mercoledì 29 aprile 2009

Chiara Di Bari in concerto al Teatro Manfredi



Chiara Di Bari in concerto al Teatro Manfredi

Da: domenica 3 maggio 2009

A: domenica 3 maggio 2009

Tariffe: Intero 16 €
ridotto 13 €
abbonati 10 €


Orario: 21.00

Direzione: Direzione musicale Remo Silvestro


Chiara Di Bari
Cantante - Attrice, Chiara Di Bari nasce il 18 Aprile nel 1980 a Roma sotto il segno dell'Ariete.
La famiglia di Chiara è composta dalla sorella Alessandra, il padre Maurizio, la mamma Franca e le sue amatissime Rucola e Camomilla.
Chiara ottiene la maturità classica con i massimi voti. Subito afferrata dai suoni e dalle melodie, Chiara cresce sapendo quel che ha nel cuore.
Sostenuta da una magnifica e premurosa famiglia giunge alla sua prima e grande esperienza emotiva di stare su un palco all'età di 5 anni con Pierrot et le Pantin.
Nel '95 debutta con "Elettra" - regia di Giovanni Nardoni e l'anno successivo con "Macbeth" sempre con la regia di Nardoni.
Tra il '97 e il '98, in occasione del " I Festival Velia Cecchini", riceve il premio come migliore attrice.
Un lavoro importante nella carriera artistica di Chiara è stato "Canti di scena", concerto di musica e parole, in tournée in tutta Italia nel '99 e a Roma, al Teatro Vittoria, nel 2000.
Dopo tanti altri lavori collabora alla realizzazione della trasmissione televisiva "Giorno dopo giorno 900" di Pippo Baudo, con i Maestri Pippo Caruso e Federico Capranica.
Nel 2001 Chiara interpreta Fatima in "Le luci di Algeri", presentato al Teatro Due e Teatro dell'Orologio a Roma. "Le luci di Algeri".
Ma l'evento che inciderà la vita di Chiara è alla fine del 2001, quando uscendo dall'università della Sapienza, riceve la telefonata di Paola Neri (responsabile casting e coach vocale) venendo a sapere di essere finalmente entrata a far parte del Musical di Riccardo Cocciante "Notre Dame De Paris".
Nel 2004 Chiara prende parte allo spettacolo musicale "Per Sempre Mio Divino Amore" di Lorenzo Cognatti, all'auditorium del Divino Amore in occasione della beatificazione di Don Umberto Terenzi. Sempre nel 2004, partecipa alla prima edizione dell' "Ottobrata Romana" come ospite d'onore cantando la sigla della manifestazione.
A partire dal 2002, per un periodo di circa un anno, Chiara interpreta il ruolo di Fiordaliso nel musical Notre Dame de Paris ma dal 2003 la svolta: prende i panni di Esmeralda.
Verso la fine del 2004 Chiara viene scelta dal produttore francese Charles Talar per integrare il cast francese nella versione originale dello spettacolo per una grossa tournée in Oriente, Corea e Taiwan.
Il 9 Novembre 2005 Chiara è ospite del programma condotto da Maurizio Costanzo "Tutte le mattine" in occasione del ritorno di Notre Dame al Gran Teatro di Roma.
Nella primavera del 2006 partecipa alla trasmissione televisiva "Il David di Donatello" come cantante solista nell'orchestra diretta dal maestro Federico Capranica.
Il 28 settembre del 2006, entra a far parte di un nuovo progetto di Musical italiano, Il Conte di Montecristo, musiche di Francesco Marchetti, libretto di Robert Steiner per la regia di Gino Landi.
Chiara, sembra non fermarsi più, infatti partecipa ad un altro grande evento "Un Musical su Padre Pio" in Sala Nervi in Vaticano.
In questa occasione, Chiara interpreta il ruolo dell'Indemoniata!!!
Lo spettacolo è stato scritto da Attilio Fontana, Maria Grazia Fontana, Antonio Carluccio, Franco Ventura, Federico Capranica e Michela Andreozzi.
Sempre nel 2006 debutta alla Sala Nervi, in San Pietro, ne “La clinica, questa nostra casa”, un recital di presentazione del musical “ Actor Dei” per la regia di Federico Caramadre Ronconi.
Nel 2007 registra il suo primo video-clip “Un rendez-vous”, una canzone di Laurent Bàn, Pino Marcucci e Massimo Bizzarri, prodotto da Ermes Art Studios e realizzato da Federico Caramadre Ronconi.
Il 2008 la vede debuttare a Roma, in gennaio, al Teatro Brancaccio e poi in tournée in Italia, come protagonista nella versione completa del Musical “Il Conte di Montecristo” nel ruolo di Mercedes per la regia di Gino Landi.
A luglio dello stesso anno è una delle protagoniste de “La Strada” di Fellini, la nuova pièce teatrale del compositore Germano Mazzocchetti per la regia di Massimo Venturiello con Tosca e Massimo Venturiello.
Nel settembre 2008 si lancia, insieme a Laurent Bàn, alla guida della sua prima produzione teatrale: “Marlene D. The Legend”, interpretato da Quince, in scena a Parigi al Theatre Lucernaire.




Direzione: Direzione musicale Remo Silvestro

Chitarrista e cantante ma soprattutto autore. Ha scritto circa trecento canzoni e brani originali.

Nella musica leggera, per Paola Turci, con la canzone ''Ringrazio Dio'', cantata anche dal grande chitarrista brasiliano Toquinho.

Ha scritto per cinema ''La prima volta'' prodotto da Pupi Avati e per film televisivi ''La luna nel pozzo''. Ha all’attivo dieci CD tra i suoi e quelli scritti e prodotti per altri artisti. Più volte ospite in prestigiose trasmissioni musicali come “D.O.C.” di Renzo Arbore.

Presente a Sanremo giovani ’97, come autore e produttore musicale. Musicista di impostazione blues, ma curioso e aperto a molti altri stili musicali, ha una spiccata passione per i cantautori intimisti americani, soprattutto James Taylor, che più di ogni altro ha contribuito alla sua formazione chitarristica e vocale. Dal 2008 fa parte di Altavoce.



Il Presidente del Teatro Manfredi Luciano Colantoni vi invita ad assistere a questo concerto.

Info/prenotazioni 0656324849

info@teatroninomanfredi.it”

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Pubblicato da Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 28 aprile 2009

1 maggio 2009, tra concerti e diritti umani


W il primo Maggio 2009. Il mondo ha bisogno di pace e di giustizia per garantire a tutti l’accesso ai diritti umani fondamentali, gestendo il bene pubblico globale attraverso istituzioni internazionali democratiche. Cibo, acqua, giustizia, libertà, pace e lavoro per tutti. Festeggiare il 1 maggio è una scelta simbolica: infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue. Da oltre un secolo questa è una festa di lotta e di impegno civile per tutti: lavoratori, disoccupati ed emarginati. E' diventato un appuntamento anche il tradizionale concerto che i sindacati confederali organizzano in piazza San Giovanni a Roma. Ma mi accorgo solo ora di non essermi ancora presentato. Rimedio subito. Mi chiamo Mario ed abito ad Ostia. Sono un uomo di città, abituato alla minacciosa e benigna cacofonia metropolitana. Tanto che, a volte, le incursioni nel silenzio extraurbano mi innervosiscono. Nessuno sa niente di me. Mi sono tenuto fuori dai radar. Le persone che hanno conosciuto mio padre, affermano che sono il suo ritratto. Lui, il poeta Antonio Valeriano, ha più volte mostrato il proprio coraggio, ma ancora di più ne ha dimostrato nell’ultima battaglia, quella contro la malattia che nel 1992 lo ha ucciso, ma non piegato. Ho sempre fatto tesoro dei suoi consigli. So quando è il tempo di passare all’azione o di starne fuori. Tuttavia ci sono cose che facciamo perché ne abbiamo voglia e altre che facciamo perché ci tocca. Questione di sopravvivenza. E’ scontato dire che lavorare rientra nella seconda categoria. Certo, le mie finanze non sono proprio solide. Tuttavia non ho, per questo motivo, mai avuto problemi mentali o emotivo e non faccio uso di antidepressivi. Porto la fede all’anulare, ho i capelli precocemente argentati e amo prendere la vita con humour e noncuranza. In Ufficio non ho fatto molta strada. Non sono nemmeno rimasto al palo. Non tiro certo a campare ma, non avendo raccomandazioni da sfruttare, dovrei mettere ancora di più l’anima nel mio lavoro. In ogni caso mi sento il sole dentro questa mattina e non solo perché sta arrivando la festa del 1 maggio. Rivolgo lo sguardo fuori dalle mura domestiche. Ecco, l’ho fatto. E cosa vedo intorno a me? Liberali, radicali, membri delle minoranze tanto sul piano razziale quanto sull’orientamento sessuale, sostenitori dei programmi sociali, dell’assistenza sanitaria migliore per i poveri, del diritto all’aborto, dei diritti dei gay, dei detenuti, dei lavoratori che giustamente lottano per difendere i loro diritti continuamente messi in pericolo da forze reazionarie più o meno temibili. Non amo i reazionari e detesto gli integralisti. Entrambi da evitare come la peste. Si pensa sempre che gli assolutisti, dogmatici e prepotenti, di qualsiasi colore politico, siano quelli che mettono le bombe negli edifici pubblici, ma quella gente non ha il monopolio quando si tratta di uccidere per i propri principi. Tanto è vero che buona parte del terrorismo risulta essere opera di fanatici religiosi, i soli veri estremisti radicali. Del resto gli eccessi confessionali non li ho mai compresi. Sono robe medievali, che appartengono a culture a noi europei ormai lontane anni luce! Quasi certamente in luoghi così distanti anche le regole del vivere sono diverse, forse ciò che è buono a Roma ed a Firenze non lo è a La Mecca o a Medina, dove gli uomini vedono la realtà secondo il loro modo di intendere e di considerare. Inquietante. Ma sono riflessioni che non mi toccano più di tanto, cose che non racconterò di certo al mio secondogenito Alessandro quando sarà più grande. Forse in quei posti la mancanza di libertà comprime ogni possibilità di progettare. Comunque io, cittadino dell’Urbe, auspico un ritorno alla riscoperta delle nostre tradizioni. Ma adesso, silenzio! Ho un’idea. Vado a san Giovanni, dove sta per cominciare il concerto del 1 maggio, evento da non perdere per un appassionato di musica come me. Il concerto si terrà a partire dalle ore 16 e fino alle 24 ed il presentatore dell’evento sarà Sergio Castellitto.Questo l’elenco dei cantanti annunciati che saranno presenti al Concerto Primo Maggio a Roma 2009: Afterhours con 2 ospiti eccezionali: Cristiano Godano dei Marlene Kuntz e Samuel Romano dei Subsonica; il gruppo Indie composto da Roberto Angelini; Beatrica Antolini; Cesare Basile; Paolo Benvegnù; Dente e Marta Sui Tubi; Asian Dub Foundation; Enzo Avitabile e i Bottari di Portico; Bandabardò; Edoardo Bennato; Caparezza; Casinò Royale; Cisco; Giorgia; Motel Connection; Nomadi; PFM; Marina Rei; Vasco Rossi; Smoke; Paola Turci. Sì, é vero: é stata confermata la presenza del grande Vasco Rossi, la sua esibizione dovrebbe durare circa 45 minuti ed inizierà alle ore 21:00. Il tema artistico del concerto sarà “Il mondo che vorrei”: l’ intero concerto del 1 Maggio 2009 ha preso in prestito il titolo dell’ ultimo nuovo album live di Vasco Rossi (il Cd + Dvd live “Il mondo che vorrei”, tratto dal doppio concerto di Vasco Rossi allo stadio Dall’Ara di Bologna del settembre scorso, pubblicato anche nella versione ad alta definizione blu-ray). Nondimeno ricordiamoci che, musica a parte, dietro a questo concerto c'è un'ideologia importante. Quella della libertà. Da difendere a ogni ora. E non mi si venga a dire che sono un visionario o uno scaltro nostalgico. Sono solo un idealista, forse utopista. Probabilmente un ingenuo sognatore. Buon 1 maggio a tutti! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 25 aprile 2009

"Marathon" al Teatro Nino Manfredi di Ostia



MARATHON AL TEATRO MANFREDI
Un'ora di corsa durante la quale due donne, poste al limite delle loro forze, si espongono una all'altra toccando temi esistenziali e quotidiani. Un viaggio attraverso la vita, l’amicizia e il "mito" MARATHON di Edoardo Erba regia Imogen Kusch Con Silvia Mazzotta e Francesca Olivi Musiche originali: Andrea Mieli e Sergio Ferrari Costumi Johanna Bronner Luci: Danilo Facco Preparatori atletici: Lorenzo Cincinnato e Gianluca Piccolo Immagine Pola Wickham Da: mercoledì 29 aprile 2009 A: mercoledì 29 aprile 2009 Tariffe: Intero 12€ e Ridotto 10€ "Marathon" è la storia di un’amicizia dove la corsa diventa metafora del viaggio attraverso la vita, per il raggiungimento del "mito" e alla ricerca del proprio percorso esistenziale. Questo spettacolo, che vede l’incontro tra sport e teatro, vuole essere l’occasione per un viaggio attraverso la vita, l’amicizia e il “mito” che ci accompagna tutti nel nostro personale percorso esistenziale. Due amiche s’incontrano per allenarsi a partecipare alla Maratona di New York. Un’ora di corsa durante la quale le due donne, poste al limite delle loro forze, si espongono una all’altra toccando temi esistenziali e quotidiani. E’ la storia di un’amicizia che, nella sua , si trasforma in un ricordo surreale dove la corsa diventa metafora del loro percorso comune. Il pubblico assiste al divertimento e alla fatica e, insieme alle due protagoniste, soffre, ride, piange, si arrende e riparte verso una dimensione surreale sospesa tra la vita e la morte. KlesidraTeatro e la regista Imogen Kusch hanno già affrontato la versione maschile di questo testo rappresentandolo in inglese a Londra, Edinburgo, Parigi e Roma e questa versione femminile rappresenta una nuova sfida per la compagnia. Questa versione includerà anche un esperimento musicale: infatti la colonna sonora, composta da Andrea Mieli e Sergio Ferrari, è ispirata ai rumori del corpo e scandirà i ritmi della corsa seguendo lo sforzo dei due personaggi: il battito del cuore, il flusso sanguigno, il respiro che si fa sempre più forte e segue lo sforzo delle due attrici. KlesidraTeatro e la regista Imogen Kusch hanno già affrontato la versione maschile di questo testo rappresentandolo in inglese a Londra, Edimburgo, Parigi e Roma. Pubblicato da Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

mercoledì 22 aprile 2009

25 Aprile, festa della Liberazione




Stasera di pensieri ce n’è un’insalata. Chiaramente non sono saggio come Marco Aurelio Antonino, imperatore filosofo e valoroso. Non so tenere una conversazione brillante, ma forse un pregio ce l’ho: sono abituato a contare solo su di me senza aspettarmi mai favori piovuti dal cielo, come mi aveva insegnato Nonna Jole. Non posso dimenticarmi il suo volto saggio e profumato, gli occhi celesti e i capelli grigi raccolti dietro la testa. Brrr. Mi sento gelare a questi ricordi. Lasciamo stare. Con mia moglie decidiamo di cenare al Reginus di Collevecchio. Tortellini alle noci e Merlot del 2004. Complimenti, Pierangelo! Ma ecco che, riflettendo e rimuginando, a un tratto ci troviamo, ahinoi, coinvolti in mistiche congetture. Nostro malgrado, sia ben chiaro! Ecco, davanti a me vedo il discepolo senza nome vicino a Maria di Cleofa, mentre al suo maestro crocifisso gli viene inferto un colpo di lancia nel petto. Intanto Anna, il sacerdote assassino, ride del Gesù morente sulla croce, insieme a Satana, capo delle forze del male, che perde però la battaglia definitiva quando Cristo, l’Unto, risorge. “Eli, Eli, lemà sabactàni?” Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? Io, cattolico ciellino, mi servo del dogma per uscire fuori dai miei dubbi razionali. Quindi penso al Corano, che non ha difficoltà nell’esortare a diffondere le sue verità religiosa anche con la forza fisica. E’ facile dire che la nostra arma è la parola. Mi ricordo che alcuni giorni fa ho rivolto queste mie devote perplessità a Stefano, mio fratello. Ricordo anche che lui, sornione, mi ha lanciato un’occhiata stupita, consigliandomi di non fumare troppo pakistano nero. Mah… Cosa avrà voluto dire? Simonetta, mia moglie, interrompe bruscamente le mie divagazioni mistiche, ricordandomi che dopodomani è Festa. E che Festa! Cavolo, il prossimo 25 aprile sarà il 64° anniversario della Liberazione dell’Italia dagli occupanti nazisti. Una pagina importante della storia italiana, che fu scritta grazie ai soldati alleati ma con il contributo determinante degli italiani, partigiani e militari, chiudendo il periodo della dittatura e aprendo la strada alla libertà, alla nascita della Repubblica e alla nuova Costituzione. Certo, la Festa della Liberazione è una giornata per ricordarci che i diritti, il benessere, la libertà dei quali godiamo non sono qualcosa di scontato. Troppa gente se ne dimentica. Non riesco a capire. Eppure molti sono morti per garantirci queste conquiste. Forse il punto è questo: spetta a noi difenderle, tenendole vive nella coscienza e negli atti di ogni giorno. E’ proprio vero: per questo il 25 aprile deve essere veramente una giornata di Festa! Ritorniamo a Ostia, sazi e contenti. Ho deciso, del resto. Dopo questa ottima cena al Reginus di Collevecchio, domani mi rivedrò “Roma città aperta”, il film che racconta una storia ambientata nella Roma del 1944. Un capo della Resistenza, l’ingegner Manfredi, è braccato dai tedeschi. Trova rifugio da Pina, una donna del popolo, vedova con un figlio, che sta per risposarsi con Francesco, un tipografo anche lui legato alla Resistenza. Marcellino, il figlio di Pina, riesce a mettere in contatto l’ingegnere con don Pietro, un prete che ha già collaborato in passato con i partigiani. Quando anche Francesco viene portato via, Pina corre inseguendo il camion, ma una raffica di mitra la uccide sotto gli occhi impietriti della gente e del figlio. Manfredi viene sottoposto a tortura e muore, ma senza parlare; don Pietro, anche lui arrestato, è costretto ad assistere alla scena e maledice gli assassini. Poi, nel piazzale di un forte, don Pietro, fatto sedere su di una sedia, viene fucilato alla schiena sotto gli occhi dei ragazzini della sua parrocchia. E questa è la fine del film. Che bello! Vi piacciono tutte queste ingiustizie? Figuratevi: a me manco per idea. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 18 aprile 2009

21 aprile 2009: 2762° Natale di Roma

A quanto pare è una mattina fresca, dopo la leggera pioggia di ieri sera.

Erba bianca di brina si stende lungo il prato di Piazza delle Repubbliche Marinare, davanti alla fermata dello 01.

Arrivo in ufficio.

Penso di essere sempre allegro e disponibile.

Un collega mi informa di strane promozioni e ambigue reggenze ai soliti nomi.

Così si dice, rispondo.

Tuttavia rimango un po’ turbato.

Per quanto amara può risultare la verità, la mia innata esuberanza mi restituisce presto il buonumore.

Oh, bene!

E’ già sera: esco dall’ufficio.

Sennonché all’ex Piazza Esedra -ora della Repubblica- mi imbatto casualmente in mio fratello.

Così, prendiamo un caffè.

Bene, ho un’ottima scusa per accantonare i pensieri amari che, mio malgrado, mi hanno accompagnato per tutto il giorno.

“Un momento” dichiara ad un certo punto in tono solenne “il 21 aprile, Natale di Roma, festeggerò il mio compleanno, essendo nato 46 Natali di Roma.

Avrei una proposta da fare: perché non viene ripristinata a Roma la festività del Natale di Roma, dato che in ogni parte del mondo si trova qualcosa che la ricorda ed è l’unica civiltà ad avere radici cosi lunghe e ramificate?”

“Giusto, Stefano, hai ragione”, convengo sorridendo.

Del resto sono 2762 anni, mica uno.

Il prossimo Natale di Roma sarà il nono compleanno del nuovo millennio.

Il 21 aprile, secondo la tradizione, è il Natale di Roma: il giorno in cui Romolo, nel 753 a.c., avrebbe tracciato il confine originario della città.

Forse questa è una data leggendaria perché sembra che, prima che Romolo tracciasse il famoso solco entro cui far nascere la città di Roma, alle pendici del Campidoglio già ci fosse una piccola comunità.

La nascita di Roma, quindi, risalirebbe a prima dell’anno 753 a. c. ma la leggenda, ricca di fascino, non offusca la seduzione di Roma, città eterna, anzi la arricchisce di magia.

La data del 21 aprile ha una spiegazione.

Nell’antico calendario cadevano in questa data i festeggiamenti in onore di Pale, divinità della fecondità.

Le Palilia, così queste feste venivano chiamate, erano comuni a tutte le genti che si incontravano per purificare con fumigazioni, il bestiame e le stalle.

Fra le capitali del mondo, Roma è, a mio parere, quella che possiede il patrimonio archeologico di gran lunga più rilevante.

Era la prima metà dell’Ottocento quando Stendhal passeggiava estasiato per Roma in cerca della classicità e del colore locale che tanto lo affascinavano.

Sono passati duecento anni da allora, il Tevere è sempre più giallo, il Papa si è ritirato dietro le Mura del Vaticano e il romano è rimasto imperturbabile, menefreghista, pacioso e scanzonato

come lo definiscono i soliti e vecchi luoghi comuni in bocca a chi non ha avuto la sorte di nascere sotto il cupolone.

Ma pochi sono ora i romani, quasi una razza in via di estinzione, in una città imbarbarita e involgarita.

Quelli che ancora sono convinti, a ragione, che tutto il mondo è provincia, solo Roma è città.

Gli stessi che rimangono indifferenti alle false grandezze, alle mode effimere, al passaggio dei potenti, allo sfavillio delle nuove ricchezze, e definiscono Roma l’unica città rimasta attraverso i secoli indipendente e sovrana perché ha conosciuto due soli grandi poteri: l’Impero e il Papato.

Buon compleanno Roma!

E, buon compleanno caro fratellone, da tre anni papà di Sara e fra due mesi papà di Valerio!

Sara.

Una bambina impetuosa quanto bella, e al tempo stesso così vivace e affettuosa.

E’ un piacere averla per casa.

Sicuramente diventerà una splendida ragazza.

Ah, dimenticavo: il 21 aprile sarebbe stato anche il compleanno di mia nonna Jole.

Sono 18 anni che non c’è più, ma la ricordo ancora com’era veramente: una donna speciale.

Auguri, nonna!

Saluto Stefano e torno a casa.

Qualsiasi traccia di malumore è ormai cancellata.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 13 aprile 2009

"Sottobanco" al Teatro Manfredi





Regia: Claudio Boccaccini.
Attori: Gaia De Laurentiis, Felice Della Corte e con Riccardo Barbera, Silvia Brogi, Paolo Perinelli e Roberta Formilli. Aiuto Regia: Erika Li Causi. Musiche: Antonio di Pofi. Da: martedì 14 aprile 2009 A: domenica 26 aprile 2009 Trama: Tra il 1988 e il 1993 Domenico Starnone scrittore, sceneggiatore e giornalista, scrive tre libri di narrativa sul mondo della scuola. Storie esilaranti, semplici, dirette, a volte non esattamente reali, altre volte diario personale dell'esperienza da docente in un istituto tecnico romano. Da questi testi Daniele Luchetti crea prima nel 1992, uno spettacolo teatrale "Sottobanco" e poi, nel 1995, un film cult "La Scuola" con Silvio Orlando, Anna Galiena e Fabrizio Bentivoglio, nei ruoli principali. La piece teatrale "Sottobanco", che fotografa con umorismo tagliente la situazione della scuola italiana, ha più volte, in quindici anni, cambiato cast e, da martedì 14 aprile 2009 a domenica 26 aprile 2009, al Teatro Nino Manfredi di Ostia va in scena lo spettacolo diretto da Claudio Boccaccini con Gaia de Laurentis, Felice Della Corte, Riccardo Barbera, Silvia Brogi, Paolo Perinelli e Roberta Formilli. Il contesto è il consiglio di fine anno in un istituto tecnico della periferia romana, in cui i professori si riuniscono per decretare i promossi, i bocciati o i rimandati a Settembre. Sullo sfondo una gita d'istruzione a Verona che ha creato un intreccio sentimentale tra i due protagonisti e che, conseguentemente, ha generato l'antipatia degli altri docenti. Tra i personaggi un Preside distratto ed incapace di comprendere dialoghi appena forbiti, un professore ingegnere che fa il docente nel tempo libero, professoresse pettegole, ubriache e un prete, dall'insopportabile, puzzo che insegna religione. Chiodo fisso uno studente, Cardini, con una difficile situazione familiare, un atteggiamento ribelle in aula, e una originale propensione ad imitare una mosca per manifestare il suo forte disagio sociale. La sceneggiatura offre un bel panorama di immagini e situazioni paradossali che nascono nelle aule e si deformano grazie all'umana follia. Infatti le cose vanno decisamente male: per fatiscenza è crollato il soffitto della biblioteca e il consiglio di classe è costretto a riunirsi nei maleodoranti locali della palestra per dibattere sul destino di una classe irrequieta e bizzarra, dove spicca la presenza imbarazzante di un allievo che - a causa del suo comportamento - dividerà i giudizi dei professori. Il dibattito diventerà fatale pretesto per scatenare accuse, recriminazioni, rese dei conti derivanti da gelosie e rancori pregressi. Ma, tra meschinità e pettegolezzi, vi sarà anche spazio - imprevedibilmente - per la nascita di un amore fra due insegnanti particolari: la Professoressa Baccalauro e il Professor Cozzolino. La fortunata commedia dell'ex-professore Domenico Starnone continua a essere una esilarante e feroce occasione di riflessione sulle problematiche vecchie e nuove di una scuola che ancora non riesce a "decollare", sulla demotivazione dei professori che talvolta sfiora anche l'ignoranza, sulle piccole serpeggianti forme di corruzione, sul malcostume studentesco, gli equilibrismi del corpo insegnante fatto di doppilavoristi, madri di famiglia in perenne servizio, quarantenni che corteggiano le studentesse, supplenti di supplenti, etc.. Ma se la scuola soffre di molti mali, se ne può anche ridere, e davvero di gusto: il cinismo con cui Sottobanco affronta un così delicato argomento crea fatalmente situazioni di spassoso fraintendimento, trasformando lo spaccato di un'istituzione sull'orlo della crisi in una narrazione che corre sul filo continuo della risata. Pubblicato da Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 9 aprile 2009

OGM


Ecco: sto scrivendo perché mi sono spaventato nel leggere che la trippa e la polenta sono cancerogeni.

Il pesto anche.

Immagino, invece, che il cous cous sia sanissimo.

Che tristezza!

I fautori degli Ogm e del cibo Frankenstein sembrano voler cancellare persino i piatti simbolo della storia gastronomica italiana, avvelenare (con la paura, l’ansia, la minaccia) il grande gusto della tradizione, in un tentativo di sradicamento che, peraltro, tocca numerosi altri ambiti.

Occorrerebbe protestare per questi attentati, non solo al buongusto, ma anche al nostro palato!

Protesta, infatti, l’associazione Slow Food, che ha lanciato nei giorni scorsi un appello: “Più biodiversità, meno Ogm”, perché davvero non può essere vero che il cibo delle nonne faccia male e quello geneticamente modificato renda invece più giovani e aitanti.

Alla mobilitazione hanno risposto molti ristoranti sparsi in tutta Italia.

Un tuffo nella sana tradizione italiana, alla faccia di chi, forse, ci vorrebbe tutti a fare la fila da Mc Donald’s.

Lo sforzo è necessario, mentre si moltiplicano i tentativi di propagandare gli alimenti geneticamente modificati come più sicuri e buoni.

Serve, invece, grande chiarezza, corretta informazione, difesa dei prodotti tradizionali e di chi li coltiva, rispetto dell’ambiente e della salute dei consumatori.

Sono molti ormai gli Enti locali (tra Regioni, Province e Comuni) che hanno già promulgato norme per dichiararsi “Ogm-free”, liberi da Ogm.

Anche io vorrei, oggi idealmente schierarmi su questo fronte sempre più vasto, armandomi… di buon appetito.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 7 aprile 2009

Terremoto, esenzione ICI e senso d'impotenza



Mi sveglio.
Sono le sei.
Non riesco a riaddormentarmi.
Allora, mi alzo esco.
E’ ancora buio.
Entro in un vicolo.
Il fetore che arriva da lì è tremendo come quando, per strada, fai un passo e il tuo piede scivola invece di posarsi, e capisci subito che quella cosa scivolosa è una schifezza, prima ancora di sentire l’odore della merda di cane che dovrai scavarti via dalla suola della scarpa.
Vedo un bar, appena aperto.
Entro.
Ordino un caffè.
Mi siedo a un tavolo.
Di fronte a me la tivvù sta parlando del terremoto di ieri.
Centonovanta morti accertati e 1.500 feriti.

Questo l'ultimo bilancio delle vittime del terremoto che ieri mattina ha colpito la provincia dell'Aquila.

La stima è di fonti sanitarie.

Un bilancio che, secondo le stesse fonti, è quasi certamente destinato ad aggravarsi ulteriormente.

Tra le vittime anche diversi bambini.

I feriti sono stati dislocati negli ospedali abruzzesi e in nosocomi fuori regione.
Spaventoso il numero degli sfollati.

"Stiamo dando assistenza ad almeno 20-25 mila persone", ha riferito in serata Bernardo De Bernardinis, vicecapo dipartimento operativo della Protezione civile. Ma è "difficile fare una stima del totale degli sfollati. C'è bisogno di almeno 48-72 ore, anche per le verifiche relative all'agibilità". Tuttavia, la stima dei 50.000 sfollati, secondo De Bernardinis, "potrebbe essere realistica".

Quanto alla situazione relativa all'energia, al gas e alla luce, "c'è stata una sorpresa positiva, in quanto sono scesi i distacchi di energia a circa 4.000 dai 20.000 iniziali".

Un esperto lo aveva detto, che stavolta sarebbe stato diverso, ma nessuno gli ha creduto: e d'altra parte pare che la sua sia stata solo fortuna, se di fortuna in questa storia si può parlare.

Il terremoto s'è mangiato le case, i paesi, le persone.

Onna, borgo di 500 persone, non c'è più.
Improvvisamente la porta del bar si spalanca, ed entrano un paio di avventori mattinieri come me, gettandosi alle spalle mozziconi di sigarette.
Odorano di fumo e di aria fredda.
La luce nel vicolo, da nera, sta diventando blu scuro.
Da lontano riecheggia il mormorio d’oceano del traffico.
L’ora di punta mattutina.
Leggo un giornale che si trova sul banco.
Vengo così a sapere che è caos sull'esenzione Ici prima casa.

Si avvicina il momento di pagare l'Ici e l'incertezza è grande. La gestione dell'Ici 2009 rischia di creare notevoli problemi ai contribuenti.


A parte la vera e propria abitazione, sulla quale è pacifico che la tassa non si paga, ci sono poi tutti gli immobili assimilabili alla prima casa sui quali i Comuni stanno andando in ordine sparso.


C'è chi decide di escludere i garage o chi elimina ogni equiparazione, per esempio la casa data a titolo gratuito ad un figlio.

Inoltre l'interpretazione restrittiva del Dipartimento delle Finanze sta creando reazioni diverse fra i Comuni, e ci sono Comuni che addirittura stanno chiedendo indietro ai cittadini quanto non pagato lo scorso anno perché lo scorso anno questi Comuni avevano riconosciuto l'esenzione del pagamento dell'imposta su immobili che invece erano tassabili, secondo la nuovissima interpretazione delle Finanze.

Ma senza arrivare a chiedere i soldi dello scorso anno comunque per il 2009 si preannuncerebbe un conto Ici più pesante per i cittadini.

Infatti vari Comuni considerano esenti dall’ICI solo le abitazioni principali che sono dimora abituale del proprietario.

Che caos!

Basta, prendo il caffè ed esco.
Passeggio sul lungomare.
Arrivo al Pontile.
Durante il percorso dal Pontile al Porto, il tempo cambia.
Il vento monta e nuvole scure prendono a calcare il cielo della sera.
Quando arrivo al Pontile, vedo le onde abbattersi contro i frangiflutti mentre la spuma turbina sopra la carreggiata in grossi ciuffi bianchi.
Mi appoggio sul balconcino del belvedere.
Penso a quando ero ragazzo.
Alla Garbatella.
Rientravo dall’Università, stanco.
Allo stesso tempo avevo la sensazione di essere atteso, che sarei stato accolto da un cenno soddisfatto di mio padre, seduto con un libro nella poltrona, salutato con un sorriso affettuoso da mia madre, in piedi sul ballatoio con i gomiti poggiati al parapetto, e dalla tacita approvazione di mio nonna Jole che, voltata di spalle, sistemava i piatti.
C’erano tutti membri della famiglia Pulimanti, nella polvere sui ripiani, nelle ombre tra i mobili e nell’aria, che si spostava riluttante quando la porta di casa si apriva.
Penso a Collevecchio.
Un paese molto tranquillo.
Lì, certe volte mi sorprendo ancora ad ascoltare il silenzio.
Lì, mi illudo di sentire le voci dei miei nonni.
E’ un attimo di speranza che pago con una fredda delusione, e che si dirada con il passare del tempo e lo sbiadire dei ricordi.
Meglio non guardare più solamente al passato e a ciò che ho perduto.
Conviene guardare, invece, al presente e al futuro.
E va bene.
Sono un pendolare di Ostia.
Frustrato.
Certo non c’è da essere sconsolati.
Ho un bel lavoro, molte relazioni sociali e affettive.
Alcune importanti.
Come l’amore per la mia famiglia.
E mi resta ancora un pò di tempo per rimediare al resto.
A volte, io e Simonetta sappiamo esattamente quali tasti toccare per far perdere le staffe l’uno all’altra, e la difesa diventa presto attacco una volta che le parole hanno preso l’abbrivio.
Riprendo a camminare.
Come un vecchio.
Metto un piede davanti all’altro: un lento, regolare trascinarmi.
Riesco a malapena a mettere un piede davanti all’altro.
In mezzo alla gente.
La gente come me.
Quelli che stanno a poche fermate dalla mediocrità, quelli dei desideri irrealizzabili, e la cui realtà non é certo desiderabile.
Quelli che invidiano, ma lusingano, quelli che non vuoi conoscere, che soltanto parlarci ti sembra una perdita di tempo.
Quelli che spuntano da qualche parte, ridendo alla battute che non hai neanche ancora fatto.
Quelli che ti fanno pena e che odi, quelli che temi e che in parte ti affascinano, quelli che potresti essere tu, e viceversa: sono loro la causa di sensi di colpa, rabbia e frustrazione, conflitto interno, distorsioni di personalità, manie di grandezza, paranoia, megalomania, incubi, problemi di abuso di sostanze e persino dell’emicrania.
Dovrei cambiare atteggiamento.
Dovrei affrontare la realtà, modificare il mio atteggiamento e guardare da un’altra parte.
Ma non lo farò.
Non posso farlo.
Non ancora.
Laureato. Specializzato. Sottopagato.
Tra pochi anni mi congederò con la mia brava pensione statale.
Sono dispiaciuto.
Il mio fallimento.
Mi sento disintegrato.
Mi sento come se fossi stato preso a botte fino allo sfinimento.
Ci sono pezzi di me che continuano a cadere.
Scoppio a piangere lacrime meritate e, in un certo senso, benefiche.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Terremoto a L'Aquila


Centonovanta morti accertati e 1.500 feriti. Questo l'ultimo bilancio delle vittime del terremoto che ieri mattina ha colpito la provincia dell'Aquila. La stima è di fonti sanitarie. Un bilancio che, secondo le stesse fonti, è quasi certamente destinato ad aggravarsi ulteriormente. Tra le vittime anche diversi bambini. I feriti sono stati dislocati negli ospedali abruzzesi e in nosocomi fuori regione.Spaventoso il numero degli sfollati. "Stiamo dando assistenza ad almeno 20-25 mila persone", ha riferito in serata Bernardo De Bernardinis, vicecapo dipartimento operativo della Protezione civile.Ma è "difficile fare una stima del totale degli sfollati. C'è bisogno di almeno 48-72 ore, anche per le verifiche relative all'agibilità". Tuttavia, la stima dei 50.000 sfollati, secondo De Bernardinis, "potrebbe essere realistica". Quanto alla situazione relativa all'energia, al gas e alla luce, "c'è stata una sorpresa positiva, in quanto sono scesi i distacchi di energia a circa 4.000 dai 20.000 iniziali". Un esperto lo aveva detto, che stavolta sarebbe stato diverso, ma nessuno gli ha creduto: e d'altra parte pare che la sua sia stata solo fortuna, se di fortuna in questa storia si può parlare. Il terremoto s'è mangiato le case, i paesi, le persone.Onna, borgo di 500 anime, non c'è più.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 4 aprile 2009

Wojtyla, 4 anni dopo



Quattro anni fa, il 2 aprile 2005 all’età di 84 anni muore Papa Wojtyla nel suo appartamento privato. Sono le ore 21 e 37.
L’annuncio della morte viene dato dal portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls.
Un “Amen” è l’ultima parola pronunciata da Papa Wojtyla.
La notizia della morte del Grande Papa viene comunicata ai fedeli presenti in Piazza San Pietro, circa 100 mila, che accolgono la notizia in silenzio.
Poi si leva un lungo applauso.
In molti piangono, altri guardano la finestra al terzo piano del palazzo apostolico.
Il cardinale Angelo Sodano, segretario di stato, intona il De Profundis per Giovanni Paolo II.
Un altro applauso accoglie il termine della preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro.
Io sono un romano, testaccino di nascita che, dopo aver passato l’adolescenza alla Garbatella, dal 1984 vive ad Ostia “il mare di Roma”.
Scrivo queste riflessioni per parlare del mio Papa Wojtyla che io, come penso molti altri romani, abbiamo sempre ritenuto un nostro concittadino, anche se nato in Polonia.
Sì, Papa Woityla era un romano come noi, tanto è vero che quella sera di 35 anni fa violò il cerimoniere non limitandosi a dare la benedizione ma volle presentarsi a noi romani, complice pure quel simpatico errore di italiano: “Se mi sbaglio, mi corriverete”.
La paura di Wojtyla fu all’inizio, a mio parere, proprio quella che la sua provenienza polacca aggravasse il peso della già enorme responsabilità papale. Ma la sua paura durò poco.
Difatti già alla prima presentazione, quella sera del 16 ottobre del 1984, l’accoglienza di noi romani fu molto calda.
Invero pochi giorni dopo, il 22 ottobre, inaugurando il suo ministero, ecco che ripropose ancora la romanità come sua seconda natura affermando: “Alla sede di Pietro a Roma sale oggi un vescovo che non è romano. Un vescovo che è figlio della Polonia, ma da questo momento diventa pure lui romano. Sì, romano!”.
Molte volte, nei suoi 30 anni di pontificato, ricordò, infatti, di vivere nel più stretto legame e nella più profonda comunione con la sua Roma e soprattutto per ricordare spesso che “il Papa venuto da lontano si sente vivamente e profondamente romano, desideroso di servire nel miglior modo possibile l’amatissimo popolo di Roma“.
Quel timore di non essere accolto bene da noi romani si era, però, presto trasformato nello stupore e nella gratitudine per l’accoglienza che noi romani abbiamo sempre manifestato verso di Lui.
Ed ora, a quattro anni dalla sua morte ed a 35 anni da quella paura ingiustificata, mi piace ricordare che noi romani lo abbiamo considerato sempre uno di noi.
E noi romani non ci siamo mai dimenticati delle tante volte che ha detto: “Roma, mia Roma, ti benedico e con te benedico i tuoi figli e tutti i tuoi progetti di bene!”.
Papa Wojtyla è stato anche un Uomo di Pace. “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male»: questo era stato, difatti, il messaggio di Giovanni Paolo II nella trentottesima Giornata mondiale della pace che si era celebrata il 1 gennaio 2005, un vero inno all’amore.
”L’amore è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace”.
Il male non si sconfigge con il male: su quella strada, infatti, anziché vincere il male, ci si fa vincere dal male, aveva affermato, per poi indicare che la pace è un bene da promuovere con il bene, da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene.
Nella diffusa incertezza collettiva tra bene e male, ci viene ricordato che il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali.
Precisava infatti Papa Wojtyla: “Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono”.
In questa occasione il Papa Wojtyla aveva del resto spiegato che ”nessun uomo, nessuna donna di buona volontà puo’ sottrarsi all’impegno di lottare per vincere con il bene il male. E’ una lotta -aveva ribadito Papa Wojtyla- che si combatte validamente soltanto con le armi dell’amore. Quando il bene vince il male, regna l’amore e dove regna l’amore regna la pace”.
Il Papa aveva quindi specificato che ”cio’ è vero anche in ambito sociale e politico. A questo proposito -spiegava Wojtyla- Leone XIII scriveva che quanti hanno il dovere di provvedere al bene della pace nelle relazioni tra i popoli devono alimentare in se’ e accendere negli altri la carità, signora e regina di tutte le virtu”.
Giovanni Paolo II aveva quindi aggiunto che ”è in virtu’ della vita nuova di cui Egli ci ha fatto dono che possiamo riconoscerci fratelli, a di la’ di ogni differenza di lingua, di nazionalità, di cultura”.
”Di fronte ai drammatici scenari di violenti scontri fratricidi, in atto in varie parti del mondo, dinanzi alle inenarrabili sofferenze ed ingiustizie che ne scaturiscono, l’unica scelta veramente costruttiva è di fuggire il male con orrore e di attaccarsi al bene, come suggerisce San Paolo”.
Per questo messaggio, pronunciato durante la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2005, Giovanni Paolo II aveva scelto come tema di riflessione un versetto della Lettera ai Romani di San Paolo: ”Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”.
Tutto questo messaggio papale sulla pace, viene collocato dentro un’articolata e complessa riflessione sul bene e il male, secondo la quale la pace viene definita come un “bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni e per l’intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene”’.
Papa Wojtyla aveva continuato così nella prima parte del suo messaggio: ”Il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. Il male ha sempre un volto ed un nome: il volto e il nome di uomini e donne che liberamente lo scelgono”. ”A cercarne le componenti profonde -osservava il Papa- il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell’amore”.
Con questo discorso del 1 gennaio 2005 Papa Wojtyla aveva poi fatto un preciso riferimento ai mali che affliggono paesi come l’Africa e la Palestina e, non ultimo, alla piaga del terrorismo. E, più in particolare, aveva detto: ”Come non constatare con amarezza che il dramma iracheno si prolunga, purtroppo, in situazioni di incertezza e di insicurezza per tutti?”
Altra questione che era stata affrontata dal Papa nel suo messaggio per la pace era la lotta alla poverta’, obiettivo principale dell’azione della comunita’ internazionale. Nel trattare il problema della poverta’ Giovanni Paolo II si soffermava sul debito estero dei Paesi poveri. Cio’ nonostante il Papa osservava che ”i Paesi poveri restano prigionieri di un circolo vizioso: i bassi redditi e la crescita lenta limitano il risparmio e, a loro volta, gli investimenti deboli e l’uso inefficace del risparmio non favoriscono la crescita”. Infine concludeva che ”Possano i popoli africani -aggiunge il Papa- prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico. L’Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive. Un’eredità straordinaria quella lasciata alla Chiesa da Giovanni Paolo II, il Papa che ha toccato il cuore del mondo intero, per il quale hanno pregato Ebrei e Musulmani. Un patrimonio che, comunque, il suo successore, Papa Benedetto XVI sta da una anno continuando e sviluppare.
In ogni modo a me sembra ancora di vedere Papa Wojtyla baciare la terra, venerare la Natura, abbracciare gli uomini di tutte le razze con cordialità estrema, di rispettare sinceramente le altrui vocazioni e fedi. Lui, l’ex operaio polacco, sportivo amante della montagna, è stato però anche e soprattutto il Papa della Pace, del tutto alieno dagli intrighi della politica. Sempre contro ad ogni guerra, uomo del dialogo e, in senso lato, della politica, ha sostenuto con forza che “non possiamo vivere tutti assieme se non in pace”. Buono e generoso, lontano da ogni fanatismo e contrario ad a ogni crudeltà, ha cercato sempre di salvare vite, di mitigare la sorte dei prigionieri, di esortare al perdono, alla misericordia, alla ricerca dell’accordo. Papa Wojtyla è stato un papa di pace, importante per uomini di tutte le fedi e di tutte le convinzioni ideali; soprattutto nell’ultimo decennio i suoi pronunciamenti contro le guerre e per la giustizia nell’uso delle risorse a livello planetario sono stati importanti.
Per quanto riguarda la vita interna della Chiesa cattolica il suo pontificato ha fatto fare alcuni passi in avanti, come per esempio sul dialogo interreligioso e sui “mea culpa” .
Sul mea culpa nei confronti degli ebrei, poi, Papa Wojtyla era stato protagonista, aveva preso lui l’iniziativa ed era andato avanti. Non solo quando era andato a visitare la sinagoga di Roma, ma anche durante il Giubileo del 2000, allorché aveva inserito la sua richiesta di perdono nel Muro del pianto ed aveva visitato lo Yad Vashem. Egli aveva voluto eliminare una volta per sempre il malinteso sentimento di diffidenza verso gli ebrei.
Del resto il grido di Papa Woityla si sostanziava di indicazioni preziose. La vita è bene fondamentale e presupposto della convivenza.
Ciò implica rispetto della persona, integrità delle relazioni familiari, protezione dell’uomo dal concepimento alla morte naturale, con esclusione delle scorciatoie del divorzio, dell’aborto e dell’eutanasia, oltreché del tecnicismo avventuristico della biologia.
È su questo radicale fondamento che si situava la condanna della guerra, nemica primaria della vita.
La pace è la premessa per un rinnovamento delle relazioni sociali e statuali.
Essa risulta assai esigente richiedendo un tenace esercizio della ragione. È in nome degli stessi valori, dopo la caduta del Muro di Berlino, che aveva criticato anche l’ovest, sottolineando i limiti del liberismo economico.
Anche quello ad una sola dimensione, quella del mercato e del profitto.
Papa Wojtyla aveva, sopra ogni altro, indirizzato i suoi sforzi in una direzione precisa: quella di applicare gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente dal punto di vista del rapporto con le altre religioni.
Innumerevoli erano state le occasioni nelle quali il Pontefice aveva sottolineato questo rispetto della Chiesa cattolica nei confronti delle altre religioni.
E lo aveva messo in pratica accettando di incontrare i leader religiosi. Non c’è dubbio che il contributo più significativo, da questa angolazione, era stato l’incontro di preghiera per la pace nel mondo ad Assisi nel 1986.
A quattro anni dalla tua morte, ti dico ancora “Grazie Papa Wojtyla, difensore della pace e delle libertà democratiche, sincero predicatore della fratellanza e dell’amore fra tutti i popoli per aver parlato di pace, libertà, diritti, amore tra i popoli ad un mondo che andava in un’altra direzione”.
Egli è stato il Papa dell’intelligenza e dell’amore uniti assieme. Papa Benedetto XVI ha ereditato un fardello pesante: l’esempio di Papa Wojtyla.
Vale a dire un messaggio universale di pace, di tolleranza, di accettazione serena della sofferenza e delle difficoltà della vita. Insomma un uomo che si è trasformato in un grandissimo Papa.
Nel Papa dei cambiamenti, anche dolorosi, e che ormai vecchio e stanco aveva cercato fino all’ultimo nelle preghiere dei fedeli il sostegno e la forza per poter continuare la sua missione e che resterà per sempre nei cuori della gente come un Padre nella vita dei propri figli.
Lui, il primo Papa polacco della storia, il Grande Papa che aveva sempre avuto una grande devozione per la Madonna, tanto da scegliere come stemma episcopale la lettera M di Maria insieme alla croce ed il motto Totus Tuus: “ Totus tuus ego sum” (“O Maria, io sono tutto tuo, e tua e’ ogni cosa mia!”) ha lottato per la Pace, anche religiosa, tra i popoli meritando per questo un indiscusso, unanime ed universale rispetto -e non solamente dai cattolici come me- perché i suoi 26 anni di pontificato hanno cambiato il mondo e la storia.
E che Papa Wojtyla sia stato un Uomo di Pace è dimostrato, inoltre, anche dal suo discorso del 1 gennaio del 2005, il suo ultimo Capodanno terreno.
«Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,21): era stato questo il messaggio di Giovanni Paolo II nella trentottesima Giornata mondiale della pace, un vero inno all’amore.
”L’amore è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace”. Era un inno all’amore questo messaggio di Giovanni Paolo: non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. Il male non si sconfigge con il male: su quella strada, infatti, anziché vincere il male, ci si fa vincere dal male, aveva affermato, per poi indicare che la pace era un bene da promuovere con il bene, da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene. Nella diffusa incertezza collettiva tra bene e male, ci veniva ricordato che il male non era una forza anonima che operava nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. Precisava infatti Papa Wojtyla: “Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono”. In questa occasione il Papa Wojtyla aveva del resto spiegato che ”nessun uomo, nessuna donna di buona volontà puo’ sottrarsi all’impegno di lottare per vincere con il bene il male. E’ una lotta -aveva ribadito Papa Wojtyla- che si combatte validamente soltanto con le armi dell’amore. Quando il bene vince il male, regna l’amore e dove regna l’amore regna la pace”. Il Papa aveva quindi specificato che ”cio’ è vero anche in ambito sociale e politico. A questo proposito -spiegava Wojtyla- Leone XIII scriveva che quanti hanno il dovere di provvedere al bene della pace nelle relazioni tra i popoli devono alimentare in se’ e accendere negli altri la carità, signora e regina di tutte le virtu”’. Giovanni Paolo II aveva quindi aggiunto che ”è in virtu’ della vita nuova di cui Egli ci ha fatto dono che possiamo riconoscerci fratelli, a di la’ di ogni differenza di lingua, di nazionalità, di cultura”. ”Di fronte ai drammatici scenari di violenti scontri fratricidi, in atto in varie parti del mondo, dinanzi alle inenarrabili sofferenze ed ingiustizie che ne scaturiscono, l’unica scelta veramente costruttiva è di fuggire il male con orrore e di attaccarsi al bene, come suggerisce San Paolo”.
Per questo messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2005, Giovanni Paolo II aveva infatti scelto come tema di riflessione un versetto della Lettera ai Romani di San Paolo: ”Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”. Tutto questo messaggio papale sulla pace, veniva collocato dentro un’articolata e complessa riflessione sul bene e il male, secondo la quale la pace veniva definita come un “bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni e per l’intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene”’. ”A cercarne le componenti profonde -osservava il Papa- il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell’amore”. Con questo discorso del 1 gennaio 2005 Papa Wojtyla aveva poi fatto un preciso riferimento ai mali che affliggono paesi come l’Africa e la Palestina e, non ultimo, alla piaga del terrorismo.internazionale. Nel trattare il problema della poverta’ Giovanni Paolo II si soffermava sul debito estero dei Paesi poveri. Cio’ nonostante il Papa osservava che ”i Paesi poveri restano prigionieri di un circolo vizioso: i bassi redditi e la crescita lenta limitano il risparmio e, a loro volta, gli investimenti deboli e l’uso inefficace del risparmio non favoriscono la crescita”. Infine concludeva che ”Possano i popoli africani -aggiunge il Papa- prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico. L’Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive. Un’eredità straordinaria quella lasciata alla Chiesa da Giovanni Paolo II, il Papa che aveva toccato il cuore del mondo intero, per il quale hanno pregato Ebrei e Musulmani.
Quattro anni fa i fedeli gridavano il loro incitamento: “Santo subito!”, tanto che appena insidiatosi, Papa Ratzinger ha subito proceduto alla causa di beatificazione di Wojtyla.
Sì, Papa Wojtyla il Grande, subito Santo!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)