Reazione
cilena all’intralcio grillino
Sempre più frequentemente
negli ultimi tempi mi sto domandando se sia possibile un'amministrazione della
cosa pubblica che non risponda agli interessi dei gruppi imprenditoriali e di
potere consolidati.
È
una domanda che investe tutta la sfera della politica, perché in fondo anche
il governo nazionale è ormai un “ente locale” nella gerarchia dei poteri
amministrativi concentrati nell'Unione Europea.
Lo
è a partire dalla “cessione di sovranità” per cui la più importante legge dello
Stato (la legge finanziaria, ora
chiamata legge di stabilità) è sub
judice della Commissione Europea.
Controllo
rafforzato dall'obbligo al pareggio di bilancio, dai trattati relativi alle
questioni economiche (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc) e dal progetto
di un esercito europeo.
Esiste
insomma una gabbia che va da Bruxelles fino all'ultimo comune di montagna, per
cui ogni decisione gestionale deve avvenire all'interno del cosiddetto patto di
stabilità.
Certamente
da un lato la stretta dell'austerità riduce i margini di manovra e di spesa,
quindi anche le risorse pubbliche conquistabili dalla corruzione; dall'altra le
vecchie consorterie di potere aumentano la competizione per accaparrarsi quel
poco di grasso pubblico che ancora resta.
La
situazione è insomma apparentemente senza via d'uscita.
I grandi gruppi multinazionali e
finanziari determinano le grandi scelte della politica globale,
magari anche in competizione tra loro.
I
gruppi di potere meno potenti rovistano nei sottoscala, nella gestione degli
appalti, delle grandi opere o delle concessioni su reti costruite dal pubblico,
delle occasioni di crescita fornite da qualche grande evento (Olimpiadi, Expo,
ecc).
Ciò
che rimane assolutamente fuori dalla possibilità di farsi valere sono gli
interessi della stragrande maggioranza della popolazione, che di questo s'è
accorta ormai da tempo.
La
fuga dalla partecipazione politica e dalle urne ne è una testimonianza, così
come l'investimento su qualsiasi raggruppamento nuovo prometta di cambiare
radicalmente le cose.
Questo
fenomeno, chiamato populismo, investe ormai tutto il pianeta (Trump è solo
l'ultimo esempio) e segnala il distacco progressivo tra establishment
capitalistico e popolazioni, tra business e consenso politico.
Un
voto da ultima spiaggia, per la democrazia parlamentare occidentale, oltre cui
nessuno osa guardare e che motiva ovunque scelte istituzionali verticistiche,
elitarie, oligarchiche, in modo più o meno esplicito.
A
mio avviso i Cinque Stelle, in Italia, sono i beneficiati temporanei di questa
radicalità senza progetto di cambiamento sociale, secondo cui basterebbe
gestire onestamente la macchina amministrativa e il business perché tutti ne
traggano un grande beneficio.
E’
una idea che seleziona un quadro militante piuttosto eterogeneo, con competenze
specifiche magari anche alte (informatici, ingegneri, avvocati, tecnici
ambientali ecc), ma senza molte cognizioni sul funzionamento vero della
società attuale.
Ovviamente,
alla prova dell'amministrazione concreta di grandi città questa nuova classe
dirigente arriva un po’ impreparata.
Tutto
previsto, come anche la reazione feroce del potere vero a questo intralcio.
Reazioni cilene.
Per
ora c’è stata solo la scimmiottatura delle inchieste giudiziarie
all'incontrario, con mail e telefonate allegramente passate da uffici
tribunalizi e questura sui tavoli dei media controllati dai boss del business
capitolino e governativo.
Non
mi stupirei di vedere presto anche qualcosa di equivalente ai camionisti
cileni, ovvero corporazioni reazionarie in grado di paralizzare o riempire di
rifiuti la città.
Basti ricordare che in Gran Bretagna è stata sacrificata addirittura una
deputata laburista pur di sbarrare il passo alla Brexit.
Altro
potrà avvenire pur di eliminare quanto di incontrollabile ci può essere in
un'amministrazione grillina.
Che
questo avvenga facendo fallire completamente una giunta (non solo a Roma,
ovviamente), oppure epurando i puristi e facendola così rientrare nella normalità
del business non si può
ovviamente dire.
I
Cinque Stelle sono comunque una ancora troppo flebile perturbazione negli
equilibri di potere, una finestra di incertezza attorno a cui si affannano i
conservatori, per richiuderla.
A
questo punto riterrei opportuna una mobilitazione di tutte le forze antagoniste
e democratiche per cercare di bloccare con il NO al referendum la controriforma
costituzionale, ben sapendo comunque che la macchina del fango del potere si
attiverebbe anche contro questo schieramento.
Si
tratterebbe di unificare tutti i malesseri sociali innescati da una serie ormai
lunghissima di stravolgimenti della nostra Costituzione.
Infatti
Jobs Act, pensioni, sanità, scuola, casa, ammortizzatori sociali, avventure
militari, sono temi decisamente più importanti che non la discussione sul
Senato.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
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