martedì 28 febbraio 2017

Attenzione alla dolce morte: fino all’ultimo momento l’uomo è un essere vivente.


Attenzione alla dolce morte: fino all’ultimo momento l’uomo è un essere vivente.

 

Molti vorrebbero una legge su testamento biologico ed eutanasia, specialmente dopo  la storia di Dj Fabo, che ha trovato volontariamente la morte a 39 anni in Svizzera, dove grazie all’Associazione Luca Coscioni ha potuto avviare il percorso del suicidio assistito. Sono perplesso. Infatti non sempre chi soffre, anche in un reparto ospedaliero di lunga degenza vuole morire. A volte è la nostra inconsapevole incapacità di accettare il dolore che ce lo fa pensare. Del resto non penso che debba essere un altro uomo a dover decretare quando e come un suo simile deve morire. Il compito della medicina è curare l’ammalato non sopprimerlo deliberatamente, anche se negli ospedali alcuni medici segretamente, per togliere dolori orribili, fanno coscientemente una dose di morfina che regala un sonno senza risveglio. Comunque ho qualche perplessità, soprattutto sulla vera volontà di morire delle persone. Del resto oggi, che il politicamente corretto regna in maniera assoluta, è politicamente corretto pronunciarsi a favore dell’eutanasia. E così i sostenitori dell’eutanasia credono di difendere la dignità umana chiedendo ai medici di praticare l’eutanasia sui pazienti per i quali non esiste alcuna possibilità di guarigione. La Chiesa Cattolica è contraria: Papa Benedetto XVI ha detto che " l'eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell'uomo", mentre Papa Francesco l’ha definita “un grave delitto contro la vita”. Personalmente, credo si tratti di un problema bioetico di notevole complessità, poco adatto ai ferrei e irrinunciabili convincimenti e che dia adito, invece, sempre secondo la mia modesta opinione, a dubbi personali, ripensamenti e perplessità. Da un lato, la nostra educazione moderna, laica e illuminista, sensibile in sommo grado ai diritti umani, ci porta a pensare che siamo legittimi proprietari della nostra vita, liberi di condurla come ci piace e perciò anche di interromperla quando l'esistenza ci appare troppo dolorosa o priva di significato. Come abbiamo il diritto di vivere riteniamo di avere anche il diritto di morire. Dall'altro, la nostra anima cristiana, cattolica, romantica, che sopravvive persino in quest'epoca di sbadata secolarizzazione, magari in forma larvata e inconscia, ma vigorosa, ci avverte che la sfera del razionale non spiega tutto e che la vita umana possiede un valore incommensurabile e una sacralità, che nessun dolore e nessuna disabilità autorizzano a scalfire. Conciliare e armonizzare questi due poli dialettici all'interno della nostra coscienza non è compito facile. Spesso la sintesi e l'equilibrio raggiunti sono provvisori e soggetti a ripensamenti. In ogni caso ritengo che sostenere il diritto inappellabile all'eutanasia come ad altre pratiche, non equivalga affatto ad affermare un principio di libertà e di civiltà ma risponda piuttosto a una visione della società che fa della fuga dalle responsabilità, individuali e collettive, una propria costante. Ciò non significa però che anche quelle posizioni meritino rispetto e debbano avere pieno diritto di cittadinanza nell'ambito di un dibattito su un tema complesso e delicato come quello del fine vita. Infatti il dolore e la morte sono temi con cui l'uomo contemporaneo non ama intrattenersi e preferisce rimuovere ed esorcizzare, stordendosi nell'attivismo e nel divertimento.  In altre parole, rifiutando sia l’accanimento terapeutico che l’eutanasia, sono diffidente verso un'eutanasia affidata alla discrezione di un comitato di medici e infermieri, ai calcoli economici degli amministratori, agli interessi egoistici dei familiari.  Certo, tutti abbiamo un diritto di morire bene, serenamente, evitando cioè sofferenze inutili. Perciò abbiamo il diritto di essere curati e assistiti con tutti i mezzi ordinari disponibili (per esempio il ricambio metabolico, l’alimentazione e l’idratazione, la terapia del dolore, ecc.) senza ricorrere a cure pericolose o troppo onerose e con l’esclusione di ogni accanimento terapeutico. Però c’è anche da considerare che il diritto di morire con dignità non coincide con il diritto all’eutanasia, la quale è invece un comportamento essenzialmente individualistico. Forse anche di ribellione. Solo un ultimo particolare: ho letto che i rimedi al dolore ci sono, e la necessità di chiedere la morte per sfuggire a un dolore insostenibile esiste solo nei quesiti delle inchieste che vogliono far passare tutti come sostenitori dell’eutanasia. Non a caso i più convinti sostenitori dell’eutanasia non hanno mai parlato di medicina palliativa e invece continuano a fare i loro sondaggi sull’eutanasia domandando se si preferisce morire piuttosto che soffrire dolori insopportabili. E’ ovvio il risultato, chiunque preferirebbe morire. Ma se i dolori sono trattabili, quasi tutti preferiscono vivere sino alla fine naturale: non è infatti vero che la vita ha senso solo se si è sani e autonomi, ma le esperienze di molti medici dimostrano che fino agli ultimi istanti l’uomo è un essere vivente. Inoltre nella mia mente si insinua pure un dubbio inquietante. Nelle nostre società ci sono tanti anziani, tante pensioni da pagare, tante cure da prestare, e se l’eutanasia fosse una soluzione economica, una risposta tecnica a un problema pratico, celata dietro la nobile richiesta di una morte dignitosa? Questo pensiero mi fa ribollire il sangue nelle vene, più della pressione alta. Ok, ora basta: esco dall’ufficio e mi confondo in mezzo alla gente, sentendomi infreddolito e fragile, sotto il tiepido sole dei primi di marzo che splende sui tetti con lo stesso calore e la stessa indifferenza di sempre. Un grazie con l’inchino e  il cappello piumato e svolazzante a chiunque abbia letto queste mie parole.

 

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

 

martedì 7 febbraio 2017

“Così è...se vi pare” di Pirandello al teatro Nino Manfredi di Ostia


“Così è...se vi pare” di Pirandello al teatro Nino Manfredi di Ostia

“Io sono colei che mi si crede”

Così è...se vi pare, un classico di Pirandello, è in scena al teatro Nino Manfredi di Ostia dal 31 gennaio al 12 febbraio.

L’importante cast, diretto da Claudio Boccaccini, è composto da Felice Della Corte (Direttore del Teatro Manfredi),  Laura Lattuada, Riccardo Barbera, Paolo Perinelli,  Andrea Bizzarri, Giancarlo Fares (che la prossima settimana salirà ancora il palco del Manfredi, stavolta con Emigranti) Martina Zuccarello e l’istrionico Pietro De Silva (il Bartolomeo ne  La vita è bella”, il commissario Boris Giuliano che fu ucciso per mano di mafia e che interpreta in una fiction di grande successo "Il capo dei capi". Ma anche il chirurgo di "Non ti muovere" per la regia di Sergio Castellitto o l'architetto anarchico ne "L'ora di religione" di Marco Bellocchio fino al tossicodipendente interpretato nel film "Henry" di Alessandro Piva.  Inoltre per la serie "i delitti del BarLume" nel telefilm "Aria di mare"  interpreta un pianista non vedente, un personaggio molto affascinante, e particolarmente ambiguo).

Come ha detto il Presidente del Teatro Manfredi, Luciano Colantoni, si tratta di un classico senza tempo che nella messa in scena di Boccaccini ne vengono esaltati gli aspetti da thriller con un particolare accento sulla comicità insita al testo stesso.

La trama è ambientata agli inizi del Novecento ed è tratta dalla novella “La signora Frola e il Signor Ponza suo genero”.

In una città di provincia arrivano tre nuovi cittadini, reduci dalla perdita di tutti i loro parenti a seguito di un terribile terremoto, che ha raso al suolo la città in cui vivevano. Lui, il signor Ponza, si stabilisce con la moglie in un appartamento in periferia, affittando per la suocera, la signora Frola, un piccolo appartamento in centro. Tutti gli abitanti della cittadina si domandano in modo sempre più insistente per quale motivo i tre, da forestieri quali sono, non vivano assieme e costruiscono una serie di situazioni per interrogare in proposito genero e suocera: la moglie/figlia infatti non esce mai e non riceve in casa neanche sua madre, che la saluta dalla finestra e le manda tramite un “panierino” lettere quotidiane. I due personaggi vengono interrogati dai cittadini curiosi riuniti, in una sorta di “giuria popolare”, nella casa del prefetto; riportano versioni opposte, inconciliabili, che lasciano gli astanti perplessi, increduli, desiderosi in modo sempre più spasmodico di conoscere la Verità. L’unica soluzione sembra essere quella di convocare nel “tribunale popolare” anche la figlia/moglie, l’unica detentrice della verità, l’unica che deve necessariamente confermare la versione di uno e smentire quella dell’altro. E il dramma si chiude con l’ingresso sulla scena (il salotto, ambiente borghese per definizione) della figlia/moglie, velata e solenne, che conferma e smentisce entrambe le versioni, affermando alla fine, nell’ultima memorabile battuta, di non essere nessuna per se stessa, ma di essere “colei che mi si crede”. Come a dire: non esiste una verità, ne esistono tante quante sono le letture della realtà che ciascuno di noi può fare.

I due personaggi davvero centrali di questo dramma non sono, come potrebbe credersi, i due protagonisti. Sono, invece, il gruppo dei concittadini uniti dalla curiosità e dalla credenza che debba necessariamente esistere una Verità rassicurante, da una parte; e Lamberto Laudisi, scettico spettatore di ciò che avviene sulla scena, fratello della padrona di casa (la moglie del Consigliere comunale), dall’altra. I concittadini, sempre più numerosi, disposti sul palco in assetto da corte marziale, incalzano con le loro domande ed elaborano le loro riflessioni, dandosi torto o ragione a vicenda e collocandosi in due partiti nettamente separati: a favore o contro la signora Frola o il signor Ponza. La risata di Laudisi, d’altra parte, chiude ogni atto; si tratta di una risata sarcastica, di scherno rispetto alle credenze del pubblico/giuria, che sente di dover esercitare la giustizia popolare facendo luce su una situazione che, in quanto contraddittoria, non può che prevedere la follia o del genero o della suocera. Laudisi, invece, che spesso parla con se stesso allo specchio (l’unico che sembra in grado di 'riflettere' davvero), si mette nella posizione – è facile identificarla con quella di Pirandello – di chi non solo non giudica personalmente, ma non ritiene neanche giusto che siano gli altri a giudicare ciò che non può essere univocamente interpretato come vero.

 

“Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?"

 

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma