mercoledì 31 luglio 2013

Evasione fiscale di sopravvivenza

Evasione fiscale di sopravvivenza Il viceministro dell'Economia Stefano Fassina riconosce che esiste "un'evasione fiscale di sopravvivenza" cioè quell'evasione di chi non ce la fa a pagare le tasse davanti a una pressione fiscale ormai insostenibile; oppure quella del lavoratore dipendente tartassato, che evade su qualche lavoretto che gli serve per arrivare a fine mese. A prima vista sembrano pensieri berlusconiani questi dello storico nemico di Renzi, dato che pure il Cavaliere, quando era premier, disse: “Se lo Stato mi chiede oltre il 50% mi sento moralmente autorizzato a evadere”. Comunque è innegabile che quello che Fassina dice tutti noi lo pensiamo anche se certi benpensanti si sono scandalizzati nel sentire queste parole. Fassina ha semplicemente detto la verità senza la solita ipocrisia che contraddistingue la classe politica Infatti ulteriori tasse incrementerebbero l'evasione e abbatterebbero il PIL in un momento come questo, dove è giusto riflettere sull'equità del sistema fiscale e sulla esigenza di ridurre il peso delle imposte, considerato che, accanto agli evasori incalliti ci sono anche aziende che soffrono di una drammatica mancanza di liquidità e fanno fatica a pagare le imposte. E, se lo facessero, dovrebbero chiudere o ridurre la loro attività, licenziando o collocando in mobilità i loro dipendenti. E poi ora stanno arrivando anche due belle batoste come le tasse sui rifiuti Tarsu e Tares. Inoltre é giusto una cosa iniqua come lo scudo fiscale? E -mentre quelli che hanno lucrato a mani basse sui tesori di stato continueranno a portare i propri capitali all'estero- a noi, umili cittadini che sognano invano un fisco più equo che tenga conto di chi vive con redditi fissi, non ci resta che pagare cercando di tirare avanti alla meno peggio. Certo, in un Paese civile le tasse bisogna pagarle, ma è anche pur vero che un Paese si può veramente ritenere civile quando mette i suoi cittadini nella condizione di farlo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 30 luglio 2013

"Ovvìa, l'è tutto da rifare"

"Ovvìa, l'è tutto da rifare” Premesso che ritengo che la Costituzione in alcuni punti andrebbe aggiornata, anche se molte persone ne sostengono invece l'intangibilità totale, trovo strana la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il contributo sopra i novanta mila euro annui, introdotto nel 2011, e ha deciso per il rimborso che sarà di quaranta mila euro annui. Ma la Consulta -che, tempo addietro, aveva anche bocciato il ritocco delle pensioni d’oro- invece di difendere questi privilegi, non potrebbe intervenire per esempio sul cambio del sistema da contributivo a retributivo che di fatto ha abbassato le pensioni? Dico questo considerando anche il fatto che, tra i beneficiari delle pensioni d'oro, ci sono anche gli stessi giudici dell'Alta corte che, alla fin dei conti, hanno emesso una sentenza che li riguarda in prima persona. E mi sembra che ci sia perciò un vero caso di conflitto d'interessi in questa sentenza della consulta dato che i maggiori beneficiari, oltre a certi politici, sono loro ed i Generali delle Forze Armate. Sarebbe giusto stabilire tetti stipendiali e pensionistici per le più alte cariche dello Stato e per gli alti dirigenti, tenuto tra l’altro conto che, mentre ci sono famiglie che non arrivano alla fine del mese, i commessi della Camera e del Senato guadagnano otto mila euro mensili e uno stenografo duecentocinquanta mila euro annui. Perciò, prima di toccare le buste paga dei pensionati Inps, bisognerebbe eliminare i privilegi di queste caste perché -come amava dire Gino Bartali- "ovvìa, l'è tutto da rifare". Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 29 luglio 2013

Un anno fa mamma moriva

Un anno fa mamma moriva
 

Un anno fa mamma moriva: era una maledetta domenica, quella del 29 luglio 2012.

Il giorno prima era stata operata per la rottura di un femore all’ospedale San Camillo.

Un intervento perfetto, durato poco più di un’ora.

La fase post operatoria sembrava procedere regolarmente.

Ma attorno alle sei di pomeriggio del giorno dopo, domenica 29 luglio, il suo cuore ha smesso di battere.

Non si sa da dove sia partita l'embolia, l'unica cosa certa è che oggi é esattamente un anno che mamma non c'è più.

Certo se l’avessero messa in terapia intensiva, come avevano promesso prima di operarla, sarebbe ancora viva.

Infatti la terapia intensiva garantisce immediati interventi in caso di necessità, per cui si sarebbero accorti in tempo dell’embolo, rianimandola prontamente.

Mi ricordo ancora del dottorino dal viso di falco che mi ha detto "sua madre è deceduta!" con un tono indifferente.

Sembrava quasi che mi prendesse in giro.

Mi ha costretto a soffrire, impreco, maledetto, maledetto, maledetto!

L’avrei ucciso, gettando il suo corpo ai corvi e agli avvoltoi del deserto.

Debbo ritenermi soddisfatto, rifletto allungando di nuovo le gambe sul letto, di avere avuto una mamma come mamma Ernesta.

Lei, che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica.

Lei, un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio.

Lei, con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino.

Lei, che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé.

Lei, una canzone nella notte.

Lei, una ninna nanna speciale.

Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Lei, quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me.

Lei, quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare.

Lei, il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto.

Lei, mamma, una parola: la prima che ho detto.

Lei, mamma, un sorriso: il primo che ho visto.

Lei, mamma, una voce: la prima che ho udito.

Lei, mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato.

Lei, mamma, una culla: la prima che ho avuto.

Lei, mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere.

Lei, che mi ha parlato nel cuore della notte.

Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole.

E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita.

Sfoglio un vecchio album di fotografie: qui avevo sei anni.

"Vieni!" sembra dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa.

Mi manchi, mamma.

 


Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

venerdì 26 luglio 2013

La disoccupazione giovanile, vero incubo dell’Italia

La disoccupazione giovanile, vero incubo dell’Italia Sono padre di due figli, Gabriele di 26 anni laureato in legge che si sta preparando al concorso per notaio ed il diciottenne Alessandro neo diplomato, che si sta iscrivendo alla facoltà di medicina. Speriamo bene. Cioè, speriamo che riescano a trovare un buon lavoro. Anche perché la disoccupazione giovanile, è il vero incubo dell’Italia, come dice giustamente il Presidente del Consiglio Enrico Letta. Infatti laurearsi non basta più per lavorare tanto che i dati Istat parlano di disoccupazione giovanile al 40%, in particolare il tasso di disoccupati laureati non è mai stato così alto. Colpa della crisi, certo, che ha ridotto risorse e opportunità di occupazione. In ogni caso essere laureati è ancora un vantaggio per trovare un impiego. Tuttavia, anche per loro le difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro stanno crescendo, per una serie di ragioni che precedono di molti anni l'arrivo della crisi economica. Innanzitutto, c'è stata negli ultimi anni una riduzione delle assunzioni nella pubblica amministrazione, che tradizionalmente ha sempre assorbito quasi un quarto degli ex-universitari in cerca di lavoro. Inoltre, va evidenziato che in Italia c'è una forte presenza di aziende a piccola e media dimensione, che preferiscono non assumere i laureati, ma indirizzarsi su candidati con un grado di istruzione inferiore e più orientato alla formazione professionale. Infine, non va dimenticato che non tutti i laureati hanno le stesse carte da giocarsi sul mercato del lavoro: alcuni profili, come gli informatici e gli ingegneri o i diplomati in facoltà scientifiche, sono ancora abbastanza ricercati dalle aziende mentre altri candidati, come i dottori in discipline umanistiche e sociali, faticano molto di più a trovare un impiego. Per esempio, secondo i dati Istat oltre il 30% dei laureati in conservazione dei beni culturali è ancora disoccupato dopo un anno dalla conclusione degli studi, contro meno del 10% che si registra tra gli ingegneri o i dottori in chimica industriale. Cresce ancora la disoccupazione, crolla ai minimi lo stipendio di chi riesce a trovare un impiego. E lavorano senza contratto quasi il 13 per cento tra quelli che escono da medicina, architettura, giurisprudenza, chimica, farmacia. Laureati disoccupati semplicemente perché sono figli di nessuno, di nessun professionista. Chi lavora lo fa spesso perché lavora nello studio del padre avvocato o notaio. Per fortuna c’è ancora chi riesce ad aprirsi la strada, al di là delle parentele. Ma è una piccola minoranza Comunque un messaggio sbagliato che alcuni traggono da questi dati è che “la laurea non serve”. Nessun paese al mondo ha avuto una regressione economica così continua da cinquant´anni come l´Italia, conseguenza di una regressione culturale. In questi anni, mentre molti paesi adattavano le strutture formative, di ricerca e produttive alle esigenze della società della conoscenza, l´Italia restava ferma, meno risorse a ricerca ed istruzione, diseguaglianze crescenti nella distribuzione di redditi e ricchezze, abbandono del Mezzogiorno, invecchiamento della popolazione. In questa Italia ferma e vecchia, non servono né i laureati e neanche i giovani, che infatti emigrano. Nell´Italia che vorrei per i nostri figli e nipoti serve invece più cultura e tanta buona politica. Leggere le cifre e le proiezioni relative al numero dei disoccupati in Italia infonde sempre un’enorme amarezza. Occorre una netta inversione di tendenza, coraggio! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 24 luglio 2013

"Sogni di vetro", riflessioni miserabili di Mario Pulimanti

Sogni di vetro Mi chiamo Mario. Uno e ottanta, abitante di Ostia, ultracinquantenne. Plurilaureato. Superoccupato. Sottopagato. Temo la morte. Ora è sulle mie tracce. Questa è la mia storia. La cultura del sospetto non è l'anticamera della giustizia. I transessuali s’innamorano tutti di me, esercito su di loro un fascino imbarazzante (per me, soprattutto), perché io sono un uomo vero, e nessuno meglio dei transessuali sa riconoscere gli uomini veri; ma io non raccolgo, ringrazio gentile, ma non raccolgo. Io sono un uomo vero e agli uomini veri piacciono le donne vere. Tempesta di sogni. Giornata di merda. Umida, tra l’altro. Un’umidità saporita che sta aumentando col passare delle ore. Pare di masticarla come un cibo, riempie lo stomaco, togliendo l’appetito. Infatti, nonostante l’ora, non ne ho neanche un filo. Entro in ufficio. Mi si presenta una scalcagnata sindacalista che solo un ardito, cieco e con un arretrato di anni, potrebbe avvicinare. Sbuffo, nervoso. “Molto bene”, penso. “Manca un codice”, dice riferendosi a un mio vecchio ricorso. “Lo so”, confesso. “Aggiungilo, quindi” fa lei. “Lo dico ma è come se non lo facessi. Non sono più interessato”, avviso prima di salutarla, in un soffio. Soffio che provoca una smorfia di disappunto sul viso della sindacalista perché tra tutti gli eccellenti ricorrenti, veri e presunti, che il suo elenco può vantare, dal dirigente CHICCHIRICHI', al direttore generale CAZZAVILLANI, al direttore didattico POMPINI, al notaio FICAROTTA, al prefetto MEZZABARBA, al segretario comunale TONTODIMAMMA, il nome che lei avrebbe volentieri fatto a meno di sentire è proprio il mio. “L’occasione fa l’uomo ladro” aggiunge, “non tocca a me insegnartelo, Mario Pulimanti! Un’orribile parolaccia destinata a lei sale alla lingua, ma mi trattengo. “Non sempre” rispondo. Lascia cadere le braccia lungo i fianchi. “Allora ciao e grazie”, dice. E si avvia lungo il corridoio del piano terra. Le cose cambiano, penso, secondo come e chi le guarda. O cazzo. Mmm…. Roba da matti! Stanco. Stufo. Vecchio. E pure coglione. Mi brucia lo stomaco. Esco. Fuori, all’aria aperta! Lontano da quell’odore di bruciato! Quel sentore di guaio, quell’ala malefica che mi ha sfiorato quando mi ha parlato del vecchio ricorso, del fatto che secondo lei vinceranno in appello, improvvisamente è sparito. Ho sbagliato? Un tè al profumo di amore? No, non mi pare. Cosa dovrei rispondere? Sì? No? Boh? La verità, porca puttana! Gelsomino d'inverno. D’altronde mica posso negare che avrei fatto male a far parte ancora della squadra dei ricorrenti storici di un ricorso inutile. Comunque mi sono fatta un’idea. Qualunque cosa sia accaduta nella mia carriera tanto da farmi diventare un deluso funzionario, non mi sono arreso. Non ho scelto la bottiglia per scambiare frustrazione e rancore con alcolica consolazione, così come fanno molti colleghi disillusi. Ho adottato un’altra strategia. Sono cambiato. Sogni di vetro. E adesso? Nessun pensiero, se non quello di stare lì, attendere. Smetterò di sbirciare l’orologio. Non zoppicherò. E, poiché di fantasia ne ho, mentre prendo a calci la realtà, comincio immediatamente a immaginare come potrebbe essere una vacanza nelle Crete Senesi. O vivere sopra l’arcobaleno. Over the rainbow. Mamma Ernesta. Tuono d'amore. Sto pensando a lei, mentre mi sparo un colpo in testa con una Glock 30. Ecco, ora sto morendo. Vedo la luce avanzare dal fondo della stanza. Aspetto. Faccio finta di contare. Cerco di ingannare il tempo. La luce invade la stanza. La nebbia d'agosto. L'ombra dell'anima. Credo di essere morto. Anzi, ne sono quasi certo. Sì, sono morto. Fine. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 23 luglio 2013

L’assurda morte di Antonelli

L’assurda morte di Antonelli Assurdo: nel Gp di Mosca Andrea Antonelli, sotto una pioggia battente ha perso il controllo della sua Kawasaki nel corso del primo giro (quando viaggiava a 250 km/h), è caduto ed è stato investito dalla Honda di Lorenzo Zanetti, che non è riuscito ad evitarlo. La pedana della moto di Zanetti ha colpito in pieno il casco di Antonelli: un impatto violentissimo che è costato la vita al venticinquenne pilota umbro. Certo, il motociclismo a livello agonistico non potrà mai essere uno sport sicuro. Si possono ideare i caschi più sicuri, le tute con gli airbag incorporati, migliorare piste e le vie di fuga. Ma il contatto, la possibilità che due piloti si tocchino o che qualcuno perda il controllo del mezzo, cada e venga travolto da chi segue, rimane un elemento imprescindibile di questo sport. Stavolta però quella gara non doveva svolgersi perché non c'erano le condizioni per correre sulla pista moscovita. Eppure è stato dato il via. Se Antonelli non avesse perso la vita probabilmente nessuno si sarebbe scandalizzato perché si era irresponsabilmente gareggiato sotto un diluvio. Ancora una volta è servita una tragedia per fare aprire gli occhi. “Amo questo sport, ma in giornate come queste sto iniziando a odiarlo", ha scritto su twitter Max Biaggi. Condivido. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Trama di un matrimonio da sogno: quello di mio fratello

Trama di un matrimonio da sogno: quello di mio fratello Era un sabato di otto anni fa quando mio fratello Stefano si è sposato con la sua Alessia. Esattamente, sabato 23 luglio 2005. Stefano, come certamente ricorderai, la celebrazione è stata impeccabile. Voi sposi avete risposto alle domande in modo forte e chiaro e non è mancato un applauso e qualche pianto commosso (anche la nipotina Serena -figlia di nostra sorella, l’archeologa Antonella Maria- non aveva saputo trattenere dapprima le lacrime e poi veri e propri urli di gioia…). La funzionaria comunale subito vi aveva sgridato e minacciato, leggendovi gli articoli del Codice Civile. Vi siete un po’ spaventati, avete risposto che per voi andava bene, e vi siete scambiati anelli preziosi. Tu eri emozionato, o perlomeno fuori di testa. Stavi benignamente dando ad Alessia la mano destra del suo testimone -che era il suo simpaticissimo fratello Fulvio- per fargli infilare l’anello. Io, che ero il tuo testimone, nonché fratello, me ne sono accorto all’ultimo istante, mentre Alessia stava già per prendere la mano di Fulvio: le ho sussurrato "mah, forse con la sinistra va meglio" e via. Dopo i riti conclusivi, preceduti da un momento di silenzio con One degli U2 (io veramente mi aspettavo la marcia nuziale classica) in sottofondo, voi sposi e noi fratelli-testimoni ci siamo messi di lato a firmare. Poi la funzionaria-sciamano ha dato la sua benedizione senza maledire nessuno. Le mamme Ernesta e Paola avevano pianto di felicità. Tuo suocero Silvio aveva fatto ammazzare molti animali per il banchetto sacrificale. I parenti avevano portato molti regali e si erano ubriacati. Usciti alla luce, sugli scalini del Tempio Comunale (ora Chiesa sconsacrata) a voi sposi avevamo tirato manciate di chicchi di riso, perché il riso è simbolo di fecondità, anche se il mio primogenito, l’allora diciottenne Gabriele, aveva un po’ esagerato e ve ne aveva tirato contro una quantità industriale. Poi Alessia aveva gettato in aria un mazzetto di fiori: noi Pulimanti crediamo che quei fiori siano magici, che abbiano il potere di portare al matrimonio la ragazza che li afferra al volo. Anche se devo dire che quella volta non è andata proprio così, perché il mazzolino l’aveva raccolto il mio secondogenito Alessandro -che nel 2005 aveva undici anni- e che l’aveva prontamente regalato alla mamma Simonetta. Il pranzo di nozze, in un noto ristorante di Testaccio, era durato fino a sera, e anche a tavola non erano mancati gli scherzi. Stefano, i tuoi amici avevano fatto un gran baccano, avevano suonato le trombe delle automobili, cantato forte e bevuto una quantità di succo d’uva fermentato. Voi sposi siete stati al centro di un bellissimo ricevimento. Sembravate il re e la regina sui vostri troni, circondati da noi invitati. Alessia aveva il classico vestito bianco che, a lei che assomiglia moltissimo a Julia Roberts, le donava molto e tu, Stefano, avevi un abito nero che hai fatto fare dal sarto e una cravatta blu. Ecco, vi ho raccontato come si era celebrato un matrimonio tribale romano-testaccino:il migliore dei matrimoni possibili. Tu e Alessia, infine, avevate fatto finta di andare a dormire insieme, nello stesso letto, per la prima volta nella vostra vita. Ma senza combinare nulla, ho saputo poi da mio fratello. Perché il rituale era stato molto impegnativo ed eravate sfiniti, anche se sicuramente avevate dormito tra rose e gelsomini. Certo, questa giornata era stata per voi piena di soddisfazioni ma anche molto, molto faticosa. Fortuna non ci si sposa troppo spesso. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 22 luglio 2013

Il pasticcio kazako

IL PASTICCIO KAZAKO E’ stata una vicenda dai contorni incredibili la deportazione in Kazakistan di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukthar Ablyazov, e della loro figlia di sei anni. Non ritengo che la motivazione dell’espulsione dall’Italia sia da ricercare nel tentativo di favorire un Paese con cui abbiamo importanti relazioni economiche. Penso, invece, che sia stata dovuta a superficialità ed improvvisazione. Anche per questo è doveroso che ora l'Italia faccia tutto quello che è nei suoi poteri per riportare in Italia la donna e la sua piccola figlia, perché è giusto che diritti del dissidente Ablyazov vengano garantiti. Va anche detto, comunque, che si tratta di un ricco esponente della nomenklatura kazaka in rotta con l'attuale dirigenza e non propriamente di un martire della libertà. In ogni caso, è stato abbastanza sconcertante vedere, in una delle fasi più complesse della crisi economica in atto, la politica italiana tenuta in scacco per giorni e giorni dal pasticcio kazako, come se fosse il primo dei nostri problemi, tanto che ancora una volta è stato necessario l'intervento di Napolitano per riportare la vicenda nei suoi giusti termini ed evitare derive pericolose. Purtroppo l'Italia è una nazione che spesso ha difficoltà a muoversi sui palcoscenici internazionali, come in questo caso dove il gioco di rimpalli di responsabilità ha permesso ai diplomatici di una nazione come il Kazakistan, ricca di gas ma certo non una potenza mondiale, a spadroneggiare nel nostro Paese. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 19 luglio 2013

La Rai non trasmetterà Miss Italia 2013

La Rai non trasmetterà Miss Italia 2013 Se lo sapesse Enzo Mirigliani, si rivolterebbe nella tomba. Miss Italia, il concorso più famoso d’Italia da lui ideato, che ha dato fama a centinaia di italiche bellezze, da Sophia Loren a Gina Lollobrigida, da Martina Colombani a Cristina Chiabotto (solo per citarne alcune tra le più famose) chiuderà i battenti televisivi, infatti la Rai rinuncia quest’anno alla diretta dell’evento. L'esborso economico per le due serate dello storico concorso di bellezza toglierebbe dalle casse Rai troppi euro. In più le due serate sarebbero state trasmesse a inizio settembre, fuori della prima fascia di garanzia, quella più ambita dai pubblicitari, con un bacino di audience più basso. Laura Boldrini considera "una scelta moderna e civile", quella della Rai di rinunciare a mandare in onda Miss Italia. Al contrario Fiorello difende il concorso di bellezza dicendo che “è ipocrita prendersela con un programma che ha portato fortuna a tante ragazze, belle e parlanti”. Ritengo che la Rai, al di là di tante dichiarazioni di principio, abbia deciso di escluderla dalla propria programmazione soprattutto perché era un format considerato stantio e poco spettacolare, in costante calo di audience e sempre meno appetibile anche per gli sponsor. Il dibattito a posteriori che questa scelta ha suscitato mi è sembrato quantomeno singolare e permeato di quella ipocrisia un po' snob che è tipica di alcuni ambienti culturali del nostro Paese. Rispetto le opinioni della Presidente della Camera, Laura Boldrini, ma, al contrario di lei, credo che l'assenza di Miss Italia dal palinsesto della Rai non modificherà in nulla né la condizione né l'immagine della donna nel nostro Paese. Insomma io la penso come Fiorello e non ci trovo niente di male in questa trasmissione, che fa parte fondamentale del costume italiano. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 18 luglio 2013

Grande Pirata!

Grande Pirata Marco Pantani è morto il giorno di San Valentino del 2004 a soli 34 anni per overdose di cocaina dopo che aveva sofferto di depressione per tanto tempo. Pantani era un fuoriclasse per temperamento, qualità tecniche e fisiche, basti ricordare che a soli 24 anni staccava Indurain e Bugno. Sembrava un ciclista uscito da un’altra epoca, capace di sgretolare avversari e chilometri come nessuno faceva da tempo, sovvertendo la tendenza moderna di campionissimi che si affermavano conquistando soprattutto le tappe a cronometro. Lui invece no, si arrampicava in cima alle montagne, in condizioni spesso impossibili, andando a prendere gli avversari per infliggere poi loro distacchi memorabili, L'unicità delle sue imprese e il dramma della sua morte hanno fatto di Pantani un mito. Non un eroe positivo, piuttosto un simbolo di come la grandezza sportiva e la fragilità umana possono convivere. Pantani è stato un corridore capace come pochi altri di annientare salite impossibili e, insieme, un ragazzo incapace di salvarsi dal gorgo dell'auto-distruzione. Si può discutere sul piano dell'etica sportiva se quella di Pantani fu interamente vera gloria. Ma sulla tragica grandezza della sua storia di uomo e di ciclista non ci sono dubbi. Comunque, Pantani è stato il più grande scalatore della storia del ciclismo, e di sicuro quello che più mi ha fatto battere forte il cuore. Inoltre, Pantani non è mai risultato positivo a un controllo antidoping. Ed ora, assurdamente, potrebbe essergli revocato il titolo da lui vinto al Tour de France nel ’98. La decurtazione retroattiva delle vittorie avviene quando è dimostrato, anche attraverso confessione, che il corridore si dopasse quando vinceva, vedi Armstrong. Pantani non è mai stato trovato positivo quando ha vinto Giro e Tour, è stato fermato precauzionalmente un anno dopo per ematocrito alto, ossia doping presunto e non accertato. Ora che è volato in cielo lasciamo che corra tra le nuvole e sopra l’arcobaleno. Over the rainbow. Grande Pirata! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Calderoli contro la Kyenge

Tra i banchi del consiglio comunale di Bergamo Roberto Calderoli, parlando del ministro all'Integrazione Cecile Kyenge, ha detto: "Quando la vedo non posso non pensare a un orango". Affermazioni non sono solo razziste ma anche indegne del ruolo di vicepresidente del Senato che l’esponente leghista ricopre. Parole inaccettabili per una persona che oltretutto è stata anche più volte ministro della Repubblica e storico dirigente della Lega Nord. Uscita razzista da parte del padre del Porcellum. Sono indignato: Calderoli ha inciampato in un insulto esagerato. Un rappresentante dello stato non può e non deve permettersi di fare affermazioni così razziste. Lo dico voler senza alimentare polemiche e strumentalizzazioni. E senza opportunismi e convenienze di alcun tipo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 16 luglio 2013

Attenti alle sette religiose!

Attenti alle sette! Secondo recenti studi, nel nostro paese risultano presenti centinaia di gruppi settari, tra sincretismi, false chiese, testimoni di Geova, buddisti, New Age, Scientology, apocalittici, gnostici, messianici esoterici, occultisti e satanisti nonché adepti a Sri Sathya Sai Baba, a Krishna a Maharishi Mahesh Yogi o alla legge del Sutra del Loto. Questa è la stima ufficiale, ma chissà quanti altri pseudo-movimenti religiosi alternativi -magici, occultistici, neo-pagani o esoterici che siano- si muovono nell'ombra e non rientrano in questo numero. Esiste il rischio che le affiliazioni si tramutino in forme di schiavitù. Gli adepti, infatti, si sottomettono a un rigoroso cammino di iniziazione che culmina in un vero e proprio atto di conversione. La conversione consiste nell'accettazione di principi, regole e credenze che pervadono tutti i gesti della vita quotidiana e può essere rappresentata dal cambiamento d'identità, da un abito particolare che viene indossato, oppure da un nuovo nome che viene assunto, anche solo all'interno della sétta. Diventano molto pericolosi tutti quei gruppi sedicenti religiosi che ingannano i loro seguaci con promesse seducenti che solo in seguito si rivelano inattuabili. Intanto però, utilizzano tempo, energie fisiche, morali ed economiche di quanti hanno abboccato all'esca. Il boom dei nuovi movimenti religiosi è deprecabile soprattutto per l'insorgere di un nuovo sfacciato modo di arricchirsi sfruttando l'ingenuità collettiva, la credulità popolare e il sentimento religioso. Ciò è reso ancor più pericoloso dagli astuti sistemi di aggancio psicologico per adescare, trattenere o far rientrare i seguaci nei ranghi. Si tratta di una impressionante serie di trappole ben mimetizzate, a pianta labirintica. Nelle sette è facile entrarvi ma è molto difficile uscirne senza aiuto esterno. Infatti, quando i capi di una setta espongono concetti, lo fanno in termini elementari, in bianco e nero: “Loro sono contro di noi, la setta ha ragione e chiunque non ne faccia parte ha torto e ci vuole distruggere”. E non ammettono alcun dissenso. I loro leader si aspettano che i seguaci mettano a loro disposizione anche la loro mente. Esercitano un controllo assoluto sugli adepti, che sono tenuti a rinunciare al loro passato. Scelgono preferibilmente individui vulnerabili e giocano sulle loro insicurezze. Cercano in preferenza soggetti solitari e li convincono ad abbandonare gli amici e la famiglia. Gli adepti cominciano a vedere in loro l’unica fonte di sussistenza mentale. Fare il leader di una setta è molto impegnativo: devono mantenere un controllo ininterrotto sugli adepti, intuire i dissensi e stroncarli sul nascere. Quindi, qualora possano sussistere influenze esterne per strada o in luoghi pubblici, rimangono particolarmente cauti. Nel loro ambiente, al contrario, sono più rilassati. I leader di una setta detengono il potere al cento per cento; sono loro a stabilire come gli affiliati trascorrano ogni minuto del loro tempo. Assegnano loro compiti di ogni genere, anche solo per tenerli impegnati ed evitare che abbiano tempo libero, tempo per pensare. I capi-setta si creano la loro etica, definita esclusivamente in base a ciò che è bene per la setta e per mantenere in vita il culto; leggi e moralità esterne sono irrilevanti. Loro convincono i seguaci che è eticamente giusto fare ciò che loro dicono, o suggeriscono loro di fare. E’ perciò pericoloso affidarsi a questa sette organizzate. Ci rimetti troppo: non ti lasciano pensare come vuoi. Ti controllano. So che sembra stupido, ma non mi piace l’idea di predatori che approfittano della vulnerabilità altrui. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 15 luglio 2013

Italia in svendita

Italia in svendita Dopo Bulgari e Fendi lascia l’Italia anche la Pernigotti, andando in Turchia. Ora probabilmente toccherà la stessa sorte anche alla Finmeccanica, ultimo gioiello della ricerca e tecnologia nazionale. In Italia ci sono senz’altro bravi imprenditori, però le rivalità tra marchi impediscono spesso anche la stipula di banali accordi, mancando un ecosistema favorevole all'impresa ed una capacità, anche da parte degli stessi imprenditori, di fare sistema con l'obiettivo di difendere i veri punti di forza e di muoversi sui mercati come cacciatori e non solo come prede. Del resto questo è il mercato, dove pesce grosso mangia pesce piccolo. E, sebbene in Italia ci sia un ottimo livello di creatività e di spirito d'impresa, le nostre aziende devono comunque fare i conti con un sistema bancario non sempre pronto a rischiare. Quindi non è che gli stranieri siano più bravi, operano solamente in un humus più favorevole. Pertanto, molte aziende italiane vanno all'estero alla ricerca di minori obblighi di lavoro, migliori infrastrutture e burocrazia più efficiente. Con questa fuga di nostre aziende all’estero é come se lo stile italiano stesse divenendo un patrimonio esteso all’intero mondo, grazie alla caduta dei confini geografici, politici e commerciali, grazie all’accresciuta mobilità delle persone e delle imprese, grazie anche all’azione, più o meno consapevole, delle comunità italiane all’estero. Anche le minacce sono divenute globali, come il rischio della clonazione dei prodotti. Un Paese competitivo è in grado di crescere e di prosperare non in una logica di conflitto ma in una prospettiva di alleanze virtuose. Nonostante tutto, rimango ottimista: vedo infatti l’Italia come un Paese che non teme il confronto globale perché ha radici solide, ricche e generose. Radici che sono state piantate in un terreno reso fertile da tradizioni, cultura, storia e che hanno prodotto uno stile inimitabile. Ancora oggi, in un’era di innovazioni continue, il Made in Italy riesce ad affermarsi nel mondo per la sua capacità di evocare bellezza e valori di umanità. Difatti i prodotti Made in Italy hanno un’originalità difficilmente uguagliabile. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 12 luglio 2013

Io, Paperino

Ciao, mi chiamo Mario. Mario Pulimanti. Negli ultimi tempi fluttuo in un mare di dolori fantasma e sensazioni fasulle, create dal cervello per tormentarmi e confondermi. Sento il solletico di una mosca anche se non c’è nessuna mosca. Sono sempre più distratto. Non avverto nulla e mi rendo conto in ritardo al bar che una tazza di caffè bollente mi si è rovesciata addosso e mi sta ustionando. Sarà perché ho 57 anni? Eppure ero convinto che la mia sensibilità fosse di recente perfino aumentata. Non mi ritengo un uomo coraggioso, fisicamente e moralmente. Ma prima no, era diverso. Prima ero sempre pronto a tutto. Ora invece il mio coraggio viene meno. Al lavoro cerco sempre di spuntarla, di essere all’altezza. Ho fatto castelli in aria, ho fantasticato, ma i risultati non sono stati del tutto quelli desiderati. Nella mia incessante battaglia non ho raggiunto nemmeno una delle importanti vittorie di cui sognavo. Buoni risultati sì, ma, alla fin dei conti, sempre piccoli successi. Sono convinto che per me è arrivato il momento della fine dei sogni. Dei veri sogni. Ho cercato invano un posto migliore. Dov’è quel posto? Nella Terra-che-non-c’è? A Oz? Temo che arrivino i pensieri più oscuri, che mi potrebbero sommergere come una marea crescente. In ogni modo potrei, una volta per tutte, anche lasciar stare, non essendo stato in grado di raggiungere l’obiettivo principale. Di fatto il risultato conseguito è diverso, molto diverso da quello sperato. Ho paura che, se non ci saranno altri miglioramenti, potrei precipitare nell’apatia. Nell’indifferenza. Di sicuro non tratterrò il fiato nell’attesa di progressi più vantaggiosi. E’ giusto così! A questo punto mi chiedo quando tornerò a casa? Lì, la mia tana trabocca di libri di letteratura e di filosofia, di dischi jazz e di film di Woody Allen. A casa ci sono i miei due figli. Ragazzi abituati a cavarsela nello studio e nello sport. Riflessi pronti. Allora, Mario, muoviti! Mentre cammino, ascolto Bob Dylan con il mio MD tascabile pensando a quando ero giovane. Che bei tempi! Mi è sempre piaciuto Paperino. L’ho sempre amato, e forse per questo sono simile a lui. Mentre non assomiglio per niente a Gastone, probabilmente perché l’ho sempre trovato insopportabile. Mi irrita, infatti, vederlo con una nuova macchina fiammante vinta alla lotteria, andare via con Paperina lasciando Paperino a dare testate sui muri. Infatti Gastone è sempre fortunato. Esce con Paperina sotto gli occhi di Paperino ed ogni volta riesce ad ottenere quello che vuole. Zio Paperone non è mai in grado di tiranneggiarlo. Oltretutto è prepotente, arrogante e non è mai generoso. Infatti Gastone, vestito con la sua elegante giacca verde con fiore all'occhiello, cappello rosso in testa e riccioli biondi sempre in ordine, non ha mai bisogno di lavorare, tanto è la fortuna a pensare a lui. E' anche vero, però, che anche Paperino ha un pò di fortuna: non è solo! Gastone invece è sempre solo. Niente male. Questa volta ho fatto centro. Ma adesso basta. Riempio il bicchiere. Telefona Simonetta. Dice che sta andando a Collevecchio. E va bene. Capisco. Mi siedo sul divano. Spengo la luce e rimango un pò ad ascoltare il mio respiro nel buio. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 11 luglio 2013

Il Papa a Lampedusa contro l’indifferenza

Papa Francesco a Lampedusa ha voluto lanciare un segnale forte. Bello il suo intervento di sul dramma degli immigrati. Belle parole: forti, chiare e coraggiose. Bello l’altare policromo ricavato da una barca. Bello il gesto di gettare in mare una corona di crisantemi bianchi e gialli in memoria dei migranti morti nei naufragi. Papa Francesco ha infatti ricordato i tanti immigrati persone morti in mare; ha ricordato i danni collaterali della globalizzazione. Inoltre, ricordando il dovere della carità e della pietà alle comunità cristiane, non ha invitato gli Stati ad aprire le frontiere, a cambiare le leggi, né ha fatto del cosmopolitismo a buon mercato. Il suo è stato un messaggio contro l'indifferenza, destinato a scuotere le coscienza e, inevitabilmente, anche a suscitare reazioni contrastanti. Recarsi a Lampedusa è stato il gesto di un uomo che vuole guardare, per non far finta di non vedere. Oltre a tutto il fenomeno migratorio è un processo che non riguarda solo la lotta alla povertà, ma rappresenta anche la possibilità per chiunque di vivere dove ritiene di assicurarsi un’opportunità di vita migliore. A parte tutto, spero per davvero che questa visita serva ad umanizzare i centri di raccolta. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 5 luglio 2013

Nascite in diminuzione

Nascite in diminuzione




Ormai è davanti agli occhi di tutti noi la diminuzione della popolazione italiana.

Io ho due figli, ma secondo calcoli statistici in Italia abbiamo in media un figlio a famiglia, mentre, come sembra, per conservare nel tempo la consistenza della popolazione ogni famiglia dovrebbe avere un numero di figli doppio dell’attuale, cioè 2 figli.

A me pare che la stampa e soprattutto i politici non abbiano fatto leva su due elementi che potrebbero aiutare a migliorare la situazione.

Il primo è di carattere ideale e di orgoglio: andando avanti di questo passo fra alcuni anni non ci sarà più un vero italiano in Italia.

Ci si consola dicendo che la popolazione italiana rimane costante per merito degli immigrati.

A prescindere che non è certo che tutti gli immigrati attuali rimarranno per sempre in Italia, basta pensare agli emigrati italiani nel mondo che, se possono, rientrano in Italia.

C’è da domandarsi se questi immigrati vorranno veramente amalgamarsi con noi, o non preferiranno, come mi risulta avvenga per buona parte dei turchi in Germania, rimanere separati e ancorati alle loro tradizioni.

La seconda considerazione è che i politici italiani sono i primi a non dimostrarsi consapevoli della gravità del problema: i provvedimenti finora adottati a favore delle famiglie che mettono al mondo figli sono ridicolmente insufficienti.

E dire che essere genitori è una delle esperienze più belle che ci sono.

Gabriele ha 26 anni e Alessandro 18, ma mi ricordo bene quando erano piccoli.

La visita dell’ostetrica. Il bagnetto, il cambio dei pannolini.

Gli annessi e connessi: i marsupi, le carrozzine, i lettini, le culle di vimini, i biberon, gli sterilizzatori.

Adoravo tutto questo.

Passavo la metà delle mie ore non lavorative a cullarli.

Non mi sono accorto che Simonetta, sogghignando sta leggendo quello che ho scritto: “Non ti preoccupare” mi fa “quando diventeremo nonni ricomincerà tutto da capo”.

Ne dubito.

Le conclusioni traetele voi.



Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 4 luglio 2013

Gabriele Pulimanti & Francesca Rea: ah… l’amore! L’amore quando c’è!

Gabriele Pulimanti & Francesca Rea: ah… l’amore! L’amore quando c’è!




E’ lunedì.

E’ il primo luglio.

Del 2013.

Ieri sera siamo andata a festeggiare i 50 anni di Rita al Tibidabo Beach di Ostia.

Rita Miani, nata il trentesimo giorno del mese di giugno, sotto il segno del Cancro.

30 giugno, come Lea Massari, Silvio Orlando, Tony Musante e Mario Carotenuto.

Rita Miani: mamma di Francesca nonché moglie di Marco Rea.

La loro Ottica la potete trovare a Via Capitan Casella 31/A.

Ottica Rea, ovviamente.

Francesca, la fidanzata di Gabriele.

Gabriele, detto Gabry.

Il mio primogenito.

E di Simonetta D’Ippoliti.

Moglie. Mia.

E madre. Sua.

Ora sono in macchina.

Sto tornando da Fiumicino.

Fiumicino Aeroporto.

Via della Scafa, direzione Ostia.

L’unica macchina silenziosa in tutta l’ingorgo.

Devo essere il solo guidatore che si astenga dal mantenere una pressione costante sul clacson.

Non è che gli altri ci guadagnino chi sa che a strombazzare.

Non gli vedo spuntare le ali, ai loro catorci.

Né che le macchine da cui sono circondati si ritirino come le acque del Mar Rosso davanti a Mosè e agli ebrei inseguiti dal farabutto, o quel che era.

Fermi sono e fermi rimangono.

Esattamente come il sottoscritto.

Per questo mi posso permettere il giochino con le dita che mi aveva insegnata nonna Leonella.

Non è che ci sia un gran che da fare, a stare chiusi in una macchina ferma senza nemmeno una copia della Enciclopedia Treccani sottomano.

Finito di giocare con le chiavi, mi metto a studiare oziosamente le facce visibili al volante delle macchine che assediano la mia decrepita Ford Fiesta.

Sono tutti incastrati per bene all’incrocio tra Via della Scafa e il Ponte della Scafa, che è il ponte che passa sopra il fiume Tevere e che divide i comuni di Roma (Ostia) e Fiumicino.

Anch’io, come altri guidatori, ho i finestrini aperti per vedere meglio la situazione dell’ingorgo.

Cavolo, il traffico in questa strada è diventato letteralmente impossibile da anni e anni, e comincia già dallo scalo aeroportuale.

Uno scenario di automezzi fermi o che camminano a passo d'uomo.

Intanto, mi crogiolo in un umore meditaticcio.

L’autoradio mi sta facendo ascoltare “Over the Rainbow” (anche nota con il titolo “Somewhere Over the Rainbow”).

Il titolo significa letteralmente "Oltre ll’arcobaleno".

La versione originale è cantata da Judy Garland per il film “Il mago di Oz”, del 1939.

Quella che sto ora ascoltando è la famosa versione del cantante hawaiano Israel “IZ” Kamakawiwo’ole, soprannominato “Gigante buono”.

Morto nel 1997 all'età di 38 anni.

Nell'ultima parte della sua vita IZ divenne obeso e arrivò anche a pesare 340 Kg.

Versione stupenda.

Voce meravigliosa.

E' una delle poche canzoni che riesce a farti venire i brividi.

Una ballata dolcissima con la quale Iz ti culla delicatamente.

E l'ukulele come unico strumento, col suo suono particolarissimo, rende indimenticabile una canzone già unica.

Penso ai salesiani del testaccio.

Don Aurelio Galoppo amava citare spesso questo verso del Vangelo di Matteo: “Osservate i gigli del campo. Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano....”

Don Galoppo, amico di nonno Angelino.

Inoltre professore di papà e di zio Romolo.

E poi anche di me.

Penso ai tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin.

Allora non vedevo l’ora di andare all’università.

Per quanto mi riguardava, era lì che la vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo: ginnasio dai salesiani al “Sacro Cuore” e negli ultimi due anni al liceo della Garbatella, il “Socrate”.

In questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a quello che pensavo del mondo.

E’ infatti all’università che sono diventato un vero studente.

Alla “Sapienza”.

Partecipavo alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo.

Poi ricordo i mie primi giorni di lavoro.

Neoassunto e infimo nella gerarchia.

Con uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c’era un lavoro importante di un collega in malattia.

Io avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani.

I Ministeri, si sa, sono i luoghi meno discreti dell’universo conosciuto perché sono saturi di microspie.

Niente di tecnologico, per carità.

Sono microspie umane, soggetti geneticamente modificati per acquisire un superudito e una supervista.

E poi, siccome hanno pure la lingua geneticamente modificata, la usano per rendere edotto il resto del mondo delle loro scoperte.

Chi sa dove arriverei con i miei onanismi mentali se il vicino di sinistra non decidesse di dare una svolta a quel nostro pezzo di vita in comune, mettendo in moto il suo MP3, o quel che è, caricato a lupara con il classico shtump-shtump-shtump, il rumore che vendono solo ai proprietari di Suv e di auto prive di vetri ai finestrini.

Glielo forniscono direttamente incorporato nella carrozzeria o nelle marmitte.

Forse il titolare di quel rumore ha scatenato ad alzo zero tutti i cavalli vapore dei suoi woofer e subwoofer con la speranza di annichilire e ridurre in poltiglia il parco macchine altrui.

Al punto che mi confondo e invece di tirare su i vetri e sigillare i finestrini suono il clacson.

L’effetto è inquietante: le macchine davanti a me, di colpo, cominciano a scorrere.

Mi lascio superare dal mio vicino di sinistra, perché voglio darli una bella occhiata in faccia.

Un classico ripieno da Suv.

Il titolare della faccia è un palestrato, un taglia 54 con la testa rasata, occhiali neri avvolgenti, mascellone aggressivo e bomber fornito di cappuccio, che alla bisogna deve tirarsi sulla testa, a scopo profilattico.

Mi sembra che abbia persino un accenno di bava alla bocca.

Invece la bava appartiene al cane recluso nell’apposito box, un rottweiler o chi sa quale altra marca di cane politicamente scorretta, con un tipico sguardo da disturbo bipolare.

Comunque, è problematico capire dove finisce il cane e dove comincia il tanghero palestrato.

Lascio sfilare il Suv davanti a me, e per un secondo mi viene la tentazione di mostrare il dito medio alle due malebestie; mi astengo.

Così mi limito a mostrare i denti al cagnaccio, che mi ignora di brutto, perché deve sentirsi rintronato ancora più di me dai colpi di grancassa e di tomtom delle batterie.

Infatti ha il pelo irto.

Mi fa quasi pena.

Per buona misura permetto ad un paio di altre macchine di insinuarsi tra me e il Suv.

Ho deciso di prendermela con comodo, oggi pomeriggio.

Dopo essermi districato dall’ingorgo e dal palestrato con rottweiller, a qualche centinaio di metri da casa comincio a cercare posto per la macchina.

Il vero problema, non è trovarlo, il posto, perché dopo le sei non è molto complicato.

Il vero problema si presenta la mattina dopo, quando ti tocca dare a caccia dei proprietari della macchine che ti impediscono di uscire.

Quindi, bisogna avere la pazienza e la fortuna di pescare un posto difficile da accerchiare.

Trovo un buco decente non lontano da casa mia.

Entro nel bar Morganti.

Quello di Gioacchino.

Carmelo prepara il caffè maledettamente bene.

In quel momento squilla il telefono.

E’ mia sorella.

“Mario, come va?”

“Mi stanno calando gli ormoni, Antoné”.

“Ih, e che problema c’è? Pure a Carmine. Da un pezzo. Ma lui ancora non lo sa”.

Carmine è il suo compagno, nonché il mio unico quasi-cognato, dato che Antonella è mia sorella.

Prima era sposata con Marcello.

Marcello D’Amelio, architetto nonché padre di Serena.

Bevo il caffè ed esco dal bar.

Incontro Luciano Colantoni, presidente del Teatro Nino Manfredi nonché grande amico.

Mi chiede come è andata la giornata.

“Sedute di commissioni per tutto il giorno. Seguite da ingorgo di ottanta minuti, con rumoraccio, cane assassino, e coglione taglia 54”.

Mi guarda interdetto, in attesa di spiegazioni che non arrivano.

Poi alza le spalle e mi saluta.

Mentre cammino verso casa pregusto il film che avrei messo sotto il raggio laser del DVD per dilavare il saporaccio dello shtump-shtump-shtump: “Moulin Rouge” con Nicole Kidman, versandomi convenienti razioni di Scott's Selection Macallan nel mio bicchiere preferito.

Whisky scozzese dal sentore di torba per accentuare un sapore che è caldo e cremoso.

Sto per infilare le chiavi nella toppa, quando mi ricordo dell’ammonimento del dottor Graziosi.

Giulio Graziosi, il mio medico di fiducia, l’altra settimana mi ha detto: “Mario, a causa della tua età…e dei tuoi trigliceridi… si manifesteranno presto vertigini, stanchezza e perdita della libido. Quindi: passeggiate, cibi dietetici, poco sesso e niente alcol”.

E’ tutto finito.

Io sono finito.

Scandaloso.

Al ricordo dell’ammonimento del dottor Graziosi un senso di paura cresce dentro di me.

Terrore esistenziale.

Lo zucchero, l’alcool, il sesso: senza di loro, cos’altro rimane?

Mi sento vecchio, stanco e inutile e persino spaventato.

L’inquietudine aumenta, mentre faccio un rapido dietro-front.

Ok, del resto dicono che camminare molto sia il segreto di un’eterna mezz’età.



Il tizio che mi saluta sembra un Testimone di Geova.

Ha i capelli cortissimi, una camicia bianca e una targhetta con il nome.

Non riesco a leggerla.

Volto a destra e tiro diritto in direzione mare.



Trascinato dai miei pensieri.



“Mariuccio!”



Mi sento chiamare.



Un troll di montagna.



Quel frammento di umanità napoletana che abita di fronte a me.



Una specie di orco, con le orecchie da pugile e il naso da pugile.



Mi offre una mentina.



Intanto, si lamenta che i dirigenti del Napoli vogliono vendere Cavani.



Supero la rotatoria vicino alla posta centrale vedo due persone accanto alla strada con il pollice alzato.



Una di loro è una ragazza.



Una ragazza carina, per quel che posso giudicare.



Forse anche l’altra è una ragazza.



Difficile dirlo.



Le sorpasso.



Arrivo al pontile di Ostia.



E’ un pomeriggio magnifico, l'aria odora come il reparto profumeria di Panorama.



Adoro Ostia: il blu del mare, il rosa delle bouganvillee, il verde delle palme.



Oggi il grafico del mio umore assomiglia sempre più al profilo frastagliato di una catena montuosa, con vette e valli, picchiate e impennate.



Intorno a me centinaia di persone che cercano di spremere alle ultime ore della giornata il loro inutile succo di gioia razionata.



Intorno a me, donne.



Donne sessualmente insoddisfatte.



Donne maritate e ben scopate dentro e fuori casa.



Molte strillano come una cinghia oliata male.



Intorno a me, uomini.



Incoerenti, lunatici, curiosi, sordomuti.



Mistici.



Mah…non importa che la tua fede discenda da Geremia e da Gesù, da Allah e da Maometto, o da Brama e Buddha, qualcuno ti dirà che sbagli e per questo ti combatterà.



Diamine, il groviglio dei miei pensieri è sempre lì, e ristagna come la fuliggine nei comignoli.



Penso a papà.



Lui, il poeta Antonio Valeriano Pulimanti, ha più volte mostrato il proprio coraggio, ma ancora di più ne ha dimostrato nell’ultima battaglia, quella contro la malattia che nel giorno di pasquetta del novantadue lo ha ucciso, ma non piegato.



Sì, l’ho visto accadere.



E’ l’effetto del cortisone, principalmente.



In questi casi viene somministrato spesso, aiuta il paziente a tenersi su.



E ha anche un effetto tangibile sul morale: uno si sente sicuro di sé.



Allegro e sfrontato, mi capite?



E’ stato di quell’umore lì per qualche settimana.



Poi…



Respiro a fondo.



Poi é cominciata la parte brutta.



I capelli che cadono.



La nausea continua.



La diarrea.



La debolezza che ti parte dalle ossa, come se ti avessero cambiato il materiale di cui è sempre stato fatto il tuo corpo.



E il buonumore che scompare, da un giorno all’altro.



E così arriva quel maledetto giorno di pasquetta del novantadue.



Papà.



Le persone che l’hanno conosciuto affermano che sono il suo ritratto.



Se sono in difficoltà, penso: papà ti prego fai qualcosa.



Lo so che ci sei, da qualche parte.



So che mi vedi.



Ho sempre fatto tesoro dei suoi consigli.



So quando è il tempo di passare all’azione o di starne fuori.



Tuttavia ci sono cose che facciamo perché ne abbiamo voglia e altre che facciamo perché ci tocca.



Questione di sopravvivenza.



Passo la mano sui miei capelli bianchi.



Ho delle priorità e, per quanto mi riguarda, la vanità non ne ha mai fatto parte.



Non sono tipo da vantarmi delle mie doti ben sapendo che la superbia può trasformarle in debolezze.



Mi stringo le mani.



Sembro sul punto di iperventilare.



Falso allarme.



Penso a nonno Angelino.



Parlava poco, ma ogni parola era pesata.



Papà Valeriano glielo rimproverava ma lui lo guardava e diceva: “Ascolta il vento, figlio mio. Il vento parla”.



Sono abituato a contare solo su di me senza aspettarmi mai favori piovuti dal cielo, come mi aveva insegnato nonna Jole.



Iolanda Talocci, detta Jole.



Moglie di Vittorio Aloisi e madre di Romolo, Alberto ed Ernesta.



Nonché suocera di Romolo Aloisi e Maria Adele Cannella.



Vabbé, due Romoli: uno nonno, l’altro nipote.



Non posso dimenticare il volto saggio e profumato di nonna Jole, gli occhi celesti e i capelli grigi raccolti dietro la testa.



Brrr.



Mi sento gelare a questi ricordi.



Penso a Simonetta.



Figlia di Rosato D’Ippoliti -che per molti anni è stato Presidente della Confraternita di San Bernardino- e di Venia Vittori, zia di Alessandro Nesta, il calciatore.



Simonetta é una donna che si preoccupa di tutto.



La lista delle cose di cui si preoccupa in ogni dato momento è interminabile: il benessere dei figli, per esempio, o l’inadeguatezza del nostro stipendio, o la macchia d’umidità sopra la finestra, o lo scricchiolio delle sue giunture ogni volta che si alza la mattina, o il libro che da tempo nostro figlio Gabriele deve restituire alla biblioteca comunale e non riesce più a trovare, o il riscaldamento del pianeta.



Ma in questo momento particolare ci sono due cose che le danno ulteriori motivi di preoccupazione: la minacciosa certezza dell’avanzare del tempo (Tempus fugit!) nonché lo stato della salute mentale di suo marito (vale a dire, del sottoscritto).



Mi dice: “Guardati intorno. Ci sono uomini che fanno jogging, che coltivano ortaggi, che vanno in bicicletta, che costruiscono case. La tua specialità è quella di essere negato per qualsiasi lavoro manuale”.



Questo vale anche per l’educazione dei figli.



Mi accusa di essere come Ulisse, l’Odisseo che lascia il figlio appena nato e quando lo riabbraccia ha venti anni e si è fatto uomo: Telemaco.



Difatti, a suo dire, mi sono ritrovato uomo il laureato ventiseienne Gabriele e maggiorenne il diplomato diciottenne Alessandro senza aver fatto nulla, perché ha pensato sempre a tutto lei.



Del resto dice che la mia filosofia di vita è l’utilitarismo spinto.



In poche parole sarei un integralista dell’edonismo estremo.



Ognimodo ho questi due figli svegli.



Beh, per dirla giusta a volte non mi sento del tutto realizzato nella vita professionale e in quella creativa.



Malumori passeggeri.



Penso a mamma.



Ernesta Aloisi.



Di che cosa è morta il 29 luglio dell’anno scorso?



Della stessa cosa di cui muoiono tutti, alla fine: per una serie di circostanze.



Forse aveva una malattia che non poteva essere curata.



Non c’è stato nulla da fare.



Ma adesso è inutile parlarne.



Adesso.



Mmh.



E allora dov’è il problema?



Mi chiedo: che c’è oltre la memoria?



Senza farmi vedere da nessuno, piango.



Penso a Gabriele e al suo concorso per Notaio.



Penso a Alessandro e al suo diploma.



Penso allo stipendio.



Penso a Stefano.



Con orgoglio.



Gli sono infinitamente riconoscente.



Perché mi capisce.



Perché mi aiuta.



Perché c’é.



Non é solo un fratello.



E’ un amico.



Questo uomo é assolutamente fuori dall’ordinario.



Penso al teatro.



La coscienza.



Maledetta coscienza.



Alimentata da un’educazione raffinata.



Fatale.



Penso a un amico.



Prima della morte della moglie, credente doc.



Ma in questi giorni non riesce più a pregare.



Lo zelo della sua religione originaria si è intorpidito, rivestito com’è da strati spessi e duri di sapere, cultura e cinismo.



I paradossi della teologia hanno cessato di sorprenderlo, e il brivido delle controversie mistiche hanno perso il suo fascino.



Ai suoi amici ora dice: “Davide, in un salmo di pentimento, rivolgendosi al Signore, chiede: Lavami, e sarò più bianco della neve. Più bianco della neve, figurarsi! Piuttosto lercio come il fango schizzato delle auto.”



Oltre le apparenze.



Penso a Collevecchio, il paese sabino di papà e di Simonetta.



La signora Maria mi faceva vedere come si castravano i galli, nell’ottica di preparare i capponi ai quali tirare il collo per Natale, e alla cantilena con la quale accompagnava una sorta di gesto magico, bagnando il becco del povero animale nel catino pieno di acqua e aceto nel quale gli aveva disinfettato al ferita: “ C’era un gatto tutto rosa che cercava la sua sposa, la sua sposa non c’è più ed il gatto adesso è blu”.

Poi un nostro vicino, amico di mio nonno, mi offriva sempre dei dolci appena sfornati dalla moglie.

Era un uomo alto e tarchiato, largo quasi quanto era alto, ma muscoloso e sano.

Indossava spesso uno stretto gilet sulla camicia e un paio di ampi pantaloni.

Forse allora non avrà avuto più di quaranta anni, ma il lavoro dei campi lo aveva invecchiato, come dimostravano le rughe profonde e la pelle ruvida sul suo volto robusto.

Penso a Valter.



Amico.



Da sempre.



Abbiamo studiato sempre insieme.



Al liceo.



All’Università.



Ora è diventato Prefetto.



Sicuro di sé, non ha difficoltà a sostenere lo sguardo di nessuno.



Liliana è l’attraente donna dai capelli biondi che l’ha sposato.



Insieme al marito è stata la mia testimone di nozze.



Il suo sorriso va dall’esuberante al seducente.



Penso a Giorgio.



Amico.



Un bell’uomo dal volto importante.



Non fuma.



Non beve.



Non indulge in lussi di alcun genere.



Penso a Ferruccio.



Marito di Silvia, l’allegra psicologa.



Lui é sempre in eccellente forma fisica.



Ama indossare camicie button-down senza cravatta, jeans e scarpe sportive.

Penso ad un collega.

Un saccente che te lo raccomando, tutto quel che dici sbagli.



Quando gli daranno il Nobel sarà ancora poco.



Penso ad una collega.



Femmina.



Aspetto scialbo, fianchi pesanti, capelli castani, corti, con taglio tutte punte, tipo Peter Pan.



Accidenti!



Quella donna riesce sempre a rendermi più triste di una vedova senza pensione.



Penso a un’altra collega.



Racchia.



Tutta casa, avemaria e padrenostro.



Intanto, sciabolate di luce cade a pioggia sulla terra.



Come lacrime del cielo.



Aculei d’ortica mi dilaniano il torace.



Penso ancora all’ufficio: stamattina è entrata una collega nella mia stanza.



Un donnone di un ufficio del Gabinetto.



Mi ha chiesto lo stato dell’arte di una pratica.



Le ho risposto.



Il donnone ha ciondolato il capo dubbioso.



Poi è uscito maestoso portandosi dietro mezzo quintale di fondoschiena.



Spesso e volentieri mi capita di fare sogni senza capo né coda.



Cosa sogno?



A volte, la Kidman.



Ma non è stato un gran che come sogno, dico poi con faccia di cuoio ad una perplessa Simonetta.



Penso: in Europa gli ospedali vanno a pezzi.



In Cina campagne allo stremo.



In America latina case confiscate.



In Africa corpi di bambini avvelenati con cibi sospetti.



Nei paesi integralisti menti all’ammasso.



In Iran lo spirito vitale del paese straziato, ridotto all’ultimo respiro.



Nei paesi dell’est i posti di lavoro si assottigliano.



Grido.



Grido senza sentire la mia voce.



Schegge di consapevolezza mi lacerano dall’interno, graffiando il torpore stagnante della mia mente.



Sono in trappola.



Completamente in trappola.



E non so come uscirne.



Mi sento come un pesce nella rete di un pescatore esperto che non ha fretta di agguantare la preda.



Sì, sono in trappola.

Più di quanto lo sia mai stato in vita mia.



Sento i pensieri rimbombarmi in testa, tutt’intorno, trasportati da una strana eco che non riesco a riconoscere.



Il nulla mi circonda o è dentro di me?



Un alito di vento mi accarezza il viso, leggero come un sussurro.



Sta accadendo qualcosa…



Un angelo.



Simbolo di libertà.



Lo vedo avanzare come in un sogno.



Bianco.



Candido.



Puro.



Talmente splendente da riflettere i raggi del sole.



I suoi movimenti aggraziati non tradiscono la minima incertezza.



Per un attimo vorrei essere come lui.



Ora che lo vedo così da vicino, é più bello di quanto vorrei.



Il suo sguardo è troppo dolce e profondo per non fare male.



Mi lascia senza fiato.



“Era un pò di tempo che ti stavo aspettando” sembra dirmi “dove sei stato tutto questo tempo?”.



Taccio.



Non ho parole per rispondere alla sua domanda.



Ma solo un semplice gesto.



Una carezza.



Un gesto che suona come un: “Lo so…mi dispiace averti fatto attendere così a lungo…”



O che forse, non ha altri significati oltre a quello della sua estrema naturalezza.



Il luogo non ha nessuna importanza…non l’ha mai avuta.



Finalmente me ne rendo conto.



Lascio che i pensieri dell’angelo apparso di fronte a me crescano, saturino l’aria.



Li trovo bellissimi.



Armoniosi come uno spartito di note invisibili.



E non posso fare altro che ascoltare.



Quando l’essenza delle cose riesce a sfiorarti, é sufficiente lasciarsi prendere per mano senza

voltarsi indietro.



Senza tormentarsi sulla causalità di un incontro.



O di un addio.



Ora ho le chiavi per abbandonarmi alla carezza del vento.



Oltre l’orizzonte.



E non posso smettere di sorridere, nemmeno mentre una anziana signora mi sorpassa.



Porta il suo cane a insozzare qualche altro marciapiede.



Intanto una ragazza della scuola guida sta cercando di compiere un’inversione.



Non riuscendoci.



L’istruttore deve essere un tipo paziente.



Eccolo, il mal di testa!



Rombi di tuono mi pulsano alle tempie e mi sembra di veder baluginare sottili filamenti di fulmini, che subito svaniscono.



Mi stringo le tempie con la punta delle dita, i gomiti all’infuori, in parte per placare il martellamento.



Mi appoggio al bordo del parapetto del pontile.



Alzo gli occhi.



Il cielo è sereno.



L’indaco lambisce il turchino e il violetto carezza il turchese fino a sfumare nel grande respiro dell’infinito.



Dio che spettacolo!



Perché gli uomini hanno smesso di guardare il cielo?

Davanti a me, una barca.



Dietro, una coppia.



Lui, anziano.



Avvinghiato a una giovane donna, tradisce sua moglie.



Un amplesso violento.



Animalesco.



Antico.



Sto sudando freddo.



Dalle mie riflessioni mi scuote improvvisamente una mano sulla spalla.



E’ Gabriele.



Gabriele non ha paura di dire ciò che pensa.



Lui esprime sempre le sue idee.



Però non è uno sconsiderato.



Sostiene che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori dal suo controllo, come foglie al vento.



Una verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale.



Ecco perché non parla di politica fuori di casa.



O con estranei poco affidabili.



“Stai bene, papà?”



Traendo un profondo respiro, dico: “Così e così. E’ colpa di questa umidità terribile e innaturale. E’ come un castigo. Secondo me, intorpidisce il cervello e brucia lo spirito”.



Gabriele mi guarda, si siede vicino a me.

Decidiamo di andare a prenderci una birra all’Old Wild West, il ristorante texano-messicano che si trova proprio a Piazza dei Ravennati, di fronte al Pontile.

Locale carino.

Durante il periodo universitario Gabry ha lavorato qui alcuni mesi.

Per pagarsi una vacanza.

Con i suo amici del cuore: Michelangelo, Tommaso e Saverio.

In Calabria.

A Diamante, in occasione della festa del peperoncino che si tiene ogni anno nella prima settimana di settembre.

Ora è fidanzato.

Da un anno.

Con Francesca Rea.

Non Rea Silvia, sia chiaro!



Cavolo: é lei la splendida fanciulla che, entrata ora nel ristorante, si viene a sedere nel nostro tavolo.



Le ha infatti telefonato Gabry, invitandola a raggiungerci.



Gabry e Francesca.



Salutandomi, mi fissa con occhi di donna.



Poi bacia Gabry.



Si nota lontano un miglio che sono magicamente innamorati.



Occhi che si cercano.



Sguardi prolungati.



Strette di mano che sono carezze.



Baci sulle guance con labbra troppo premute.

Ieri Gabry mi ha detto che lui e Francesca sanno esattamente quali tasti toccare per far perdere le staffe l’uno all’altra, e la difesa diventa presto attacco una volta che le parole hanno preso l’abbrivio.

Ma poi tutto si conclude con un lungo bacio.

“Perché?”, gli ho chiesto.

“Perché Francesca ha lo stesso profumo del paradiso”, mi ha subito risposto.

Mentre li osservo, mi vedo tra le braccia di una ragazza con capelli lunghi e riccioli neri.

Vedo i contorni di un mazzo di rose sul davanzale della sua finestra, che oscilla alla brezza notturna.

Sento uccelli cantare qua e là e, da lontano, la musica dell’estate collevecchiana degli anni settanta.

Sento un bisbigliare fitto fitto nell’orecchio.

Sento un “ti amo” e sento che dalla gioia mi si rizzano i peli, ora!

Ora, in questo istante!

Nello stesso tempo penso a quello che Gabry mi ha confessato sabato, in un momento particolare: cioè davanti a due Cuba Libre.

“Papà” mi ha detto “una sera dell’estate scorsa, alla fine di giugno, qualcosa ha posto fine alla monotonia in cui mi sentivo intrappolato. Stavo bevendo una buona Guinness, per togliermi la sete. E’ stato allora che, all’ombra fresca di un gazebo, stordito dalle chiacchiere inutili dei partecipanti ad un’inutile festa, mi sono innamorato. Francesca l’ho vista mentre assaporavo il lieve aroma alcolico della birra. Accompagnata da un alone di ottimismo e gioia, camminava con passo svelto, e ha sorriso quando è passata accanto ad alcune sue amiche. Mi è sembrato di vedere un angelo. Aveva una risata deliziosa, cristallina e delicata. La bocca e le labbra erano perfetti. I capelli, sciolti al vento, avevano il colore biondo mediterraneo: quel biondo né troppo acceso né troppo spento, tipico delle ragazze mediterranee. Gli occhi erano chiari e il fisico slanciato, le guance soffuse di un lieve rossore. Superandomi, ha lasciato dietro di sé un meraviglioso profumo delicato. Ne sono rimasto stregato. Ho subito temuto che i miei sentimenti non sarebbero mai emersi dalle brume del sogno. Mentre mi struggevo a guardarla, pensavo che con ogni probabilità non avrei mai scambiato una sola parola d’amore con lei in tutta la mia vita. Mi ero davvero innamorato? Non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse accadere proprio a me, a Gabriele Pulimanti, così freddo e razionale. Ma subito qualche giorno dopo ho capito che il sentimento che nutrivo per lei, qualunque esso fosse, aveva cominciato a offuscarmi la mente. Che assurdità! Se nemmeno la conoscevo bene…Sì, l’amore è proprio strano. E’ facile giudicare gli altri dall’esterno, come se fossero formiche intrappolate dall’inevitabile forza delle emozioni. C’è persino chi, per amore, si macchia di un crimine, ruba o commette strane azioni. Era facile trovare ridicolo, compatire quelle povere e ingenue persone che si comportavano in modo tanto idiota. Lassù, sulle vette della ragione, mi sono sempre creduto al di sopra del bene e del male. E adesso mi toccavano le prime lezioni di umiltà. Non era affatto semplice, se succedeva a te. Perché allora la razionalità non si vede neanche da lontano. Non riuscivo a pensare ad altro che a trovare un modo per incontrarla, per avvicinarmi a lei e rubarle uno sguardo, contemplare di sguincio il suo bel viso, ascoltare la sua risata. Ero un emerito imbecille. Come avevo potuto innamorami di una ragazza a prima vista, dimenticandomi di tutto? Che mi venga un colpo se ci capivo qualcosa. Semplicissimo, invece: Francesca era la ragazza dei miei sogni. Proprio così. Niente riusciva a farmi scordare le pene d’amore. E i giorni passavano. Finché non l’avevo incontrata di nuovo due settimane dopo alla Biblioteca Elsa Morante. L’avevo invitata la sera a mangiare una pizza, da”Anema e core”. Da allora stiamo insieme. E lo saremo sempre. Perché con lei, così splendida discendente di Venere, sogno prati fioriti”.

Gabriele e Francesca: contenti.

E tanto!

Ah, l’amore.

L’amore quando c’è!

Oh, Signore!

Ok: pago il conto e li saluto.

Rientrato a casa decido, anche se è tardi, di dedicarmi al bricolage domestico fin tanto che non arrivino gli altri componenti della Pulimanti’s family.

In questo momento mi sento felice.

Più felice di quanto non mi sia sentito da molti giorni e molte ore.

Sarà stata l’aria del pontile.

Sarà stato l’aver visto una coppia così innamorata!

Non so cosa mi spinga, dopo sei mesi di buoni propositi e tergiversazioni, a riparare il buco sbrindellato sopra la porta della cucina nel punto in cui l’elettricista ha portato i fili per un nuovo allacciamento.

Comunque, va tutto per il verso sbagliato sin dal primo momento.

Lo stucco in polvere, comprato quasi due anni prima, si è indurito come un blocco di cemento e la rudimentale scaletta che ho in casa non è mai stata stabile sulle sue gambe traballanti.

Ma qualunque sia stato il motivo del mio improvviso bisogno di riempire quel maledetto buco, sprofondo in verticale dalla cima della scala, come un paracadutista in caduta libera.

Cado sul piede destro con dolore lancinante, resto a terra per un paio di minuti con un senso di nausea, asciugandomi il sudore freddo che mi si forma sulla fronte, e finalmente zoppicando riesco a raggiungere la sala da pranzo dove, con il fiato grosso, mi siedo sul divanetto.

Dopo un po’ il male si attenua e mi sento alquanto rassicurato, ma mezz’ora più tardi compare il gonfiore mentre fitte strazianti e improvvise mi tormentano il collo del piede.

Riuscirò a guidare?

So che è assurdo solo provarci.

Sono le otto di sera.

C’è solo una cosa da fare.

Arrancando e barcollando raggiungo il telefonino e chiamo Gabry.

E, nel giro di mezz’ora, mi ritrovo a sedere sconsolato nella sala d’aspetto del pronto soccorso dell’Ospedale Grassi di Ostia, in attesa dell’esito delle lastre.

Ora mi sento un po’ depresso.

Alla fine sono visitato da un medico giovane che contempla le mie lastre con tutto l’interesse di un invitato annoiato che dà un’occhiata fuggevole alle diapositive delle vacanze del suo ospite.

“Niente di rotto”.

Mi prescrive un bendaggio e le stampelle fornite dall’ospedale.

Esprimo la mia gratitudine nei confronti del medico e, vacillando esitante, torno da Gabry che mi aspetta.

“Lei” mi grida il medico da dietro le spalle.

“Lei, Pulimanti. Due giorni niente lavoro. Riposo. Ok?”

“Non si preoccupi, grazie” dico.

“Lei, Pulimanti. Vuoi guarire, eh? Niente lavoro. Due giorni. Riposo. Ok?”

“Ok”.

Oh, Signore!

Ritorno a casa.

Dopo che Gabry se ne è andato, resto a sedere con le mani congiunte davanti alla faccia, le punte delle dita che si toccano e gli occhi chiusi, come se pregassi una benevola divinità di gettare una luce sul mio sentiero oscuro.

Ma, sia pur senza volerlo, ho da tempo fatto la tara all’idea che esista un qualsivoglia agente sovrannaturale.

Sto solo pescando con pazienza nelle acque torbide della mia mente.

Squilla il cellulare.

E’ Simonetta.

Mi avvisa che è andata a Collevecchio.

Con Alessandro.

Decisione improvvisa.

Gabry l’ha appena avvisata del mio piccolo incidente.

“Dunque?” dice Simonetta appena mi sente.

“E’ molto, molto doloroso. Per via delle terminazioni nervose o qualcosa del genere. Ma in fin dei conti è solo una contusione” rispondo io.

“Ok, torniamo domani. Bè, anche se non te lo meriti, ti auguriamo una buona serata”.

Perfetto: Gabry prima di andare via è passato in rosticceria, comprandomi una porzione di lasagne e di filetti di spatola.

Stappo una bottiglia fredda al punto giusto di uno zibibbo secco di Pantelleria e ne assaggio un sorso: un balsamo.

Spazzolo via tutto con lentezza, assaporando ogni boccone e ogni sorso.

C’è pure un residuo di gelato in freezer.

Accendo un attimo il pc per controllare le ultime notizie.

A dire il vero, il pc lo uso solo quando non posso farne a meno.

I fondamentalisti del cyber spazio e i fanatici che provano un orgasmo solo quando trafficano con le frattaglie dei computer, continuano a indurmi sospetto, cautela e circospezione.

Uno non fa di tutto per sfuggire a una possibile morte per avvelenamento da chiacchiericci e maldicenze, per farsi poi intossicare dai lagnosissimi blogger notturni, portatori sani di sfortuna.

Intanto dalle finestre aperte davanti a me vedo il buio che scende su Ostia.

Entra un venticello caldo profumato di mare.

Ormai l’estate è arrivata.

Per tutti gli dei, mi va a genio l’atmosfera di questa notte.

Mi siedo in poltrona.

Nicole Kidman in tutto il suo splendore e la sua bravura mi accompagna fino a notte inoltrata.

Poi vado a letto.

Mi sveglio alla tre del mattino, in preda al sudore.

Temo che per questa notte non chiuderò più occhio.

Così mi metto seduto, prende il bicchiere d’acqua che ho lasciato sul comodino e lo prosciugo, quindi lo riempio di nuovo.

Mancano diverse ore all’alba.

E queste sono le ore peggiori, le ore in cui le mie insoddisfazioni hanno la meglio su di me.

Oh, sì, l’unica soluzione è alzarsi e provare a fare qualcosa per distrarmi.

Ripenso a Gabriele e Francesca: contenti.

E tanto!

Ah, l’amore.

L’amore quando c’è!

Non ho intenzione di camminare per casa a questa ora del mattino, così accendo l’abat-jour, prendo “ I pilastri della terra” di Ken Follet dal comodino e mi appoggio con la schiena sui cuscini per leggere.

Quando la pallida luce dell’alba comincia a diffondersi su Ostia, il libro ormai mi è caduto sul petto e io sonnecchio tranquillo, immerso in un sonno privo di sogni.



Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)



Il diploma di Alessandro

Il diploma di Alessandro






Sono cose che succedono.

Di rado, certo, una volta nella vita, forse due, ma posso assicurarvi che succedono perché è successo a me.

Non ci potevo credere neppure io, eppure ero lì: la mattina del nove novembre all’ospedale Grassi di Ostia, una buona struttura idonea a favorire un trattamento più umano del paziente.

Era il 1994.

Il calendario della Chiesa Cattolica Romana, festeggiava Sant’Oreste di Tiana medico morto nel 304 martire in Cappadocia, durante la persecuzione di Diocleziano.

Torturato e martoriato con i chiodi perché non rispettava i principi deontologici della corporazione dei medici pagani, che nella sostanza praticavano la stregoneria facendosi pagare lautamente dai loro pazienti.

Ero appena uscito dall’Ospedale Grassi.

Stavo rientrando a casa.

L’autoradio mi stava facendo ascoltare Willie Nelson che cantava “Georgia on My Mind”, la canzone ufficiale dello stato degli Stati Uniti della Georgia.

Erano le 5 di un mattino piovoso.

Due ore prima era nato Alessandro.

Come passa il tempo: ieri ha terminato la maturità classica, sostenendo brillantemente presso il Liceo classico "Anco Marzio" di Ostia l’ultima prova.

Quella orale, mostrando una grande sicurezza e una notevole preparazione.

Uh sì, bravo lo sei stato veramente.

E’ assolutamente evidente che -per tua fortuna- hai ripreso più da mamma Simonetta che da papà Mario (cioè dal sottoscritto).

Bravo Alex: continua così…ma guardati sempre le spalle, specialmente negli ambienti di lavoro perché, come dice Woody Allen: “Il leone e il vitello giaceranno insieme, ma il vitello non dormirà molto”.







Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 2 luglio 2013

Made in Italy in agricoltura: un tesoro da proteggere

Made in Italy in agricoltura: un tesoro da proteggere


Lo scandalo legato ai prodotti agricoli provenienti dall’estero che continuano ad essere spacciati come italiani, dall’extravergine ai salumi, per la mancanza di trasparenza nell’informazione delle etichette è una delle principali cause della perdita di valore del made in Italy in agricoltura.

Sarebbe opportuno, secondo me, investire sulla qualità, la trasparenza e sull’innovazione a partire dalle bioenergie derivanti dall’agricoltura.

Infatti siamo di fronte ad un vero attacco al made in Italy a tavola con la mancata applicazione dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti che ha provocato la proliferazione del falso made in Italy a tavola: dal pomodoro cinese all’olio tunisino, dal prosciutto olandese alla possibilità addirittura di vendere come italiana la macedonia in scatola composta da ananas e acini di uva extracomunitaria, prugne bulgare e pere cinesi.

Serve un deciso cambio di rotta verso una politica agricola legata al territorio che valorizzi l’impresa nell’interesse dei cittadini e dei consumatori.

Il governo deve difendere i nostri prodotti agroalimentari dalle falsificazioni e dalle truffe, attuando le norme di trasparenza, sostenendo le aziende agricole, bloccando così l’ingresso di prodotti falsati che inducono in inganno i consumatori.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)



OSTIA





Ostia.

Terra di mare.

Il sole è intenso.

Acque salate, salate come la mia vita.

Ostia.

La mente viaggia.

Il mio cuore è schiavo.

Ostia.

Sentimenti avvelenati.

Impossibili.

Impotenza di fronte ad eventi ruggenti.

Caos oscuro.

Ostia.

Guardo il tramonto.

Sono avvolto dalla bellezza di quegli attimi.

La mia mente è altrove, viaggia in un mondo fantastico.

Ostia.

Mi fermo in attesa di una profumata brezza di mare.

Delicata sul mio viso bagnato.

Di lacrime.

Ostia.

Cerco la luce.

Indispensabile per poter sorridere di nuovo.



Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 1 luglio 2013

Alcol e droga sono le abitudini peggiori dei giovani





II disagio e la voglia di evasione dei giovani trovano spesso sfogo nella droga e nell'alcol, che portano danni tremendi a questi ragazzi, spesso non consapevoli dei pericoli a cui vanno incontro.



La ragione di tutto questo potrebbe essere infatti sia la mancanza di stimoli, che il coinvolgimento da parte della società, considerato anche l’aumento costante del tasso di disoccupazione giovanile.



Gli adolescenti più a rischio di incorrere in seri problemi derivanti da uso di alcool e droga sono quelli che hanno una storia familiare di abuso di sostanze, quelli che soffrono di depressione, con bassa autostima, che non si sentono a proprio agio o che sono sbandati.



L'alcool ha tutti gli effetti negativi di una droga, soprattutto se in dosi elevate e in un'età ad altissima vulnerabilità cerebrale, come l'adolescenza.



Anche in Italia sta crescendo vertiginosamente il consumo di alcolici nei giovani.



E sta aumentando un fenomeno di grande insidiosità: la bevuta del sabato sera.



Una passione pericolosa e triste.



Questo allarmante fenomeno deve farci riflettere e convincerci a intraprendere con decisione adeguate misure preventive e curative.



La droga è un problema serio, molto serio.



Per i giovani e per gli adulti.



La droga oramai è intesa quasi come “mezzo”, e non più come fuga dalla realtà.



Una scelta al servizio del successo personale, della produttività della vita sociale e professionale.



Un aiuto per sostenere performance elevate, rapporti più facili e disinibiti con gli altri.



Quasi un bene di consumo come tanti altri, meglio se assunto alternando diversi tipi di sostanze, utilissimo per stare al passo con traguardi che impongono una sorta di fitness artificiale continuo.



E poiché risultati e traguardi seducono già nella fase dell'adolescenza, sono i giovani ed i giovanissimi i nuovi consumatori di droghe: cresce la domanda di ecstasy, derivati anfetaminici, cocaina.



Un campionario di nuove droghe pulite, in procinto di soppiantare siringhe ed eroina, e che ha già imposto un ripensamento generale degli strumenti di intervento di servizi sociali e comunità terapeutiche.



E così i giovani vogliono evadere da tutto un mondo che gli va troppo stretto, che li rinchiude, li imprigiona, li soffoca.



Queste sono parole che ricorrono spesso nei loro stessi modi di esprimersi, di comunicare.



D'altra parte è vero che l'adolescenza è una fase turbolenta e instabile in cui ci si critica, ci si trova persi, si ha bisogno di costruirsi un'identità che non è ancora ben definita, ma debbono capire che il modo per risolvere quella conflittualità interiore non lo si trova nell'assunzione di droghe o nell'alcol.



Inoltre sono gli stessi genitori che possono aiutare attraverso un’educazione preventiva riguardo alle droghe e all’alcol, utilizzando una comunicazione aperta, fornendo modelli positivi e identificando precocemente la comparsa dei problemi che si stanno sviluppando.





Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)