venerdì 29 agosto 2014

L’amore è dinamite

L’amore è dinamite Prendi la storia di quel bravo ragazzo, scapolo, che abbandona il mestiere di falegname per mettersi a battere le strade dicendo alla gente che Dio li ama e che devono amarsi fra loro. Il giovanotto, in più, dà seguito alle sue parole: ti guarisce i lebbrosi, ti restituisce la vista ai ciechi, resuscita il suo amico Lazzaro, impedisce che una poveretta venga lapidata per essersi fatta scopare da un barbuto diverso dal marito eccetera, chi più ne ha più ne metta. Miracoli, massime, buone azioni a valanga, ecco il programma di Gesù. Ebbene, cosa ci ricava alla fine il ragazzo? A trentatré anni lo arrestano perché nessuno lo regge più, gli improvvisano un processo farsa e lo inchiodano su due tavole. Splendida ricompensa! E’ chiaro che da allora la vocazione alla gentilezza non va tanto per la maggiore. Bisogna essere un santo per fare il Gesù, dopo quello che è successo! Con queste parole voglio dimostrare che l’amore è dinamite. Che le persone che parlano d’amore passano per terroristi in una società retta dall’interesse e governata dalla paura. Non viviamo nel mondo delle fate! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 28 agosto 2014

Pericolo anoressia

Troppi restano abbagliati da una società che produce modelli sbagliati (si pensi a certe top-model), ma non insegna i valori veri della vita. Spinge al consumo, ma non spiega che occorre una alimentazione corretta. Negli ultimi anni sono in aumento i casi di esordio precoce di anoressia e bulimia (tra i 9 e gli 11 anni), che generalmente si manifestano tra i 15 e i 19 anni. Partendo dalla televisione, dal cinema, dalle passerelle per arrivare fino alla nostra vita quotidiana, il modello da imitare sembra essere sempre lo stesso: “magro è bello”. Una cosa spaventa però in modo particolare: il fatto che questa malattia salti agli onori delle cronache solo quando muore una modella anoressica e poi, di nuovo giù nel dimenticatoio. Questo sta a significare che nella società odierna è ancora ben radicato il pensiero errato che anoressia e bulimia sono disturbi poco comuni e che si possono curare semplicemente mangiando o smettendo di rimettere. Purtroppo non è così. Per prevenire all’origine questi gravissimi problemi bisogna prestare estrema attenzione a cosa mangiano i ragazzi. Una dieta eccessivamente ricca di grassi e carboidrati provoca nelle teenager, alle prese con le prime mestruazioni, quella fastidiosa pancetta che può rappresentare il primo passo verso l’anoressia. Bisogna insegnare ai giovani che una sana alimentazione è la prima regola per vivere in armonia con il proprio corpo. La dieta mediterranea (recentemente nominata patrimonio dell’Unesco) a base di cereali, frutta verdura e olio d’oliva è perfetta per un adolescente alle prese con i piccoli e grandi cambiamenti della sua età. Del resto i mutamenti della società incidono sui giovanissimi, la mancanza di affetto spinge verso eccessi che non raramente passano attraverso l'odio per il cibo o l'eccessivo attaccamento al cibo. È un male sociale, terribile perché porta spesso alla morte. La malattia è più diffusa di quanto si creda. Agisce in maniera subdola, nascondendosi. Poi esplode all’improvviso. Spesso quando chi sta attorno se ne rende conto, è già difficile per intervenire, talvolta è troppo tardi. Il recupero è difficile, faticoso e lento. Sicuramente l'attenzione della famiglia è indispensabile, non raramente è la scuola la prima ad avvertire il disagio e a informare i familiari. Da qualche tempo la stessa scuola prova a lanciare l'allarme, a far prendere coscienza agli alunni degli effetti devastanti della malattia. Ma la scuola non può svolgere tutte le funzioni richieste a una società distratta nei confronti de giovani: educazione stradale, educazione sessuale, lotta alla droga, all'alcol, al cattivo uso del cibo, all'integrazione tra popoli, alla necessità di far convivere religioni diverse ecc. Sicuramente sarebbe d’aiuto applicare, a tutti i paesi occidentali, una legge che vieti alle agenzie di moda di assumere ragazze troppo magre, così come ha fatto lo Stato d’Israele. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 22 agosto 2014

Jeans, capo indispensabile nel guardaroba

I jeans sono la base perfetta per tutti i guardaroba. Più che un semplice capo d'abbigliamento i jeans sono una vera icona. Nati come indumento da lavoro, grazie alla solidità della loro tela, i blue jeans si diffondono in America a cominciare dalla fine del 1800 per diventare negli anni '50 del secolo successivo un simbolo giovanile di ribellione. Quest’anno i jeans compiono 141 anni. Ma non li dimostrano. A pensarci bene, sono l'unica invenzione umana che sembra non invecchiare affatto. Il tessuto jeans, molto robusto e resistente agli strappi, veniva usato per fabbricare i teloni da imballo e le coperture delle vele. In seguito, per la sua resistenza, fu utilizzato per confezionare i pantaloni da lavoro degli scaricatori del porto in partenza da Genova per l'America. E così nell'ottocento, con le grandi emigrazioni, la tela Blu di Genova (tela jeans vuol dire infatti tela Genova) arrivò negli Stati Uniti d'America, dove venne utilizzata per realizzare gli abiti dei cercatori d'oro. Nient'altro ha resistito così bene alla prova del tempo. Il jeans, nato a Genova, difatti fu migliorato in America, ma da un emigrante europeo: il bavarese Levi Strass al quale bisogna dare atto di aver capito che quelle brache pratiche ma poco eleganti potevano essere migliorate. E i miglioramenti che lui vi apportò sono quelli che le hanno rese immortali. Egli cominciò a realizzare dei grossi pantaloni in tela robusta per i cercatori d'oro, delle tute color marrone, senza passanti ne tasche dietro, e presero il numero in codice 501, che resiste tuttora. E, anche se non era stato lui a inventarli, fu comunque lui a trasformarli in un capo praticamente indistruttibile grazie a quei rinforzi alle tasche e alla ribattitura lungo le cuciture laterali. Levi Strass presto li trasformò nella divisa del West, tanto che alla fine dell'ottocento, in America, il tessuto jeans diventò sinonimo di pantaloni. E Levi Strass, che vide l'America vestire i suoi jeans, non avrebbe comunque mai immaginato che sarebbero diventati la divisa dei giovani di tutto il mondo, che avrebbero resistito negli anni al succedersi delle mode, senza mai tramontare: divisa dei lavoratori, delle classi più povere e rudi, poi divisa dei giovani ribelli negli anni Cinquanta, dei contestatori anni Sessanta-Settanta, e infine capo alla moda presente su tutte le passerelle. Oggi, i Levi's non sono più l'unica marca di jeans nel mondo, ma rimangono la marca più universalmente nota e desiderata. Neanche l'assedio di famosi sarti come Calvin Klein e Ralph Lauren ha diminuito il loro dominio sul mercato mondiale. Ed ora, che siamo nel 2014, i vecchi jeans si meritano un brindisi: ai prossimi 141 anni! Chissà, forse nel 2155 saranno di nuovi i cercatori d'oro a indossarli. Su altri pianeti. Per il momento il pantalone jeans è un capo indispensabile nel mio guardaroba. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

giovedì 7 agosto 2014

Scarpa italiana

Scarpa italiana Non dico certo una cosa nuova affermando che l’Italia è stata sempre all’avanguardia nel campo dell’industria calzaturiera per stile, ricercatezza, eleganza e gusto delle proporzioni. Le nostre scarpe erano notevolmente superiori a quelle indossate dai turisti in visita da noi. Negli ultimi anni, invece molti nostri brillanti disegnatori che operano nell’ambito delle calzature hanno fatto gara ad ideare modelli sempre più insoliti con tacchi che sembrano basi di cemento armato o pezzi di tronco appena segato, con punte che somigliano al becco delle papere o con punte ritorte all’insù come Alì Babà od allungate a dismisura, modello spadaccino. Non sarebbe meglio se i nostri bravissimi designer ricominciassero ad usare la classe della tradizione italiana senza tentare di imitare mode che poco appartengono al buon gusto ed alla nostra cultura, basata su prodotti di qualità e di vera eleganza? Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

L'eleganza

L’eleganza L’eleganza, è innanzitutto un gusto per la giusta dose. Un tailleur delicato, un bracciale grazioso, un paio di orecchini delicati. Questa opinione riguarda anche la maniera di parlare e di scrivere. Una lettera è carina non se è lunga, ma se riesce ad esprimere l’emozione che abbiamo provato nello scriverla. Un discorso è elegante se è di poca durata, perché in questo modo espone senza annoiare l’interlocutore. E così vale per l’arredamento di una casa. L’eleganza di un appartamento non si misura con il valore dei mobili, perché una casa elegante è quella che con i tocchi giusti ci descrive la personalità di chi ci abita. Eleganza è sinonimo di semplicità. Per esempio, l’uomo e la donna eleganti si vestono sempre allo stesso modo. Lo possono fare anche seguendo le trasformazioni stagionali della moda. Mai, però, mascherandosi. Insomma, meno si parla, meno si appare, meno si sfoggia, meno si pontifica è più si è eleganti. Certo se le cose sono anche vecchie valgono ancora di più. Infatti molte cose, ma anche le amicizie, sono più eleganti se vengono da un lontano passato. Il fatto di continuare ad usarle, preferendolo ai richiami della moda, testimonia un’eleganza di pensiero: il gusto per il valore del ricordo. Ma tutto sommato l’eleganza è racchiusa in un concetto molto semplice: essere eleganti significa sfuggire al ridicolo. Sono proprio le persone grossolane che, con il loro sfoggio di abiti, gioielli, parole, gesti, e con il loro modo di farsi condizionare dalle mode e dal pensiero altrui, si trasformano in marionette. La persona elegante è quella che sa essere sempre se stessa, anche con i suoi buchi ai gomiti delle giacche. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Il focolare domestico

Il focolare domestico Ricordo con nostalgia di i cari tempi di una volta, appartenenti alla mia Roma sparita. Rimpiango il focolare domestico, chiaramente danneggiato dall’evoluzione della cucina. Conservo, infatti, un ricordo di questa stanza che è diametralmente opposto alla realtà odierna. Negli anni della mia infanzia la cucina era la stanza più importante della casa, spesso la più grande ma anche la più calda perché all’epoca le cucine erano di ghisa e rilasciavano un tepore costante. Era il regno delle nostre nonne. Il luogo in cui ci si riuniva non solo per preparare i pasti e per mangiare, ma anche per chiacchierare, per fare i compiti al ritorno da scuola, per accogliere gli ospiti quando la sala da pranzo non era stata ancora scoperta! Insomma, era il centro della casa, il luogo in cui respirare gli umori della famiglia. Negli anni ha perso progressivamente questa valenza primaria, forse perché non è più il regno della donna che a casa ci sta sempre troppo poco, o forse perché a casa si mangia sempre meno ed il fornello a microonde la fa da padrone! Quanto ricordi, memorie, nostalgie, rimpianti ho per la vita “de ’na vorta” quando ero un giovane testaccino di un tempo che non c’è più! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)