Attenzione alla dolce morte: fino
all’ultimo momento l’uomo è un essere vivente.
Molti vorrebbero una legge su
testamento biologico ed eutanasia, specialmente dopo la storia di Dj Fabo, che
ha trovato volontariamente la morte
a 39 anni in Svizzera, dove grazie all’Associazione Luca Coscioni ha potuto avviare
il percorso del suicidio assistito. Sono
perplesso. Infatti non sempre chi soffre, anche in un reparto ospedaliero di
lunga degenza vuole morire. A volte è la nostra inconsapevole incapacità di
accettare il dolore che ce lo fa pensare. Del resto non penso che debba essere
un altro uomo a dover decretare quando e come un suo simile deve morire. Il
compito della medicina è curare l’ammalato non sopprimerlo deliberatamente,
anche se negli ospedali alcuni medici segretamente, per togliere dolori orribili,
fanno coscientemente una dose di morfina che regala un sonno senza risveglio.
Comunque ho qualche perplessità, soprattutto sulla vera volontà di morire delle
persone. Del resto oggi, che il politicamente corretto regna in maniera
assoluta, è politicamente corretto pronunciarsi a favore dell’eutanasia. E così
i sostenitori dell’eutanasia credono di difendere la dignità umana chiedendo ai
medici di praticare l’eutanasia sui pazienti per i quali non esiste alcuna
possibilità di guarigione. La Chiesa Cattolica è contraria: Papa Benedetto XVI
ha detto che " l'eutanasia è una falsa soluzione al dramma della
sofferenza, una soluzione non degna dell'uomo", mentre Papa Francesco l’ha
definita “un grave delitto contro la vita”. Personalmente, credo si tratti di
un problema bioetico di notevole complessità, poco adatto ai ferrei e
irrinunciabili convincimenti e che dia adito, invece, sempre secondo la mia
modesta opinione, a dubbi personali, ripensamenti e perplessità. Da un lato, la
nostra educazione moderna, laica e illuminista, sensibile in sommo grado ai
diritti umani, ci porta a pensare che siamo legittimi proprietari della nostra
vita, liberi di condurla come ci piace e perciò anche di interromperla quando
l'esistenza ci appare troppo dolorosa o priva di significato. Come abbiamo il
diritto di vivere riteniamo di avere anche il diritto di morire. Dall'altro, la
nostra anima cristiana, cattolica, romantica, che sopravvive persino in
quest'epoca di sbadata secolarizzazione, magari in forma larvata e inconscia,
ma vigorosa, ci avverte che la sfera del razionale non spiega tutto e che la
vita umana possiede un valore incommensurabile e una sacralità, che nessun
dolore e nessuna disabilità autorizzano a scalfire. Conciliare e armonizzare
questi due poli dialettici all'interno della nostra coscienza non è compito
facile. Spesso la sintesi e l'equilibrio raggiunti sono provvisori e soggetti a
ripensamenti. In ogni caso ritengo che sostenere il diritto inappellabile
all'eutanasia come ad altre pratiche, non equivalga affatto ad affermare un
principio di libertà e di civiltà ma risponda piuttosto a una visione della
società che fa della fuga dalle responsabilità, individuali e collettive, una
propria costante. Ciò non significa però che anche quelle posizioni meritino
rispetto e debbano avere pieno diritto di cittadinanza nell'ambito di un
dibattito su un tema complesso e delicato come quello del fine vita. Infatti il
dolore e la morte sono temi con cui l'uomo contemporaneo non ama intrattenersi
e preferisce rimuovere ed esorcizzare, stordendosi nell'attivismo e nel
divertimento. In altre parole, rifiutando sia l’accanimento terapeutico
che l’eutanasia, sono diffidente verso un'eutanasia affidata alla discrezione
di un comitato di medici e infermieri, ai calcoli economici degli
amministratori, agli interessi egoistici dei familiari. Certo, tutti abbiamo un diritto di morire
bene, serenamente, evitando cioè sofferenze inutili. Perciò abbiamo il diritto
di essere curati e assistiti con tutti i mezzi ordinari disponibili (per
esempio il ricambio metabolico, l’alimentazione e l’idratazione, la terapia del
dolore, ecc.) senza ricorrere a cure pericolose o troppo onerose e con
l’esclusione di ogni accanimento terapeutico. Però c’è anche da considerare che
il diritto di morire con dignità non coincide con il diritto all’eutanasia, la
quale è invece un comportamento essenzialmente individualistico. Forse anche di
ribellione. Solo un ultimo particolare: ho letto che i rimedi al dolore ci
sono, e la necessità di chiedere la morte per sfuggire a un dolore
insostenibile esiste solo nei quesiti delle inchieste che vogliono far passare
tutti come sostenitori dell’eutanasia. Non a caso i più convinti sostenitori
dell’eutanasia non hanno mai parlato di medicina palliativa e invece continuano
a fare i loro sondaggi sull’eutanasia domandando se si preferisce morire
piuttosto che soffrire dolori insopportabili. E’ ovvio il risultato, chiunque
preferirebbe morire. Ma se i dolori sono trattabili, quasi tutti preferiscono
vivere sino alla fine naturale: non è infatti vero che la vita ha senso solo se
si è sani e autonomi, ma le esperienze di molti medici dimostrano che fino
agli ultimi istanti l’uomo è un essere vivente. Inoltre nella mia mente si
insinua pure un dubbio inquietante. Nelle nostre società ci sono tanti anziani,
tante pensioni da pagare, tante cure da prestare, e se l’eutanasia fosse una
soluzione economica, una risposta tecnica a un problema pratico, celata dietro
la nobile richiesta di una morte dignitosa? Questo pensiero mi fa ribollire il
sangue nelle vene, più della pressione alta. Ok, ora basta: esco dall’ufficio e
mi confondo in mezzo alla gente, sentendomi infreddolito e fragile, sotto il
tiepido sole dei primi di marzo che splende sui tetti con lo stesso calore e la
stessa indifferenza di sempre. Un grazie con l’inchino e il cappello
piumato e svolazzante a chiunque abbia letto queste mie parole.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)