Mi chiamo Mario ed abito a Ostia. Certamente mi
dispiace lamentarmi di un episodio accadutomi nella città che io amo
moltissimo, la mia Roma. Ma...attenzione ai borseggiatori! A me hanno
nuovamente rubato il portafoglio sulla metro B. E dire che si sente continuamente
dire che sul bus o sulla metro occorre
stare attenti ai borseggiatori. Ora sono io a dirvi di non mettere il
portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni, come faccio io, e di tenere sempre
sotto controllo borse e portamonete. Alcuni dipendenti del Cotral-Roma, ai
quali mi sono rivolto, mi hanno anche consigliato di prestare, per il futuro,
particolare attenzione al momento in cui si chiudono le porte della metro, in
quanto il particolare avviso immediatamente antecedente alla chiusura può
facilitare ladruncoli e borsaioli, che imperversano indisturbati le nostre
metropolitane. Che mi hanno rubato il portafogli sulla metro B di Roma,
me ne sono reso conto solo quando, uscito dalla metro, mi sono ignaro recato
dal mio giornalaio di fiducia. A questo punto, dopo aver saldato il conto in
natura -faccio naturalmente dell’ironia- vado a denunciare il furto, come penso
farebbe qualunque persona nelle mie condizioni. Tuttavia, nell’ufficio di polizia
mi dicono che uno scippo compiuto da ignoti può essere denunciato solo come
semplice smarrimento. La denuncia di furto si può fare se il ladro è preso sul
fatto. Difatti se non si hanno in quel momento a disposizione corpo del reato e
testimoni, non sei altro che uno sprovveduto che si e' perso il portafoglio. Se
non ho capito male, quindi, se ti rubano
la borsa o il portafogli devi acchiappare il ladro o almeno sapere come si
chiama. Converrete con me, a questo punto, che non è facile ottenere questo,
nella stragrande maggioranza dei casi. Ritorno a casa, ancora avvilito per il
furto subito questa mattina. Stasera fa freddo fuori, e la metro è di nuovo
strapiena. Mentre vengo cullato dal
vagone della metro, penso che d’ora in poi dovrò stare più attento per
non farmi sorprendere per l’ennesima volta dai borseggiatori e, intanto, con la
coda dell’occhio controllo due zingarelle furbe, smaliziate, petulanti e
insistenti che chiedono soldi alla gente asserendo che servono per comperare
latte in polvere e quant'altro per i loro fratellini e le loro sorelline
piccole. Hanno quest’aria di sfida ed un penetrante profumo che punge le narici
togliendoti il respiro, ma di elemosina ne
ricevono poca, almeno nel mio vagone. All’angolo un giovane parla
distrattamente con una sua amica che, anche se è nel fiore della sua
giovinezza, mi sembra che gli ispiri sentimenti d’intimorita curiosità medica
più che un eccitamento sessuale. Intorno a me ci sono uomini ciarlieri, uomini
faceti e uomini arroganti; pettegoli, pensatori, sognatori e disadattati. Ma
sembra che, almeno questa volta, non ci sia nessun borseggiatore. Nel frattempo
due turiste americane sono sedute vicine ad una studentessa che legge una
rivista ed a quattro giovanissimi supporters giallorossi che, raggianti,
decantano le grandi imprese calcistiche del Capitano Francesco Totti. Scendo
alla fermata della “Piramide” che è buio
e prendo la coincidenza per Ostia. Ormai è ora di tornare a casa. Tanto, i
borseggiatori, saranno ancora sulla metro B ad aspettarci domani. Assurdo! Mario Pulimanti (Lido di Ostia
–Roma)
lunedì 26 settembre 2016
mercoledì 14 settembre 2016
Ma che guaio che é, questo amore!
Ma
che guaio che è, questo amore.
Lavoro
troppo, sono sottopagato e socialmente disadattato.
E
sono un paranoico ipocondriaco.
Se
per caso sento un dolorino al braccio, penso di essere sull’orlo dell’infarto
anche se il braccio è quello destro.
Certi
disturbi comportamentali non spariscono così, in un amen.
L’amore
è un guaio.
Un
guaio, sì.
Uno
magari trova un equilibrio, una quiete.
Si
convince di avere raggiunto un minimo di serenità, che è un traguardo
importante.
Poi
arriva l’amore, con il suo fantasma di felicità e ti fa sembrare tutto grigio,
inutile.
Quello
che hai diventa poco, una piccola, inutile meschinità.
La
musica, le canzoni, le poesie, il mare, il cielo, il vino, il cibo e l’aria.
Tutto
perde senso.
E’
per questo che l’amore è un guaio, un guaio grosso.
Perché
quando ce l’hai, lo puoi perdere.
L’amore
è un sentimento vigliacco.
E’
come un liquido: pensi di tenerlo in mano e quello ti scivola attraverso el
dita.
L’amore
è sempre disperato, però ha sempre qualche speranza.
L’amore
non si rassegna.
Il
tormento non esiste senza l’amore.
L’amore
è l’altra faccia.
E’
un grido disperato che ti fa dormire male.
Di
notte, o si dorme e si sogna o si è svegli e si sogna ugualmente.
E’
di notte che ci mettiamo di fronte a noi stessi, è di notte che non ci sono
scuse.
L’amore
è un guaio; eppure c’è di peggio.
Il
tradimento è peggio dell’amore.
Improvvisamente
un rumore mi allontana da queste meditazioni.
Riesco
a recuperare i popcorn dal forno a microonde un attimo prima che si trasformino
in un’arma di distruzione di massa, com’è successo la settimana prima. Bevo un
sorso di passito.
Vino
da meditazione.
Mi
avvicino la mia piccola pila di quotidiani e settimanali, dando un’occhiata
alla foto di Nicole Kidman.
Ho
comprato un pollo in rosticceria.
Ma
quando lo guardo, il mio stomaco si rivolta.
Lo
metto in frigo per domani, preparando al suo posto un gin tonic bello carico.
Prendo fiato e ne mando giù un sorso.
Prendo fiato e ne mando giù un sorso.
Mah.
Forse
per oggi può bastare
Il
mio stomaco non gradisce nemmeno quello, ma il cocktail mi aiuta a eliminare un
po’ di tensione.
E
infatti quando lo termino mi metto a sbadigliare.
Incoraggiato
da questo fausto presagio, mi dirigo in camera da letto.
Mi
spoglio, lasciando cadere i vestiti dove capita.
Poi
mi infilo sotto le coperte e spengo la luce.
Sospiro,
rassegnato a un’altra notte insonne.
Intanto
penso.
Ricordi,
sensazioni, cose così…
Non
so perché.
Collevecchio.
Ripenso
a un giorno di primavera.
Mi
trovo nell’impossibilità di distinguere la fantasia dalla realtà.
Oltre
il Parco della Rimembranza, ai margini del cimitero, il mare delle vette
d’albero che ondulavano al vento.
La
fragile luminosità pomeridiana s’incupiva e rischiarava sugli occhi di mia
madre secondo il passaggio delle nuvole.
E
poi, oltre la linea dei campi, il rumore dei trattori che transitavano
cigolando a brevi intervalli.
Un
altro debolissimo ricordo mi attraversa la memoria, un esile guizzo
reminiscente…
Erano
i tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin.
Non
vedevo l’ora di andare all’università; per quanto mi riguardava, era lì che la
vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo.
Sacro
Cuore dai salesiani, al ginnasio e Socrate, al liceo.
In
questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a
quello che pensavo del mondo.
All’università
sono diventato un vero studente.
Partecipavo
alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo.
Ricordo
i miei primi giorni di lavoro.
Neoassunto
e infimo nella gerarchia.
Con
uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di
fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali
superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c’era un lavoro
importante di un collega in malattia.
Io
avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere
relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani.
No,
non devo pensare.
Smetto
di farlo.
Devo
avere la mente vuota.
E’
quello il trucco.
Se
non avessi niente a cui pensare, non ci sarebbe niente che mi tenga sveglio.
Immagino un immenso campo di grano, mosso dal vento, circondato da un alto
recinto.
Fuori
dal recinto ci sono milioni di pensieri: la famiglia, il lavoro, i soldi,
eccetera eccetera.
Ma
il mio recinto è troppo alto, troppo solido, e io non li lascerei entrare.
Sono proprio sull’orlo del sonno, pronto a caderci dentro senza riserve, quando il telefono squilla.
Sono proprio sull’orlo del sonno, pronto a caderci dentro senza riserve, quando il telefono squilla.
“Pulimanti.”
“Mario? Vedo che sei ancora sveglio.”
“Mario? Vedo che sei ancora sveglio.”
Batto
le palpebre per un paio di volte. Per quanto brami il sonno, ci sono cose più
importanti.
“Ciao, Ferruccio. Va tutto bene?”
“Ciao, Ferruccio. Va tutto bene?”
“Va
tutto a meraviglia, Mario. Non è che ti ho svegliato vero? So che sei un
animale notturno e dopo le ventitré le telefonate costano meno.”
Sbadiglio.
“Sono
sveglio. Lo sai che puoi chiamarmi quando vuoi.”
Parliamo
del più e del meno.
Parliamo
del Milan, la sua squadra del cuore.
Parliamo
dell’Atletico de Madrid, la mia squadra del cuore.
Poi
riattacca.
Adesso
il sonno è lontanissimo.
Ricordo
mio padre.
Per
poco non mi usciva di bocca una parola che non pronuncio da ventiquattro anni.
La
prima in assoluto che ho imparato a formulare, quando ancora non ero nemmeno
capace di stare in piedi.
Da
quando è morto, nella pasquetta del novantadue, non mi sono più capacitato dal
non riuscire più a rivederlo davvero. Papà. Piango, tanto non mi vede nessuno.
Penso a mamma.
Penso a mamma.
Alle
diciotto e trenta di un triste pomeriggio di quattro anni fa, domenica 29
luglio 2012, all’Ospedale San Camillo di Roma moriva mia madre.
Ernesta
Aloisi.
Moglie
di Antonio Valeriano Pulimanti, poeta collevecchiano.
Ah.
Ok.
Madre
di Antonella.
Madre
di Stefano.
E
madre mia.
Lei,
che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica.
Lei,
un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio.
Lei,
con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino.
Lei,
che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé.
Lei,
una canzone nella notte.
Lei,
una ninna nanna speciale.
Lei,
uno sguardo che non aveva bisogno di parole.
Lei,
quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me.
Lei,
quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare.
Lei,
il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto.
Lei,
mamma, una parola: la prima che ho detto.
Lei,
mamma, un sorriso: il primo che ho visto.
Lei,
mamma, una voce: la prima che ho udito.
Lei,
mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato.
Lei,
mamma, una culla: la prima che ho avuto.
Lei,
mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere.
Lei,
che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato.
E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi
avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita.
Sfoglio
un vecchio album di fotografie: qui avevo sei anni. “Vieni!” sembra
dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa.
Mi
manchi, mamma.
Alle
madri non dovrebbe essere permesso morire.
Scaccio con decisione quel
pensiero dalla mia testa, per evitare di scivolare nella svenevolezza.
Nel frattempo, rientra Gabriele, detto Gabry.
Nel frattempo, rientra Gabriele, detto Gabry.
Aspirante Notaio.
Gabriele,
il mio primogenito, è nato a Roma all'Ospedale San Giacomo alle 20 e 30 di
sabato 18 ottobre 1986.
Mentre nasceva, la TV stava trasmettendo la sigla di
apertura della trasmissione “Fantastico 7” con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini,
Alessandra Martines, il Trio Lopez-Marchesini-Solenghi e Nino Frassica.
La sigla era “Tutto matto” cantata da Lorella
Cuccarini.
Gabriele
non ha paura di dire ciò che pensa.
Lui
esprime sempre le sue idee.
Però
non è uno sconsiderato.
Sostiene
che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della
retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori
dal suo controllo, come foglie al vento.
Una
verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale.
Ecco
perché non parla di politica fuori di casa.
O
con estranei poco affidabili.
“Dove sei stato” gli chiedo
quando entra in soggiorno con i suoi jeans chiari e una maglietta rossa.
Ha
gli occhi un po’ stanchi, ma a parte questo sembra che stia bene.
“Che
bella accoglienza” replica.
“Vuoi
rispondermi?”
“Se
proprio lo vuoi sapere, sono stato alla gelateria di Carletto.”
“Dove
si trova?”
“Vicino
al Borghetto dei Pescatori”.
“E
che succede lì?”
“Non
succede niente di particolare. Il gelato è ottimo. La gente lo mangia e si
diverte”.
Gabriele è innamorato del borghetto ed è
intenzionato a trasferirvisi, appena avrà superato il concorso di Notaio.
Del resto questo potrebbe essere proprio il momento
giusto: infatti al Borghetto dei Pescatori di Ostia a due passi dal mare è
attualmente in costruzione un complesso residenziale che prevede la costruzione
di nuove case ecologiche costituite da appartamenti e villini a schiera.
Esco sul balcone.
Di nuovo, pensieri.
Penso che il bricolage
non è adatto a me.
Del resto, così come sul
versante femminile, esistono le mani di fata, su quello maschile esistono gli
uomini veri, quelli da amaro Montenegro, capaci di salvare cavalli ma anche di
aggiustare oggetti, di riparare guasti domestici, di lavare i piatti e di
cucinare.
Io, ahimé, come molti
altri uomini, non appartengono a questa categoria.
In realtà so fare tante
altre cose. Leggo moltissimi libri e me li ricordo.
Credo di cavarmela con la
scrittura e malgrado quello che dicono certi miei colleghi, penso di lavorare
con impegno e con discreta abilità.
Faccio delle belle
fotografie.
E poi quando c’è da bere
e da mangiare sono un vero professionista!
Ma, come dice mia moglie
Simonetta, in tutto il resto, o quasi, sono un disastro.
E quando dico disastro
non esagero.
Perché la mia vita è
punteggiata, quotidianamente, da sconfitte imbarazzanti.
Prendiamo la botanica.
Vi dico subito che
Simonetta ha il pollice verde.
Ogni pianta che lei mette
in casa diventa un baobab.
Io, invece, sono una
catastrofe vivente.
Ogni pianta che metto in
ufficio muore dopo pochissimi giorni. Sono l’Attila delle azalee, dei ficus e
degli oleandri.
Passiamo alla cucina.
Per sintetizzare il mio
rapporto con i fornelli sarò esplicito: non so cucinare nemmeno un uovo al
tegamino.
Quando prendo in mano una
padella divento Fantozzi.
Confondo il sale con lo
zucchero.
Mi brucio le mani quando
scolo l’acqua della pasta.
E le poche volte che ho
provato a cuocere una bistecca i vicini hanno chiamato i pompieri per via del
fumo, che ho provocato nel palazzo.
Poi c’è il bricolage.
Se c’è da attaccare un quadro mi prendo a martellate da solo.
Se devo bucare una parete
col trapano mi ritrovo nel salotto dei vicini di casa.
Non parliamo dei miei
maldestri tentativi quando c’è da sturare un water: provoco un maremoto e
allago l’appartamento.
Se cerco di aggiustare
una presa elettrica faccio saltare la corrente in tutto il quartiere.
Da solo non riesco a
mettermi un cerotto al dito.
E se prendo in mano un
tubetto di attaccatutto resto per tre giorni con il pollice incollato
all’indice. Piuttosto che cambiare una gomma della mia automobile, vendo
l’automobile.
Perché potrei restare lì,
a combattere col crick, per intere settimane.
Impazzisco quando c’è da
registrare qualcosa in Tv.
Se decido di registrare
un film mi ritrovo sul decoder un documentario sulla vita delle renne nella
Lapponia orientale
Comunque sono un uomo
fortunato perché mia moglie, nonostante tutto, è innamorata dei miei difetti e, sempre
vigile sul destino dei nostri due figli, Gabriele ed Alessandro, finisce con
l’essere lei il vero fulcro della famiglia, anzi ne è l’unica colonna portante.
E, anche se il suo tentativo di trasformare la
nostra famiglia in una unità di cui andare socialmente fieri fallisce
inevitabilmente, eppure l’amore rimane lo stesso.
Rientro a casa e trovo
Alessandro seduto davanti al computer.
Alessandro,
il mio secondogenito, è nato a Ostia, all'Ospedale Grassi alle 4 del mattino di
mercoledì 9 novembre 1994.
Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo
splendido brano di Willie Nelson "Georgia in my mind".
Sono cose che succedono.
Di rado, certo,
una volta nella vita, forse due, ma posso assicurarvi che succedono perché è
successo a me.
Non ci potevo
credere neppure io, eppure ero lì: la mattina del nove novembre all’ospedale
Grassi di Ostia, una buona struttura idonea a favorire un trattamento più umano
del paziente.
Era il 1994. Il
calendario della Chiesa Cattolica Romana, festeggiava Sant’Oreste di
Tiana medico
morto nel 304 martire in Cappadocia, durante la persecuzione
di Diocleziano.
Torturato e martoriato con i chiodi perché non rispettava i principi
deontologici della corporazione dei medici pagani, che nella sostanza
praticavano la stregoneria facendosi pagare lautamente dai loro pazienti.
Ero appena uscito dall’Ospedale.
Stavo rientrando a casa.
L’autoradio mi stava facendo ascoltare Willie Nelson che cantava
“Georgia on My Mind”, la canzone ufficiale dello stato degli
Stati Uniti della Georgia.
Erano le 5 di un mattino piovoso.
Due ore prima era nato Alessandro.
Forte, imbattibile, nulla può ostacolare la sua
volontà.
Frequenta il corso di laurea in Lingue, Culture,
Letterature e Traduzione.
Con la media del 30 e lode.
Anche a lui chiedo dove è stato.
“Da Anema e Core” risponde.
“Profumi
di mare”.
Il
ristorante è sulla spiaggia, papà. Si vede il mare. Senti se hai intenzione di assillarmi in questo modo, me ne vado a
letto. Devo andare all’Università domani, non te lo ricordi?”
E
con questa ultima frase Alex va a passi pesanti nella sua stanza.
Faccio
per andargli dietro, ma poi ci ripenso.
Per
quanto sia agitato, capisco che non è il caso di intraprendere una lunga
discussione con mio figlio. Me la vedrò con lui domani.
Lo
sento fare rumore in cucina, tirare l’acqua del bagno e chiudere la porta della
sua camera da letto.
Ormai
è impossibile tornare a dormire, malgrado la stanchezza.
Se
avessi un cane lo porterei a spasso.
Mi
alzo.
Mi
verso un dito di cognac.
Nella
stanza accanto tutto tace.
Forse
con Gabry e Alex ho sbagliato. Ricevuto. Sono stato inescusabilmente
malaccorto.
Chiaramente.
Vado in bagno.
Vado in bagno.
Decido
di uscire, anche se è molto tardi.
Esamino
mentalmente il mio guardaroba.
Il
vestito migliore è di Armani.
Normalmente
non posso permettermi abiti firmati, infatti questo l’ho comprato in un outlet.
Quello
di Ponzano Romano.
Il
prezzo era comunque alto, nonostante lo sconto, però quando lo indosso mi sento
molto più sicuro di me.
Poi
ci ripenso, e torno a letto.
Quando
finalmente arriva il sonno, arrivano anche gli incubi.
Ma
che guaio che è, questo amore.
Mario
Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
martedì 13 settembre 2016
Rinnovare i contratti pubblici e privati, aumentando i salari
Rinnovare
i contratti pubblici e privati, aumentando i salari
Ritengo sia necessario intervenire al più presto sui
livelli salariali. infatti, in questo modo si darebbe un rinnovato slancio alla
nostra economia.
Del resto l’incremento delle retribuzioni contrattuali orarie
di questi ultimi mesi è stato il più basso degli ultimi quarant’anni.
Una
inversione di tendenza è dunque necessaria, rinnovando quindi subito i
contratti nazionali pubblici e privati in scadenza o scaduti e favorendo
investimenti nell’economia reale.
Tutto ciò riducendo, contemporaneamente, le
tasse su imprese e lavoratori.
Così come è fondamentale aumentare gli
investimenti in ricerca e innovazione per costruire una politica industriale
capace di creare fatturato per gli imprenditori e, cosa più importante,
occupazione, stabilità e reddito per i lavoratori.
È giunto il momento di
compiere una scelta di equità e giustizia sia economica sia sociale: rinnovare
i contratti collettivi di lavoro e lavorare insieme per disegnare una nuova
politica industriale.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
lunedì 12 settembre 2016
REAZIONE CILENA ALL'INTRALCIO GRILLINO
Reazione
cilena all’intralcio grillino
Sempre più frequentemente
negli ultimi tempi mi sto domandando se sia possibile un'amministrazione della
cosa pubblica che non risponda agli interessi dei gruppi imprenditoriali e di
potere consolidati.
È
una domanda che investe tutta la sfera della politica, perché in fondo anche
il governo nazionale è ormai un “ente locale” nella gerarchia dei poteri
amministrativi concentrati nell'Unione Europea.
Lo
è a partire dalla “cessione di sovranità” per cui la più importante legge dello
Stato (la legge finanziaria, ora
chiamata legge di stabilità) è sub
judice della Commissione Europea.
Controllo
rafforzato dall'obbligo al pareggio di bilancio, dai trattati relativi alle
questioni economiche (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc) e dal progetto
di un esercito europeo.
Esiste
insomma una gabbia che va da Bruxelles fino all'ultimo comune di montagna, per
cui ogni decisione gestionale deve avvenire all'interno del cosiddetto patto di
stabilità.
Certamente
da un lato la stretta dell'austerità riduce i margini di manovra e di spesa,
quindi anche le risorse pubbliche conquistabili dalla corruzione; dall'altra le
vecchie consorterie di potere aumentano la competizione per accaparrarsi quel
poco di grasso pubblico che ancora resta.
La
situazione è insomma apparentemente senza via d'uscita.
I grandi gruppi multinazionali e
finanziari determinano le grandi scelte della politica globale,
magari anche in competizione tra loro.
I
gruppi di potere meno potenti rovistano nei sottoscala, nella gestione degli
appalti, delle grandi opere o delle concessioni su reti costruite dal pubblico,
delle occasioni di crescita fornite da qualche grande evento (Olimpiadi, Expo,
ecc).
Ciò
che rimane assolutamente fuori dalla possibilità di farsi valere sono gli
interessi della stragrande maggioranza della popolazione, che di questo s'è
accorta ormai da tempo.
La
fuga dalla partecipazione politica e dalle urne ne è una testimonianza, così
come l'investimento su qualsiasi raggruppamento nuovo prometta di cambiare
radicalmente le cose.
Questo
fenomeno, chiamato populismo, investe ormai tutto il pianeta (Trump è solo
l'ultimo esempio) e segnala il distacco progressivo tra establishment
capitalistico e popolazioni, tra business e consenso politico.
Un
voto da ultima spiaggia, per la democrazia parlamentare occidentale, oltre cui
nessuno osa guardare e che motiva ovunque scelte istituzionali verticistiche,
elitarie, oligarchiche, in modo più o meno esplicito.
A
mio avviso i Cinque Stelle, in Italia, sono i beneficiati temporanei di questa
radicalità senza progetto di cambiamento sociale, secondo cui basterebbe
gestire onestamente la macchina amministrativa e il business perché tutti ne
traggano un grande beneficio.
E’
una idea che seleziona un quadro militante piuttosto eterogeneo, con competenze
specifiche magari anche alte (informatici, ingegneri, avvocati, tecnici
ambientali ecc), ma senza molte cognizioni sul funzionamento vero della
società attuale.
Ovviamente,
alla prova dell'amministrazione concreta di grandi città questa nuova classe
dirigente arriva un po’ impreparata.
Tutto
previsto, come anche la reazione feroce del potere vero a questo intralcio.
Reazioni cilene.
Per
ora c’è stata solo la scimmiottatura delle inchieste giudiziarie
all'incontrario, con mail e telefonate allegramente passate da uffici
tribunalizi e questura sui tavoli dei media controllati dai boss del business
capitolino e governativo.
Non
mi stupirei di vedere presto anche qualcosa di equivalente ai camionisti
cileni, ovvero corporazioni reazionarie in grado di paralizzare o riempire di
rifiuti la città.
Basti ricordare che in Gran Bretagna è stata sacrificata addirittura una
deputata laburista pur di sbarrare il passo alla Brexit.
Altro
potrà avvenire pur di eliminare quanto di incontrollabile ci può essere in
un'amministrazione grillina.
Che
questo avvenga facendo fallire completamente una giunta (non solo a Roma,
ovviamente), oppure epurando i puristi e facendola così rientrare nella normalità
del business non si può
ovviamente dire.
I
Cinque Stelle sono comunque una ancora troppo flebile perturbazione negli
equilibri di potere, una finestra di incertezza attorno a cui si affannano i
conservatori, per richiuderla.
A
questo punto riterrei opportuna una mobilitazione di tutte le forze antagoniste
e democratiche per cercare di bloccare con il NO al referendum la controriforma
costituzionale, ben sapendo comunque che la macchina del fango del potere si
attiverebbe anche contro questo schieramento.
Si
tratterebbe di unificare tutti i malesseri sociali innescati da una serie ormai
lunghissima di stravolgimenti della nostra Costituzione.
Infatti
Jobs Act, pensioni, sanità, scuola, casa, ammortizzatori sociali, avventure
militari, sono temi decisamente più importanti che non la discussione sul
Senato.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
venerdì 9 settembre 2016
Podemos deve ridare voce agli indignados
Podemos
deve ridare voce agli indignados
È indubitabile che le destre, in particolare il Pp di Rajoy, abbiano
vinto le elezioni spagnole. Il mancato sorpasso di Unidos Podemos sul partito
socialista a mio parere dipende dal fatto che l’ Europa è attratta da una
destra più dura, decisionista e ancora più liberista, una destra che risponde
all’insicurezza, seminata anche dal terrorismo (basti pensare alla vittoria del
Brexit, all’insicurezza diffusa ed alla prevalente reazione razzista alla crisi
migratoria). Tutto ciò rende più chiari i limiti di espansione di ciò che viene
considerata la positiva diversità spagnola e cioè l’essere, dopo la Grecia,
l’unico paese europeo in cui la protesta non ha prodotto né il ritorno a
nazionalismi, né a generici populismi e antipolitica, ma un movimento come
quello degli indignados, da cui è partito Podemos. L’energia di questo
movimento e la sua capacità di modificare i rapporti di forza nella società
spagnola è stata oggi sopravvalutata da chi ha pensato che Unidos Podemos
sarebbe stato il partito più votato della sinistra e per questo in grado di
trascinare il Psoe in un governo di sinistra. Podemos sicuramente ha cambiato
nel profondo la Spagna, ma quel vento di cambiamento non è riuscito a incidere
nelle province, non ha scalfito la rete clientelare su cui il PP, ma anche il
Psoe, perpetuano da sempre il loro consenso. Il successo elettorale spingerà
Rajoy, o chi per lui, a confermare che la Spagna proseguirà con la legge sul
lavoro che ha consegnato alla precarietà un’intera generazione, continuerà a
privilegiare un vecchio modello energetico fossile che espone alle conseguenze
del cambio climatico, riprenderà l’attacco all’autodeterminazione delle donne. La
risposta più efficace al parziale insuccesso elettorale di Podemos è far vivere dall’opposizione il programma di
trasformazione della Spagna. Una sfida credibile se alla delusione del
risultato subentrerà anche la consapevolezza che avere raccolto il consenso di
oltre cinque milioni di persone è comunque un risultato straordinario da cui
questa sfida può partire. In ogni caso Podemos è davvero il risultato di uno sforzo iniziato da un gruppo di
idealisti non ortodossi per ottenere un cambiamento, gruppo che unisce la
convinzione giovanile con il desiderio di sperimentare le proprie idee nel
mondo reale. Ora però Podemos
deve ridare voce agli indignados:
El pueblo unido jamas será
vencido.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
mercoledì 7 settembre 2016
Diffusa o concentrata, l’accoglienza dei migranti va migliorata
Diffusa o concentrata, l’accoglienza dei migranti va
migliorata
L’Italia sta
accogliendo sempre di più le persone che fuggono dalla
guerra, dalla repressione militare e poliziesca, da
situazioni di violenza generalizzata e diffusa, con la conseguenza di trovarci oggi a far fronte ad un’ondata migratoria che ha messo
in crisi le nostre leggi per il governo
dell’immigrazione. Infatti, considerato che il fenomeno dell’immigrazione ha assunto un
carattere strutturale e permanente,
l’arrivo di un consistente numero di migranti impone quindi
la necessità di approntare un sistema
di accoglienza in grado di rispondere in maniera
efficace all’arrivo di migranti, nel rispetto delle norme internazionali, assicurando azioni concertate e
massima solidarietà. In ogni caso si deve evitare la strategia dell’accoglienza
diffusa, (cioè distribuire
gli stranieri in piccoli gruppi e in micro-residenze tra le comunità locali
italiane). Questa rete di accoglienza, chiamata appunto diffusa, è
preferita dal governo per due motivi. Perchè evita concentrazioni più difficili
da gestire sia sul piano organizzativo sia su quello dell’ordine pubblico e
perchè “spalma” sul territorio la presenza di profughi, riducendone l’impatto
anche dal punto di vista mediatico. Il problema di fondo però è un altro: prima
avremmo forse dovuto decidere quanti rifugiati siamo in grado o disponibili ad
accogliere in Italia e come intendiamo regolarci con le migliaia di immigrati
che non hanno lo status di profugo e non avrebbero quindi nessun diritto di
restare in territorio italiano, ma che qui sono e qui sembrano destinati a
restare. In mancanza di ciò ogni risposta si rivelerà, prima o poi, inefficace
e insostenibile. Più di quanto già accada ora. Diffusa o concentrata
l’accoglienza può infatti essere gestita solo all’interno di una strategia di
compatibilità, che oggi non pare esserci. Aumentare dopo ogni sbarco le quote
che ciascuna regione deve accogliere non è una risposta politica, è passiva
accettazione. Che rischia di innescare sul medio termine conflitti laceranti
sul piano sociale ed economico. L’obiettivo, ampiamente
condiviso dagli attori pubblici e privati coinvolti, è quello di
promuovere il coinvolgimento dei migranti in attività
volontarie di pubblica utilità svolte a favore delle popolazioni locali e finalizzate ad assicurare
maggiori opportunità di integrazione nel tessuto sociale. Il percorso ipotizzato, fondato su una piena volontarietà
dell’adesione, consente di sviluppare nei migranti il senso di partecipazione e impegno civico e
facilita, grazie al contatto diretto con la popolazione residente, l’apprendimento della lingua
italiana e le regole del mondo del lavoro. In tal modo si perseguirebbe il duplice scopo di
favorire da un lato una reale integrazione
sociale dei migranti e, al contempo, di assicurare una positiva ricaduta nel
territorio regionale.
Mario
Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
martedì 6 settembre 2016
La vergognosa vignetta di Charlie Hebdo
La vergognosa vignetta di Charlie Hebdo
La vignetta di Charlie Hebdo sul terremoto in Italia non fa
affatto ridere perché denota un'assenza
totale di umano rispetto e un cinismo senza confini. Infatti offende chi è morto
e chi è riuscito a salvarsi e adesso piange con dignità, offende chi ha perso
tutto. Non è una bufala, purtroppo Charlie Hebdo con quel fumetto si prende
davvero gioco delle trecento vittime del terremoto che ha colpito il Centro
Italia. Penne al pomodoro, penne al gratin, lasagne ma nella vignetta non ci
sono i primi piatti, sotto la scritta Sèisme a’ l’italienne ci sono un uomo e
una donna insanguinati, uno accanto all’altra; le lasagne sono i nostri morti
sotto le macerie. Quale mente può appuntire la matita e disegnare questo
orrore? Inoltre tutti ricordiamo la
grande solidarietà che avvolse il giornale satirico francese quando venne
colpito dai terroristi. Ora, che la comunità di Charlie Hebdo, di fronte al
dramma del terremoto che ha colpito il centro Italia, non abbia sentito il
dovere della reciprocità, ma anzi abbia voluto infierire con tanta volgarità
sulla tragedia e il dolore di Amatrice, lascia davvero senza parole. Ma sarebbe
sbagliato cedere alla tentazione di censure. Rischieremmo di trasformare in
vittime dei cretini patentati alla ricerca di briciole di celebrità a qualsiasi
costo. Lasciamoli fare e ignoriamoli, diano pure sfogo a tutta la loro disumana
volgarità. In questo modo dimostreremo loro di avere a cuore, sul serio e
sempre, la libertà e la dignità umana. A tal punto da garantire il diritto di
espressione anche a degli inqualificabili imbecilli. No, non siamo più tutti
Charlie, questa volta non la difendiamo la libertà d’opinione e la libertà di
stampa perché c’è un limite a tutto.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
lunedì 5 settembre 2016
DIPENDENZA DA INTERNET
Dipendenza da
Internet
Internet è forse il più affascinante mezzo di comunicazione
che l’umanità abbia mai inventato. Il web, se usato correttamente, ci permette
di leggere giornali, informarsi, prenotare visite mediche, comunicare con
persone vicine e lontane, pubblicare le nostre storie e promuovere il nostro
lavoro, consultare guide e libri digitali. Se usato però senza adeguato senso
critico, internet può rappresentare un grande pericolo: si pensi alla
pubblicazioni di foto o video compromettenti, di post che potrebbero essere
diffamanti e che potrebbero procurarci il licenziamento, oppure in
riferimento a bambini e adolescenti, si pensi a quanto potrebbe essere
pericoloso un uso inconsapevole di chat e social network e quanto potrebbe
esporli a pericoli come gli adescamenti, oppure più semplicemente, ma non meno
grave, esporli all’abuso delle tecnologie. Del resto in ogni epoca c'è un potere che minaccia la libertà.
Oggi questo potere è rappresentato dalla rete e dal suo utilizzo. È un potere
sfuggente e impalpabile ma non per questo meno insidioso. Ma una delle grande
sfide che abbiamo di fronte è impedire che questo potere possa operare e
condizionare le nostre vite. Infatti Internet e' uno straordinario spazio
aperto di libertà, di confronto, di contatto e di sviluppo. Ma è anche un mondo
straordinariamente complesso e insidioso dove i tradizionali concetti di
privacy, di libertà di parola e di espressione sono messi a dura prova. In
questa realtà senza confini e senza limiti ciascuno può dire la sua incurante
di tutto e di tutti. E ogni opinione, per quanto strana sia, può venire
amplificata e diffusa a livello globale attraverso i social network.
Manipolazioni e operazioni di disinformazione sono dunque all'ordine del
giorno. E, paradossalmente, benché internet sia un mondo dove gli utenti sono
catalogati e vivisezionati nei loro comportamenti e nelle loro abitudini,
risalire agli autori di queste azioni di disinformazione si rivela spesso
un'operazione complessa. Ma questa è solo una delle molte criticità che lo
sviluppo portentoso del mondo web ha fatto emergere in tutto il mondo.
Ciononostante in molti sono convinti che regolamentare Internet sia non solo
impossibile ma anche sbagliato, perché contrario alla natura stessa della rete.
Mi sembra una posizione sempre più difficilmente sostenibile.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
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