mercoledì 27 febbraio 2013

Grillo: punto di non ritorno

Grillo: punto di non ritorno A 5 stelle. Ma sempre di uno tsunami si tratta. O, ancor meglio, di un'esplosione destinata a modificare definitivamente la politica italiana. Più passano le ore, si analizzano i dati, si ascoltano le reazioni e più cresce la consapevolezza che il voto è destinato a segnare un punto di non ritorno. Per tutti. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 26 febbraio 2013

Il bondage di Beppe Grillo: tecniche di sesso estremo in Parlamento.

Il bondage di Beppe Grillo: tecniche di sesso estremo in Parlamento. Tornato stanco dal lavoro, entro nel bar. Amici grazie dell'occasione di farmi parlare di me. Vi abbraccio, con particolare affetto. Del resto, un buon equilibrio interno significa meno aggressività, più tolleranza, più dialogo, scelte più oculate, e in definitiva una vita più serena per tutti. Auguri. Blade Runner. Un film mitico. Rivedo la scena finale sotto la pioggia, in cui il replicante dice a Deckard: "Ho visto cose che non potresti immaginare. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orion. E ho visto i raggi beta balenare al buio vicino alle porte di Tanhauser. E tutti questi momenti andranno perduti, come lacrime nella pioggia". Straziante. Non so come avesse fatto Simonetta a innamorarsi di me…da giovanissima era così bella che quando le top-model la vedevano si mettevano a piangere. Sta succedendo ora. Sto condividendo un tavolino al bar Magnanti di Gioacchino con Paolo, di fronte a due Negroni. Gli ho appena confessato di stare subendo torti in ufficio. Lui mi ha fissato con i suoi occhi neri. Poi, in silenzio, mi ha sorriso, mentre gli parlo della Corte Costituzionale, avvisandolo che: “ la ragione di esistere della Corte Costituzionale sta nel porsi al di là e al di sopra della volontà espressa dalla maggioranza parlamentare. Secondo me questo di ritenere la Corte Costituzionale un parlamento di seconda istanza è un errore. Infatti la Corte, quando giudica, deve senz’altro rispettare la volontà del Parlamento espressa in leggi, ma sembra più che legittimo aspettarsi: 1) che si astenga dallo scrivere le leggi (vedasi quelle “additive”); 2) che si limiti a depennare quelle incostituzionali. Attenzione però, quelle scritte, non quelle: “nella parte in cui non dispone...”, che equivale a cancellare leggi mai scritte e a scrivere leggi mai approvate. Le tecniche di soffocamento e strangolamento fanno parte delle pratiche al limite, il sesso estremo con una forte componente di rischio che, per molti, è uno stimolo in più”. Paolo. E’ un sacerdote del bondage, il sesso estremo. Disinteressandosi delle mie parole, mi parla del suo hobby, mettendomi al corrente che: “Tutte le pratiche con fuoco, aghi o lame affilate sono giochi pericolosi che possono causare sterilità o infettarti di Aids o altre malattie.” Mentre parla, faccio finta di ascoltarlo. Intanto inseguo i miei pensieri. Folli, come me. In Europa gli ospedali vanno a pezzi. In Cina campagne allo stremo. In America latina case confiscate. In Africa corpi di bambini avvelenati con cibi sospetti. Nei paesi integralisti menti all’ammasso. In Iran lo spirito vitale del paese straziato, ridotto all’ultimo respiro. Nei paesi dell’est i posti di lavoro si assottigliano. Nel frattempo, Paolo continua a parlare: “ Scendere su questo terreno comporta una fiducia assoluta della persona sottomessa, la masochista, nel suo dominante, il suo padrone, che deve essere esperto e attentissimo alle regole di sicurezza.” Paolo è un buon diavolo, non penso abbia mai preso per il collo nessuno, a parte la bottiglia. Paolo continua a parlarmi del bondage. Faccio finta di ascoltarlo, mentr leggo una rivista che ho trovato al bar. Parla dei jeans. E così Paolo parla delle pratiche di sesso estremo, mentre op l,eggo chee il tessuto jeans, molto robusto e resistente agli strappi, veniva usato per fabbricare i teloni da imballo e le coperture delle vele. In seguito, per la sua resistenza, fu utilizzato per confezionare i pantaloni da lavoro degli scaricatori del porto in partenza da Genova per l'America. E così nell'ottocento, con le grandi emigrazioni, la tela Blu di Genova (tela jeans vuol dire infatti tela Genova) arrivò negli Stati Uniti d'America, dove venne utilizzata per realizzare gli abiti dei cercatori d'oro. Nient'altro ha resistito così bene alla prova del tempo. Il jeans, nato a Genova, difatti fu migliorato in America, ma da un emigrante europeo: il bavarese Levi Strass al quale bisogna dare atto di aver capito che quelle brache pratiche ma poco eleganti potevano essere migliorate. E i miglioramenti che lui vi apportò sono quelli che le hanno rese immortali. Egli cominciò a realizzare dei grossi pantaloni in tela robusta per i cercatori d'oro, delle tute color marrone, senza passanti né tasche dietro, e presero il numero in codice 501, che resiste tuttora. E, anche se non era stato lui a inventarli, fu comunque lui a trasformarli in un capo praticamente indistruttibile grazie a quei rinforzi alle tasche e alla ribattitura lungo le cuciture laterali. Levi Strass presto li trasformò nella divisa del West, tanto che alla fine dell'ottocento, in America, il tessuto jeans diventò sinonimo di pantaloni. E Levi Strass, che vide l'America vestire i suoi jeans, non avrebbe comunque mai immaginato che sarebbero diventati la divisa dei giovani di tutto il mondo, che avrebbero resistito negli anni al succedersi delle mode, senza mai tramontare: divisa dei lavoratori, delle classi più povere e rudi, poi divisa dei giovani ribelli negli anni Cinquanta, dei contestatori anni Sessanta-Settanta, e infine capo alla moda presente su tutte le passerelle. Oggi, i Levi's non sono più l'unica marca di jeans nel mondo, ma rimangono la marca più universalmente nota e desiderata. Neanche l'assedio di famosi sarti come Calvin Klein e Ralph Lauren ha diminuito il loro dominio sul mercato mondiale. Ed ora, che siamo nel 2013, i vecchi jeans si meritano un brindisi: ai prossimi 140 anni! Chissà, forse nel 2148 saranno di nuovi i cercatori d'oro a indossarli. Su altri pianeti. Per il momento i jeans li indosso io, li indossa il mio figlio ventiseienne Gabriele insieme al fratello più piccolo, il diciottenne Alessandro, li indossano mio fratello Stefano e mia sorella Antonella e li indossa anche mia cognata Alessia che è talmente magra che può portarli con estrema disinvoltura. Non sono certo io il primo a dire che è la sosia perfetta di Julia Roberts. Li indossa Simonetta. Paolo non si è accorto che io sono distratto, e continua imperterrito nella sua disamina sul sesso estremo: “ Ad ogni modo” mi avvisa “nel mondo della dominazione, tutto è consentito purché sia sicuro e consensuale. Si stabilisce una parola o un gesto, o entrambi, che interrompano immediatamente il gioco e il dominante deve avere a portata di mano forbici o coltello per recidere la corda all’istante se la sottomessa sta per svenire. Gli utensili vanno mostrati prima di iniziare e in qualche modo fanno parte del setting assieme alle corde. E’ la sottomissione totale, mettersi completamente nelle mani di un’altra persona, farsi umiliare fino alla beatitudine,….Dolore e piacere.” Paolo parla, parla del sesso estremo…ed io intanto penso a Simonetta. A mia moglie piace la vita in campagna. A lei piace stare seduta a guardare il sole che tramonta. Ha sempre desiderato avere una casa con un panorama meraviglioso, vicino al campo di olivi, alle vigne, al giardino di rose, ai gelsomini che profumano l’aria della sera. Avrebbe gradito, infatti, crescere i nostri due figli alla maniera degli antenati. Lei stessa avrebbe insegnato loro a fare il vino e ad allevare le api. Ed i nostri figli -a suo dire- sarebbero cresciuti in pace e sarebbero vissuti in serenità all’ombra di grandi alberi solitari, ascoltando il pigolio degli uccelli che, dopo essersi rincorsi in cerimonie di corteggiamento, cercano il nido su querce così alte che sembrano reggere il cielo. Al contrario, a me piace il mare. Il mare è lo specchio dei nostri pensieri, e sfortunatamente anche di quelli più profondi e malinconici. Riflette ciò che sta nascosto nelle profondità del nostro animo, le nostre paure inconfessate, perfino il volto della morte sembra trasparire, a volte, sotto la sua superficie liquida e mutevole, dietro l’orizzonte che fugge sempre più lontano, che non si fa mai raggiungere. Di sera, la luna sorge dal mare illuminandolo. E la superficie scagliosa del mare riflette i raggi della luna in mille sfaccettature tremolanti. Ora abitiamo ad Ostia, giustamente definito “il mare di Roma”. Ma le ho promesso che un giorno andremo a vivere in campagna. E lei sai che un Romano mantiene sempre la parola data! Ma voi vi fidereste della parola di uno statale? Nel frattempo, mi allontano da queste riflessioni, perché sento Paolo dirmi: “Tu, Mario, sei sicuramente uno che fa sesso in modo tradizionale: abbastanza piacevole, ma stucchevole e in fondo con poco sapore.. Mario, tu ragioni per schemi, come tutti i tradizionalisti: preliminari, rapporto, orgasmo, bacetto, grazie cara, prego caro… Per noi è completamente diverso. Il bondage è libertà assoluta, appagamento totale nel rispetto reciproco. I ruoli, i giochi, possono essere inventati sul momento.”. Amici io non sono uno che pensi che il sesso sia l'attività più stressante ed antigienica che due o più persone possano decidere di fare insieme. Ma che palle questi discorsi sul bondage! Paolo, a questo punto si concede una breve digressione sugli afrodisiaci, si lancia in un’ardita ricostruzione storica che va da Erode a de Sade, polemizza con la morale cattolica e le leggi liberticide e, complice la stanchezza ed il Negroni, finisce per annoiarmi a morte. Mi accorgo che sempre più spesso guardo di sfuggita l’orologio e forse se ne accorge anche lui. Quel mondo che descrive con tanto entusiasmo e che, all’inizio della chiacchierata, mi sembrava misterioso e in qualche modo intrigante adesso mi si presenta come un’accolita di poveracci incapaci di provare gioia nel semplice incontro tra due persone e alla spasmodica ricerca di qualche palliativo, sempre più sofisticato e assurdo, per aggrapparsi a una briciola di piacere. Prendiamo un secondo Negroni. Intano Paolo parla, parla….e io penso ai risultati delle elezioni. La coalizione Pd/Sel ha la maggioranza assoluta alla Camera avendo conquistato ben 216 deputati in più (340 contro 124) rispetto al PDL. Al Senato la situazione è molto diversa. Infatti a Palazzo Madama la coalizione guidata da Bersani (il vero perdente di queste elezioni e per questo dovrebbe dimettersi) ha la maggioranza relativa ma non assoluta e questo rende l’intero Parlamento ingovernabile. Dopo aver preso il nostro terzo Negroni Paolo mia saluta e se ne va. Io esco dal bar, passeggio sul lungomare, e mentre canticchio sottovoce la canzoncina del Movimento cinque stelle penso tra me e me: “Grillo ha vinto le elezioni 2013. Ora Tutti a casa !!!” Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 25 febbraio 2013

Ha vinto il centrosinistra. Boom di Grillo

Ha vinto il centrosinistra. Boom di Grillo Sei e mezza di mattina. Dormire è fuori questione, tenterò di recuperare domani. Faccio un giro. Incontro un amico. Negli ultimi anni, i nostri rapporti sono diventati appena un po’ più tesi di quelli tra le due Coree. Piazza Scipione Africano. Trangugio cappuccino e cornetto nel bar Magnanti. Gioacchino lo ha appena aperto. Saluto il mio amico. Vado fino al giardinetto del lungomare di fronte al bar. Qualche amante dello jogging e del footing, una zingara che rovista nei cassonetti, odore d’erba e di terra impregnata di rugiada. Un barbone che scruta il mare. Qualche cane. Per l’ennesima volta mi chiedo se i miei orari mi consentirebbero di tenere un cane e per l’ennesima volta mi rispondo che è impossibile. Vivendo con una moglie e due figli, uscendo di mattino presto e tornando a casa tardi. Peccato. Un gatto sarebbe più facile da gestire ma mi vedo già in boxer inseguirlo sui tetti dove scapperebbe di sicuro o a curargli le ferite da combattimento con gli altri gatti. E poi i gatti non fanno compagnia, sono degli sciocchi individualisti ed egoisti che cercano solo cibo, calore e comodità. Non tanto sciocchi in fondo. La regola è una sola: un gatto è un gatto, un cane è un cane. Non ha un'anima semplice e accomodante. Non ama fare il clown per divertire i padroni. Un primo passo per conquistare la sua fiducia è una ciotola di latte, ma non tutti amano mangiare tutto e molti hanno i loro gusti, che l'uomo deve capire per far sì di conoscere il loro vero nome. Fatto questo bisogna, ogni tanto, rivolgere loro un gesto di rispetto. Ok, però non prenderò né un cane, né un gatto. Mentre passeggio, rifletto sui risultati delle elezioni. Boom di Beppe Grillo. “L'onesta andrà di moda”. Con questo messaggio affidato a Twitter il leader del MoVimento5Stelle Beppe Grillo festeggia il risultato ottenuto dai suoi grillini. Gli instant poll accreditano M5S intorno al 19 per cento. Un risultato ottimo, se si pensa che i grillini sono alla prima partecipazione alle elezioni politiche. Torno a casa: passeggiata finita. Ho deciso: mi comprerò un coniglio nano! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Il Master fasullo di Oscar Giannino

Il Master fasullo di Oscar Giannino Dopo la laurea taroccata, quella di Renzo Bossi, e le tesi copiate, quelle dei due ministri tedeschi Schavan e zu Guttenberg, è arrivato anche il Master fasullo: e quello che ha vantato, pur senza averlo, Oscar Giannino. Di questo lo ha accusato l’economista Luigi Zingales, uno dei fondatori di “Fare per fermare il declino”. Una campagna elettorale è un tritacarne infernale, dove non sono previsti né sconti né concessioni. Chi scende in campo deve saperlo. Oscar Giannino, come lui stesso ha ammesso, ha raccontato una balla ed è stato scoperto. Certo, qualcuno, soprattutto tra i militanti del movimento Fare, può ritenere che Zingales avrebbe potuto ricorrere a modi meno eclatanti e dirompenti per denunciare a pochi giorni dal voto il "falso" master di Giannino, suo amico e compagno di avventura. Ma attenzione a non confondere causa con effetto: Zingales ha fatto esplodere il caso, ma l'errore l'ha compiuto Giannino. E per sua stessa ammissione si è trattato di un grave errore. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 22 febbraio 2013

Cefalea degli amanti

CEFALEA DEGLI AMANTI Piove. Inizio ad irritarmi. Oggi non é che un altro di una lunga serie di giorni tristi, segnati dal grigiore quotidiano. Paragono i miei sogni alla realtà. Mi assale la tristezza. Fortunatamente incontro mio fratello. Quando Stefano mi raggiunge, facendosi largo tra una selva di persone, gli vado incontro e un sorriso illumina il mio viso stanco. Gli sono infinitamente riconoscente, perché mi capisce, perché mi aiuta, perché c’é. Non é solo un fratello, é un amico. Lo guardo con orgoglio. Questo uomo é assolutamente fuori dall’ordinario. Entriamo in un bar. Ci sediamo ad un tavolo. “Mario -mi dice- lo sai che chi soffre di mal di testa farebbe meglio a non tradire: stress psicologico e sforzo fisico durante il rapporto clandestino possono scatenare la cefalea degli amanti, che rappresenta una minaccia per quasi il 15% degli italiani”. ”Bé, come lo hai saputo” taglio corto. “Oh, accidenti, me l’ha detto Marco” mi rivela. “Questo tipo di cefalea -mi spiega- riguarda soprattutto gli uomini, che hanno in genere un ruolo più attivo durante il rapporto, con un’intensità proporzionale all’eccitazione. Si tratta quasi sempre di persone già emicraniche, nei quali una serie di fattori (come alimenti afrodisiaci, farmaci che favoriscono le prestazioni, affaticamento fisico e stress psicologico dovuto alla relazione clandestina) possono scatenare fortissimi attacchi di cefalea che possono durare fino a tre ore”. È importante chele persone colpite ne parlino con il medico -mi raccomanda Stefano- perché il fenomeno deve essere indagato a fondo. “Nel 3-4% dei casi - conclude - si può infatti nascondere anche un piccolo aneurisma cerebrale: per questo sto suggerendo ai miei amici di darsi una calmata, magari di affrontare un periodo di astinenza”. Stefano si scosta una ciocca di capelli dalla fronte. Terminata la colazione usciamo. La pioggia si é fatta fitta e sottile. Mi avvolgo nell’impermeabile, mi copro la testa e seguo Stefano, che non si cura delle gocce d’acqua che gli scivolano sul viso. La strada é vuota. Ci allontaniamo, ridacchiando. La discussione é conclusa. Ve lo giuro. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

mercoledì 20 febbraio 2013

MALUMORI PASSEGGERI (Io voto per Beppe Grillo)

MALUMORI PASSEGGERI (Io voto per Beppe Grillo) Mi chiamo Mario. Mario Pulimanti. Sono di Ostia. E sono un uomo senza qualità. Però ho molti amici. Uno dei migliori è Ferruccio Milanista doc nonché marito di Silvia. E uomo senza contraddizioni. In questo momento stiamo assistendo a un comizio elettorale a piazza Anco Marzio. Sta parlando un giovane politico. In giacca verde. Incomprensibile: sta leggendo il suo rapporto irto di dettagli politici a una velocità tale che tanto sarebbe valso recitare il Credo in russo a una classe di allievi dal rendimento scolastico mediocre. Una volta concluso il paragrafo finale, porge con disinvoltura il documento ad un suo collega di partito, scende cautamente i gradini del palco ed esce di buon passo dalla piazza e dal comizio. Ora è il turno di un altro candidato. Io e Ferruccio lo conosciamo bene: com’é piccolo il mondo! Senza re né regno: lo sentiamo dire che non votare è un diritto, ma la storia insegna che l'astensionismo non ha mai contribuito né a migliorare la politica né a cambiare i governi. La democrazia si esprime attraverso il voto e finora, benché molti si sono applicati allo studio di questa materia, strumenti alternativi egualmente efficaci non ne sono stati individuati. Come diceva Churchill: "La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta però per tutte le altre forme di governo finora sperimentate". Mmmmh.. Ragionevoli dubbi. Rose, rose. Belle parole, certo. Però, dico a Ferruccio sottovoce, se a meno di una settimana dal voto del 24-25 febbraio, l'incertezza è tanto diffusa e tanto diffusa è anche la tentazione di disertare le urne da parte di cittadini che pure hanno sempre espresso il proprio voto, la responsabilità non è da attribuire a noi elettori, ma a una classe politica che prima non è stata neppure in grado di modificare la legge elettorale e poi, in larghissima parte, ha impostato e condotto una campagna elettorale lontana dalla realtà e scarsamente credibile. E ora, a pochi giorni dalle elezioni, si scopre preoccupata del voto di protesta e dell'astensionismo. Mentre parlo con Ferruccio, la mia irritazione verso quel giovane ganimede che sta ancora parlando vira ormai verso un’aperta animosità. Che razza di mollusco è questo politico! Ferruccio, che lo conosce molto bene, mi sta dicendo che la relazione di questo aspirante deputato con una sua collega di partito si é arenata diventando una passione sporadica, seguita dai soliti rimorsi e da ipocrite promesse di farla finita. Senza dubbio, mi dice Ferruccio, é stato lui a far precipitare la situazione, eppure di fatto quando facevano l’amore (a questo punto del discorso di Ferruccio. io chiudo la porta in faccia alle mie fantasie) sapeva che lei era felice. Secondo Ferruccio lei é una donna capace di darsi interamente a un amore puramente fisico. Per lui sarà senz’altro stata un’esperienza meravigliosa e in precedenza non gli sarà mai certamente capitato niente del genere, afferma sogghignando il buon Ferruccio. Ma, trascorso il momento della passione, lei si è ritirata sempre nell’indifferenza, in una specie di freddezza. Non ha mai neanche provato a mentire sulle ragioni per cui si dava a lui: era un rapporto di natura esclusivamente sessuale. Non si era mai parlato d’amore, e neanche di un affetto profondo. La moglie del giovane politico (Ferruccio ne é sicuro) non sospettava minimamente la sua infedeltà, anche se doveva essersi accorta (era naturale!) che il trasporto spensierato dei loro primi anni di matrimonio era svanito, forse per sempre. Che razza di uomo spregevole! Con quei capelli rossi e lisci, gli occhiali in tartaruga, le dita affusolate, quasi femminili. Ma tanto ho deciso: voterò per Beppe Grillo. E venerdì andrò a vederlo a piazza San Giovanni, dove terrà l'ultimo comizio della sua campagna elettorale. Cavolo, mi sono ricordato che ho una visita medica. Ce ne andiamo, senza voltarci. Il dottore alza lo sguardo dalla sua scrivania. “Ha i trigliceridi alti. Quante bustine di zucchero consuma a settimana?” “Cinque”. E’ una piccola bugia bianca. Sono arrivato a cinque bustine lunedì, ma poi ho smesso di contare, così sono rimasto a cinque bustine. “Niente zucchero. Niente alcool. Per un paziente con i suoi valori di trigliceridi, il rischio di attacco al cuore, infarto o trombosi cresce drasticamente.”. Improvvisamente sono tanto, tanto spaventato. Il cuore batte violentemente. Sudore sulla fronte. Il dottore alza lo sguardo. I suoi occhi sono finestre su un cielo di pieno inverno. “Lei appartiene a un gruppo statistico con rischio elevato.” Fuori dallo studio medico si sta facendo buio e fa veramente freddo. Il traffico è rumoroso nell’aria umida di Ostia. Salutandomi, mentre dava un’occhiata all’orologio, il dottore mi ha ricordato che a causa della mia età…e dei miei trigliceridi… si manifesteranno presto vertigini, stanchezza e perdita della libido. E’ tutto finito. Io sono finito. Scandaloso. Un senso di paura cresce dentro di me. Terrore esistenziale. Lo zucchero, l’alcool, il sesso: senza di loro, cos’altro rimane? Mi sento vecchio, stanco e inutile e persino spaventato. Non desidero una vecchiaia olimpica e senza strida, come una sonata per violino eseguita da un linfatico violinista svizzero. Preferisco morire gridando. Quando mi porteranno al mattatoio comincerò a ululare, a bestemmiare e a insultare. Al pub sotto casa prendiamo un paio di birre. Doppio malto, scure. Poi Ferruccio mi saluta: torna a casa sua, all’Infernetto. Lo moglie lo aspetta per cena: “ubi Silvia, Marius cessat!” Entro a casa. Simonetta non c’é. Gabriele nemmeno. Alessandro sta studiando in camera sua. Entro in salotto. Mi siedo sul divano. Accendo lo stereo. Ascolto “Over the Rainbow” (anche nota con il titolo “Somewhere Over the Rainbow”). Il titolo significa letteralmente "Oltre l’arcobaleno”. La versione originale è cantata da Judy Garland per il film “Il mago di Oz” del 1939, ma quella che sto ora ascoltando è la famosa versione del cantante hawaiano Israel “IZ” Kamakawiwo’ole, soprannominato “Gigante buono”, morto nel 1997 all'età di 38 anni. Nell'ultima parte della sua vita Iz divenne obeso e arrivò anche a pesare 340 Kg. Versione stupenda. Voce meravigliosa. E' una delle poche canzoni che riesce a farti venire i brividi, una ballata dolcissima con la quale Iz ti culla delicatamente. E l'ukulele come unico strumento, col suo suono particolarissimo, rende indimenticabile una canzone già unica. Ascolto la musica, con gli occhi chiusi. E penso. Penso agli anni ottanta. Il pranzo domenicale di mia suocera. Opulento, straripante, ipercalorico. Prosciutto, salame e salciccia matta per cominciare; due minestre, asciutta la prima e in brodo la seconda, rigorosamente cappelletti, strozzapreti, tagliatelle al ragù, bollito, a dir misto lo si penalizza, agnello fritto e scottadito, cappone, testina di vitello, coratella, piccioni arrosto ripieni, cervello, cotechino, manzo; poi polli arrosto e salsicce ai ferri, con una varietà di patate, in umido, arrosto, fritte, al forno, e verdura a piacere, dai pomodori alla lattuga; pane fragrante appena sfornato dal suo forno a legna; ciambella, zuppa inglese alta una esagerazione e un po’, crema, savoiardi con l’alchermes, cioccolata, savoiardi con l’alchermes, dolci a forma di pesca con l’alchermes, cioccolata e crema… Vino naturalmente, vini Colli Sabini DOC Rossi e Bianchi, Malvasia Bianca, spumanti, amaro Viparo ...Grappa. E alla fine qualcuno recitava poesie di Trilussa e qualcuno, semplicemente, finiva sotto il tavolo semisvenuto. Trenta persone intorno a un tavolo, ogni commensale uguale ai suoi due vicini di sedia in nome del sentimento che ha sempre dominato in tutte le famiglie sabine, la compassione è certamente il ricordo più bello, quello che più di ogni altro mi riscaldava il cuore: ed era in nome di quel calore che ancora mi arriva dal passato che cerco di ricordare oggi le scene di un tempo, le persone che amavo intorno allo stesso tavolo, persone scelte sulla base dell’affetto che le legava, il DNA ha ben poco a che fare con i sentimenti. Rosato, mio suocero. Presidente della Confraternita di San Bernardino. Uomo di gran buon cuore, aveva sempre destinato una buona parte delle sue rendite alla beneficenza ed era pieno di amici che lo apprezzavano e gli volevano bene. Questo era un uomo. Non io. Io che chiaramente non sono saggio come Marco Aurelio Antonino, imperatore filosofo e valoroso. Non so tenere una conversazione brillante, ma forse un ho pregio ce l’ho: sono abituato a contare solo su di me senza aspettarmi mai favori piovuti dal cielo, come mi aveva insegnato Nonna Jole. Non posso dimenticarmi il suo volto saggio e profumato, gli occhi celesti e i capelli grigi raccolti dietro la testa. Brrr. Mi sento gelare a questi ricordi. Lasciamo stare. Simonetta è una donna che si preoccupa di tutto. La lista delle cose di cui si preoccupa in ogni dato momento è interminabile: il benessere dei figli, per esempio, o l’inadeguatezza del nostro stipendio, o il taglio delle spese scolastiche minacciato nella scuola di nostro figlio Alessandro, o la macchia d’umidità sopra la finestra, o lo scricchiolio delle sue giunture ogni volta che si alza la mattina, o il libro che da tempo nostro figlio Gabriele deve restituire alla biblioteca comunale e non riesce più a trovare, o il riscaldamento del pianeta. Ma in questo momento particolare ci sono due cose che le danno ulteriori motivi di preoccupazione: la minacciosa certezza dell’avanzare del tempo (Tempus fugit!) nonché lo stato della salute mentale di suo marito (vale a dire, del sottoscritto). Mi dice: “Guardati intorno. Ci sono uomini che fanno jogging, che coltivano ortaggi, che vanno in bicicletta, che costruiscono case. La tua specialità è quella di essere negato per qualsiasi lavoro manuale”. Questo vale anche per l’educazione dei figli. Mi accusa di essere come Ulisse, l’Odisseo che lascia il figlio appena nato e quando lo riabbraccia ha venti anni e si è fatto uomo: Telemaco. Difatti, a suo dire, mi sono ritrovato Gabriele e Alessandro maggiorenni senza aver fatto nulla, perché ha pensato sempre a tutto lei. Del resto dice che la mia filosofia di vita è l’utilitarismo spinto. In poche parole sarei un integralista dell’edonismo estremo. Ognimodo ho due figli svegli. Beh, per dirla giusta a volte non mi sento del tutto realizzato nella vita professionale e in quella creativa. Comincio a analizzare ogni mio pensiero, cercando qualcosa di anormale o di alterato. Mi costringo a star sveglio di notte perché ho paura dei miei sogni. I sogni sembrano reali e non lo sono, e mi rendo conto che sono molto vicini alla pazzia. Malumori passeggeri. Non c’è nient’altro da pensare. Non ho nient’altro da dire. Alla prossima! E non mi devo dimenticare di andare a votare domenica per Grillo! Giurin giuretto, parola di lupetto. Sforzandomi di sorridere, simpaticamente vi saluto. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 19 febbraio 2013

AMMAZZATEMI!

AMMAZZATE MARIO ------------------------------------- Roma. Esco dall’ufficio prima del solito per andare a ritirare un documento presso gli uffici comunali del Campidoglio, dove ho lavorato tanti anni fa. A quanto pare, è necessario per la ricostruzione della mia carriera. Oh, che bel pomeriggio di fine febbraio! Traggo un profondo respiro. D’accordo, vado a piedi. Niente mezzi pubblici. Lunga marcia. Passo a piazza di Spagna, sotto i 138 gradini che risalgono il ripido pendio verso i campanili gemelli ai lati della Chiesa di Trinità dei Monti. Percorro via del Tritone. Arrivo alla confluenza delle tre vie ed ammiro l’enorme fontana di Trevi, con i suoi cavalli marini cavalcati da tritoni che trainano il cocchio di Nettuno a forma di conchiglia. Passo davanti al Pantheon. Entro e osservo l’interno della grande cupola che sembra sfidare le leggi della fisica, mentre il sole filtra attraverso il grande oculus al suo centro. Mi trovo davanti al Vittoriano, il monumento che molti paragonano a una colossale torta di nozze piazzata nel centro di Roma, inaugurato nel 1925 in onore di Vittorio Emanuele II, il primo re dell’Italia unita. Il padre di mio nonno è stato uno dei costruttori. Morto a seguito delle ferite riportate sul monte Grappa. E’ andata così. Al centro di Piazza Santa Maria Liberatrice, nel rione Testaccio, campeggia un monumento ai caduti della guerra 1915-1918, decorato nella parte inferiore con rilievi della lupa con i gemelli. Lì si può leggere il suo nome. Si chiamava Romolo Aloisi, come mio zio, fratello di mamma Ernesta. Questo mio bisnonno era sposato con Maria Adele Cannella. Tra i loro figli, oltre a nonno Vittorio, c’era anche Vitaliana, che da sposata diventerà Lambertucci. Vitaliana Aloisi in Lambertucci, tra l’altro, sarà la madre anche di Rosanna Lambertucci, cugina di mia madre Ernesta, nonché famosa giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva. Si chiamava Romolo Aloisi, come mio zio, fratello di mamma Ernesta. Questo mio bisnonno era sposato con Maria Adele Cannella. Tra i loro figli, oltre a nonno Vittorio, c’era anche Vitaliana, che da sposata diventerà Lambertucci. Vitaliana Aloisi in Lambertucci, tra l’altro, sarà la madre anche di Rosanna Lambertucci, cugina di mia madre Ernesta, nonché famosa giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva. Dopo aver attraversato una parte di Roma antica raggiungo il Campidoglio, l’unica testimonianza importante dei famosi sette colli di Roma, mentre la luce del sole comincia a svanire all’orizzonte attraverso gli archi e le colonne in rovina dei Fori imperiali. Perfetto, missione completata. Tornando sui miei passi decido di andare a prendere la metro alla fermata del Colosseo. Lungo il perimetro esterno dell’anfiteatro circolare giurerei di udire il cozzo delle armi dei gladiatori e il ruggito dei leoni. Poi la fantasia diviene cruda realtà quando penso alla mia situazione economica. Non posso mettere da parte il mio denaro in banca, sapendo di averne frequentemente bisogno per le mie transazioni giornaliere….beni necessari nel breve termine… Cavolo, gradirei diventare ricco per poter realizzare dei sogni incredibili che, però, fino a qualche anno fa riuscivo tranquillamente a realizzare. Non sto parlando certamente di un cottage in montagna, di una villa in riva al mare o di una villetta di campagna, sarebbe veramente troppo! Ma non sto alludendo nemmeno ad una macchina molto potente, perché servirebbe troppa benzina o al mangiare smoderatamente, perché ingrasserei! Desidererei, invece, essere ricco solo per il semplice gusto di pagare il bollo della macchina, cambiare gli pneumatici, aggiungendo chiaramente anche la convergenza, l’equilibratura ed il cambio periodico dell’olio. Visto che ci sono farei anche la revisione e il famoso bollino blu antinquinamento, giusto per il gusto di esagerare. Vorrei essere ricco anche per poter pagare l’Imu qualche giorno prima della scadenza e non qualche mese dopo. Vorrei a questo punto strafare e pagare perfino l’Ici e la tassa dei rifiuti ed inoltre le bollette della luce, dell’acqua, del gas e del telefono. Aggiungo allora le spese del condominio e la mensa scolastica. Per non dimenticare l’abbonamento Rai, l’assicurazione della macchina, le tasse scolastiche ed i libri dei ragazzi che vanno a scuola, Alessandro all’ultimo anno del classico e Gabriele alla scuola notarile. Insomma vorrei essere tanto ricco per poter fare tutte quelle cose che fino a qualche anno non mi intimorivano, mentre ora mi mettono in apprensione. Touchè. Ci siamo. Tra un pensiero e l’altro sono arrivato alla stazione della Piramide. Qui c’è il trenino che mi porterà a Ostia. Sono, infatti, un abitante del Lido della Città Eterna. Guardo l’orologio. Si è fatto tardi. Devo rincasare per cena. Corro per prendere la coincidenza. Ci riesco e mi siedo. Un bastimento carico di lidensi. L’ora dei ricordi. Penso alla velocità di una tartaruga artritica e agisco con la prontezza di un bradipo mezzo addormentato. La strategia migliore è mantenere la calma e aspettare. Penso a quando andrò in pensione. Cosa lascerò ai miei figli? Si dice che un individuo si comporta in maniera miope quando le sue scelte di risparmio e assicurative non sono proiettate al futuro, cioè quando manca quella pianificazione che permette di soddisfare il fabbisogno di risorse nel periodo dell'invecchiamento. Se i motivi di questo comportamento sono molteplici e ancora oggetto di studio, le conseguenze sono ovvie: una pianificazione basata su un orizzonte temporale limitato porta a carenze di risorse e spesso a condizioni di povertà nella vecchiaia. Se gli individui possono soffrire di miopia, i governi e certamente le istituzioni preposte a fornire garanzie per il futuro dovrebbero, per definizione, essere lungimiranti. Devono garantire la sostenibilità dei sistemi di welfare e in particolare del sistema pensionistico, cioè un equilibrio delle risorse finanziarie nel tempo e non soltanto in un singolo periodo, devono inoltre garantire l'equità tra generazioni, cioè trattare i figli come i padri e come i nonni. Il tema pensioni è invece diventato negli ultimi anni una patata bollente da passare ai governi successivi per quel che riguarda la decisione politica, che si concretizza di solito in soluzioni ad hoc, e da passare alle generazioni successive per quel che riguarda il finanziamento. Così i giovani, già alla nascita, si portano addosso un debito nei confronti di genitori e nonni pur avendo difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e pur avendo carriere più discontinue delle precedenti generazioni. C'è un'aggravante: la demografia nei prossimi 20-30 anni ci costringerà a fare i conti con entrate contributive magre a fronte di spese pensionistiche crescenti: la patata diventerà sempre più bollente! Se è quindi legittimo considerare le pensioni un diritto di tutti e dovere dei governi provvedere affinché ci siano redditi dignitosi nelle età anziane, bisogna chiedersi da dove vengano le risorse e se stiamo garantendo una vecchiaia serena anche ai nostri figli. Immerso nei pensieri, dopo un’ora di viaggio e vari rallentamenti arrivo a casa. E dire che, aumentare la qualità di servizio e migliorarne il comfort, dovevano essere i due obiettivi primari della Società Met.Ro. Entro a casa agitato. Dolore. Poi mi rendo conto. Pulsazioni di una emicrania. Inevitabile. Ma certo non giusto. Mi vergogno, stasera, della mia fragilità, del mio mal di testa. Ecco: sono un paranoico terminale. “Che c’è, Mario?” mi chiede una stupefatta Simonetta. “ Brutti pensieri” mormoro. Gabriele, mio figlio, giovane, articolazioni sciolte, infinite possibilità. Stufo dei miei lamenti mi consiglia di pensare a chi sta veramente male. Rispondo: si tengano pure la loro, di sofferenza. Io mi tengo la mia. Ottimo persuasore, comunque. Sto già molto meglio. Intanto, Alessandro sta dicendo di aver preso nove in greco. Ha l’espressione soddisfatta di un soriano che si è pappato una scatoletta di tonno. Ci manca poco che cominci a farsi le unghie sulla poltrona. Dopo cena mi siedo sul divano. Quasi soprappensiero ripulisco con il dito il caffè rimasto nella tazzina. Mi allento la cinta dei pantaloni con una smorfia di piacere. Raccolgo il telecomando e passo pigramente da un canale all’altro, fermandomi infine su un telegiornale che guardo per qualche minuto con annoiata disattenzione, consapevole che mi si stanno abbassando le palpebre. Non sto male. Sono solo stanco, stanchissimo. Prima di scivolare nel sonno, all’improvviso scuoto il capo incredulo. Una notizia sorprendente. “Sono 10 milioni le donne che hanno subito molestie o ricatti sessuali nel corso della vita. Sono 900mila i ricatti sessuali che avvengono sul lavoro e 500mila gli stupri o i tentati stupri. Questi dati drammatici emergono dall'ultima indagine dell´Istat, in occasione della giornata parlamentare contro la violenza alle donne. Centomila donne hanno subito ambedue le violenze”. Questa notizia mi risulta molesta quanto il trapano di un dentista. Non ha senso: qualcosa non torna. Assurdo! Getto il telecomando per terra. Mi stringo nelle spalle. Non so se riuscirò a farmene una ragione. A questo punto mi dichiaro battuto. Ah, adesso sì che mi sono rovinato la giornata. L’intera faccenda è vergognosa. Sono tempi difficili quelli in cui viviamo. Una soluzione? Questa: ammazzatemi. Ammazzate Mario. Vado a letto. Cercherò di dormire un po’ stanotte. Non voglio ammalarmi per colpa di queste riflessioni. Dico sul serio. Ciao. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 18 febbraio 2013

Oscar Pistorius: il crollo di un mito

Oscar Pistorius: il crollo di un mito La storia dello sport ha conosciuto anche nel recente passato vicende sconvolgenti, apparentemente molto simili a quella che oggi vede protagonista Oscar Pistorius. Tyson, Monzon e altri come loro trasudavano aggressività istintiva, erano i simboli di un concetto deviato di virilità e di forza. L'atleta sudafricano impersonava l'esatto contrario. Era gli occhi di tutti un uomo determinato e razionale, ma lontano da gesti arroganti e reazioni scomposte. Uno sportivo appassionato alla vita a tal punto da voler sfidare, nonostante l'handicap, i più grandi velocisti del mondo. La cronaca ci ha consegnato, al suo posto un presunto killer che avrebbe ucciso a colpi di pistola la fidanzata Reeva. Un uomo di cui oggi scopriamo lati oscuri: l'inclinazione a bere più del dovuto, una gelosia eccessiva ed esasperata, precedenti per liti. Più che di delusione, dovremmo parlare di disincanto. Del crollo di un mito. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 15 febbraio 2013

SANREMO 2013

SANREMO 2013 Sanremo è un tormentone che ci portiamo dietro da alcuni decenni e ci porteremo avanti per parecchi anni ancora. Ormai è parte integrante dell'italica storia e del nostro costume: non c'è altro spettacolo televisivo che sia sopravvissuto allo scorrere del tempo e ai mutamenti economico-sociali. Nulla l'ha fermato: nessuna crisi, neppure il ’68. Ma anche se calamita milioni di telespettatori e fa incassare montagne di euro alla Rai (che proprio per questo se lo tiene ben stretto), Sanremo resta pur sempre, solo e semplicemente, uno spettacolo. Nulla di più. E non credo sia uno scandalo se la canzone italiana da protagonista sia ormai diventata quasi un orpello dentro un contenitore che, sempre di più, ha bisogno di altro (della politica, delle star internazionali, della polemica sociale) per far parlare di sé e orientare verso l'alto l'Auditel. Era inevitabile che accadesse: lo spettacolo ha le sue regole e le canzonette, da sole, non erano più sufficienti a sostenere un kolossal del piccolo schermo qual è il Festival. Così Sanremo è diventato un grande show-specchio dell'Italia, dove le parole hanno il sopravvento su tutto, dove sacro e profano si mescolano con disinvoltura spesso eccessiva, dove la comicità suscita più polemiche che risate. Ma, almeno, abbiamo una certezza: dopo pochi giorni cala il sipario. E se ne riparlerà fra un anno. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 12 febbraio 2013

Per ora, no

PER ORA NO
Paolo. Bé, era solito assaporare il perfetto piacere della pace della montagna e della pesca sportiva in compagnia di mio suocero Rosato. Ummmh, si scolavano due birre, mangiavano deliziosi formaggi d’alta quota, fumavano quattro sigarette e pescavano nelle acque trasparenti dove nuotavano trote fario e salmerini. Insomma, morale della favola: nelle acque fredde, limpide e molto ossigenate di selvaggi torrenti alpini, ma anche di laghetti alimentati da torrenti. Certo, non andavano lì per fare un bottino da record, ma per godersi la natura, e se poi c’era anche una coloratissima trota fario a far loro compagnia al ritorno, meglio ancora. Paolo. Sgridato dal padre per la sua timidezza e coccolato dalla madre per quella stessa timidezza che lei chiamava riservatezza, aveva finito per andare in confusione. Timido o riservato che fosse, faceva fatica a relazionarsi con gli altri. Col tempo aveva superato questa sua debolezza nei rapporti di lavoro, ma non l’aveva mai vinta nella vita privata, prima con i compagni di scuola, che leggevano la sua ritrosia come una presuntuosa pretesa di solitudine, poi con gli amici -sempre che si potessero considera tali- che scambiavano i suoi silenzi per un vago disprezzo, e infine con le donne che, trovando fastidiosa quella sua vergognosa adorazione, non riusciva mai a conquistare. “Mario, vieni con noi?” chiede mio suocero. “Per ora no. Forse domani” rispondo da perfetto Paperino. Non farò mai in tempo ad accompagnarli. Rosato morirà l’anno dopo. Ferragosto del novantotto. Paolo lo seguirà a ruota. “Ciao, Rosato. Ciao, Paolo ” sussurro mentre la voce mi si spezza. E’ sempre così. Ricordi… Tornano sempre, anche quando non dovrebbero… Quando una persona che amiamo va via per sempre, è difficile vivere con quel vuoto profondo che si spalanca all’improvviso. Non basta semplicemente voltare pagina. Non basta ripetersi che la vita continua e che non serve a nulla piangere. Non basta imporsi di non pensarci. Quel vuoto è lì. Come una ferita profonda. Che pian piano cerchiamo di far cicatrizzare. Anche se alcune ferite non si cicatrizzano mai completamente. Papà Valeriano. Mi mancano le sue parole, i suoi messaggi, le sue battute con i tempi comici perfetti. Mi manca il suo umorismo, la sua acuta osservazione degli altri. Mi manca la sua educazione, la sua cultura che non esibiva mai. 20 aprile 1992. Poco prima di addormentarsi, mi chiama. Sono le undici di una pasquetta amara. Maledetta. "Mariuccio, ho appena fatto un sogno. Mi sono spaventato un pò", mi dice. "Vuoi una camomilla?" "No, Mariuccio. Per ora no”. L'abbraccio forte. Si addormenta subito. Per l'ultima volta. Per sempre. “Ciao, papà ” sussurro mentre la voce mi si spezza. Brandelli di passato. Stilettate di dolore, di angoscia. Mamma Ernesta. Mi ha sempre difeso come una leonessa difende i suoi cuccioli, anche a costo di subire biasimi e critiche. Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino. Che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé. 29 luglio 2012. Ospedale San Camillo. Le chiedo se vuole un po’ d’acqua. “Per ora no, Mariuccio. Più tardi” sussurra con un filo di voce. Sto uscendo dalla sua stanza. Improvvisamente, mi volto: lei mi sta sorridendo, facendomi ciao con la mano. Sto prendendo un caffè dalla macchinetta quando sento una mano sulla spalla. Mi volto. Un dottore, col viso di falco, mi dice “sua madre è deceduta!”. “Ciao, mamma ” sussurro mentre la voce mi si spezza. Ricordi… Tornano sempre, anche quando non dovrebbero… Brandelli di passato. Stilettate di dolore, di angoscia. Per ora no. Non ci sarebbero stati più “ora”, “domani”, “presto”, “tardi”. Ci sarebbero stati solo “mai”. Per ora no? Per sempre, no. Mi lascio cadere sul letto e finalmente piango. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 11 febbraio 2013

LA VALUTAZIONE DELLA PERFORMANCE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

LA VALUTAZIONE DELLA PERFORMANCE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Ricordo gli inizi del mio lavoro quando la sola idea di un dialogo col dirigente mi procurava un’ansia tremenda, le parole che non uscivano di bocca, la lingua così asciutta che sembrava diventata una grattugia. Ah, non mi sono presentato. Ok, lo faccio subito: mi chiamo Mario. Mario Pulimanti. Lavoro al Ministero dell’Agricoltura. Da 32 anni. I primi 13 anni in Direzione, al personale. Poi, per 18 anni sono stato all’Ufficio legislativo del Gabinetto del Ministro. Giorni del miele e dello zenzero. E poi è arrivato il giorno della locusta: sono stato retrocesso di nuovo al personale. Pane amaro. Bé, c’è dell’altro: ora l’Amministrazione ci sta valutando. Sì, è proprio così: sono state adottate nei nostri confronti, per l’anno 2011, delle procedure con il nostro inserimento in graduatorie suddivise per fasce di merito. La valutazione delle performance non è un tema nuovo per la pubblica amministrazione italiana. Difatti la “riforma Brunetta” della pubblica amministrazione italiana contiene alcune novità importanti e rafforza una serie di elementi e concetti già presenti in leggi precedenti. Una riforma che ha senz’altro qualità maggiori rispetto alle precedenti fatte negli anni ’90. Il tema della valutazione nella Pubblica Amministrazione è sempre stato ampiamente dibattuto, ancora di più dopo che con il D.Lgs. 150/2009 ha subito importanti modifiche che non si limitano all’introduzione delle “famose” tre fasce ma estendono la valutazione su obiettivi e risultati, prima prevista solo per i Dirigenti, a tutto il personale. Il decreto 150 è chiaro: oggetto di valutazione è la performance, nelle sue diverse dimensioni (input, output, outcome, qualità, soddisfazione del cliente ecc.) ed in particolare riferita ad una serie di soggetti che sono oggetto di valutazione: la squadra, intesa come unità organizzativa, l’allenatore inteso come il dirigente responsabile della stessa. Ed i singoli giocatori, i dipendenti che con il dirigente collaborano. Questo implica che il valore della valutazione si declina a tre livelli diversi ed assume caratteri diversi a seconda del punto di osservazione (profondità ed ampiezza della performance). L’importanza della valutazione sulle unità organizzative, che in sommatoria delineano il confine dell’intera pubblica amministrazione, è facile da intuire. Più difficile da intuire è l’articolazione organizzativa che ovviamente non è omogenea tra el diverse amministrazioni. Le amministrazioni pubbliche sono strutture ad alta intensità di personale e, quindi, valutarle significa di fatto valutare le risorse umane e se la pubblica amministrazione rinuncia a misurare e valutare gli aspetti che riguardano la gestione delle risorse umane abdica, di fatto, all’intera funzione gestionale. Le risorse umane della pubblica amministrazione, se adeguatamente gestite, possono rappresentare una grande opportunità per le amministrazioni in cui lavorano, per l’intero paese, oltre che naturalmente per gli stessi individui. Le risorse umane diventano opportunità se si adottano sistemi di valutazione, una opportunità che si fonda anche su una domanda latente e diffusa, ma non ancora intercettata ed organizzata, di partecipare al processo organizzativo degli stessi lavoratori. La valorizzazione dei risultati conseguiti da chi sta svolgendo un ottimo lavoro è il meccanismo fondamentale perché il merito diventi il motore del cambiamento organizzativo e del miglioramento della performance. Tale approccio, infatti, alimenta la motivazione al lavoro dei dipendenti in misura assai superiore rispetto a meccanismi punitivi in caso di risultati conseguiti carenti. Per quanto concerne i principi generali di riferimento, l’articolo 3 del decreto ne elenca molteplici, fortemente integrati tra di loro. Nel primo comma si fa riferimento al ruolo che la misurazione e valutazione della performance ha nel processo di miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche ma anche nel processo di apprendimento e di crescita delle competenze professionali degli operatori. Per perseguire tale finalità il sistema di valutazione deve essere introdotto nelle amministrazioni in linea con i seguenti principi: valorizzazione del merito, sia in termini individuali che di struttura di appartenenza. Questo punto viene successivamente ripreso nel secondo comma sottolineando che il sistema deve garantire un’adeguata pervasività in tutti i livelli dell’organizzazione fino a raggiungere il singolo operatore; la garanzia di pari opportunità di diritti, ma anche di doveri: si sottolinea non solo l’aspetto del diritto del dipendente ma anche della sua responsabilità nei confronti della collettività per il cui bene è chiamato ad operare; la trasparenza nei risultati conseguiti. Quest’ultimo punto viene ripreso nel terzo comma e successivamente in altri articoli del decreto. Il tema della trasparenza e della comunicazione dei risultati risulta essere uno dei perni fondamentali del sistema di valutazione proposto e questo per vari motivi. Essa infatti è considerata quale leva determinante per l’accountability, ossia si ritiene che la misurazione dei risultati conseguiti possa tradursi in un processo di responsabilizzazione degli operatori nella misura in cui si lega alla pubblicazione dei dati e quindi ad un ritorno informativo sia alle pubbliche amministrazioni ed ai suoi operatori e sia ai cittadini. In questa prospettiva con il termine accountability si intende appunto il rendere conto del proprio operato con misurazioni oggettive, chiare e trasparenti. Nel quarto comma dell’articolo tre si dichiara un altro principio di riferimento del sistema di rilevanza cruciale, a mio parere. In questo comma infatti si chiarisce che i criteri con cui le amministrazioni pubbliche definiscono i metodi e gli strumenti per misurare, valutare e premiare la performance individuale ed organizzativa devono strettamente tener conto del soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi e degli interventi. Il concetto sembrerebbe ovvio ma lo è solo in teoria. Nella pratica spesso le pubbliche amministrazioni si organizzano tenendo conto più degli interessi dei dipendenti che degli utenti. Gli esempi sono infiniti: gli orari scolastici organizzati in base alle esigenze dei docenti e non alle capacità di apprendimento degli allievi, l’organizzazione dei servizi ospedalieri, fatta per facilitare i turni degli operatori e non la qualità di vita del paziente, costretto per esempio a mangiare ad orari inusuali o a riposare con i tempi imposti dall’organizzazione. Nelle organizzazioni che operano sul mercato in contesti competitivi il cliente riesce, con il suo diritto di scelta, ad occupare una posizione di preminenza e di potere tale da indurre le organizzazioni stesse ad impostare tutta la loro azione in termini di risposta ai suoi bisogni. I risultati economico finanziari di breve, ossia in primo luogo il profitto, risultano già indicatori precisi della capacità aziendale di essere efficace, ossia in grado di rispondere alle esigenze della domanda. Nella realtà delle pubbliche amministrazioni, che nella maggior parte dei casi operano in situazione di monopolio, le possibilità di scelta del cliente/utente sono estremamente limitate e sicuramente scarsamente facilitate dall’operatore pubblico. Inoltre l’utente si trova in molti casi in situazione di asimmetria informativa, ossia in possesso di informazioni, conoscenze e competenze assi minori rispetto al soggetto erogatore e quindi incapace di dare un giudizio consapevole sulla qualità del servizio ricevuto. Un allievo in formazione può valutare la qualità di un percorso formativo e del contenuto di una lezione ricevuta? Un paziente non medico può giudicare la qualità della diagnosi ricevuta e del trattamento terapeutico a cui è stato sottoposto? Un cittadino può giudicare la correttezza con cui un atto pubblico è stato redatto? In molti casi poi l’utente del servizio solo a distanza di tempo potrà esprimere un giudizio corretto sul servizio ricevuto considerando l’utilità di quanto appreso o lo stato della sua salute. Nel breve sarà portato ad esprimere un giudizio solo su ciò che è in grado di presidiare, che spesso risulta essere gli aspetti accessori e non centrali del servizio stesso. Le organizzazioni che erogano servizi infatti non si limitano ad offrire un servizio ma in realtà propongono un sistema di servizi, dove gli aspetti centrali sono integrati da componenti accessorie, spesso di uguale rilevanza agli occhi dell’utente. Il giudizio dell’utente, per diventare di aiuto alle scelte strategiche ed organizzative delle aziende che erogano servizi di pubblica utilità, deve essere articolato nel dettaglio, per cogliere tutti gli aspetti centrali ed accessori che sono importanti per soddisfare i suoi bisogni e che quindi meritano attenzione nella valutazione del servizio. Solo così si può procedere verso un riorientamento sia dei servizi offerti, sia soprattutto delle modalità con cui questi sono offerti. L’obiettivo è che il cittadino sia sempre più protagonista del processo di erogazione del servizio stesso in cui deve risultare il soggetto centrale. Strumenti quali la carta dei servizi sono in passato spesso falliti proprio perché non hanno rappresentato un vero e proprio contratto con l’utenza in cui la Pubblica Amministrazione si prendeva precisi impegni in termini di livello di servizio in linea con le esigenze dell’utenza. Questi strumenti si sono in realtà trasformati in documenti con una lista di recapiti telefonici (spesso sbagliati) con la rappresentazione degli organigramma delle amministrazioni pubbliche spesso incomprensibili ai più per il loro linguaggio criptico e pieno di sigle. Partire dalle esigenze dei cittadini nella progettazione del sistema di valutazione impone quindi l’attivazione di una serie di strumenti atti a raccogliere sistematicamente la voce dell’utenza. Sistematicamente in quanto i bisogni si evolvono e si modificano nel tempo e quindi la loro definizione necessita di verifiche ripetute nel tempo. Gli strumenti per far ciò si dividono in due tipologie da integrare: analisi quantitative per capire composizione e caratteristiche dei propri utenti, e qualitative, per riconoscere i bisogni specifici e le aspettative di ogni segmento a cui l’amministrazione si rivolge. Per esempio un ente locale potrebbe decidere di attivare, oltre al servizio allo sportello, anche un servizio di recapito postale nel caso in cui riconosca che vi è un numero significativo di cittadini interessati a questa nuova tipologia di servizio. Questo processo è possibile solo se l’Amministrazione si attiva sistematicamente a raccogliere giudizi, proposte e valutazioni degli stessi utenti sui servizi che eroga. Nel quinto comma dell’articolo tre si fa riferimento tra i principi cardine del decreto alla necessaria coerenza tra il sistema di valutazione della performance e l’erogazione dei premi legati al merito. Anche questo principio potrebbe sembrare in teoria ovvio ma è noto quanto nel contesto pubblico sia stato disatteso nella pratica, con erogazione di premi a pioggia tra i dipendenti senza riferimenti quantitativi ai risultati effettivamente conseguiti. Le modalità con cui evitare che questo avvenga nuovamente vengono descritte successivamente negli articoli seguenti del testo. Molti hanno sottolineato come sia ancora possibile una via di risanamento della pubblica amministrazione che punti sul merito, la trasparenza e la responsabilità. La caratteristica pubblica deve essere proprio l’elemento che impone all’amministrazione un maggiore rigore nell’applicazione etica delle norme contrattuali evitando qualsiasi copertura a comportamenti opportunistici lesivi, in ultima istanza, dei diritti della collettività. Nell’ultimo comma dell’articolo si evidenzia che la sfida dell’introduzione di un sistema di valutazione dovrà essere raccolta considerando solo e soltanto le risorse già disponibili con la legislazione vigente. Il che non significa che la progettazione e l’implementazione di un serio sistema di valutazione non abbia costi ma che le risorse per tale finalità devono essere individuate grazie ad un processo di riallocazione interno di risorse. Anche se, a dire il vero, il Dipartimento della Funzione pubblica, ha reiteratamente ribadito la necessità di procedere alla valutazione, senza tuttavia esplicitare in maniera chiara l’obbligo di collocare il personale nelle tre fasce di merito. A tal proposito, anche la Corte dei Conti, pur ribadendo che l’inserimento del personale nella fascia di merito più alta costituisce titolo prioritario ai fini dell’attribuzione delle progressioni economiche e di carriera ha altresì chiarito che per quanto riguarda l’art.23 del D.Lgs 150/2009 (progressioni economiche) la possibilità di esperire progressioni economiche è rinviata alla prossima tornata contrattuale. Inoltre, per quanto concerne l’art. 24 del D.Lgs 150/2009 (progressioni di carriera) è stato evidenziato che tali progressioni non sono in concreto applicabili in conseguenza della vigente normativa in materia di blocco di assunzioni e appare, quindi, priva di rilievo la collocazione del personale nelle tre fasce di merito. Infine la Corte ha osservato che l’iter attuativo delle disposizioni relative alla remunerazione del merito sembra comunque destinato ad ulteriori, nuovi passaggi se si tiene conto del protocollo firmato nel maggio 2012 da Funzione pubblica, regioni, enti locali e sindacati sulla riforma del pubblico impiego i cui contenuti sono destinati a confluire in un disegno di legge di prossima emanazione che tra l’altro prevede il superamento del sistema della ripartizione dei dipendenti nelle fasce di merito destinando maggiore attenzione ai risultati dell’ufficio rispetto a quelli individuali. Stando così le cose, auspico che le Amministrazioni diano nuove disposizioni in merito alla compilazione della graduatoria delle valutazioni individuali non prevedendo la ripartizione in fasce di merito. Per la verità, per permettere di elevare la P.A. italiana occorre liberarla da pesi che, più che normativi, sono organizzativi e comportamentali. La meritocrazia è fondamentale, perché serve per l’equità sociale, per elevare i talenti (da brain drain a brain gain) e per favorire i miglioramenti nelle organizzazioni pubbliche (è difficile se non impossibile migliorare ciò che non si misura). Quindi qualità e merito sono un binomio per l’eccellenza. Solo con buone valutazioni si favorisce l’etica del lavoro pubblico: la responsabilizzazione dei dipendenti sulle proprie azioni all’interno e all’esterno dell’organizzazione, la sfida sana sulle capacità reali come pari opportunità per tutti, l’equilibrio sociale. L’etica del lavoro pubblico esiste se esiste l’etica della valutazione, che riguarda l’integrità personale e professionale dei valutatori. E’ utile mettere in conto un fenomeno atteso nella pubblica amministrazione. Ritengo, infatti, che l’introduzione e l’implementazione di un sistema di performance possa modificare l’ambiente politico, determinando la riduzione di potere di determinati attori, da un punto di vista sia istituzionale sia politico. Ok quindi alla valutazione della performance nella pubblica amministrazione: una cosa importante. Anzi, fondamentale. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 8 febbraio 2013

Populismo

In questa campagna elettorale di chiarezza politica ce n’è molto poca. Al contrario, imperversa tanto populismo. Siamo infatti bombardati da promesse, da dibattiti su possibili alleanze, da scambi di battute al vetriolo che fanno scattare in alto gli indici di ascolto dei programmi televisivi, non aggiungendo nulla alla comprensione della realtà e delle proposte in campo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)