueno que este vodka! Stefano asiente, mirando hacia abajo a su bebida. A través de las ventanas abiertas en frente de mí Veo la oscuridad que desciende en Ostia. Escriba una cálida brisa perfumada del mar. Los habitantes de Ostia posee el mundo. Aupa Atleti! Vamos colchoneros! "Yo me voy a Manzanares, en el Estadio Vicente Calderón, donde ACUDEN a millares, Los Que gustan del fútbol de emoción. Luchan Porque Como hermanos, Defendiendo SUS colores, en un Juego y noble sano, derrochando coraje y Corazón. Los deportistas, atletas, el Atlético de Madrid. Los deportistas, atletas, el Atlético de Madrid. Stefano acompañar la máquina. Entonces hago la última noche paseo por el paseo marítimo. "Atleti, Atleti, Atlético Madrid Atleti, Atleti, Atlético de Madrid". Levanto mi cara a la luna y dejé que la lluvia se mezcla con mis lágrimas. Gracias a la proa y el sombrero de plumas y que fluye a todos ustedes, los lectores que han tenido el coraje de leer hasta el final. Mario Pulimanti (Lido di Ostia en Roma)

martedì 2 dicembre 2014

Noi Colchoneros, tifosi non violenti

Noi Colchoneros, tifosi non violenti Prima della partita Atletico Madrid-Deportivo La Coruña, ci sono stati scontri vicino allo stadio Vicente Calderon tra i tifosi delle due squadre che si sono dati appuntamento di prima mattina per picchiarsi. Purtroppo un supporter del Deportivo è stato recuperato dal fiume Manzanares ed è morto in ospedale per arresto cardiaco dopo i soccorsi. Il match si è giocato regolarmente ed è finito 2-0 per l'Atletico. Io sono un tifoso dell’Atletico Madrid e condivido ciò che ha detto il Presidente della mia squadra Enrique Cerezo Torres che ha subito condannato l'accaduto con un comunicato ufficiale affermando giustamente che queste cose non hanno nulla a che vedere col calcio. Infatti non sono tifosi quelli che si danno appuntamento per una rissa di gruppo ma sono invece semplici teppisti che usano il calcio come sfogo e scusa per scatenare la propria violenza repressa. Del resto noi tifosi Colchoneros siamo una comunità "rosso bianca" leale ed orgogliosa. Infatti l'Atletico è il club della classe operaia di Madrid: lo stemma ne rappresenta l'essenza. Il bianco e il rosso a strisce sulla maglia derivano dal fatto che, tempo fa, le divise erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi (di quel colore). Perciò, “AUPA ATLETI!” , come canta anche Joaquín Sabina, poeta degli eccessi e delle battaglie perse nonché, come me, fervente tifoso dell’Atletico Madrid. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

mercoledì 15 ottobre 2014

Cambio di posizione della Chiesa nei confronti dei gay

Dalla Chiesa cattolica, spesso accusata di oscurantismo, arrivano parole insieme coraggiose e illuminanti sul tema dell’omosessualità. Infatti il Vaticano, pur continuando a difendere la famiglia fondata da un uomo e una donna, ha recentemente affermato che gli omosessuali possono dare un appoggio prezioso al proprio partner, avendo doti e qualità da offrire alla comunità. In questo modo Papa Francesco ha in pratica riconosciuto elementi positivi nelle coppie gay e nell'adozione di figli da parte delle coppie omosessuali. Questa visione non discriminante nei confronti dei gay fa capire che la Chiesa Cattolica sembra davvero essere arrivata a un punto di svolta. Un punto che ha come fulcro e spinta la figura così carismatica e moderna di Papa Francesco. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 14 ottobre 2014

Halloween 2014

Anche quest’anno sta arrivando la notte delle streghe. Il suo simbolo è Jack-Lantern, la zucca illuminata che questi giorni sta addobbando vetrine e che culminerà in tante serate in maschera la notte del 31 ottobre. E’ praticamente diventata una tradizione anche da noi questa notte di Halloween di origine anglosassone che corrisponde alla vigilia della festa cristiana di Ognissanti. La tradizione prevede l’usanza per i bambini di girare di casa in casa mascherati al grido "Dolcetto o scherzetto". In questa notte locali e discoteche organizzano serate in maschera in ambienti rigorosamente a tema. Buon divertimento, quindi. E W Hallowen! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 13 ottobre 2014

Dove finiscono i soldi destinati alla tutela del territorio?

I cambiamenti climatici causati dall’uomo causano l’aumento delle alluvioni. Infatti c’é una corrispondenza fra i gas serra che entrano nell’atmosfera e l’intensificazione delle piogge, e non solo un generico legame fra il riscaldamento globale e l’aumento di questi fenomeni. L’aumento dell’intensità delle piogge non è quindi spiegabile con la variabilità naturale degli eventi meteo, ma solo tenendo conto dei gas serra che entrano nell’atmosfera in seguito alle attività umane. Difatti i cosiddetti eventi eccezionali sono in realtà sempre meno eccezionali. Questo rende il territorio italiano vulnerabile e di conseguenza assegna alle opere di difesa idrogeologica un'urgenza persino maggiore che nel passato. Ma non sembra che la classe politica ne sia consapevole dato che preferisce interessarsi ad altro. Il fatto è che non si trovano esponenti politici che vogliano davvero intervenire, sia perché i nostri politici preferiscono seguire il modello di sviluppo della rendita fondiaria (costruire edifici, strade, anche quando costruire è pericoloso per l’assetto ambientale) sia perché un'opera idraulica non si nota e nessuno si complimenta con chi l'ha voluta. Per questi motivi i soldi destinati alla tutela del territorio si disperdono in mille rivoli e le nostre città, i nostri fiumi, i nostri comuni restano in balia degli eventi atmosferici. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Il dialogo con l’Islam è un monologo

La strategia dell’Isis sta assumendo i contorni di un'offensiva tesa ad annientare l'Islam moderato. Infatti l'Isis vuole estendere i propri confini anche in quelle terre dove finora è prevalsa una visione più moderata dell'Islam. Siamo, perciò, di fronte ad uno scontro di civiltà interno innanzitutto al mondo musulmano. Però, di fronte a questa prospettiva l'Occidente oscilla tra dichiarazioni roboanti e azioni incerte. Certo, non vanno sottovalutate la complessità dello scenario, gli equilibri e le dinamiche non sempre facilmente decifrabili di un mondo dove la dimensione tribale ha spesso ancora grande importanza. Tuttavia il rischio a cui ci troviamo di fronte è una tragica involuzione del mondo islamico sotto la guida dell’Isis. Di fronte a questa prospettiva l'Occidente deve dotarsi di una chiara strategia di difesa dato che il rischio non va sottovalutato. A questo punto penso che aveva ragione Oriana Fallaci quando diceva di non credere nel dialogo con l’Islam, perché tale dialogo è un monologo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 10 ottobre 2014

Abbattere le discriminazioni

Detesto profondamente l’antisemitismo e ritengo che sia giusto una volta per tutte abbattere definitivamente in Italia pregiudizi e discriminazioni anti ebraici, maschilisti, xenofobi e misogini, leggendo i segnali che provengono dalla società stando comunque particolarmente attenti, nel farlo, al rispetto dei diritti degli altri. Non considerare solo i propri di diritti. Né avere la presunzione che abbiano un diritto di cittadinanza superiore. In questo modo il popolo ebraico, ad esempio, potrà uscire definitivamente dalla condizione di gruppo perseguitabile impunemente e diventare invece il popolo simbolo della sconfitta del razzismo sotto qualsiasi forma e contro chiunque. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 7 ottobre 2014

Juve-Roma: furti calcistici e furti politici

E' bufera sull'arbitraggio di Juventus-Roma, partita che ha visto i bianconeri vincere in una gara segnata da dubbie decisioni arbitrali e da polemiche dentro e fuori dal campo. Tre rigori assegnati solo nel primo tempo (due per la Juve e uno per la Roma), espulsione dell’allenatore romanista Garcia e il gol della vittoria juventina segnato all’ultimo minuto in fuorigioco. E dal campo le polemiche sono arrivate fino in Parlamento, dove un deputato ha annunciato che presenterà un’interrogazione al ministro dell’Economia e un esposto alla Consob dopo i fatti di Juve-Roma. Benché italiano sono tifoso di una squadra spagnola, l’Atletico Madrid. Quindi posso giudicare questa partita in un modo più obiettivo. Per questo motivo ritengo che non ci dobbiamo lamentare se all'estero ci prendono per i fondelli. Infatti noi italiani siamo pronti a scendere in piazza per una partita di calcio ma se invece ti rubano il futuro va tutto bene. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 2 ottobre 2014

Terrorismo islamista

Non temo di andare controvento affermando che sull’Isis e sulle infiltrazioni di terroristi islamici l’Occidente sembra addormentato sulle sue certezze e sui suoi conformismi, oscillando sempre di più tra inconsapevolezza e ignavia. Infatti di fronte al fenomeno dei combattenti islamici noi europei sembriamo quasi vergognarci della nostra identità. Confondiamo la tolleranza con l'apatia. La libertà con la dittatura delle minoranze. L'integrazione e il dialogo con l'accettazione passiva. Se la gente non rientrerà dal questo tradizionale buonismo, ci aspetterà un futuro altrimenti già segnato di sudditanza ed oblio culturale. Non dimentichiamoci che membri dell’Isis hanno anche minacciato il Papa. Certo, bisogna tendere la mano al mondo islamico, combattendo fanatismi e diffidenze, senza però dimenticare ciò che ha detto Oriana Fallaci, profeta inascoltato, mettendoci in guardia contro il terrorismo islamista praticato da ristretti gruppi di fondamentalisti islamici. Chissà che non dovremo, anche se tardivamente, darle ragione, nonostante il nostro perbenismo intellettuale. Nemo propheta in patria. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 29 settembre 2014

Il problema delle sette in Italia.

Il problema delle sette in Italia è un problema che non va sottovalutato, perché gli appartenenti a queste sette, con atteggiamento di intolleranza unito a un proselitismo aggressivo, associano alla Bibbia altri libri rivelati, altri messaggi, o dalla Bibbia sopprimono alcuni suoi libri o ne alterano radicalmente il contenuto. Sono per lo più autoritari; fanno ricorso ad un certo lavaggio del cervello; praticano una coercizione collettiva. Ed è un problema allarmante, perché prendono di mira i più vulnerabili. Le sette più pericolose ed invadenti sono quella dei Mormoni, di New Age, dei Bambini di Dio e dei Testimoni di Geova, che inculca l’odio contro la Chiesa Cattolica ai suoi seguaci obbligati cinque volte a settimana a recarsi alle riunioni per imparare la maniera di inculcare alla gente le loro idee. Inoltre quasi ogni giorno vanno di casa in casa per seminare zizzania. E sono incredibili i divieti di sapore medievale ai quali questa setta obbliga i suoi adepti, come il divieto di celebrare un compleanno o un onomastico, di ricordare la nascita di Cristo, di fare un brindisi, di mangiare un volatile o qualsiasi altro animale ucciso, ma non debitamente dissanguato, di giocare a scacchi, di portare la barba, di praticare la danza classica, di mandare i figli all'asilo e all'università, di offrire dei confetti in occasione di nascite, matrimoni e occasioni simili, di acquistare un biglietto della lotteria o giocare una schedina, di fumare una sigaretta. Ritengo che non possa esistere il dialogo dove non c’è comprensione. Sono poi convinto che non si possa organizzare il cristianesimo sulla struttura di una grande azienda. Allora, a chi non è capitato almeno una volta di essere fermati per strada da un Testimone di Geova, e di averlo trattato con il divertito distacco riservato agli strambi? E quante volte gli abbiamo tributato l’astio che si riserva ai rompiscatole, per il solo fatto di essersi presentato al nostro citofono la Domenica mattina presto, cercando di rifilarci una rivista dal titolo “Svegliatevi!” Ed è per questo che, tra le tante testimonianze di fuoriusciti, mi è rimasta particolarmente impressa quella di un ragazzo che ha detto: “Comunque le cose che più hanno segnato la mia adolescenza sono state le proibizioni, tra cui discoteche, locali notturni ma anche certa musica rock definita satanica e molte letture. Non dimenticherò mai il giorno in cui mi costrinsero a disfarmi della mia collezione dei Pink Floyd in vinile... Ad oggi non ho ancora capito cosa avessero trovato di diabolico nei testi di Roger Waters, ma tant'è...”. Io ritengo che lo Stato dovrebbe mettere un freno alla divulgazione di queste idee, perché se da un lato è giusto rispettare la libertà religiosa di chiunque, dall’altro lato non mi sembra che la Costituzione permetta la sudditanza psicologica (come nel caso dell’organizzazione geovista nei confronti dei suoi adepti) di una persona verso l’altra ed il suo conseguente lavaggio del cervello! Per non dimenticare, infine, la situazione in cui si trova a vivere chi decide di andarsene da questo gruppo, i cui adepti si possono paragonare alle sirene dell'Odissea che con i loro sorrisini, le gentilezze e le buone maniere catturano l'ignaro il quale, se decide poi di uscirne, viene sottoposto a ricatti morali e familiari. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

venerdì 26 settembre 2014

L’amicizia è una maschera

L'amicizia non è un semplice sentimento, è un valore. Ma, come accade per molti altri valori, non sempre regge l'urto dei tempi e delle avversità. Lo scrittore statunitense Ambrose Bierce ha detto che l’amicizia é una nave grande per portare due persone quando si naviga in buone acque, ma riservata a una sola quando le acque si fanno difficili. Per questo scrittore l’amicizia non è che il vestito buono dell’egoismo, una maschera che l’uomo si mette, ma che si toglie subito alle prime difficoltà. Ragionamento cinico ma purtroppo vero. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

martedì 23 settembre 2014

Le diverse interpretazioni del Corano

Anche se molti cittadini di fede islamica affermano la loro volontà di pace, è anche vero però che nel mondo musulmano coesistono modi molto diversi di intendere la propria religione e ciò giustifica preoccupazioni ed anche la richiesta che le prediche degli imam nelle moschee in Italia siano tradotte in italiano. Del resto l'interpretazione del Corano è da secoli una grande questione aperta. Ciò deriva dall'origine stessa del Corano che venne dettato da Maometto (che era analfabeta) a vari testimoni i quali, a loro volta, impararono a memoria alcune parti per trasferirle poi a una serie di compilatori che lo trascrissero e a loro volta lo tramandarono. A questo si aggiunge il fatto che la religione musulmana, a differenza di quella cattolica, non prevede l'esistenza di un clero che, nel rispetto di una dottrina, indichi a tutti i fedeli dove stia il bene e dove stia il male. Tutto ciò consente nel mondo islamico ampi margini di interpretazione dei testi sacri da parte degli imam o anche dei singoli fedeli. Questo potrebbe non rappresentare un particolare problema se avesse conseguenze solo sul piano religioso. Ma, come ci ricordano le minacce dell'Isis, così non è. Perché l'Islam fa infatti derivare dal credo religioso anche una concezione della società e delle regole che la devono governare. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 18 settembre 2014

Pericolo Ebola

Il virus dell’Ebola, che si sta rapidamente diffondendo in tutti i paesi dell’Africa occidentale provocando migliaia di morti, avanza più velocemente degli sforzi per controllarlo. Infatti se la malattia continuasse a diffondersi al ritmo attuale, il virus potrebbe finire con il contagiare altre trecentomila persone entro la fine del 2014. Peter Piot, lo scienziato belga che nel 1976 individuò per la prima volta il virus, disse che l’Ebola era una malattia che si contraeva venendo a contatto con sangue o escrementi di un certo tipo di pipistrelli africani. Per impedire falsi allarmismi, Piot disse che la sua propagazione fuori dalla zona colpita era impossibile data la sua virulenza. Infatti per i soggetti colpiti (esistono 4 ceppi di cui quello dello Zaire è il più letale: mortalità oltre il 90%) la sofferenza durava poco (una sola settimana dopo quella di incubazione) e la morte giungeva veloce (febbre alta,diarrea e vomito e cedimento degli organi interni). Fino a ieri l'Oms (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva dichiarato che noi occidentali non avevamo niente da tenere (le forme di contagio tra umani sono siringhe infette, contatto con sangue o fluidi corporei, rapporti sessuali) e che il problema era tipicamente africano. Oggi all'improvviso ci dicono che il pericolo che il virus varchi i confini africani non sono remoti. Quest'ultima dichiarazione è in accordo con ciò che dissero a suo tempo diversi virologi e cioè che data la velocità dei spostamenti che oggi possiamo vantare e del tempo di incubazione di certe malattie la possibilità che possano avvenire delle epidemie o pandemie non è remoto. Tanto che, considerati i tempi d incubazione, non sarebbe male, ad esempio, rafforzare i presidi negli aeroporti. Perciò il virus Ebola deve essere considerata una emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, dato che la malattia può essere trasmessa al di là dell’Africa e colpire nuove aree geografiche. Inoltre lo stesso scopritore del virus Peter Piot aveva fatto presente che per contenere il virus dell’Ebola bastavano poche norme igieniche (guanti, siringhe monouso, lavaggio frequente delle mani) e di cautela per il personale sanitario e non sanitario compreso un periodo di osservazione delle persone venute a contatto con i malati. Il problema come lo stesso Piot ha evidenziato è che l'estrema povertà dei paesi colpiti e il sistema sanitario deficitario se non addirittura inesistente di quei paesi, rende grave la situazione. Lo stesso Piot che è ritornato nella zona dove ha individuato il virus lamenta lo scandaloso abbandono di quella povera gente. Ora, tenuto conto che la comunità internazionale ha sottovalutato l'epidemia di Ebola, sarebbe il caso che il Consiglio di Sicurezza Onu pensasse ad inviare risorse di difesa militari e civili, mentre la Ue, da parte sua, dovrebbe intensificare gli sforzi a tutto campo. Una stretta di mano, un bacio sulla guancia, un rapporto sessuale: per contrarre il virus dell’Ebola basta poco e se lo prendi, muori. Dopo circa dieci giorni arrivano i primi sintomi: diarrea, vomito, congiuntivite. Poi sopraggiunge il delirio, lo shock e la perdita di sangue. Infine la morte. Tutto questo non è un film genere splatter. Da tempo avviene in Africa. Ed ora sta accadendo anche in Europa. A questo punto mi chiedo come mai la Liberia, la Sierra Leone, la Guinea e la Nigeria siano gli Stati col numero inferiore di medici per abitante. Sarà un caso? Chi guadagna dalle epidemie? Chi ha interesse a mantenere aree geografiche insane? Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 4 settembre 2014

Statali arrabbiati

Statali arrabbiati Il governo di Matteo Renzi e del ministro Marianna Madia ha confermato il blocco dei contratti pubblici. Gli stipendi dei dipendenti pubblici sono bloccati dal 2009, con una perdita secca, non recuperabile, pari a più di 3.000 euro annui medi pro-capite, un gravissimo danno permanente, in quanto destinato ad incidere anche sul trattamento pensionistico. Ed anche se la gravità del momento obbliga il Governo ad una politica di ristrettezze economiche, non è giusto che si continui a pensare di togliere sempre ai dipendenti pubblici, che hanno già pagato a caro prezzo il costo della crisi reso ancor più oneroso dagli errori della politica. Sarebbe ora di cominciare ad attingere al serbatoio della corruzione, a quello dell'evasione fiscale, a quello degli sprechi ed a quello dei costi degli elefantiaci apparati della politica. Dal governo dei giovani non vedo altro che la più vecchia delle politiche: se questo è tutto quello che sanno fare rispetto a tre milioni di lavoratori e di famiglie, immagino come possano fare l’interesse di un intero paese. Senza dimenticare, infine, che nella prossima busta dello stipendio gli statali troveranno la riduzione dello stipendio comprensiva degli arretrati a decorrere dal 1 gennaio 2014 a seguito delle disposizioni riguardanti il pagamento all’ INPS del contributo dello 0,5% per il fondo di solidarietà residuale per i lavoratori non coperti dalla cassa integrazione guadagni, in applicazione della c.d. legge Fornero. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 3 settembre 2014

“Sono negato per i lavori manuali”

“Sono negato per i lavori manuali” Non ho il coraggio di dire queste cose a mia moglie, così le scrivo sul giornale. Così, come sul versante femminile esistono le mani di fata, su quello maschile esistono gli uomini veri, quelli da amaro Montenegro, capaci di salvare cavalli ma anche di aggiustare oggetti, di riparare guasti domestici, di lavare i piatti e di cucinare. Io, ahimé, come molti altri uomini, non appartengono a questa categoria. In realtà so fare tante altre cose. Leggo moltissimi libri e me li ricordo. Credo di cavarmela con la scrittura e malgrado quello che dicono certi miei colleghi, penso di lavorare con impegno e con discreta abilità. Faccio delle belle fotografie. E poi quando c’è da bere e da mangiare sono un vero professionista! Ma, come dice mia moglie Simonetta, in tutto il resto, o quasi, sono un disastro. E quando dico disastro non esagero. Perché la mia vita è punteggiata, quotidianamente, da sconfitte imbarazzanti. Prendiamo la botanica. Vi dico subito che Simonetta ha il pollice verde. Ogni pianta che lei mette in casa diventa un baobab. Io, invece, sono una catastrofe vivente. Ogni pianta che metto in ufficio muore dopo pochissimi giorni. Sono l’Attila delle azalee, dei ficus e degli oleandri. Passiamo alla cucina. Per sintetizzare il mio rapporto con i fornelli sarò esplicito: non so cucinare nemmeno un uovo al tegamino. Quando prendo in mano una padella divento Fantozzi. Confondo il sale con lo zucchero. Mi brucio le mani quando scolo l’acqua della pasta. E le poche volte che ho provato a cuocere una bistecca i vicini hanno chiamato i pompieri per via del fumo, che ho provocato nel palazzo. Poi c’è il bricolage. Se c’è da attaccare un quadro mi prendo a martellate da solo. Se devo bucare una parete col trapano mi ritrovo nel salotto dei vicini di casa. Non parliamo dei miei maldestri tentativi quando c’è da sturare un water: provoco un maremoto e allago l’appartamento. Se cerco di aggiustare una presa elettrica faccio saltare la corrente in tutto il quartiere. Da solo non riesco a mettermi un cerotto al dito. E se prendo in mano un tubetto di attaccatutto resto per tre giorni con il pollice incollato all’indice. Piuttosto che cambiare una gomma della mia automobile, vendo l’automobile. Perché potrei restare lì, a combattere col crick, per intere settimane. Impazzisco quando c’è da registrare qualcosa in Tv usando il timer. Se decido di registrare un film mi ritrovo sul nastro un documentario sulla vita delle renne nella Lapponia orientale! Comunque sono un uomo fortunato perché mia moglie, nonostante tutto, è innamorata dei miei difetti e, sempre vigile sul destino dei nostri due figli, Gabriele ed Alessandro, finisce con l’essere lei il vero fulcro della famiglia, anzi ne è l’unica colonna portante. E, anche se il suo tentativo di trasformare la nostra famiglia in una unità di cui andare socialmente fieri fallisce inevitabilmente, eppure l’amore rimane lo stesso. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 1 settembre 2014

Metro affollata

Sono sulla metro di Ostia diretto a Roma. Arrivo alla stazione della Piramide, ma il mio viaggio continua. Debbo, infatti, arrivare fino a Termini con un’altra linea della metro: l’affollatissima linea B. Scendo di sotto con la scala mobile. Mi rendo conto, appena vedo la piattaforma, che difatti è affollata all’inverosimile. Più del solito. Deve esserci stato qualche guasto e probabilmente non arrivano treni da almeno un quarto d’ora. Scendo dalla scala mobile. Tempo cinque minuti e arriva un treno, ogni centimetro di carrozza stipato di corpi sudati, accartocciati, pigiati in un insieme compatto. Non provo neanche a salire, ma nel pandemonio di persone che sgomitano per aprirsi un varco l’una sull’altra, riesco a guadagnare la prima linea della piattaforma e resto in attesa del convoglio seguente. Che arriva alcuni minuti dopo, ma pieno zeppo come il precedente. Quando le porte si aprono e qualche passeggero dalla faccia paonazza si fa largo tra la folla in attesa, mi pigio dentro e respiro una boccata d’aria viziata, stagnante. Mi sembra che l’aria sia passata per i polmoni di ciascuno un centinaio di volte. Altra gente s’ammassa alle mie spalle e mi trovo spiaccicato tra un giovane arabo ed il vetro divisorio che ci separa dall’area dei posti a sedere. Normalmente avrei preferito mettermi con il naso pigiato contro il vetro, ma quando ci provo scopro una gran chiazza viscida, proprio ad altezza del mio viso, un accumulo di sudore e di unto lasciato dalla testa dei passeggeri che si sono strusciati contro la lastra trasparente, così non posso far altro che girarmi e fissare, occhi negli occhi il ragazzo che ho davanti. Quando al terzo o quarto tentativo si chiudono le porte io e lui ci ritroviamo ancora più pigiati perché la gente accalcatasi sulla porta senza riuscire a entrare finisce con lo stiparsi dentro insieme a noi. Se dovessi svenire non cadrei in terra perché spazio per cadere proprio non c’è. Arrivo a Termini decisamente provato. Al contempo penso che mi farebbe bene bere un caffè. Che prendo subito prima di entrare in ufficio. E’ proprio vero: fare il pendolare stanca! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 29 agosto 2014

L’amore è dinamite

L’amore è dinamite Prendi la storia di quel bravo ragazzo, scapolo, che abbandona il mestiere di falegname per mettersi a battere le strade dicendo alla gente che Dio li ama e che devono amarsi fra loro. Il giovanotto, in più, dà seguito alle sue parole: ti guarisce i lebbrosi, ti restituisce la vista ai ciechi, resuscita il suo amico Lazzaro, impedisce che una poveretta venga lapidata per essersi fatta scopare da un barbuto diverso dal marito eccetera, chi più ne ha più ne metta. Miracoli, massime, buone azioni a valanga, ecco il programma di Gesù. Ebbene, cosa ci ricava alla fine il ragazzo? A trentatré anni lo arrestano perché nessuno lo regge più, gli improvvisano un processo farsa e lo inchiodano su due tavole. Splendida ricompensa! E’ chiaro che da allora la vocazione alla gentilezza non va tanto per la maggiore. Bisogna essere un santo per fare il Gesù, dopo quello che è successo! Con queste parole voglio dimostrare che l’amore è dinamite. Che le persone che parlano d’amore passano per terroristi in una società retta dall’interesse e governata dalla paura. Non viviamo nel mondo delle fate! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 28 agosto 2014

Pericolo anoressia

Troppi restano abbagliati da una società che produce modelli sbagliati (si pensi a certe top-model), ma non insegna i valori veri della vita. Spinge al consumo, ma non spiega che occorre una alimentazione corretta. Negli ultimi anni sono in aumento i casi di esordio precoce di anoressia e bulimia (tra i 9 e gli 11 anni), che generalmente si manifestano tra i 15 e i 19 anni. Partendo dalla televisione, dal cinema, dalle passerelle per arrivare fino alla nostra vita quotidiana, il modello da imitare sembra essere sempre lo stesso: “magro è bello”. Una cosa spaventa però in modo particolare: il fatto che questa malattia salti agli onori delle cronache solo quando muore una modella anoressica e poi, di nuovo giù nel dimenticatoio. Questo sta a significare che nella società odierna è ancora ben radicato il pensiero errato che anoressia e bulimia sono disturbi poco comuni e che si possono curare semplicemente mangiando o smettendo di rimettere. Purtroppo non è così. Per prevenire all’origine questi gravissimi problemi bisogna prestare estrema attenzione a cosa mangiano i ragazzi. Una dieta eccessivamente ricca di grassi e carboidrati provoca nelle teenager, alle prese con le prime mestruazioni, quella fastidiosa pancetta che può rappresentare il primo passo verso l’anoressia. Bisogna insegnare ai giovani che una sana alimentazione è la prima regola per vivere in armonia con il proprio corpo. La dieta mediterranea (recentemente nominata patrimonio dell’Unesco) a base di cereali, frutta verdura e olio d’oliva è perfetta per un adolescente alle prese con i piccoli e grandi cambiamenti della sua età. Del resto i mutamenti della società incidono sui giovanissimi, la mancanza di affetto spinge verso eccessi che non raramente passano attraverso l'odio per il cibo o l'eccessivo attaccamento al cibo. È un male sociale, terribile perché porta spesso alla morte. La malattia è più diffusa di quanto si creda. Agisce in maniera subdola, nascondendosi. Poi esplode all’improvviso. Spesso quando chi sta attorno se ne rende conto, è già difficile per intervenire, talvolta è troppo tardi. Il recupero è difficile, faticoso e lento. Sicuramente l'attenzione della famiglia è indispensabile, non raramente è la scuola la prima ad avvertire il disagio e a informare i familiari. Da qualche tempo la stessa scuola prova a lanciare l'allarme, a far prendere coscienza agli alunni degli effetti devastanti della malattia. Ma la scuola non può svolgere tutte le funzioni richieste a una società distratta nei confronti de giovani: educazione stradale, educazione sessuale, lotta alla droga, all'alcol, al cattivo uso del cibo, all'integrazione tra popoli, alla necessità di far convivere religioni diverse ecc. Sicuramente sarebbe d’aiuto applicare, a tutti i paesi occidentali, una legge che vieti alle agenzie di moda di assumere ragazze troppo magre, così come ha fatto lo Stato d’Israele. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 22 agosto 2014

Jeans, capo indispensabile nel guardaroba

I jeans sono la base perfetta per tutti i guardaroba. Più che un semplice capo d'abbigliamento i jeans sono una vera icona. Nati come indumento da lavoro, grazie alla solidità della loro tela, i blue jeans si diffondono in America a cominciare dalla fine del 1800 per diventare negli anni '50 del secolo successivo un simbolo giovanile di ribellione. Quest’anno i jeans compiono 141 anni. Ma non li dimostrano. A pensarci bene, sono l'unica invenzione umana che sembra non invecchiare affatto. Il tessuto jeans, molto robusto e resistente agli strappi, veniva usato per fabbricare i teloni da imballo e le coperture delle vele. In seguito, per la sua resistenza, fu utilizzato per confezionare i pantaloni da lavoro degli scaricatori del porto in partenza da Genova per l'America. E così nell'ottocento, con le grandi emigrazioni, la tela Blu di Genova (tela jeans vuol dire infatti tela Genova) arrivò negli Stati Uniti d'America, dove venne utilizzata per realizzare gli abiti dei cercatori d'oro. Nient'altro ha resistito così bene alla prova del tempo. Il jeans, nato a Genova, difatti fu migliorato in America, ma da un emigrante europeo: il bavarese Levi Strass al quale bisogna dare atto di aver capito che quelle brache pratiche ma poco eleganti potevano essere migliorate. E i miglioramenti che lui vi apportò sono quelli che le hanno rese immortali. Egli cominciò a realizzare dei grossi pantaloni in tela robusta per i cercatori d'oro, delle tute color marrone, senza passanti ne tasche dietro, e presero il numero in codice 501, che resiste tuttora. E, anche se non era stato lui a inventarli, fu comunque lui a trasformarli in un capo praticamente indistruttibile grazie a quei rinforzi alle tasche e alla ribattitura lungo le cuciture laterali. Levi Strass presto li trasformò nella divisa del West, tanto che alla fine dell'ottocento, in America, il tessuto jeans diventò sinonimo di pantaloni. E Levi Strass, che vide l'America vestire i suoi jeans, non avrebbe comunque mai immaginato che sarebbero diventati la divisa dei giovani di tutto il mondo, che avrebbero resistito negli anni al succedersi delle mode, senza mai tramontare: divisa dei lavoratori, delle classi più povere e rudi, poi divisa dei giovani ribelli negli anni Cinquanta, dei contestatori anni Sessanta-Settanta, e infine capo alla moda presente su tutte le passerelle. Oggi, i Levi's non sono più l'unica marca di jeans nel mondo, ma rimangono la marca più universalmente nota e desiderata. Neanche l'assedio di famosi sarti come Calvin Klein e Ralph Lauren ha diminuito il loro dominio sul mercato mondiale. Ed ora, che siamo nel 2014, i vecchi jeans si meritano un brindisi: ai prossimi 141 anni! Chissà, forse nel 2155 saranno di nuovi i cercatori d'oro a indossarli. Su altri pianeti. Per il momento il pantalone jeans è un capo indispensabile nel mio guardaroba. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

giovedì 7 agosto 2014

Scarpa italiana

Scarpa italiana Non dico certo una cosa nuova affermando che l’Italia è stata sempre all’avanguardia nel campo dell’industria calzaturiera per stile, ricercatezza, eleganza e gusto delle proporzioni. Le nostre scarpe erano notevolmente superiori a quelle indossate dai turisti in visita da noi. Negli ultimi anni, invece molti nostri brillanti disegnatori che operano nell’ambito delle calzature hanno fatto gara ad ideare modelli sempre più insoliti con tacchi che sembrano basi di cemento armato o pezzi di tronco appena segato, con punte che somigliano al becco delle papere o con punte ritorte all’insù come Alì Babà od allungate a dismisura, modello spadaccino. Non sarebbe meglio se i nostri bravissimi designer ricominciassero ad usare la classe della tradizione italiana senza tentare di imitare mode che poco appartengono al buon gusto ed alla nostra cultura, basata su prodotti di qualità e di vera eleganza? Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

L'eleganza

L’eleganza L’eleganza, è innanzitutto un gusto per la giusta dose. Un tailleur delicato, un bracciale grazioso, un paio di orecchini delicati. Questa opinione riguarda anche la maniera di parlare e di scrivere. Una lettera è carina non se è lunga, ma se riesce ad esprimere l’emozione che abbiamo provato nello scriverla. Un discorso è elegante se è di poca durata, perché in questo modo espone senza annoiare l’interlocutore. E così vale per l’arredamento di una casa. L’eleganza di un appartamento non si misura con il valore dei mobili, perché una casa elegante è quella che con i tocchi giusti ci descrive la personalità di chi ci abita. Eleganza è sinonimo di semplicità. Per esempio, l’uomo e la donna eleganti si vestono sempre allo stesso modo. Lo possono fare anche seguendo le trasformazioni stagionali della moda. Mai, però, mascherandosi. Insomma, meno si parla, meno si appare, meno si sfoggia, meno si pontifica è più si è eleganti. Certo se le cose sono anche vecchie valgono ancora di più. Infatti molte cose, ma anche le amicizie, sono più eleganti se vengono da un lontano passato. Il fatto di continuare ad usarle, preferendolo ai richiami della moda, testimonia un’eleganza di pensiero: il gusto per il valore del ricordo. Ma tutto sommato l’eleganza è racchiusa in un concetto molto semplice: essere eleganti significa sfuggire al ridicolo. Sono proprio le persone grossolane che, con il loro sfoggio di abiti, gioielli, parole, gesti, e con il loro modo di farsi condizionare dalle mode e dal pensiero altrui, si trasformano in marionette. La persona elegante è quella che sa essere sempre se stessa, anche con i suoi buchi ai gomiti delle giacche. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Il focolare domestico

Il focolare domestico Ricordo con nostalgia di i cari tempi di una volta, appartenenti alla mia Roma sparita. Rimpiango il focolare domestico, chiaramente danneggiato dall’evoluzione della cucina. Conservo, infatti, un ricordo di questa stanza che è diametralmente opposto alla realtà odierna. Negli anni della mia infanzia la cucina era la stanza più importante della casa, spesso la più grande ma anche la più calda perché all’epoca le cucine erano di ghisa e rilasciavano un tepore costante. Era il regno delle nostre nonne. Il luogo in cui ci si riuniva non solo per preparare i pasti e per mangiare, ma anche per chiacchierare, per fare i compiti al ritorno da scuola, per accogliere gli ospiti quando la sala da pranzo non era stata ancora scoperta! Insomma, era il centro della casa, il luogo in cui respirare gli umori della famiglia. Negli anni ha perso progressivamente questa valenza primaria, forse perché non è più il regno della donna che a casa ci sta sempre troppo poco, o forse perché a casa si mangia sempre meno ed il fornello a microonde la fa da padrone! Quanto ricordi, memorie, nostalgie, rimpianti ho per la vita “de ’na vorta” quando ero un giovane testaccino di un tempo che non c’è più! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 31 luglio 2014

Telefonino, ti odio!

Con un sogghigno ammetto un mio grande difetto: non amo il telefonino! Appartengo a quella esigua minoranza di cittadini che per fare una telefonata vorrebbe ancora usare il telefono pubblico. Ed il mio non è certo un atteggiamento da snob. Cavolo, non credo di essere così raffinato. La ragione per la quale non amo il cellulare è molto più semplice: non mi piace. Il telefonino squilla a scuola, al cinema, al supermercato, al bar, al teatro, in Chiesa. Il telefonino squilla al ristorante e tutti i clienti, simultaneamente, sfoderano il proprio cellulare. E invece, è quello del cameriere. Il telefonino squilla in volo e l’aereo rischia la catastrofe. La gente, oramai, arriva anche a dormire con il telefonino vicino il cuscino, come del resto fanno anche i miei figli Gabriele e Alessandro. Oltretutto induce al turpiloquio. Infatti, con il telefonino siamo sempre in contatto con tutti e tutto: mogli, figli, cognati, ma anche scocciatori vari che riescono inevitabilmente a raggiungerci sempre nei posti più impensati. L’unico vizio che il telefonino non asseconda è l’avarizia. Perché ci fa spendere molto di più di quanto spendevamo prima, usando il vecchio telefono fisso o a gettone. Ma è dal punto di vista macro-economico che il telefonino diventa un vero danno sociale. Infatti da quando ci sono i telefonini, si studia poco, si lavora distrattamente e si produce sicuramente di meno. Perché siamo sempre al telefono per dire, molto spesso, parole inutili. Non dimentichiamoci poi, che, mentre conversiamo, veniamo ascoltati da poliziotti, carabinieri, giudici, agenti segreti, radioamatori e semplici impiccioni, che vivono con l’orecchio incollato ai loro apparecchi d’intercettazione. Ed è per questi motivi che io, invece, vorrei ritornare alle vecchie tradizioni, come facevano i miei genitori e i miei nonni. E, senza la forza di 3 e l’aiuto di Tim, Wind e Vodafone, in un mondo di schiavi della scheda telefonica, vorrei tornare ad essere un gettone-dipendente. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Caso Alitalia

L'obiettivo del Governo è quello di portare a termine con successo il salvataggio di Alitalia, con l'ingresso di un nuovo socio di peso: il vettore aereo degli Emirati Arabi Etihad, intenzionato a rilevare il 49% della compagnia di bandiera. Ci sono però dei problemi. Mentre tutte le sigle sindacali hanno accettato l'intesa per il risanamento di Alitalia, resta l'opposizione dei lavoratori dei trasporti della Uil che, forse per raggranellare iscritti, ha messo in atto una irresponsabile corsa al rialzo, fingendo di non capire che questa alleanza per la compagnia di bandiera à davvero l'ultima chiamata. Se l'intesa con Etihad riesce, Alitalia può sperare di rimettersi in gioco nell'ambito di un mercato sempre più competitivo e dove le dimensioni dei singoli operatori hanno un crescente peso. Se la trattativa fallisce la compagnia verrà progressivamente marginalizzata, con conseguenze facili da immaginare, soprattutto per i lavoratori di Alitalia. Inoltre, altro nodo da sciogliere riguarda il ruolo di Poste Italiane che dovrebbero sottoscrivere una parte dell'aumento di capitale deliberato dai vertici dell’Alitalia. Le partecipazioni sarebbero così ripartite: tra i nuovi soci di Etihad, le Poste ed i vecchi azionisti di Cai, comprese le banche creditrici IntesaSanpaolo e Unicredit. Rimango però perplesso nel sentire che in questa nuova compagnia, secondo le ultime indiscrezioni, le Poste sarebbero disposte a investire fino a 65 milioni di euro, permettendo così alle Poste di comportarsi come una banca privata, rischiando denari in deposito dei cittadini italiani per sollevare l’Alitalia. Mi verrebbe perfino voglia di dire che è ora di finirla di dare soldi pubblici ad imprenditori privati. Del resto siamo l'unica nazione al mondo che ha creato un capitalismo privato con i soldi pubblici. A mio modesto avviso in questo caso potrebbe addirittura trattarsi di aiuto di Stato (ma cosa ne pensa l'Unione Europea?). Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

martedì 29 luglio 2014

Mamma, morta due anni fa

Alle diciotto e trenta di un triste pomeriggio di due anni fa, domenica 29 luglio 2012, all’Ospedale San Camillo di Roma moriva mia madre. Ernesta Aloisi. Moglie di Antonio Valeriano Pulimanti, poeta collevecchiano. Ah. Ok. Madre di Antonella. Madre di Stefano. E madre mia. Il rito funebre era stato celebrato a Testaccio, nella Chiesa di Santa Maria Liberatrice. Il feretro, al termine del funerale, era stato portato al cimitero storico di Collevecchio, in provincia di Rieti. Qui mamma era stata seppellita a mezzogiorno del secondo giorno di agosto di quell’anno. Mi chiedo se sento qualcosa, sollievo, rabbia. Non credo. Provo solo dolore. Questo tipo di cose ti divora dall’interno. Sono passati due anni. Oggi mi trovo a Testaccio con Antonella e Stefano. Ad un bar, sotto casa loro. Durante il caffè e le conversazioni su argomenti leggeri, ciò che è accaduto a mamma è presente, ma nessuno di noi la menziona a voce alta. Forse è bello non parlare delle circostanze che hanno portato alla morte di qualcuno, ma parlare delle cose belle, dei ricordi e di ciò che ci mancherà, ma la verità su mamma, su tutti noi, cresce dentro di me. Dentro di noi. So cosa vuol dire. Abbiamo mai avuto dubbi? Portarla, allora, al San Camillo era stata la cosa giusta da fare? Certe cose fanno male. Fa male la morte di chi si ama. E’ qualcosa a cui non si smette mai di pensare. E’ stata una brava mamma. Sì. E’ vero. Torno a casa. A Ostia. Mi siedo su una panchina del Pontile, terrorizzato dallo scorrere del tempo, dagli istinti. Dal fatto di non avere il controllo di essi. Da ogni piccola scheggia di tempo, la trasformazione di un infinito numero di cellule. Dall’aria che cambia, il mare di fronte a me che è la stesso ma nello stesso tempo non lo è, da mio fratello Stefano che è invecchiato, io che sono invecchiato, impercettibilmente ma inevitabilmente invecchiato, e dal fatto che, in qualsiasi momento, può crollarmi qualcosa in testa dall’alto, e distruggermi. La verità può arrivare tramite un dettaglio, il tempo delle rivelazioni può arrivare e cogliermi impreparato, di sorpresa. Non appena mi sono assicurato che tutto è a posto, che ho io il controllo, questa sensazione lascia il posto a una nuova scheggia, anch’essa insicura, fugace, pericolosa, e come si fa a vivere una vita che appare così effimera, così temporanea? Spesso la notte mi sveglio senza fiato. Mi alzo e mi siedo davanti alla tivvù, tiro fuori il vecchio videoregistratore dall’armadio e cerco i filmati registrati dai miei genitori quando eravamo piccoli. Tengo il volume basso e la luce spenta. Mia madre e mio padre si passano la telecamera, e la famiglia fa cose da tipica famiglia. Filmano me e Stefano che giochiamo con il pallone. Io e Antonella che corriamo al Parco della Rimembranza di Collevecchio. Io e mio padre che giochiamo a ping-pong, mentre mio fratello impara a camminare. Mia madre che fa un filmino di prova con mio padre, hanno appena comprato la videocamera. Cinquant’anni fa. Sembra così giovane. Somiglia a me. Ho cercato qualcosa, un filo conduttore o un dettaglio nella mia storia, che avesse potuto spiegare ciò che era successo, perché era andata così, ma niente. Non ho mai trovato niente. Niente che avesse potuto giustificare la morte di una madre. Ciò che mi fa paura è il silenzio. Non poterle più parlare. Vorrei avere almeno un attimo, mamma, anche solo per dirti ciao. estati. Me ne vado presto dal Pontile, per camminare nel vento verso casa. La morte di mamma mi fa ancora male. Credo di essere un po’ depresso. A volte mi viene da piangere nelle situazioni più strane, e vorrei essere in cattiva salute, vorrei stare per morire. Forse domani, forse non prima di altri cinquant’anni, ma prima o poi il mio corpo cambierà direzione, inizierà l’atterraggio. A parte qualche mal di testa e il fatto che sono ancora un po’ sovrappeso, fisicamente sto bene. Non mi sto spellando in maniera preoccupante, non mi sento raschiare quando respiro, i miei organi interni, il fegato, i reni, tutti eseguono le loro funzioni biologiche come dei bravi lavoratori obbedienti. Mi sembra uno spreco. Non finirò mai di ringraziare i miei genitori, che mi hanno insegnato fin da piccolo l’importanza di poter essere ciò che si è e di trattare gli altri con rispetto e dignità. Sono stati fantastici. Comunque, appena mi muovo un po’ ho subito il fiatone. Cavolo, inizio a invecchiare. Arrivo a casa. Non c’è nessuno. Sul tavolino accanto al comò, un piatto capace ospita tre albicocche, due fette di melone e una d’anguria, e una ciotola di fichi, pesche, mirtilli e ribes. E una bottiglia di Macallan 25 years Anniversary, whisky di puro malto. Papà Valeriano lo adorava perché maturato in barili di quercia. Esco sul balcone. Mamma Ernesta. Mi ha sempre difeso come una leonessa difende i suoi cuccioli, anche a costo di subire biasimi e critiche. Accendo la radio. “…poi mi viene in mente, se mi metto lì a pensare, il bacio di una madre come solo lei sa dare…” Diamine, non potevano scegliere un altro momento per trasmettere “Come Gioielli” di Eros Ramazzotti! Debbo ritenermi soddisfatto, rifletto, di avere avuto una mamma come lei. Lei, che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica. Lei, un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio. Lei, con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino. Lei, che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé. Lei, una canzone nella notte. Lei, una ninna nanna speciale. Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Lei, quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me. Lei, quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare. Lei, il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto. Lei, mamma, una parola: la prima che ho detto. Lei, mamma, un sorriso: il primo che ho visto. Lei, mamma, una voce: la prima che ho udito. Lei, mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato. Lei, mamma, una culla: la prima che ho avuto. Lei, mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere. Lei, che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita. Mi siedo sul divano. Sfoglio un vecchio album di fotografie: qui avevo sei anni. “Vieni!” sembra dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa. Mi manchi, mamma. Improvvisamente mi sento invadere da una torpida sonnolenza. Quando mi addormento, mentre il giorno si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album spiccano ancora le tracce delle mie lacrime. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

lunedì 28 luglio 2014

Invasione dei vu cumprà sulle spiagge di Ostia

Ad Ostia c’è un esercito di venditore abusivi sulle spiagge. Fino a pochi anni fa i venditori abusivi erano gruppi di venditori di collanine o asciugami che transitavano tra gli ombrelloni offrendo la propria mercanzia. Oggi siamo di fronte a un fenomeno diverso: una vera e propria industria illegale dell'abusivismo da spiaggia, con un'offerta sempre più ampia di prodotti e servizi. Non ci sono dubbi che questa realtà, spesso fuori controllo, finisce per danneggiare l'immagine e la tranquillità del nostro Lido di Ostia. C’è anche da aggiungere che sulle spiagge di Ostia non ci sono solo tanti venditori ma anche molti compratori, pronti ad acquistare ed a farsi fare massaggi o tagliare in capelli tra la sabbia, al di fuori di ogni regola fiscale, sanitaria, commerciale. Del resto l'abusivismo sulle spiagge di Ostia sparirebbe se non ci fossero acquirenti. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

venerdì 25 luglio 2014

Sporcizia nella spiaggia libera di Punta Ovest di Ostia

Ostia, vita difficile per chi ama la spiaggia libera di Punta Ovest, che quest’ anno non è più dotata di regolare servizio di pulizia dell’arenile, assistenza balneare e servizi igienici funzionanti. Infatti c’è sporcizia ovunque nella spiaggia libera di Punta Ovest. Niente toilette, niente chiosco e, soprattutto, niente bagnini di salvataggio. Il bando del X municipio che riguarda otto arenili “free” si è chiuso solo il 10 aprile scorso, con annessi ricorsi e ritardi nella consegna dei lidi. Le indagini sui clan malavitosi del lido, che a luglio 2013 avevano decapitato i vertici delle “famiglie” di Ostia, hanno anche portato all’annullamento del primo bando sulle spiagge, oggetto di sospetti e polemiche. La gara, voluta per spazzare via ogni ombra di illegalità, è così però scattata in ritardo sulla tabella di marcia della stagione balneare. Risultato: il chiosco di Punta Ovest è ancora da riaffidare. Ma se questo lotto non viene ridato alle cooperative chi lo pulisce? Campo libero invece ai vu cumprà che, insieme ai bagnanti invadono, oltre alla spiaggia sporca di Punta Ovest,anche stabilimenti e spiagge senza cancelli. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

martedì 15 luglio 2014

Automobilisti aggressivi e pista ciclabile demenziale ad Ostia (e non solo)

Mi accorgo che sempre più spesso ad Ostia (ma sicuramente anche in altre località italiane) gli automobilisti sviluppano un'aggressività pericolosa. Infatti le strade lidensi sembrano diventate arene in cui ciascuno dei frequentatori rivendica un suo predominio e lamenta l'invadenza altrui, pronto a contrastarla anche ruvidamente. Gli automobilisti contro motociclisti, ciclisti e pedoni; i ciclisti contro automobilisti, motociclisti e pedoni; i pedoni contro tutti e talvolta vittime di tutti. In molti casi è difficile stabilire chi abbia ragione e chi torto. La sensazione è che, per evitare tante discussioni e riportare la pace sulle strade, in molti casi basterebbe un po' più di rispetto delle regole e di tolleranza nei confronti degli altri. Per fare un esempio, dal pontile di Ostia fino al porto è stata realizzata una pista ciclabile restringendo il marciapiede per farlo condividere con i ciclisti. Questo é demenziale. Probabilmente chi l’ha fatta costruire pensava più alla pubblicità che ne avrebbe avuto piuttosto al fatto che fosse realizzata in maniera logica. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

mercoledì 9 luglio 2014

L'abito di piume (breve novella autobiografica di Mario Pulimanti)

L’abito di piume (novella breve di Mario Pulimanti) Ostia. Terra di mare. Il sole è intenso. Acque salate, salate come la mia vita. Mi chiamo Mario. Mario Pulimanti. Sono di Ostia. E non sono un bastardo. Nessuno sa niente di me. Mi sono tenuto fuori dai radar. Le persone che hanno conosciuto mio padre, affermano che sono il suo ritratto. Lui, il poeta Antonio Valeriano, ha più volte mostrato il proprio coraggio, ma ancora di più ne ha dimostrato nell’ultima battaglia, quella contro la malattia che nel giorno di pasquetta del novantadue lo ha ucciso, ma non piegato. Se sono in difficoltà, penso: papà ti prego fai qualcosa. Lo so che ci sei, da qualche parte. So che mi vedi. Ho sempre fatto tesoro dei suoi consigli. So quando è il tempo di passare all’azione o di starne fuori. Tuttavia ci sono cose che facciamo perché ne abbiamo voglia e altre che facciamo perché ci tocca. Questione di sopravvivenza. Sono fortemente attratto dalla pittura di rottura, che rifiuta il neoclassicismo ottocentesco vetusto e arrogante. Ammiro l’opera coraggiosa dei primi espressionisti e dei secessionisti viennesi. Mi illumino davanti alle scomposizioni cubiste di Cezanne e Picasso, mi esalto con le pennellate di Van Goch, piango con Munch e le sue angosce dilatate. Ostia. La mente viaggia. Il mio cuore è schiavo. Negli ultimi tempi fluttuo in un mare di dolori fantasma e sensazioni fasulle, create dal cervello per tormentarmi e confondermi. Sento il solletico di una mosca anche se non c’è nessuna mosca. Sono sempre più distratto. Non riesco ad agire perché per tutto il tempo, nonostante gli scoppi d’indignazione, penso di commettere un terribile errore, una sequela di terribili errori. Le cose non possono stare come io sono sempre più certo che stiano.“Che cosa sto facendo?” mi chiedo sgomento mentre ritraggo il pugno che ha appena sfiorato la parete, contrito. Chiaramente non sono saggio come Marco Aurelio Antonino, imperatore filosofo e valoroso. Non so tenere una conversazione brillante, ma forse un ho pregio ce l’ho: sono abituato a contare solo su di me senza aspettarmi mai favori piovuti dal cielo, come mi aveva insegnato Nonna Jole. Non posso dimenticarmi il suo volto saggio e profumato, gli occhi celesti e i capelli grigi raccolti dietro la testa. Brrr. Mi sento gelare a questi ricordi. Lasciamo stare. Ostia. Sentimenti avvelenati. Impossibili. Impotenza di fronte ad eventi ruggenti. Caos oscuro. Non avverto nulla e mi rendo conto in ritardo al bar che una tazza di caffè bollente mi si è rovesciata addosso e mi sta ustionando. Comincio a analizzare ogni mio pensiero, cercando qualcosa di anormale o di alterato. Mi costringo a star sveglio di notte perché ho paura dei miei sogni. I sogni sembrano reali e non lo sono, e mi rendo conto che sono molto vicini alla pazzia. E poi, a casa sono un disastro. Così come, sul versante femminile, esistono le mani di fata, su quello maschile esistono gli uomini veri, quelli da amaro Montenegro, capaci di salvare cavalli ma anche di aggiustare oggetti, di riparare guasti domestici, di lavare i piatti e di cucinare. Io, ahimé, come molti altri uomini, non appartengono a questa categoria. In realtà so fare tante altre cose. Leggo moltissimi libri e me li ricordo. Credo di cavarmela con la scrittura e malgrado quello che dicono certi miei colleghi, penso di lavorare con impegno e con discreta abilità. Faccio delle belle fotografie. E poi quando c’è da bere e da mangiare sono un vero professionista! Ma, come dice mia moglie Simonetta, in tutto il resto, o quasi, sono un disastro. E quando dico disastro non esagero. Perché la mia vita è punteggiata, quotidianamente, da sconfitte imbarazzanti. Prendiamo la botanica. Vi dico subito che Simonetta ha il pollice verde. Ogni pianta che lei mette in casa diventa un baobab. Io, invece, sono una catastrofe vivente. Ogni pianta che metto in ufficio muore dopo pochissimi giorni. Sono l’Attila delle azalee, dei ficus e degli oleandri. Passiamo alla cucina. Per sintetizzare il mio rapporto con i fornelli sarò esplicito: non so cucinare nemmeno un uovo al tegamino. Quando prendo in mano una padella divento Fantozzi. Confondo il sale con lo zucchero. Mi brucio le mani quando scolo l’acqua della pasta. E le poche volte che ho provato a cuocere una bistecca i vicini hanno chiamato i pompieri per via del fumo, che ho provocato nel palazzo. Poi c’è il bricolage. Se c’è da attaccare un quadro mi prendo a martellate da solo. Se devo bucare una parete col trapano mi ritrovo nel salotto dei vicini di casa. Non parliamo dei miei maldestri tentativi quando c’è da sturare un water: provoco un maremoto e allago l’appartamento. Se cerco di aggiustare una presa elettrica faccio saltare la corrente in tutto il quartiere. E pensare che ero stato sul punto di rifarmi da solo l’impianto elettrico di casa. Già, prima che i miei, saputolo, fuggissero in una sperduta isola dell’Oceano Indiano. Un ottimo motivo per cambiare subito idea e chiamare l’elettricista di fiducia, certo! Da solo non riesco a mettermi un cerotto al dito. E se prendo in mano un tubetto di attaccatutto resto per tre giorni con il pollice incollato all’indice. Piuttosto che cambiare una gomma della mia automobile, vendo l’automobile. Perché potrei restare lì, a combattere col crick, per intere settimane. Impazzisco quando c’è da registrare qualcosa in Tv usando il timer. Se decido di registrare un film mi ritrovo sul nastro un documentario sulla vita delle renne nella Lapponia orientale! A Pasqua sono andato a trovare mia suocera a Collevecchio. Ho fatto tutto quello che c’era da fare: zappare, potare, ripulire, non dovevo avere rimorsi di essere accusato di stare seduto con le mani in mano. Senza scompormi, vi avviso che mi sono tagliato un dito. Ho acceso il fuoco nella sala da pranzo: è stato purtroppo necessario l’intervento della Protezione Civile. Ho sbagliato, a quanto pare. E a mia moglie che mi inseguiva facendo dondolare pericolosamente l’accetta che teneva in mano, fischiettando allegramente le ho fatto presente che doveva, invece, premiare il mio piccolo sfoggio di zelo. Anche se, tuttavia, non è passato inosservato e ha fatto qualche danno. Vero, posso però dire che mi sento più a mio agio con penne e matite. In fin dei conti, nessuno è perfetto! Ho due figli. Gabriele, detto Gabry. Alessandro, detto Alex. Gabriele, il mio primogenito, è nato a Roma, all'Ospedale San Giacomo, alle 20 e 30 di sabato 18 ottobre 1986. Mentre nasceva, la TV stava trasmettendo la sigla di apertura della trasmissione”Fantastico 7” con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini, Alessandra Martines, il Trio Lopez-Marchesini-Solenghi e Nino Frassica. La sigla era “Tutto matto” cantata da Lorella Cuccarini. Gabriele non ha paura di dire ciò che pensa. Lui esprime sempre le sue idee. Però non è uno sconsiderato. Sostiene che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori dal suo controllo, come foglie al vento. Una verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale. Ecco perché non parla di politica fuori di casa. O con estranei poco affidabili. Alessandro, il mio secondogenito, è nato a Ostia, all'Ospedale Grassi, alle 4 del mattino di mercoledì 9 novembre 1994. Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo splendido brano di Willie Nelson "Georgia in my mind". Sono cose che succedono. Di rado, certo, una volta nella vita, forse due, ma posso assicurarvi che succedono perché è successo a me. Non ci potevo credere neppure io, eppure ero lì: la mattina del nove novembre all’ospedale Grassi di Ostia, una buona struttura idonea a favorire un trattamento più umano del paziente. Era il 1994. Il calendario della Chiesa Cattolica Romana, festeggiava Sant’Oreste di Tiana medico morto nel 304 martire in Cappadocia, durante la persecuzione di Diocleziano. Torturato e martoriato con i chiodi perché non rispettava i principi deontologici della corporazione dei medici pagani, che nella sostanza praticavano la stregoneria facendosi pagare lautamente dai loro pazienti. Ero appena uscito dall’Ospedale. Stavo rientrando a casa. L’autoradio mi stava facendo ascoltare Willie Nelson che cantava “Georgia on My Mind”, la canzone ufficiale dello stato degli Stati Uniti della Georgia. Erano le 5 di un mattino piovoso. Due ore prima era nato Alessandro. Ostia. Guardo il tramonto. Sono avvolto dalla bellezza di quegli attimi. La mia mente è altrove, viaggia in un mondo fantastico. Nel frattempo mi abbandono nella mia poltrona preferita, con in mano una tazza di caffè nero bollente. Chi sarà questa settimana il segno piu’ favorito dalle stelle? Diamine, il Sagittario! Il mio segno. La mia vita non è poi male, alle volte. Prendo il giornale sportivo e per dieci minuti mi dedico alle rivelazioni sconvolgenti che i cronisti di questa testata sono in qualche modo riusciti a mettere insieme. Ci sono molti articoli sfiziosi e ne comincio uno sulla segreta destinazione di Lionel Andrés Messi per il prossimo anno. Juve, Chelsea o Manchester City? O rimane al Barcellona? Ma la storia mi annoia dopo pochi paragrafi. Ho ragione ad essere arrabbiato. E’ scritta con i piedi e, cosa più grave, per niente stuzzicante. Finisce sempre così. Io in realtà non apprezzo questa specie di semi-verità addomesticata; personalmente voglio cose forti o proprio niente. Non comprerò più questo giornale. Però è una decisione che ho già preso molte volte. E so che domani ci ricadrò come uno stupido, attratto ancora una volta dalle salaci promesse della prima pagina. Spalanco la bocca: Cristiano Ronaldo al Milan? Ma per oggi ne ho già avuto abbastanza. Al punto che degno appena di un’occhiata fuggevole la fotografia di una seducente promessa del cinema che mostra metà dei suoi seni da un milione di euro a un fuoriclasse dell’Inter. Dopo aver come al solito archiviato la pagina del golf nel cestino della spazzatura, passo al quotidiano normale. Mi sconvolge la scoperta che quasi sicuramente Renzi diminuirà le tasse. Bene….Bene….Molto bene…Ottimo…. Nelle pagine economiche si parla della Merkel. Che palle! E poi mi considero romano doc, che me ne frega dell’Europa! Io, nativo dello storico rione del Testaccio con discendenze trasteverine, cresciuto nel quartiere “giardino” della Garbatella e, dopo essermi sposato da 30 anni, residente ad Ostia “il mare di Roma” -e, quindi, profondamente romano e ben lieto di esserlo- posso, a ragione, affermare che noi romani, da più di duemila anni, a torto o a ragione, ci sentiamo superiori a tutti. E’ un atteggiamento che fa parte della nostra storia, del nostro carattere e del nostro modo fanfarone, ma sincero, di affrontare la vita. Ce lo vedete un romano fare la fila alla posta di Testaccio come Mr. Jones al post office di Kensington? Ce lo vedete un romano parcheggiare la sua automobile come un danese a Copenaghen? O ridere delle insipide barzellette fiamminghe? E quando va in spiaggia vestirsi come quei tedeschi con sandali e calzini che incontri non solo sul lungomare di Ostia, ma anche, con lo stesso look, nel centro di Roma? No, non è bastato certamente l’euro a convincerci che un wurstel vale una coscia d’abbacchio né che la pancetta con le uova fritte sia più saporita dei rigatoni con la pajata o della coda alla vaccinara che cucinava mia nonna Jole. E, fortunatamente, allo stesso modo la pensano anche i miei figli Gabriele e Alessandro e tanti loro amici. Il romano è un osso duro per l’Europa. Prima di piegarci ad un nuovo modo di vivere e di pensare passeranno molti anni, forse diverse generazioni. E, probabilmente non ci riusciranno mai! Del resto “civis romanus sum! Alla faccia di Angela Merkel. Alla faccia del bicarbonato di sodio. Alla faccia dell’Europa! L’inserto culturale parla di Carosello. “Siamo alle solite Calimero, tu non sei nero sei solo sporco, Oplà”. La pubblicità rappresenta epoche della nostra vita più di altre forme di comunicazione. Carosello, per esempio, ha segnato un’epoca nei costumi e nelle abitudini sociali degli italiani. Di fronte agli spot dei nostri giorni, è difficile non provare nostalgia per la genialità o la sobria eleganza di alcuni dei messaggi di Carosello. Da “la pancia non c’è più” al caffè di Carmencita, da Calimero a “basta la parola”, una galleria dei motti e delle immagini che hanno segnato l’infanzia di molti. “Laggiù nel Montana fra mandrie e cowoboy c'è sempre qualcuno di troppo fra noi.... e vedendo la carne Montana che stringo alè vengon tutti a mangiare con Gringo”. Olivella sposina novella, El merendero, Cera liu', Caramelle Ambrosoli, materassi Permaflex, Caffe' Paulista. Vecchia Romagna con Gino Cervi, Cynar con Calindri..il logorio della vita moderna. Lagostina, Ava come lava, con quella bocca può dire ciò che vuole ... "Miguel son sempre mi"... Ma Carosello, ormai, fa parte della storia del costume prima che di quella della pubblicità. Il cui principale obiettivo è far conoscere marchi e vendere prodotti. Perciò, accontentiamoci degli spot moderni. Noiosi, invasivi. Scoccianti. Rivoglio Carosello. Rivoglio quella televisione. E,... dopo Carosello tutti a nanna! Un altro articolo parla di erotismo. La libido vacilla e il talamo annoia al punto tale che neppure la più sensuale delle guepière riesce a risvegliare gli stanchi sensi. Certo, non è ancora arrivato il momento di mettere la sensualità in pensione. Ehilà, basta affinare la fantasia e trovare nuove rotte. E se il letto annoia, il divano é troppo scontato e la casa non è dotata di un ascensore che prometta una bollente risalita, ecco sbucare dal cilindro la “sexy room” del momento. La cucina. Sì, proprio il regno della casalinga, quello fatto di pentole, mestoli e coltellacci. Tra un minestrone che bolle e un brasato che si rosola la fantasia erotica galoppa, quasi a far invidia a Jack Nicholson e Jessica Lange, magistralmente avvinghiati su un tavolino dopo che lui ha trillato il campanello per ben due volte. Non è la perversione del momento, ma è la nuova tendenza del sesso domestico. Nei sogni di noi italiani a quanto pare le lenzuola di seta, gli avvolgenti materassi ad acqua e i celebrati effluvi di N.5 hanno lasciato il posto a tovaglie quadrettate, ampi grembiuli, zaffate di aglio e peperoncino e tavoli sui quali… consumare. Del resto con il frenetico modificarsi della vita non poteva che cambiare anche l’uso dello strumento che ci appartiene di più: la nostra casa, appunto. Sfidando le ire dei nutrizionisti ormai si mangia in salotto, davanti a maxi schermi che lasciano i più con la forchetta sospesa tra una soap e una partita. Le camere da letto sono diventate delle biblioteche, sommerse di riviste, libri, computer portatili e blocchi notes: letti come immense scrivanie dove tra penne e quotidiani anche il più ben disposto degli spiriti cerca un’altra strada. Non rimane che la cucina: avvolgente, calda, sensuale, ahimè spesso disertata dalla donna che trascorre ormai la maggior parte del proprio tempo fuori casa. Bisognava pur consegnarle un nuovo ruolo. E cosa c’è di più nobile di votarla a talamo: luci soffuse, profumi che se non inebriano i sensi senza dubbio stuzzicano l’olfatto e il gusto, qualche fantasia la fanno pur venire. Diciamolo, gli ingredienti ci sono tutti, basta saperli cogliere: i grandi amatori teorizzano da secoli che il sesso va giocato coinvolgendo tutti i cinque sensi. E se poi si vuol strafare, si possono allargare gli orizzonti, d’altra parte le moderne soluzioni di design di spazi sui quali accoccolarsi ne offrono più d’uno. Il tavolo è scontato? C’è il piano lavoro, ci sono le sedie che diventano sempre più poltrone e meno sedili. Insomma, aguzziamo l’ingegno. Un solo piccolo accorgimento. Occhio ai nuovi spazi, oggi tanto di moda: se le alcove infatti avevano il dono della privacy, la cucina e gli spazi aperti non si sono ancora attrezzati, e con porte inesistenti e ampie vetrate come vuole la moda, è molto facile passare da un momento di intimità ad una pubblica esibizione. Questo sì che sarebbe fare una frittata! Leggo poi gli articoli principali e quasi tutte le recensioni letterarie e cinematografiche, tento senza successo di trovare una soluzione ad un enigmatico rebus, mi blocco sul tre verticale del cruciverba della penultima pagina e infine arrivo alla pagina dedicata alla lettere e alla medicina: sempre gli stessi temi, ma con una buona dose di sano buon senso. Poi il mio sguardo è attratto da una lettera. Mi raddrizzo sulla poltrona per leggerla e sul mio volto compare un’espressione perplessa. E’ della direzione generale dei trasporti comunali che risponde a una mia breve missiva sui cronici ritardi della metro di Ostia. 27 giugno, sì mi sembra proprio che sia stata pubblicata quel giorno. Cavolo, dicono che la metro di Ostia è sempre puntuale e che le corse non vengono mai soppresse. Emetto un fischio sottovoce e lentamente digerisco la replica del Cotral. Che bugiardi! Ora sarà meglio rispondere con una nuova lettera di denuncia, però non mi ricordo bene cosa abbia scritto su quella precedente. Meglio ricontrollarla. Mi avvicino a un’alta pila di giornali legati per bene con una cordicella, appoggiata per terra nell’ingresso accanto alla porta. I boy-scout passano a ritirarla una volta al mese e io, anche se personalmente non sono mai stato un lupetto, entro certi limiti approvo questa organizzazione. Strappo bruscamente la cordicella e mi metto a frugare tra i giornali. Venticinque, ventisei, ventotto giugno. Ma niente ventisette. Magari l’ho buttato via con una pila precedente. Maledizione. Guardo un’altra volta, ma non c’é. La lettera non l’no nemmeno salvata sul pc. Decido allora di lasciar perdere e di non replicare, anche se prenderei volentieri a calci nel sedere i gestori della metro del Lido. Che dite, amici? Non posso uscirmene con affermazioni del genere senza un minimo di prove! Sì, avete perfettamente ragione. Ma quello che mi premerebbe ribadire è l’enorme disagio a cui andiamo quotidianamente incontro noi poveri pendolari della Roma-Lido. In parole povere, è un sevizio scadente. Però, che vita la mia. Ahimè a volte mi viene da abbandonare ogni speranza, sedermi tutto solo in un garage buio, o usare il gas della cucina, o semplicemente tagliarmi la gola e morire. Improvvisamente mi viene la pelle d’oca. Sento una strana stretta alla gola e un lungo brivido mi corre lungo la schiena. Meglio lascia perdere con questi pensieri. Arriverà la fortuna anche per me. Lo sento. E sarà in pigiama di seta, quando arriverà. Non può che essere così. Non può che essere così! Poi mi alzo e vado in cucina. Appoggio il gomito e guardo fuori dalla finestra. Mi siedo. Mmm….alzo la testa e mi appoggio allo schienale della sedia traballante. Sfoglio una rivista che è sul tavolo. Un sorriso delicato e sognante si disegna per un attimo sulle mie labbra. In copertina, Nicole Kidman. Grande attrice, bionda naturale. Anche se un po’ piatta di seno. Ma di una tale sensualità… Una regina del cinema. Cinema! Teatro! Ostia. Mi fermo in attesa di una profumata brezza di mare. Delicata sul mio viso bagnato. Di lacrime. Ora ricordo: prendo il cellulare e telefono al teatro di Ostia Antica che, come di consueto, ospita la stagione estiva in quello che è il teatro sotto le stelle nell’incantevole scenario degli scavi archeologici. Il direttore artistico della rassegna, Pietro Longhi, ha approntato un cartellone di primo piano con spettacoli ed interpreti di grande livello, a cominciare da quello che il 19 luglio vede protagonista il direttore artistico del teatro Nino Manfredi, Felice Della Corte. Felice Della Corte sarà sul palcoscenico del teatro di Ostia Antica assieme a Pietro Longhi; porteranno in scena “I fratelli” di Publio Terenzio Afro con la regia di Silvio Giordani. Tra gli interpreti anche Filippo Valastro. Da non perdere! Prenoto quindi un posto per sabato 19 luglio. Ma che cavolo! Ora mi sento in pace con me stesso e con tutto il mondo. Vado in cucina. Mi siedo a riflettere davanti a un bicchiere d’acqua. Prendo del ghiaccio per raffreddarla, altrimenti mi sembrerebbe tiepida come urina di cane. Pochi passi e sono nell’altra stanza. Sul tavolo c’è una rivista di Alessandro, “Storia Illustrata”. La sfoglio, distrattamente. Cavolo, la storia del Minotauro, del labirinto e del filo di Arianna. Secondo il mito, il Minotauro venne concepito da Pasifae, moglie di Minosse re di Creta, che per accoppiarsi con il toro di cui si era invaghita entrò nel simulacro di una vacca, costruito appositamente per lei dall’architetto Dedalo. Rinchiuso nella camera segreta di un impenetrabile labirinto, il frutto di quella unione bestiale –un mostro dal corpo umano sormontato da una testa di toro- pretendeva ogni nove anni in sacrificio sette fanciulli e sette fanciulle greci. A ucciderlo fu infine Teseo, che uscì indenne dal labirinto grazie al filo di cui lo aveva provvisto Arianna, la figlia del re che dell’eroe si era perdutamente innamorata. Già, l’amore! Bella storia! Esco in balcone. Gli attori ci sono tutti, penso. La commedia può cominciare. Sto prendendo coscienza della vulnerabilità e della fragilità dell’essere umano al cospetto di una natura rigogliosa e brulicante di insidie. Sottili stupori. Normalmente sono risoluto a vedere il bicchiere mezzo pieno anche quando altri lo avrebbero trovato quasi vuoto. A volte, però, il Fato capriccioso si diverte a far cadere sull’ottimismo la mannaia pesante di un colpo inatteso. Soprattutto se c’è qualcuno che mi trama contro alle spalle. Maledetto lestofante! grido furioso. Puah, niente attenuanti. Stavolta ti spello. Ti metto in croce. Ti inchiodo al remo. Ti faccio a fette. Ti affondo nelle miniere di sale. Ti getto in pasto ai coccodrilli. Ti lapido. Proprio così! Poi esco di casa Entro nel mio bar preferito. Il Bar Magnanti di Piazza Scipione Africano. Quello di Gioacchino Fabione sta sorseggiano l’ottimo caffè di Carmelo. Cavolo, un metro e sessanta per 110 chili! E’ in compagnia di una bella ragazza, di almeno trent’anni più giovane di lui. Sorridendo, mi presenta Alina, rivelando una bocca piena di denti di un bianco lucente. “E’ una ragazza rumena, di Bucarest” mi dice, stringendosi sulle spalle sproporzionatamente larghe. Reprimo un forte desiderio di piazzare un pugno su quella faccia ghignante. Salutati Fabione e Alina, entro nello stabilimento “Anema e core”. Immergendomi nel profumo del vento mi siedo sul mio solito lettino. Telefono a un amico. Nessuna risposta. Forse sta facendo un riposino post coitum. Intorno a me, indolenti nuvole grigie sembrano galleggiare nell’aria, sospinte dal vento umido, leggero. “No, Mario” mi dice il vento. “No, ascolta: non puoi cambiare la realtà”. Sorrido: “Non temere, vento. Non ci sono problemi. Come vedi, non devi preoccuparti di nulla”. Sono stanco di vivere nell’incertezza. Decido saggiamente che è preferibile rallentare il passo, piuttosto che importunare chi mi condanna. Detesto caldamente le polemiche. Evito di fornire troppe spiegazioni. Senza ostilità, me ne vado. Nella luce luccicante diffusa dal mare. Dimenticando ogni cosa. Lentamente. E adesso? Nessun pensiero, se non quello di stare lì, attendere. Smetterò di sbirciare l’orologio. Non zoppicherò. E, poiché di fantasia ne ho, mentre prendo a calci la realtà, comincio immediatamente a immaginare come potrebbe essere una vacanza a Collevecchio. O vivere sopra l’arcobaleno. Over the rainbow. Toh, guarda chi c’è proprio lì davanti a me. Sandro con la moglie. Sandro, un uomo potente, a differenza di me… Il classico uomo, di quelli che ti sembra strano che siano stati anche loro bambini. Ti dava l’idea di esserci sempre stato, di essere stato sempre così. Anch’io, che l’ho conosciuto, mi ricordo che a tredici anni era più o meno come quando ne aveva quaranta. Alto, secco, con un ghigno da faina e gli scrupoli morali di un colone delle delle SS. Se io non lo faccio a te, prima o poi te me lo fai a me. Era questo il suo motto. Uno così deve mettere su famiglia per forza. E una bella famiglia. Si è sposato giovane con una ragazza timida. Una di quelle bambine brave che quando sono piccole fanno quello che dice il papà, e quando crescono fanno quel che dice il marito. Umile, discreta, al suo posto. E brutta. Brutta come una giornata senza pane. Li saluto e continuo a passeggiare. La vita, si sa, è fatta di aspettative. Si può essere felici nella vita? A volte sì. Stare in compagnia è meglio che stare da soli. Grazie al cazzo, direte voi! Ohi, ohi, immerso nei miei pensieri non mi accorgo di essere andato addosso a un ragazzotto. Ci sono persone con cui si può essere scontrosi impunemente, e persone con cui bisogna avere delle cautele. “Senta, signore, giochiamo a capirsi. ……faccia un po’ di attenzione…!” Se, per esempio, siete un cinquantaseienne, fuori forma e con un ginocchio indolenzito, e la persona con cui dovete discutere è un ragazzotto cubiforme con il naso rotto, le orecchie a cavolfiore e un avambraccio tatuato con una svastica, un pochino di prudenza non fa male.. “Guardi, scusi, non l’avevo vista…” E batto in ritirata. All’improvviso decido di andare a trovare Federico. Abita in via Domenico Baffigo. Zona Ostia ponente. Mi reco prima alla succursale della Banca Antonveneta, situata lì vicino, e mi soffermo come tutte le settimane davanti al tabellone su cui sono esposte le quote della Borsa del giorno, qualsiasi sia, perché ogni settimana compaiono sempre le stesse. Questo, secondo me, presagisce tre cose: il tracollo della Borsa, la caduta del Governo Renzi o la morte dell’impiegato che si occupa del tabellone. Ciononostante, prendo nota con la massima cura e mi soffermo a riflettere neanche dovessi fare un importante investimento. Infine mi dirigo a passi brevi verso la zona del porto, dove abita il mio amico. L’ambiente così variegato mi stordisce più del solito. Ci sono curiosi, gente a passeggio, barbieri disoccupati, promotori finanziari che frugano nei cestini dei rifiuti e persino qualche puttanella che arriva, piena di legittima speranza, dalla periferia di Acilia. Ci sono anche naturalmente, turisti giapponesi, a dimostrazione che Ostia ha un avvenire. Disturbato da tanta confusione sento quel che sento sempre in questa zona: che inizia a perdere pezzetti di me. Penso di scendere fino a Viale del Sommergibile, dove i marciapiedi sono ampi e permettono di osservare la gente, ma sono spaventato dalla folla che posso trovare in questo centro del mondo, sicché mi infilo in un bar e chiedo un caffè ristretto. E’ un bar molto piccolo, appena un segmento della portineria dell’immobile. Bevo il mio caffè, commento con il proprietario gli interessi bassissimi del denaro investito in obbligazioni e esco per comprare il quotidiano in un’edicola che occupa una parte della portineria di un altro condominio. Esco dal bar e giungo in Via Marino Fasan. Qui ci sono due grandi zone: quella inferiore, del parcheggio, in cui dormono le auto; e quella superiore, delle panchine della piazza, in cui dormono i pensionati. I pensionati non hanno nulla da fare tranne alimentare la speranza segreta che muoia prima il tizio seduto di fianco. Federico abita nella zona più centrale di Nuova Ostia, in un palazzo super sfruttato facente parte delle case ex-Armellini, costruite con pessimo materiale e da sempre note per questa caratteristica in cui ci sono due pensioni, lo studio di un dentista, lo studio di un amministratore, quello di un avvocato, il tempio di una lettrice di tarocchi, una casa di appuntamenti, l’atelier di un sarto di paramenti sacri e lo scantinato del veggente Morgan. Il piano terra, anch’esso ampiamente utilizzato, lo occupano un orologiaio, una caffetteria, un bingo, un ufficio di collocamento e un gioielliere confidente dei Carabinieri. La porta è semi aperta. Busso. Nessuna risposta. Timidamente, entro nella casa dove Federico vive con la giovanissima e splendida seconda moglie ucraina. Vedo spuntare da un lato del letto un paio di gambe snelle e lunghe, un pezzetto di gonna dai colori sgargianti, il rettangolo di un pube nudo e un paio di mutandine buttate sul comodino. Le due gambe di donna si dirigono verso di me: lunghe, sensuali, carnose. Al di sopra delle gambe, c’è qualcos’altro: un volto ovale scuro, tostato dal sole e avvolto in una capigliatura bionda. La proprietaria delle gambe e del volto si presenta: dice di chiamarsi Valiusha, moglie di Federico. Lui non c’é. Gli ha telefonato la sorella per un motivo urgente ed è dovuto andare subito da lei, a Fregene. Valiusha é pettinata all’ucraina: una superficie liscia e severa raccolta in uno chignon, come quello delle dame vittoriane. Non deve superare i trenta anni. E’ seminuda. Indossa una finissima camicia da notte, ma solo fino al pube: sotto l’orlo spuntano le pieghe dell’inguine, insinuatrici di cellulite e di altre sostanze poco raccomandabili. L’ho sorpresa in pieno sonno. Chiede se voglio un caffè, retrocedendo di un passo. Le dico che vado di fretta. Lei si appoggia di schiena alla parete, ansima, piega una gamba nuda, mostra la curva del culo nudo, esibisce i danni che ha lasciato la buona tavola. Mentre mi saluta, per un attimo mostra inavvertitamente il suo culo di marzapane e il suo pube di seta. Esco, avendo ancora negli occhi la sua retroguardia lunare, la vita stretta e giovane e le gambe, sicuramente guardate di sottecchi da eserciti di uomini, assessori e preti. Valiusha, complimenti: un culo perfetto e abbondante è un miracolo. Solo una donna su cento ce l’ha. Sono di nuovo in strada. Nuova Ostia: un mondo pieno di vita, di sacrificio, di peccato e di speranza. Intorno a me, turisti pidocchiosi, poeti in vendita al miglior offerente, sindacalisti intenti a redigere un manifesto in cui chiedono la giornata lavorativa di due ore. Qui circoli culturali e sezioni politiche coesistono fianco a fianco con i negozietti a gestione familiare in cui si possono cambiare assegni,pagare bollette e comprare parrucche, artigianato africano, liquori e mobilio vario. Molti degli edifici più vecchi sono deserti e parecchi sono recintati o sigillati da porte metalliche coperte di graffiti. Dietro le strade più affollate, elettrodomestici a pezzi aspettano che qualcuno venga a razziarli e la spazzatura si ammonticchia agli angoli delle case e davanti ai marciapiedi. Erbacce e giardini di fortuna invadono i lotti abbandonati. Le affissioni reclamizzano gli spettacoli dei teatri di Ostia, il Pegaso, il Fara Nume, Affabulazione, il Dafne, il Teatro del Lido, ma anche il più importante Teatro Nino Manfredi, mentre centinaia di manifestini coprono pareti e staccionate, annunciando spettacoli e show di qualche compagnia locale di attori semisconosciuti. Tornando indietro, verso Via della Corazzata, lo scenario cambia: gli edifici deserti sono stati abbattuti o ristrutturati, i cartelloni fuori dai cantieri mostrano quali residenze idilliache presto rimpiazzeranno le costruzioni preesistenti. Difatti la zona appena limitrofa a Corso Duca di Genova è bella e alberata, con marciapiedi puliti. Le file di vecchi edifici sono in buone condizioni. Prima di arrivare sotto il mio portone c’è un palazzo di arenaria, con la facciata ricca di decorazioni scolpite nella pietra ed il ferro battuto di un nero lucente sotto il sole della tarda mattinata. E più avanti due splendide palazzine risalenti agli anni sessanta. Mi fermo vicino a quella di destra, davanti alla fermata dello 01. Ecco, questa è casa mia. Cavolo, proprio sotto casa mia mi imbatto in Francesco e Renato. Francesco é stato lasciato da Dana. Giovane e russa. E vegetariana. Cerco di fargli coraggio. “Che si ficcasse in culo” risponde. Vuol fra credere che per lui sia una storia passata. “Fanculo ai cattivi ricordi” grugnisce. Ma io sono sicuro che è ancora innamorato di lei. E sono sicuro che stia soffrendo. E soffrirà ancora di più domani: il ricordo col tempo fa male. Molto male. “Ultimamente la vedevo poco” continua “E quando la vedevo si comportava come tutte le ragazze di oggi: mi mandava a quel paese”. “Lascialo perdere” brontola Renato. Novantenne bolognese. Amante dei sigari toscani. Comandante della Brigata partigiana Stella Rossa “Lupo”. Renato ride con la sua risata sana e profonda, che ha attraversato anni difficili, tempi della guerra, di picconi e di pale, di spazzoloni e di fame, di quando si è giovani, si ha solo un’ora libera e nulla da mettere sotto i denti, e allora si ride così. “Non penso che Francesco stia bene” dico. “Ma che importa? Era difettosa: non portava nemmeno il reggicalze. Però aveva bel culo” dice il vecchio partigiano. “Sei cinico, Renato. E pure irriverente” “Ma no! Ogni volta che muore un mio amico vado al funerale”. Il sigaro è arrivato a metà. Francesco intanto lo guarda con uno sguardo poco soddisfatto, come si guarda la fidanzata di cui si conosce già più di metà corpo. “Insomma smettetela di parlare di Dana: brutta troia” “Non è necessario che la insulti. Sta calmo. Non ti agitare. Pensa invece al governo Renzi. Le sue parole contengono elementi allucinogeni, affinché la gente creda alle cifre ufficiali sull’aumento del costo della vita” risponde Renato. “Ma che sciocchezze stai dicendo” dice Francesco. “Invece io penso che Renato abbia ragione. Questo governo ha deluso anche me” faccio io. “Bravo Mario” risponde il vecchio comandante “E poi dovete sapere che la vita bisogna guidarla, non farsi guidare da lei”. “Certo” risponde Francesco “Però c’è ancora qualcosa che continua a puzzare. Forse è la storia della mia vita che puzza. Puzza di Merda”. “Smettila, Francesco. Dovevi sapere che non puoi ingannare una vegetariana: prima o poi mangia la foglia…. andiamo invece a farci una bella bevuta al bar di Gioacchino”. Mentre entriamo, mi rivolgo a Francesco “Devo imparare a ricordarmi dei funerali, per quando ci sarà il suo”. Torno a casa. Arrivo al portone. Entro. Salgo le scale. Incontro Alex. Vicino a lui, una giovane coppia di condomini. Lei, color coscia di ninfa emozionata, teneramente abbracciata a lui, il cui viso paffuto fa pensare a un cherubino trombettiere. “Tu sei il mio destino. Ed io il tuo” si sussurrano. Li saluto. Poi Alex ed io entriamo a casa. Chiudo bene la porta d’ingresso. Alex dice: “Insomma, papà, mi spieghi perché, se mi prendo una cotta per una ragazza divento più scemo di un pollo e meno intraprendente di una vongola?”. “In che senso?”, rispondo incredulo. “Ti sto dicendo che la ragazza che amo diventa la ragazza a cui non mi avvicino, a cui non rivolgo più la parola, di fronte alla quale distolgo lo sguardo. In fondo non è diverso dal comportamento che avresti verso una ragazza di cui non ti importa niente”. “Come sarebbe?” “Sei un idiota papà”. In questo periodo le conversazioni tra di noi di rado durano più a lungo. Faccio una doccia. Bevo un bicchiere di cognac. Poi la grande decisione. Debbo dedicarmi al bricolage domestico. Mi sento felice, più felice di quanto non mi sia sentito da molti giorni e molte ore. Non so cosa mi spinga, dopo sei mesi di buoni propositi e tergiversazioni, a riparare il buco sbrindellato sopra la porta della cucina nel punto in cui l’elettricista ha portato i fili per un nuovo allacciamento. Comunque, va tutto per il verso sbagliato sin dal primo momento. Lo stucco in polvere, comprato quasi due anni prima, si è indurito come un blocco di cemento e la rudimentale scaletta che ho in casa non è mai stata stabile sulle sue gambe traballanti. Ma qualunque sia stato il motivo del mio improvviso bisogno di riempire quel maledetto buco, sprofondo in verticale dalla cima della scala, come un paracadutista in caduta libera. Cado sul piede destro con dolore lancinante, resto a terra per un paio di minuti con un senso di nausea, asciugandomi il sudore freddo che mi si forma sulla fronte, e finalmente zoppicando riesco a raggiungere la sala da pranzo dove, con il fiato grosso, mi siedo sul divanetto. Dopo un po’ il male si attenua e mi sento alquanto rassicurato, ma mezz’ora più tardi compare il gonfiore mentre fitte strazianti e improvvise mi tormentano il collo del piede. Riuscirò a guidare? So che è assurdo solo provarci. Sono le sette di sera di giovedì 10 luglio. MMXIV. C’è solo una cosa da fare. Arrancando e barcollando raggiungo il telefonino e chiamo Gabry. E, nel giro di mezz’ora, mi ritrovo a sedere sconsolato nella sala d’aspetto del pronto soccorso dell’Ospedale Grassi di Ostia, in attesa dell’esito delle lastre. C’é una atmosfera alla Annibale il Cannibale. Mi sento un po’ depresso. Sta pure piovendo. Mi passa davanti una giovane infermiera. Penso di trovarmi di fronte a una dea greca che ha lasciato la rigidità del marmo per tentare l’avventura umana. Vicino a me una mamma preoccupata con un bambino accigliato che legge un libro. Alzo la testa e gli dico: “Alice nel paese delle meraviglie”. C’è un coniglio che corre sempre, un gatto sornione, un cappellaio matto e una regina cattiva con un esercito di soldati idioti. Chiamalo paese delle meraviglie! Paese da incubo, direi”. “Andiamocene!”, urla la mamma, interrompendomi stizzita. Alla fine sono visitato da un medico giovane che contempla le mie lastre con tutto l’interesse di un invitato annoiato che dà un’occhiata fuggevole alle diapositive delle vacanze del suo ospite. “Niente di rotto”. Mi prescrive un bendaggio e le stampelle fornite dall’ospedale. Esprimo la mia gratitudine nei confronti del medico e, vacillando esitante, torno da Gabry che mi aspetta. “Lei” mi grida il medico da dietro le spalle. “Lei, Pulimanti. Due giorni niente lavoro. Riposo. Ok?” “Non si preoccupi, grazie” dico. “Lei, Pulimanti. Vuoi guarire, eh? Niente lavoro. Due giorni. Riposo. Ok?” “Ok”. Oh, Signore! Ritornando a casa, stavolta incontro Claudio. Mi presenta Olga, una ragazza moldava. Sottovoce mi informa che non si tratta di una fidanzata ma solo di un’oasi di affettuosità, tenerezze e sospiri. “Olga mi ha stregato” dice mentre io annuisco serio. “Non é una donna. E’ la donna, quella da cui veniamo e a cui ritorniamo, la matrice dell’amore, madre e amante insieme, punto di partenza e punto di arrivo”. “Tanto meglio” rispondo con un mezzo sorriso, mentre lo saluto bruscamente. Dopo che Gabry se ne è andato, resto a sedere con le mani congiunte davanti alla faccia, le punte delle dita che si toccano e gli occhi chiusi, come se pregassi una benevola divinità di gettare una luce sul mio sentiero oscuro. Ma, sia pur senza volerlo, ho da tempo fatto la tara all’idea che esista un qualsivoglia agente sovrannaturale. Sto solo pescando con pazienza nelle acque torbide della mia mente. “Dunque?” dice Simonetta appena mi vede. “E’ molto, molto doloroso. Per via delle terminazioni nervose o qualcosa del genere. Ma in fin dei conti è solo una contusione” rispondo io. “Bè, anche se non te lo meriti, vado a preparare la cena”. Mica male, tonnarelli al tartufo, accompagnati da un Chiaranda del Merlo, fermentato in rovere ed affinato in bottiglia! Mangio con gusto. Simonetta risponde al cellulare. Poi si gira lentamente sui tacchi e se ne va. E mentre sto seduto in cucina con lo sguardo fisso sulle piastrelle bianche mi sento travolgere da un sentimento di disprezzo per me stesso, di solitudine e infelicità. Sta facendo buio quando finalmente esco di casa. Salgo sulla mia Ford, esco dal cortile, nel quale le pozzanghere sono ormai quasi asciutte, e giro a sinistra per immettermi a Corso Duca di Genova diretto al teatro Manfredi. Mentre supero la rotatoria vicino alla posta centrale vedo due persone accanto alla strada con il pollice alzato. Una di loro è una ragazza, una ragazza carina, per quel che posso giudicare. Però é più vicina al look puttana. Forse anche l’altra è una ragazza. Difficile dirlo. Le sorpasso. Costeggio Regina Pacis. Parcheggio la macchina. Ed entro al teatro. Come dice Giorgio Albertazzi: “Il cinema è bello, ma se lui è la pelle, il teatro è lo spirito”. Mio padre, il poeta Antonio Valeriano, usava spesso dirci: “Amo l’arte e il bello in generale. Amo il mare e il suo profumo. Mi piace osservare le stelle. Adoro la campagna dolce di Collevecchio. Amo il cinema. Ma più di tutto amo il teatro, da quando ho memoria”. E lui, che aveva iniziato scrivendo opere teatrali, ci confessava che il teatro lo attraeva molto, reputandolo una forma letteraria più completa rispetto al racconto e anche allo stesso romanzo. A mezzanotte sono di nuovo a casa. Non c’è ancora nessuno. Telefono a Ferruccio. “Mario” dice “prendi la storia di quel bravo ragazzo, scapolo, che abbandona il mestiere di falegname per mettersi a battere le strade dicendo alla gente che Dio li ama e che devono amarsi fra loro. Il giovanotto, in più, dà seguito alle sue parole: ti guarisce i lebbrosi, ti restituisce la vista ai ciechi, resuscita il suo amico Lazzaro, impedisce che una poveretta venga lapidata per essersi fatta scopare da un barbuto diverso dal marito eccetera, chi più ne ha più ne metta. Miracoli, massime, buone azioni a valanga, ecco il programma di Gesù. Ebbene, cosa ci ricava alla fine il ragazzo? A trentatré anni lo arrestano perché nessuno lo regge più, gli improvvisano un processo farsa e lo inchiodano su due tavole. Splendida ricompensa! E’ chiaro che da allora la vocazione alla gentilezza non va tanto per la maggiore. Bisogna essere un santo per fare il Gesù, dopo quello che è successo! Con queste parole voglio dimostrare che l’amore è dinamite. Che le persone che parlano d’amore passano per terroristi in una società retta dall’interesse e governata dalla paura. Non viviamo nel mondo delle fate!” “Davvero, roba da matti!” rispondo. Smadonno mentalmente, mentre lo saluto. Vado a letto. Non riesco a dormire. Per tutti gli dei, l’unica soluzione è alzarsi e provare a fare qualcosa per distrarmi. Non ho intenzione di camminare per casa a questa ora del mattino, così accendo l’abat-jour, prendo un libro di Tinto Brass dal comodino e mi appoggio con la schiena sui cuscini per leggere. Ostia Cerco la luce. Indispensabile per poter sorridere di nuovo. Il nulla mi circonda o è dentro di me? Un alito di vento mi accarezza il viso, leggero come un sussurro. Sta accadendo qualcosa… Un angelo. Simbolo di libertà. Lo vedo avanzare come in un sogno. Bianco, candido, puro. Talmente splendente da riflettere i raggi del sole. I suoi movimenti aggraziati non tradiscono la minima incertezza. Per un attimo vorrei essere come lui. Ora che lo vedo così da vicino, é più bello di quanto vorrei. Il suo sguardo è troppo dolce e profondo per non fare male. Mi lascia senza fiato. “Era un pò di tempo che ti stavo aspettando” sembra dirmi. “Dove sei stato tutto questo tempo?” Taccio. Non ho parole per rispondere alla sua domanda. Ma solo un semplice gesto. Una carezza. Un gesto che suona come un: “Lo so…mi dispiace averti fatto attendere così a lungo…” O che forse, non ha altri significati oltre a quello della sua estrema naturalezza. Il luogo non ha nessuna importanza…non l’ha mai avuta. Finalmente me ne rendo conto. Lascio che i pensieri dell’angelo apparso di fronte a me crescano, saturino l’aria. Li trovo bellissimi. Armoniosi come uno spartito di note invisibili. E non posso fare altro che ascoltare. Quando l’essenza delle cose riesce a sfiorarti, é sufficiente lasciarsi prendere per mano senza voltarsi indietro. Senza tormentarsi sulla causalità di un incontro. O di un addio. Ora ho le chiavi per abbandonarmi alla carezza del vento. Oltre l’orizzonte. E non posso smettere di sorridere nel momento in cui vedo mamma con il suo abito di piume illuminata dalla luce della luna. Debbo ritenermi soddisfatto, rifletto allungando di nuovo le gambe sul letto, di avere avuto una mamma come mamma Ernesta. Lei, che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica. Lei, un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio. Lei, con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino. Lei, che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé. Lei, una canzone nella notte. Lei, una ninna nanna speciale. Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Lei, quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me. Lei, quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare. Lei, il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto. Lei, mamma, una parola: la prima che ho detto. Lei, mamma, un sorriso: il primo che ho visto. Lei, mamma, una voce: la prima che ho udito. Lei, mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato. Lei, mamma, una culla: la prima che ho avuto. Lei, mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere. Lei, che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita. Sfoglio un vecchio album di fotografie: qui avevo sei anni. “Vieni!” sembra dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa. Mi manchi, mamma. Improvvisamente mi sento invadere da una torpida sonnolenza. Quando mi addormento, mentre il giorno si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album spiccano ancora le tracce delle mie lacrime. Mio caro lettore clandestino, un grazie con l’inchino e il cappello piumato e svolazzante. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)