mercoledì 19 ottobre 2016

Paolo Triestino in "Roma-Liverpool 1-1" alla Sala Massimo Troisi di Ostia


Paolo Triestino in "Roma-Liverpool 1-1" alla Sala Massimo Troisi di Ostia

Paolo Triestino in "Roma-Liverpool 1-1" alla Sala Massimo Troisi di Ostia La scorsa settimana al teatro Massimo Trosi di Ostia é arrivato il talento istrionico di Paolo Triestino con "Roma- Liverpool 1-1", l'evocazione della finale della Coppa Campioni del 30 maggio del 1984, che rivive un momento storico del calcio, metafora della vita. Grande performance del maestro Paolo Tiestino. Un monologo divertente ed appassionante. Il solo arredo scenico é rappresentato da una sedia. Esce fuori dal palcoscenico la voce di Bruno Pizzul e di altri personaggi eroici, non solo per i tifosi romanisti: su tutti Agostino Di Bartolomei. Il testo di Giuseppe Manfridi narra la storia di una squadra e di un’Italia nei mitici anni Ottanta. Il narratore e regista conduce così uno spettacolo che fa del calcio una metafora della vita. Ci si appassiona e ci si diverte anche senza essere tifosi romanisti (io infatti sono un tifoso dell'Atletico de Madrid). Paolo Triestino è un attore di teatro, cinema e televisione, conosciuto dal grande pubblico per i tanti lavori ed il grande successo riscontrato. E' attivo soprattutto nel teatro, ma anche in televisione ed occasionalmente è impegnato come doppiatore. Ok, "Roma- Liverpool 1-1". Restano i rimpianti. E i ricordi, che qui equivalgono ai primi. Pare di avvertire un languore, qualcosa d’irrisolto a livello personale in questo testo teatrale di rimpianti dai toni spesso intimi, in cui Pizzul appare solo come voce narrante, fuori campo. Così come sembra magica tutta la rappresentazione. E questo, non c’è dubbio, lascia un po’ di amaro in bocca. E' sempre un piacere vedere Paolo Triestino. Ed è piacevole assistere alle sceneggiature di Giuseppe Manfridi, che crea sempre un’incantevole storia (questa volta d'amore per la squadra del suo cuore, la Roma) raccontata con humor e dolore.

(Mario Pulimanti -Lido di Ostia-Roma)

Giusto il Nobel a Bob Dylan


Giusto il Nobel a Bob Dylan

Sono da sempre un grande fan di Bob Dylan ed ascolto i suoi dischi da quando avevo undici anni. Questo grande artista ha influenzato assolutamente tutto il paesaggio musicale degli ultimi 40 anni. Conosce pochissimi accordi eppure la sua esecuzione ha sempre qualcosa di speciale, di riconoscibile. Ci sono degli errori che sono diventati parte del suo suono. Del resto, per la prima volta introdusse l’elemento civile nelle canzoni.
È lui che ha creato la canzone civile, parlando anche della guerra nucleare.
Dylan è la quintessenza del rock’n'roll. Ho cominciato ad ascoltarlo a metà degli anni Sessanta, quindi non l’ho mai considerato un cantautore o un poeta folk. Per me lui era rock, elettricità, movimento. Quando, per esempio, canta "Hurricane", sembra il canto di un pugile, di un combattente e penso che si possa ben dire che, come Elvis ci ha liberato il corpo, Bob Dylan ci ha liberato la mente.  La prima volta che ho ascoltato "Highway 61 Revisited" sono rimasto affascinato dai suoni di tutti gli strumenti che ci sono in quel disco. Veramente emozionante. E’ senz’altro vero che è difficile dire su Dylan qualcosa che non sia già stato detto, e magari dirlo anche meglio.  Basterà forse ribadire che Bob Dylan è un pianeta ancora inesplorato.  Per un cantautore lui è indispensabile almeno quanto lo sono per un falegname chiodi, martello e sega, e, come ha detto parlando di lui un altro grandissimo della musica internazionale, Tom Waits: "In Dylan sono importanti anche i fruscii dei suoi bootleg degli anni Sessanta e Settanta. Lui vive nell’essenza delle sue canzoni". E allora rieccolo con 10 canzoni inedite, il suo 46esimo disco, il 33esimo realizzato in studio. Questa volta, con il nuovo album "Together Through Life", canta l’amore. Ovvero l’amore secondo Dylan. Un amore disperato e struggente o, al limite, giocoso e lascivo, come vuole la tradizione blues.  Certo nessuno si aspettava un nuovo album a meno di 3 anni dall’ultimo.  Tra un disco e l’altro, ormai, il menestrello ci aveva abituati a ben altre pause.  Basta scorrere le date di uscita dei quattro lavori precedenti.
Under the Red Sky 1990, Time Out of Mind 1997, “Love & Theft” 2001, Modern Times 2006. L’ultimo, in particolare, gli aveva restituito un successo degno dei tempi migliori, riportandolo per la prima volta dal ‘76 in vetta alle classifiche di tutto il mondo.
Ma Dylan, a 68 anni suonati, impegnato in una turnèe infinita ( il Never Ending Tour) che, dall’88 a oggi lo vede mantenere una media difficilmente sotto i 100/120 concerti l’anno, non ne vuole sapere di riposare sugli allori. Di Together Through Life si sta dicendo e si dirà di tutto, come sempre di ogni suo nuovo lavoro.  Che è un capolavoro, che il menestrello ha perso il tocco, che si ripete, che riesce ancora ad innovare, che non ha più voce Niente di nuovo.  In realtà, Bob segue ormai una strada che ha incominciato a percorrere almeno 20 anni fa.  Il suo cammino è tutto nel solco della tradizione americana, della musica che ascoltava quando era ragazzino (non di quella che faceva lui da giovane).  Appena ventenne, si sforzava di sembrare vecchio nel timbro e nell’intonazione vocale.  E oggi è arrivato nel punto dal quale, forse, voleva partire. Ritornato, dopo le sbandate degli anni ’80, come reincarnazione di un bluesman girovago, non ha più cambiato rotta. Quello che è stato uno dei più grandi innovatori della musica, l’eroe per antonomasia della controcultura, ci offre, oggi, un sound che sembra arrivare da una macchina del tempo sintonizzata sugli anni ‘40/50.  Ma, a pensarci bene, non è questa la vera trasgressione, il vero strappo con la musica sintetica e prefabbricata che domina, i giorni nostri, le classifiche? Non è questa la colonna sonora dei veri “Modern Times”? E se il penultimo album era un capolavoro, una sorta di manifesto di questo Dylan fuori dal tempo, Together Through Life è un gioiellino, una perla che va ascoltata e riascoltata. Questa volta il menestrello non canta l’apocalisse e la fine dei tempi .Con la collaborazione di Robert Hunter, paroliere dei Greateful Dead, scrive invece delle canzoni d’amore.  Ma il tocco del vecchio Bob riaffiora qua e là come un fiume neanche troppo sotterraneo.  “Oltre qui non c’è niente" -dice lapidario alla sua bella, alla fine di "Beyond Here There Is Nothin- "niente che non sia già stato fatto e niente che non sia già stato detto.” Ed ora che gli è stato giustamente insignito il Premio Nobel per la Letteratura. Il 13 ottobre del 2016. Proprio nel giorno della morte del grande Dario Fo. Grande, grandissimo Dylan. Giù il cappello. 75 anni e continui ancora a stupirmi.  Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)È lui che ha creato la canzone civile, parlando anche della guerra nucleare. Per me Dylan è la quintessenza del rock'n'roll. Ho cominciato ad ascoltarlo a metà dei Sessanta, quindi non l'ho mai considerato un cantautore o un poeta folk; per me lui era rock, elettricità, movimento. Quando, per esempio, canta "Hurricane", sembra il canto di un pugile, di un combattente e penso che si possa ben dire che, come Elvis ci ha liberato il corpo, Bob Dylan ci ha liberato la mente. Poi, a proposito di un suo famoso brano "Highway 61 Revisited", mi piace ricordare che, la prima volta che l'ho ascoltato, sono rimasto affascinato dai suoni di tutti gli strumenti che ci sono in quel disco. Veramente emozionante. E’ senz'altro vero che è difficile dire su Dylan qualcosa che non sia già stato detto, e magari dirlo anche meglio. Basterà forse ribadire che Bob Dylan è un pianeta ancora inesplorato. Per un cantautore lui è indispensabile almeno quanto lo sono per un falegname chiodi, martello e sega, e, come ha detto parlando di lui un altro grandissimo della musica internazionale, Tom Waits, che io condivido pienamente: "In Dylan sono importanti anche i fruscii dei suoi bootleg degli anni Sessanta e Settanta. Lui vive nell'essenza delle sue canzoni". Modern Times è stato il suo ultimo albumi. Esattamente il suo 44 album. Grande, grandissimo Dylan. Giù il cappello. 75 anni e continui ancora a stupirmi. Ed ora gli é stato giustamente insignito il premio Nobel per la Letteratura. Il 13 ottobre del 2016. Proprio nel giorno della morte del grande Dario Fo.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 7 ottobre 2016

Migliorare la produttività in Italia


Migliorare la produttività in Italia

Un eventuale aumento del Pil (Prodotto Interno Lordo) non sarebbe sufficiente per migliorare l’economia italiana. Infatti PIL è la ricchezza che un certo Paese è in grado di produrre nell’arco temporale di un anno, trattandosi della somma totale dei beni e dei servizi che si producono per essere consumati all’interno di uno Stato.  Facendo un conteggio preciso del PIL si è in grado di determinare la ricchezza di un Paese per l’anno in questione, facendo un rapporto tra il prodotto interno lordo e il numero delle persone che vivono in quel determinato Paese.  In questo modo si ottiene il reddito medio di ogni cittadino, quindi si può individuare il valore della ricchezza del Paese in questione e definire se si tratta di uno Stato ricco o meno. Perciò, per ottenere un miglioramento economico in Italia, sarebbe necessaria una crescita economica che venisse percepita come tale da tutti i ceti sociali e in particolare dal cosiddetto ceto medio. Un incremento del Pil che avvantaggi solo alcuni settori otterrebbe, al contrario, il risultato di aumentare le differenze sociali a tutto svantaggio dei ceti meno abbienti, cioè di coloro che già hanno pagato alla crisi il prezzo più alto con la conseguenza che i ricchi sarebbero più ricchi e il ceto medio sempre più povero. Per assurdo si potrebbe dire che il ceto medio sarebbe più povero di prima, tenuto conto che alcune risorse ambientali sono già state un po’ danneggiate per aumentare i pil precedenti.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 6 ottobre 2016

SI’ al Referendum e NO al Governo


SI’ al Referendum e NO al Governo

Renzi, dicendo che si sarebbe dimesso, aveva trasformato il referendum in elezioni politiche mascherate. Fa bene ora a restituire all'istituto del referendum il suo senso pur sapendo, comunque, che ormai l’esito del referendum, qualunque esso sia, avrà effetti sugli equilibri di governo. Intanto tutti i sondaggi dicono che  molte persone ignorano i contenuti del referendum. Quindi, invece di disegnare scenari futuri o futuribili, sarebbe opportuno far capire che con questo referendum si chiede agli elettori di approvare o respingere la riforma costituzionale del governo Renzi, che prevede un significativo cambiamento del Senato e una serie di altre modifiche al funzionamento dello Stato. Il referendum è senza quorum: significa che non ci sarà bisogno di un numero minimo di votanti per considerarne valido l’esito. Non essendo totalmente soddisfatto di questo Governo sarei tentato di votare NO. Però, parlando esclusivamente dei contenuti referendari, opterei invece per votare SI’. Infatti ritengo che con l’abolizione dell’anacronistico bicameralismo paritario si potrebbero evitare ritardi e sovrapposizioni, anche se i regolamenti di Camera e Senato dovranno necessariamente essere modificati per attuare il dettato costituzionale. Inoltre soltanto la Camera concederebbe la fiducia al Governo, instaurando così un rapporto fiduciario unicamente tra Camera e Governo, svolgendo il Senato un’altra funzione, ovvero quella di camera di compensazione tra Stato e Regioni. Nella riforma è prevista una limitazione del ricorso ai decreti legge. Un po’ tutti i governi ne hanno abusato, con la giustificazione della necessità e dell’urgenza dei provvedimenti. Vi sarebbe anche una notevole riduzione del contenzioso Stato-Regioni davanti alla Corte costituzionale, che è stato acuito a seguito della riforma del Titolo V varata nel 2001. Il nuovo Senato ha infatti, come si diceva, la funzione di camera di compensazione tra Stato centrale e territori. In ogni caso non ci sarebbe una deriva autoritaria, dato nel contesto storico in cui è nata la Costituzione (il 1948) prevalse il tema della riflessione più che quello della decisione perché, dopo il fascismo e con la guerra fredda alle porte, si temeva che il Paese potesse degenerare verso forme di autoritarismo. Oggi quel contesto storico è lontano.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 3 ottobre 2016

LIBIDO IN CUCINA


La libido vacilla e il talamo annoia al punto tale che neppure la più sensuale delle guepière riesce a risvegliare gli stanchi sensi.

Certo, non è ancora arrivato il momento di mettere la sensualità in pensione.
Ehilà, basta affinare la fantasia e trovare nuove rotte.

E se il letto annoia, il divano é troppo scontato e la casa non è dotata di un ascensore che prometta una bollente risalita, ecco sbucare dal cilindro la “sexy room” del momento.

La cucina.

Sì, proprio il regno della casalinga, quello fatto di pentole, mestoli e coltellacci.

Tra un minestrone che bolle e un brasato che si rosola la fantasia erotica galoppa, quasi a far invidia a Jack Nicholson e Jessica Lange, magistralmente avvinghiati su un tavolino dopo che lui ha trillato il campanello per ben due volte.
Non è la perversione del momento, ma è la nuova tendenza del sesso domestico.

Nei sogni di noi italiani a quanto pare le lenzuola di seta, gli avvolgenti materassi ad acqua e i celebrati effluvi di N.5 hanno lasciato il posto a tovaglie quadrettate, ampi grembiuli, zaffate di aglio e peperoncino e tavoli sui quali… consumare.

Del resto con il frenetico modificarsi della vita non poteva che cambiare anche l’uso dello strumento che ci appartiene di più: la nostra casa, appunto.

Sfidando le ire dei nutrizionisti ormai si mangia in salotto, davanti a maxi schermi che lasciano i più con la forchetta sospesa tra una soap e una partita.

Le camere da letto sono diventate delle biblioteche, sommerse di riviste, libri, computer portatili e blocchi notes: letti come immense scrivanie dove tra penne e quotidiani anche il più ben disposto degli spiriti cerca un’altra strada.
Non rimane che la cucina: avvolgente, calda, sensuale, ahimè spesso disertata dalla donna che trascorre ormai la maggior parte del proprio tempo fuori casa.

Bisognava pur consegnarle un nuovo ruolo.

E cosa c’è di più nobile di votarla a talamo: luci soffuse, profumi che se non inebriano i sensi senza dubbio stuzzicano l’olfatto e il gusto, qualche fantasia la fanno pur venire.

Diciamolo, gli ingredienti ci sono tutti, basta saperli cogliere: i grandi amatori teorizzano da secoli che il sesso va giocato coinvolgendo tutti i cinque sensi.

E se poi si vuol strafare, si possono allargare gli orizzonti, d’altra parte le moderne soluzioni di design di spazi sui quali accoccolarsi ne offrono più d’uno.
Il tavolo è scontato?

C’è il piano lavoro, ci sono le sedie che diventano sempre più poltrone e meno sedili.

Insomma, aguzziamo l’ingegno.

Un solo piccolo accorgimento.

Occhio ai nuovi spazi, oggi tanto di moda: se le alcove infatti avevano il dono della privacy, la cucina e gli spazi aperti non si sono ancora attrezzati, e con porte inesistenti e ampie vetrate come vuole la moda, è molto facile passare da un momento di intimità ad una pubblica esibizione.

Questo sì che sarebbe fare una frittata!

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

 

sabato 1 ottobre 2016

LE MAROCCHINATE

Ieri sera alla deliziosa Sala Massimo Troisi di Ostia ho assistito ad un altro interessantissimo spettacolo: "Le Marocchinate", raccontato con una magistrale interpretazione di ARIELE VINCENTI e la regia di un grande NICOLA PISTOIA.
Con il termine "marocchinate" vengono chiamati gli stupri di massa, gli abusi e le feroci torture subite dal popolo italiano nel 1944, quando inquadrati nel "Corpo di spedizione francese in Italia" sbarcarono in Italia i soldati marocchini, passati alla storia come liberatori e che invece spezzavano tutti i denti anche ai bambini per violentarli oralmente.

Di questo argomento sui libri di storia non c'è scritto niente.
Nessun tribunale internazionale si è mai interessato alla vicenda, e nessun soldato è mai stato punito per "crimini di guerra" o contro l'umanità.
Gli "alleati" avevano bisogno di soldati per scacciare i tedeschi dall'Italia, e pensarono bene di assoldare le truppe marocchine, con una promessa: il diritto di preda: tra i cosiddetti
Goumiers fu distribuito un volantino, redatto dai francesi, che recitava quanto segue:

« Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete »


Ed è proprio così che andarono le cose. Le truppe marocchine scacciarono i tedeschi, e ne combinarono di tutti i colori. Furti nelle abitazioni, violenze, omicidi, feroci stupri di gruppo ai danni prevalentemente di donne e bambini, ma anche di uomini.
Le violenze non durarono solamente 50 ore; andarono ben oltre al lasso temporale di anarchia concesso dai francesi alle truppe marocchine, anche se certamente quelle ore furono le più terrificanti, con i soldati marocchini che spadroneggiavano come predatori, saccheggiando, picchiando, stuprando, uccidendo.


Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono un minimo di 20.000 casi accertati di violenze, numero che comunque non rispecchia la verità; diversi referti medici dell'epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, sia per vergogna o pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal "Corpo di Spedizione Francese", che iniziò la proprie attività in Sicilia e le terminò alle porte di Firenze, possiamo affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, e ben 18.000 violenze carnali. I soldati magrebini mediamente stupravano in gruppi da 2 o 3, ma ci sonio anche testimonianze di donne violentate da 100, 200 e 300 magrebini .

Le testimonianze sono atroci, capaci di far accapponare la pelle ancora oggi, dopo 70 anni.

Il sindaco di Esperia (comune in provincia di Frosinone) affermò che nella sua città 700 donne su un totale di 2.500 abitanti furono stuprate, e alcune di esse, in seguito a ciò, morirono. Con l'avanzare degli Alleati lungo la penisola, eventi di questo tipo si verificarono altrove: nel Lazio settentrionale e nella Toscana meridionale.

Lo scrittore Norman Lewis, all'epoca ufficiale britannico sul fronte di Montecassino, narrò gli eventi:

« Tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate... A Lenola il 21 maggio hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n'erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi. I Marocchini di solito aggrediscono le donne in due - uno ha un rapporto normale, mentre l'altro la sodomizza. »



Il popolo italiano, stremato dalla guerra, dopo aver subito le violenze degli "oppressori" tedeschi, dovette subire anche quelle dei "liberatori", che per 50 lunghissime ore scatenarono l'inferno, dettero sfogo ad una violenza disumana.


Di seguito riporto una testimonianza sconvolgente:
"



Tre soldati(marocchini) hanno completato il loro turno di esercitazione e si avviano verso la baracca della mensa.
Parlano tra di loro, Lorenzo esce allo scoperto e li saluta in arabo.
I tre restano sorpresi, poi, sorridendo, si avvicinano al bambino ed uno di essi lo carezza sui fianchi e sulle cosce. Lorenzo allora comprende il suo fatale errore ed inizia a correre urlando: "Mario resta nascosto, dopo scappa via ed avverti mia madre".
I tre non capiscono le parole di Lorenzo, ma lo inseguono e si allontanano da dove è nascosto Mario che attraverso il foro del recinto riesce a uscire e mettersi in salvo.
Arriva a casa di Lorenzo, ma la porta è chiusa, Fedora non è ancora tornata.
Si siede sul primo gradino ed aspetta piangendo.
Trascorre un’ora.
Un contadino di Cardito trova Lorenzo seminudo, ricoperto di sangue, abbandonato in un viottolo
di campagna, non lontano dal campo dei marocchini.
Lo porta in Ospedale.
Il referto riporta: stato di choc, ferite lacero contuse sul viso, sulle gambe e sulla schiena,
lacerazioni nella zona anale da penetrazioni multiple, lacerazioni delle corde vocali da penetrazione
orale, i denti completamente rotti per evitare morsi difensivi .
Da qual giorno Lorenzo non disse più una parola".

Questa pagina nera della nostra storia è stata "rimossa" dai libri, dalla memoria,


Tanto sappiamo sulle brutalità dei nazisti, mentre di quelle degli "alleati" che ci hanno insegnato fin da piccoli a ringraziare non vogliono che ce ne ricordiamo.

Le marocchinate non sono state "le uniche" violenze subite dagli italiani da parte dei "liberatori", anche se probabilmente sono state le più feroci e disumane. Si, disumane è la parola giusta.

Uno dei tanti controsensi della "liberazione"... Incaricare dei selvaggi al ripristino della civiltà...

Se cercate su google "la ciociara streaming" trovate il film anni 60 di sophia loren regia di vittorio de sica sui fatti delle marocchinate, però è molto "light" rispetto alla realtà. sono state fatte crudeltà indicibili.
Per esempio spezzare tutti i denti anche ai bambini per violentarli oralmente, cagionando danni alle corde vocali era frequentissimo, oltre che da "dietro", una ferocia incredibile e disumana. anche italiani, tedeschi etc uccidevano e talvolta torturavano ma non così. questi sodomizzarono a morte per una nottata intera anche un parroco.

Una vera barbarie.

 
Quindi dopo la coppia Milena Miconi /Francesca Nunzi in "Beate Noi" ho ieri visto Le Marocchinate con Ariele Vincenti: due spettacoli straordinari.



Un grande inizio per l'incantevole Sala Massimo Troisi e un meritatissimo applauso ai suoi fondatori, Antonia Di Francesco e Luca Franco.


 

Mario Pulimanti (lido di Ostia -Roma)