martedì 21 febbraio 2012

LA VOCE INVISIBILE DEL VENTO





LA VOCE INVISIBILE DEL VENTO

Mi chiamo Mario ed abito ad Ostia.
Nessuno sa niente di me.
Mi sono tenuto fuori dai radar.
Le persone che hanno conosciuto mio padre, affermano che sono il suo ritratto.
Lui, il poeta Antonio Valeriano, ha più volte mostrato il proprio coraggio, ma ancora di più ne ha dimostrato nell’ultima battaglia, quella contro la malattia che nel giorno di pasquetta del novantadue lo ha ucciso, ma non piegato.
Se sono in difficoltà, penso: papà ti prego fai qualcosa.
Lo so che ci sei, da qualche parte.
So che mi vedi.
Ho sempre fatto tesoro dei suoi consigli.
So quando è il tempo di passare all’azione o di starne fuori.
Tuttavia ci sono cose che facciamo perché ne abbiamo voglia e altre che facciamo perché ci tocca. Questione di sopravvivenza.
Sono fortemente attratto dalla pittura di rottura, che rifiuta il neoclassicismo ottocentesco vetusto e arrogante.
Ammiro l’opera coraggiosa dei primi espressionisti e dei secessionisti viennesi. Mi illumino davanti alle scomposizioni cubiste di Cezanne e Picasso, mi esalto con le pennellate di Van Goch, piango con Munch e le sue angosce dilatate.
C’è molto vento oggi a Ostia.
Erba bianca di brina si stende lungo il prato di Piazza delle Repubbliche Marinare.
Raggiungo la spiaggia.
E’deserta.
Sto sulla riva e guardo con occhi astiosi mare.
Sembra scosso da una corrente molto forte.
Anch’io mi sento scorrere via.
Sono sempre stato uno di quei pesci furbi che ridono quando vedono l’amo camuffato con la mollichella di pane.
Girano alla larga.
Diversa è la storia quando ti ritrovi dentro la rete e neanche tu sai come ci sei finito.
Io non lo auguro a nessuno.
Neanche al mio peggior nemico.
Ho una certa considerazione del mio spirito critico.
Anche se non amo molto i dettagli.
Troppi dettagli significano sempre difficoltà, e difficoltà significano un disturbo della mia pace interiore, e questo non posso sopportarlo.
Preferisco, comunque, non immischiarmi in problemi che mi risultano troppo sgradevoli e mi getterebbero soltanto nella più penosa incertezza e inquietudine laddove, proprio per far uso della mia ragione, avrei bisogno di certezza e di quiete.
Incontro Claudio.
Mi presenta Olga, una ragazza moldava.
Sottovoce mi informa che non si tratta di una fidanzata ma solo di un’oasi di affettuosità, tenerezze e sospiri.
Li saluto e continuo a passeggiare.
Dall’alto del Pontile, contemplo il mare.
Che bello vedere una tale, sconfinata immensità.
Meraviglioso trovarsi davanti a qualcosa di cui non riesci a scorgere la fine.
Scruto l’orizzonte che si perde nell’acqua.
Rimango per qualche istante con lo sguardo perso in lontananza.
Poi guardo verso il punto in cui il mare si ricongiunge alla terra.
A riva si scorgono cinque gabbiani vicino a delle imbarcazioni.
Incontro Gabry ed Alex.
Gabriele ha 25 anni e Alessandro 17, ma mi ricordo bene quando erano piccoli.
La visita dell’ostetrica.
Il bagnetto, il cambio dei pannolini.
Gli annessi e connessi: i marsupi, le carrozzine, i lettini, le culle di vimini, i biberon, gli sterilizzatori.
Adoravo tutto questo.
Passavo la metà delle mie ore non lavorative a cullarli.
Stanno andando a Cineland, con una comitiva di amici.
Toh…Giorgio…quanto tempo che non lo vedo!
Sta andando ad un ricevimento di una sua amica.
Mi invita a seguirlo.
Mi faccio convincere.
La sua amica é una vedova di quasi sessant’anni decisamente in carne, per non dire che i vestiti neri d’ordinanza le esplodono in prossimità di ascelle, addome e fianchi.
Mi presenta il capomastro di una piccola impresa edile, il titolare di un negozio di ferramenta e l’impresario di pompe funebri…sono abile a chinarmi per palparmi rapidamente i testicoli simulando di controllarmi i lacci delle scarpe.
In quel momento un bambino rosso di capelli mi finisce addosso, sfiorando una pericolosa collisione nelle parti basse e rovesciando il suo carico di patatine fritte.
Per un attimo accarezzo l’idea di proporgli un gioco innocente: “Vieni tesoro, ti faccio vedere quanto è divertente mettere i ditini in quei due buchetti nella parete là in basso…”.
Ma una matrona elegantissima strattona il piccolo per un braccio, spinge col tacco le patatine sotto un mobile e dice ringhiosamente: “Vieni, vieni con mamma, e siediti col tuo cuginetto…”
Saluto e vado via.
Ha cominciato a piovere.
Intorno a me, passi stanchi di casalinghe affannate
Impronte di scarpe da tennis di finti poveri
Tracce di suole che hanno ballato poco e male in tutti i locali di Ostia.
Sotto la pioggia siamo tutti uguali, puzziamo alla stessa maniera.
Torno a casa.
Guardo una foto di papà.
Lui amava ripetermi che “la vita non è una corsa che si può vincere.La fine della corsa è la stessa per tutti: si muore. Il punto non è vincere la corsa, Mariuccio. Il punto è come la si corre. In altre parole, non si tratta di vincere o di perdere, ma di come si gioca la partita. E tu, Mariuccio, corri. Non ti fermare mai.”
Arrivarono Natali.
Capodanni.
San Valentini.
Pasque.
Arrivò la Pasquetta del novantadue.
E continuai a correre.
E ogni tanto mi sembra di sentire la sua voce, nel vento.
Afferro la foto e la tengo stretta a me, e piango, piango, piango, finché non esce più niente.

Mario Pulimanti

(Lido di Ostia -Roma)

giovedì 16 febbraio 2012

Zia Navina sapeva di menta!




Zia Navina sapeva di menta


Il sonno non arriva.
Così mi perde in un’ondata di ricordi.
Penso che per molti anni, e almeno sino a quando zia Loreda e zia Navina, sorelle di nonna Leonella, erano state in buona salute, nonna mi portava spesso a Collevecchio dalla sorelle, cosa che mi aveva consentito di essere testimone di alcune delle cerimonie tradizionali, quelle alle quali a Collevecchio avevano sempre dato un valore particolare.
L’uccisione dei maiali era la prima di queste cerimonie e adesso, ricordandola dopo che tanti anni sono passati, non provo più il senso di smarrimento che mi aveva sopraffatto in quei tempi lontani: le povere bestie, animali di due quintali e oltre, attaccate per le zampe posteriori a una trave della stalla, che venivano sgozzate, e strillavano senza commuovere nessuno; le zie che raccoglievano in grandi catini il sangue che zampillava dalle carotidi sezionate, cercando di non perderne nemmeno una goccia, destinato alla preparazione di un dolce, il sanguinaccio, dopo essere stato mescolato con cioccolata, canditi, zucchero e chissà cosa altro ancora e cotto al forno in capaci teglie di rame; la bollitura del grasso e la preparazione dei ciccioli, che riempivano l’aria di una specie di nebbia bisunta, una sorta di annuncio dei giorni dedicati a magiare tutto ciò che dell’animale non si poteva conservare, il fegato nella rete, pezzetti avvolti in piccoli brandelli di beverelli, cioè di intestino, le costole, le salsicce impastata con aglio e pepe.
Rifiutarsi di mangiare quel cibo era considerato dalle due zie una vera e propria bestemmia, ed io non me la sentivo di offenderle: così avevo preso l’abitudine di mangiare tutto ciò che mi mettevano nel piatto.
Sapori antichi!
Il sonno tarda ancora ad arrivare.
Così mi perdo ancora in altri ricordi.
Penso alla signora Maria che mi faceva vedere come si castravano i galli, nell’ottica di preparare i capponi ai quali tirare il collo per Natale, e alla cantilena con la quale accompagnava una sorta di gesto magico, bagnando il becco del povero animale nel catino pieno di acqua e aceto nel quale gli aveva disinfettato al ferita: “ C’era un gatto tutto rosa che cercava la sua sposa, la sua sposa non c’è più ed il gatto adesso è blu”.
Ah, dimenticavo zia Navina, sapeva di mente!
Ma questa volta non riesco a finire il pensiero e mi addormento.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

Tutto ciò che sono




TUTTO CIO’ CHE SONO
C’é una atmosfera alla Annibale il Cannibale.
Sono seduto nella stanza da pranzo, affacciata sul cortile.
Gabriele, in piedi vicino alla finestra, mi guarda in silenzio, mentre aspetta che arrivi Michelangelo, suo storico amico.
Discute sulla difficoltà per Schettino di evitare il carcere a vita, poi comincia a riflettere sui propri problemi personali.
E delle beghe sentimentali.
Il vento che viene dal mare percorre la stanza portando un pò di fresco, ma la tensione è diventata quasi un dolore fisico.
Gabriele ride nervosamente nel vedere il fratello Alessandro sfilarsi di sotto il giubbotto una rivista sportiva.
Simonetta alza il bicchiere di vino stringendolo forte.
Finisce di bere il suo Brachetto d'Acqui e dice, con un largo sorriso: "Adesso mi dirai, Mario, perché non sei andato alla riunione di condominio. Bella figura hai fatto con Enzo e con l’amministratore! Ora esco con Anna e Simonetta. Abbiamo deciso di andare a Cineland. Il film sta per iniziare."
Tutti, nella stanza, tacciono.
Non mi precisa il titolo del film, ma sarà stato una di quelle polpette avvelenate francesi che ti restano sullo stomaco, proprio come quei loro lumaconi alla borgognona, indegni persino di legare le scarpe ai rigatoni cacio e pepe che faceva mia nonna Jole.
Punto un dito verso la TV.
"Per quanto mi riguarda, vorrei sentire le notizie flash del telegiornale. Tutto qui" aggiungo.
Simonetta mi guarda. "Va bene. Esco. Fra mezz'ora inizia il film."
Ed esce.
Spengo la tivvù.
Alessandro scoppia in una risata che fa sussultare Gabriele, scuotendolo dalle sue meditazioni.
"Papà esco anch’io" esclama sarcastico, mentre il fratello si stringe nelle spalle.
"Vado giù ad aspettare Michelangelo. Andremo al pub." dice lentamente. Saluta e se ne va, passandoci davanti di corsa.
"Gabriele" chiamo.
Lui non torna indietro e io rimango davanti al televisore stupito per questa sua decisone improvvisa.
"Molto bene" commento.
Sulla mia faccia non compare l'ombra di un sorriso.
Alessandro se ne rende conto.
"Ah, papà vado al Circolo” dice.
"D'accordo" annuisco, visibilmente sollevato.
Rimasto solo, ascolto la radio. Jazz. E’ la musica che preferisco. Vorrei che ci fosse più gente che ascolti certa musica. Musica vera. Non credo che ai giovani interessi molto.
Prima di uscire Simonetta, autentica mora sabina, aveva preparato il caffè, autentica miscela brasiliana: costoso, ma squisito.
Spengo la radio.
Mi siedo sul divano.
Mi chiedo: che c’è oltre la memoria?
Quasi soprappensiero ripulisco con il dito il caffè rimasto nella tazzina.
Mi allento la cinta dei pantaloni con una smorfia di piacere.
Raccolgo il telecomando e passo pigramente da un canale all’altro, fermandomi infine su un film che guardo per qualche minuto con annoiata disattenzione, consapevole che mi si stanno abbassando le palpebre.
Non sto male.
Sono solo stanco, stanchissimo.
Chiudo gli occhi e cerco di pensare a qualcosa di utile, per una volta.
Mmh...non ci riesco.
Mia moglie mi rimprovera che a causa mia è una fila d’anni che non fa più niente di niente, a parte le cose che fa ogni giorno della sua vita.
Non sono presuntuoso: diciamo che a spanne, nella scala della competenza mi sento sotto allo zerbino.
Forse il punto è questo: la semplice inutilità del tutto…bè, a torta finita, è così.
Mi piace passeggiare sulla riva del mare, anche in inverno, leggere, ascoltare musica, andare a teatro, andare al cinema, e soprattutto...mangiare e bere!
Sono un uomo di immaginazione piuttosto che d’azione: condannato, come Orfeo, a viaggiare in un Ade di chimere.
Patetico.
Prima di scivolare nel sonno, penso agli anni ottanta.
Il pranzo domenicale di mia suocera.
Opulento, straripante, ipercalorico.
Prosciutto, salame e salciccia matta per cominciare; due minestre, asciutta la prima e in brodo la seconda, rigorosamente cappelletti, strozzapreti, tagliatelle al ragù, bollito, a dir misto lo si penalizza, agnello fritto e scottadito, cappone, testina di vitello, coratella, piccioni arrosto ripieni, cervello, cotechino, manzo; poi polli arrosto e salsicce ai ferri, con una varietà di patate, in umido, arrosto, fritte, al forno, e verdura a piacere, dai pomodori alla lattuga; pane fragrante appena sfornato dal suo forno a legna; ciambella, zuppa inglese alta una esagerazione e un po’, crema, savoiardi con l’alchermes, cioccolata, savoiardi con l’alchermes, dolci a forma di pesca con l’alchermes, cioccolata e crema…Vino naturalmente, vini Colli Sabini DOC Rossi e Bianchi, Malvasia Bianca, spumanti, amaro Viparo ...Grappa. E alla fine qualcuno recitava poesie di trilussa e qualcuno, semplicemente, finiva sotto il tavolo semisvenuto.
Trenta persone intorno a un tavolo, ogni commensale uguale ai suoi due vicini di sedia in nome del sentimento che ha sempre dominato in tutte le famiglie sabine, la compassione è certamente il ricordo più bello, quello che più di ogni altro mi riscaldava il cuore: ed era in nome di quel calore che ancora mi arriva dal passato che cerco di ricordare oggi le scene di un tempo, le persone che amavo intorno allo stesso tavolo, persone scelte sulla base dell’affetto che le legava, il DNA ha ben poco a che fare con i sentimenti.

Rosato, mio suocero.
Presidente della Confraternita di San Bernardino.
Uomo di gran buon cuore, aveva sempre destinato una buona parte delle sue rendite alla beneficenza ed era pieno di amici che lo apprezzavano e gli volevano bene.
All’improvviso mi allontano dalle mie riflessioni, scuotendo il capo incredulo.
Una notizia sorprendente.
Bufera su Celentano dopo il duro attacco alla Chiesa nel suo show all'Ariston, nel quale se l'è presa con i preti e ha detto che Famiglia Cristiana e Avvenire sono ipocriti e devono chiudere.
La religione….quella nostra, la cattolico romana, alla quale ci siamo consegnati ci ha aperto un mondo felice e spensierato, che festeggia persino i sacrifici dei suoi martiri, che ci promette una bellissima vita dopo la morte, dove le persone cantano tutte insieme nelle Chiese che odorano d’incenso.
Abbastanza divertente, non vi pare?
Penso a un mio collega, sabino come mia moglie.
Penso che sia un buon diavolo e che non abbia mai preso per il collo nessuno, a parte la bottiglia.
Stamattina mi ha parlato di un suo problema familiare. Riguarda suo padre.
Ora anche a Poggio Mirteto ci sono coppie decisamente atipiche per i canoni correnti, ma non atipiche per la sabina, una zona nella quale i matrimoni tra anziani possidenti e belle e giovani ragazze recentemente arrivate dalla Russia, dall’Ucraina e dai paesi limitrofi sono abbastanza frequenti.
Queste ragazze arrivano in Italia con le idee un po’ confuse e la speranza di sistemarsi in qualche modo; per un po’ fanno le badanti di vecchi malati o strambi e non completamente a casa con la testa.
Il loro secondo lavoro é certamente più remunerativo, ma non meno pericoloso, diciamo che si occupano di uomini più giovani che vogliono che qualcuno badi a loro per una sola notte.
Ci sono stati anni nei quali sono state costrette a vendere il loro corpo, e piano piano le cose sono cambiate.
In quel modo Polina ha conosciuto il papà di questo mio amico...
I due si sono innamorati, forse lui un po’ più di lei, Adesso che si sono sposati, alla faccia del parere dei fratelli e dei figli (che lui avesse 85 anni e lei 23 non doveva interessare a nessuno), i due sembrano vivere felici e contenti…mentre al mio collega è venuto l’esaurimento nervoso….
Telefono a mio fratello.
Incredibile, anche lui mi racconta un fatto analogo: questa volta si tratta di un uomo che vive nel suo condominio. A Testaccio.
Tirchio.
Tirchio, come se gli avessero tagliato tutte e due le mani e si lamenta sempre, mentre ha più soldi della Banca d’Italia, soldi comunque liquidi, infilati a casaccio nelle cassette di sicurezza di alcune banche, in un paio di casseforti, forse anche dentro un certo numero di materassi, ma mai trasformati in pezzi di carta perché lui è soprattutto un uomo che si fida poco.
Ora sta con un’ucraina. Si sono innamorati e sembrano sul punto di sposarsi, malgrado la palese ostilità dei fratelli di lui e dei suoi due figli che vivono in Germania.
Questa persona, apparentemente destinato ad essere scapolo per tutta la vita, fino alla non più tenera età di 62 anni aveva sfogato la piena dei suoi sentimenti su amori mercenari, che sceglieva con cautela e che duravano il minor tempo possibile.
Poi aveva conosciuto Lyudmila, e per la prima volta aveva stabilito un rapporto che era durato più di 24 ore. Al secondo appuntamento, lei si era portata una valigia; al terzo, era arrivata con il baule che conteneva tutte le sue cose, ormai era certo che non si sarebbero lasciati più.
Incredibile! Saluto mio fratello.
Intanto mangio un sandwich e stappo il vino.

Scoraggiato, bevo.

Ora in pancia ho quasi un’intera bottiglia di buon Brunello.

Da Montalcini, ovviamente.

Basta così.

Sono esausto.

E’ stata una giornata molto lunga.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

mercoledì 8 febbraio 2012

Incidenti di percorso (l'apparenza inganna)



INCIDENTI DI PERCORSO (L’APPARENZA INGANNA)

Sono in macchina.

Sto tornando da Fiumicino. Aeroporto.

Via della Scafa, direzione Ostia.

L’unica macchina silenziosa in tutta l’ingorgo.

Devo essere il solo guidatore che si astenga dal mantenere una pressione costante sul clacson.

Non è che gli altri ci guadagnino chi sa che a strombazzare.

Non gli vedo spuntare le ali, ai loro catorci.

Né che le macchine da cui sono circondati si ritirino come le acque del Mar Rosso davanti a Mosè e agli ebrei inseguiti dal farabutto, o quel che era.

Fermi sono e fermi rimangono.

Esattamente come il sottoscritto.

Per questo mi posso permettere il giochino con le dita che mi aveva insegnata nonna Leonella.

Non è che ci sia un gran che da fare, a stare chiusi in una macchina ferma senza nemmeno una copia della Enciclopedia Treccani sottomano.

Finito di giocare con le chiavi, mi metto a studiare oziosamente le facce visibili al volante delle macchine che assediano la mai decrepita Ford Fiesta.

Sono tutti incastrati per bene all’incrocio tra Via della Scafa e il Ponte della Scafa, che è il ponte che passa sopra il fiume Tevere e che divide i comuni di Roma (Ostia) e Fiumicino.

Anch’io, come altri guidatori, alla faccia del freddo, ho i finestrini aperti per vedere meglio la situazione dell’ingorgo. Cavolo, il traffico in questa strada è diventato letteralmente impossibile da anni e anni, e comincia già dallo scalo aeroportuale.

Uno scenario di automezzi fermi o che camminano a passo d'uomo.

Intanto, mi crogiolo in un umore meditaticcio.

L’autoradio mi sta facendo ascoltare “Over the Rainbow” (anche nota con il titolo “Somewhere Over the Rainbow”).

Il titolo significa letteralmente "Oltre l'arcobaleno".

La versione originale è cantata da Judy Garland per il film Il mago di Oz del 1939, ma quella che sto ora ascoltando è la famosa versione del cantante hawaiano Israel “IZ” Kamakawiwo'ole, soprannominato “Gigante buono”, morto nel 1997 all'età di 38 anni.

Nell'ultima parte della sua vita Iz divenne obeso e arrivò anche a pesare 340 Kg.

Versione stupenda.
Voce meravigliosa.

E' una delle poche canzoni che riesce a farti venire i brividi, una ballata dolcissima con la quale Iz ti culla delicatamente.

E l'ukulele come unico strumento, col suo suono particolarissimo, rende indimenticabile una canzone già unica.

Penso ai salesiani del testaccio.
Don Galoppo amava citare questo verso del Vangelo di Matteo: “Osservate i gigli del campo. Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano....”

Don Galoppo, amico di mio nonno Angelino, nonché professore, prima di me, anche di mio padre e di zio Romolo.

Penso ai tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin.

Allora, non vedevo l’ora di andare all’università; per quanto mi riguardava, era lì che la vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo.

Sacro Cuore dai salesiani, al ginnasio e Socrate, al liceo.

In questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a quello che pensavo del mondo. All’università sono diventato un vero studente.

Partecipavo alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo.

Ricordo i mie primi giorni di lavoro.

Neoassunto e infimo nella gerarchia.

Con uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c’era un lavoro importante di un collega in malattia.

Io avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani.

Diamine, penso a Gabriele.

Verso i soldi ha un atteggiamento un po’ schifiltoso. Come il sottoscritto, del resto.

Questa mattina sono andato a trovarlo alla Facoltà di Giurisprudenza di ’Università “Roma Tre” per proporgli di pranzare insieme nei dintorni, prima di ritornare alle nostre rispettive attività.
“Ho solo il tempo per un caffè, papà” mi ha risposto.
“Ma in piedi, al distributore automatico. E a patto che tu abbia le monete”.
In realtà, quella di condividere il pranzo era solo una mezza scusa.
La verità è che volevo stare insieme a lui.
A casa lo vedo così poco.
Prima che lo salutassi, mi ha avvisato che Simonetta e Alessandro sono andati a Collevecchio e torneranno domani.
Mi ha anche consigliato di suonare alla porta stasera, prima di aprire con le chiavi. “Beh, se non vuoi rischiare di trovarti tété-à-tété con una bomba sexy, distesa nuda sul mio divano….” ha aggiunto ridendo.“Oooooh!” ho risposto dandogli un puffetto sulla guancia.
Poi sono tornato in ufficio.
I Ministeri sono i luoghi meno discreti dell’universo conosciuto perché sono saturi di microspie.
Niente di tecnologico, per carità: sono microspie umane, soggetti geneticamente modificati per acquisire un superudito e una supervista.
E poi, siccome hanno pure la lingua geneticamente modificata, la usano per rendere edotto il resto del mondo delle loro scoperte.
Chi sa dove arriverei con i miei onanismi mentali se il vicino di sinistra non decidesse di dare una svolta a quel nostro pezzo di vita in comune, mettendo in moto il suo MP3, o quel che è; caricato a lupara con il classico shtump-shtump-shtump, il rumore che vendono solo ai proprietari di Suv e di auto prive di vetri ai finestrini.
Glielo forniscono direttamente incorporato nella carrozzeria o nelle marmitte.
Forse il titolare di quel rumore ha scatenato ad alzo zero tutti i cavalli vapore dei suoi woofer e subwoofer con la speranza di annichilire e ridurre in poltiglia il parco macchine altrui.
Al punto che mi confondo e invece di tirare su i vetri e sigillare i finestrini suono il clacson. L’effetto è inquietante: le macchine davanti a me, di colpo, cominciano a scorrere.
Mi lascio superare dal mio vicino di sinistra, perché voglio darli una bella occhiata in faccia. Un classico ripieno da Suv.
Il titolare della faccia è un palestrato, un taglia 54 con la testa rasata, occhiali neri avvolgenti, mascellone aggressivo e bomber fornito di cappuccio, che alla bisogna deve tirarsi sulla testa, a scopo profilattico.
Mi sembra che abbia persino un accenno di bava alla bocca.
Invece la bava appartiene al cane recluso nell’apposito box, un rottweiler o chi sa quale altra marca di cane politicamente scorretta, con un tipico sguardo da disturbo bipolare.
Comunque, è problematico capire dove finisce il cane e dove comincia il tanghero palestrato.
Lascio sfilare il Suv davanti a me, e per un secondo mi viene la tentazione di mostrare il dito medio alle due malebestie; mi astengo.
Così mi limito a mostrare i denti al cagnaccio, che mi ignora di brutto, perché deve sentirsi rintronato ancora più di m,e dai colpi di grancassa e di tomtom delle batterie.
Infatti ha il pelo irto. Mi fa quasi pena. Per buona misura permetto ad un paio di altre macchine di insinuarsi tra me e il Suv. Ho deciso dio prendermela con comodo, questa sera.
Dopo essermi districato dall’ingorgo e dal palestrato con rottweiller, a qualche centinaio di metri da casa comincio a cercare posto per la macchina.
Il vero problema, di sera, non è trovarlo, il posto, perché dopo le otto non è complicato.
Il vero problema si presenta la mattina dopo, quando ti tocca dare a caccia dei proprietari della macchine che ti impediscono di uscire.
Quindi, bisogna avere la pazienza e la fortuna di pescare un posto difficile da accerchiare.
Trovo un buco decente non lontano da casa mia.
Entro nel bar di Gioacchino.
Carmelo prepara il caffè maledettemente bene.
In quel momento squilla il telefono.
E’ mia sorella.
“Mario, come va?”
“Mi stanno calando gli ormoni, Antoné”.
“Ih, e che problema c’è? Pure a Carmine. Da un pezzo. Ma lui ancora non lo sa”.
Carmine è il suo compagno, nonché il mio unico cognato, dato che Antonella è mia sorella.
Bevo il caffè ed esco dal bar.
Incontro Luciano, presidente del Manfredi nonché grande amico.
Mi chiede come è andata la giornata.
“Sedute di commissioni per tutto il pomeriggio. Seguite da ingorgo di ottanta minuti, con rumoraccio, cane assassino, e coglione taglia 54”.
Mi guarda interdetto, in attesa di spiegazioni che non arrivano.
Poi alza le spalle e mi saluta.
Mentre cammino verso casa pregusto il film che avrei messo sotto il raggio laser del DVD per dilavare il saporaccio dello shtump-shtump-shtump: “Moulin Rouge” con Nicole Kidman, versandomi convenienti razioni di Scott's Selection Macallan nel mio bicchiere preferito.
Whisky scozzese dal sentore di torba per accentuare un sapore che è caldo e cremoso.
Sto per infilare le chiavi nella toppa, quando mi ricordo dell’ammonimento di Gabry.
L’inquietudine aumenta, mentre faccio un rapido dietro-front.
Squilla ancora il cellulare.
E’ Simonetta.
Mi avvisa che Gabriele li ha raggiunti.
Decisione improvvisa.
Vuol far conoscere Collevecchio ad una sua cara amica.
Mmmh: sarà mica la bomba sexy?
Perfetto: passo in rosticceria e mi compro una porzione di lasagne e di filetti di spatola.
Entro a casa.
Stappo una bottiglia fredda al punto giusto di uno zibibbo secco di Pantelleria e ne assaggio un sorso: un balsamo.
Spazzolo via tutto con lentezza, assaporando ogni boccone e ogni sorso.
C’è pure un residuo di gelato in freezer.
Accendo un attimo il pc per controllare le ultime notizie.
A dire il vero, il pc lo uso solo quando non posso farne a meno.
I fondamentalisti del cyber spazio e i fanatici che provano un orgasmo solo quando trafficano con le frattaglie dei computer, continuano a indurmi sospetto, cautela e circospezione.
Uno non fa di tutto per sfuggire a una possibile morte per avvelenamento da chiacchiericci e maldicenze, per farsi poi intossicare dai legnosissimi blogger notturni, portatori sani di sfortuna.
Per tutti gli dei, mi va a genio l’atmosfera di questa notte.
Mi siedo in poltrona.
Nicole Kidman in tutto il suo splendore e la sua bravura mi accompagna fino a notte inoltrata.
Poi vado a letto. Mi sveglio alla tre del mattino, in preda al sudore.
Temo che per questa notte non chiuderò più occhio.
Così mi metto seduto, prende il bicchiere d’acqua che ho lasciato sul comodino e lo prosciugo, quindi lo riempio di nuovo.
Mancano diverse ore all’alba. E queste sono le ore peggiori, le ore in cui le mie insoddisfazioni hanno la meglio su di me.
Oh, sì, l’unica soluzione è alzarsi e provare a fare qualcosa per distrarmi.
Non ho intenzione di camminare per casa a questa ora del mattino, così accendo l’abat-jour, prendo “ I pilastri della terra” di Ken Follet dal comodino e mi appoggio con la schiena sui cuscini per leggere.
Quando la pallida luce dell’alba comincia a diffondersi su Ostia, il libro ormai mi è caduto sul petto e io sonnecchio tranquillo, immerso in un sonno privo di sogni.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 7 febbraio 2012

a Ostia zewro gradi




A Ostia zero gradi


Arrivo a casa dopo le otto di sera.
Abito a Ostia, in un appartamento tra Corso duca di Genova e Piazza delle Repubbliche Marinare.
E’ un quartiere un pò rumoroso, ma a me piace così.
Le strade sono sempre piene di ragazzi che fanno il giro dei bar. Passano le serate proprio sotto la mia finestra, comunicando a strilli.
In compenso, il costo degli appartamenti è troppo alto.
La stanchezza si abbatte su di me a ondate, come una marea, ma io e il sonno non siamo buoni amici.
Nelle notti migliori riesco ad avere due ore di sonno REM prima che lo stress mi svegli.
Do la colpa al mio lavoro, dato che è più facile che incolpare me stesso.
Sono stato da vari medici generici, ma non ho mai ceduto all’idea di andare da uno strizzacervelli.
D’altra parte l’insonnia mi da mordente: meno sonno equivale a più produttività.
E poi molte persone trovano sexy le borse sotto gli occhi.
“Ciao, papà, come è andato il lavoro?” mi chiede Gabriele.
“I colleghi sono dei gran mattacchioni, una volta scolato qualche drink. Nah, sto scherzando: solo in ufficio diventiamo ancora più noiosi. Ho appena avuto una discussione di due ore con alcuni di loro su…una legge riguardante i pomodori siciliani”.
Mi viene incontro Alessandro. Sorride.
Mi viene incontro Simonetta. Sogghignando mi avvisa che ha avuto un problema con la macchina sull’Ostiense. Cavolo, è dovuto intervenire il carro attrezzi per portarla dal meccanico. Ahi!
“Mal di testa” le dico.
Riesco a fare una smorfia di sorriso.
“Vuoi un analgesico?” risponde.
“Sì, grazie”
Va in cucina.
“Saridon?” domanda lei da dietro la credenza in legno precomposto colore rovere sbiancato.
“Benissimo.”
Mi porge la pillola, inarcando un sopracciglio.
“Devo proprio ringraziarti per questo. Non ti sei arrabbiato!”
“Non c’é problema” le rispondo. Intanto penso a quello che diceva mio nonno: “Donna al volante pericolo costante!” Mah, è solo un luogo comune...…però…
Mi metto una vecchia T-shirt, e mi infilo a letto.
Penso a Simonetta e alla macchina. Penso a Gabriele e all’Università. Penso a Alessandro e al suo Circolo. Penso allo stipendio. Penso al teatro. Penso ad un collega. Un saccente che te lo raccomando, tutto quel che dici sbagli. Quando gli daranno il Nobel sarà ancora poco. Penso ad una collega. Femmina. Aspetto scialbo, fianchi pesanti, capelli castani, corti, con taglio tutte punte, tipo Peter Pan. Accidenti! Quella donna riesce sempre a rendermi più triste di una vedova senza pensione.
Come se non avessi abbastanza cose per la testa.
Il riposo, come previsto, rifiuta di ubbidirmi.
Mi giro.
Mi rigiro.
Faccio esercizi di respirazione e di rilassamento che mi portano vicino al sonno, e forse, per brevi periodi di tempo, a un sonno vero, da cui vengo strappato dopo pochi minuti.
Provo un enorme sollievo quando la radio sveglia suona e viene l’ora di andare al lavoro.
Faccio la doccia, indosso una camicia celeste, una giacca blu con pantaloni in tinta, e esco.
Le otto del mattino e la temperatura è rigida.
Incredibile: zero gradi!
Ostia, città che ha un buon odore nelle giornate normali, quando c’è una umidità così vellutata profuma ugualmente di salmastro.
Devo passare da un vicolo per raggiungere la fermata del bus. Diamine, il tanfo dei cassonetti della spazzatura mi colpisce come un cazzotto.
Proprio di fronte alla fermata, c’è un bar aperto.
Ordino un caffè, nero.
Bevo un sorso e faccio una smorfia.
Troppo amaro.
Caffeina in bocca, varco la porta del bar e prendo il bus.
Sono raffreddato.
Sì, cavolo. Ho dei ghiaccioli che mi pendono dal naso.
C’é altro?
No, una giornata come tante altre.
Perfetto.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

A Ostia zero gradi




A Ostia zero gradi


Arrivo a casa dopo le otto di sera.
Abito a Ostia, in un appartamento tra Corso duca di Genova e Piazza delle Repubbliche Marinare.
E’ un quartiere un pò rumoroso, ma a me piace così.
Le strade sono sempre piene di ragazzi che fanno il giro dei bar. Passano le serate proprio sotto la mia finestra, comunicando a strilli.
In compenso, il costo degli appartamenti è troppo alto.
La stanchezza si abbatte su di me a ondate, come una marea, ma io e il sonno non siamo buoni amici.
Nelle notti migliori riesco ad avere due ore di sonno REM prima che lo stress mi svegli.
Do la colpa al mio lavoro, dato che è più facile che incolpare me stesso.
Sono stato da vari medici generici, ma non ho mai ceduto all’idea di andare da uno strizzacervelli.
D’altra parte l’insonnia mi da mordente: meno sonno equivale a più produttività.
E poi molte persone trovano sexy le borse sotto gli occhi.
“Ciao, papà, come è andato il lavoro?” mi chiede Gabriele.
“I colleghi sono dei gran mattacchioni, una volta scolato qualche drink. Nah, sto scherzando: solo in ufficio diventiamo ancora più noiosi. Ho appena avuto una discussione di due ore con alcuni di loro su…una legge riguardante i pomodori siciliani”.
Mi viene incontro Alessandro. Sorride.
Mi viene incontro Simonetta. Sogghignando mi avvisa che ha avuto un problema con la macchina sull’Ostiense. Cavolo, è dovuto intervenire il carro attrezzi per portarla dal meccanico. Ahi!
“Mal di testa” le dico.
Riesco a fare una smorfia di sorriso.
“Vuoi un analgesico?” risponde.
“Sì, grazie”
Va in cucina.
“Saridon?” domanda lei da dietro la credenza in legno precomposto colore rovere sbiancato.
“Benissimo.”
Mi porge la pillola, inarcando un sopracciglio.
“Devo proprio ringraziarti per questo. Non ti sei arrabbiato!”
“Non c’é problema” le rispondo. Intanto penso a quello che diceva mio nonno: “Donna al volante pericolo costante!” Mah, è solo un luogo comune...…però…
Mi metto una vecchia T-shirt, e mi infilo a letto.
Penso a Simonetta e alla macchina. Penso a Gabriele e all’Università. Penso a Alessandro e al suo Circolo. Penso allo stipendio. Penso al teatro. Penso ad un collega. Un saccente che te lo raccomando, tutto quel che dici sbagli. Quando gli daranno il Nobel sarà ancora poco. Penso ad una collega. Femmina. Aspetto scialbo, fianchi pesanti, capelli castani, corti, con taglio tutte punte, tipo Peter Pan. Accidenti! Quella donna riesce sempre a rendermi più triste di una vedova senza pensione.
Come se non avessi abbastanza cose per la testa.
Il riposo, come previsto, rifiuta di ubbidirmi.
Mi giro.
Mi rigiro.
Faccio esercizi di respirazione e di rilassamento che mi portano vicino al sonno, e forse, per brevi periodi di tempo, a un sonno vero, da cui vengo strappato dopo pochi minuti.
Provo un enorme sollievo quando la radio sveglia suona e viene l’ora di andare al lavoro.
Faccio la doccia, indosso una camicia celeste, una giacca blu con pantaloni in tinta, e esco.
Le otto del mattino e la temperatura è rigida.
Incredibile: zero gradi!
Ostia, città che ha un buon odore nelle giornate normali, quando c’è una umidità così vellutata profuma ugualmente di salmastro.
Devo passare da un vicolo per raggiungere la fermata del bus. Diamine, il tanfo dei cassonetti della spazzatura mi colpisce come un cazzotto.
Proprio di fronte alla fermata, c’è un bar aperto.
Ordino un caffè, nero.
Bevo un sorso e faccio una smorfia.
Troppo amaro.
Caffeina in bocca, varco la porta del bar e prendo il bus.
Sono raffreddato.
Sì, cavolo. Ho dei ghiaccioli che mi pendono dal naso.
C’é altro?
No, una giornata come tante altre.
Perfetto.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 3 febbraio 2012

Nascita di un figlio




Sono cose che succedono.
Di rado, certo, una volta nella vita, forse due, ma posso assicurarvi che succedono perché è successo a me.
Non ci potevo credere neppure io, eppure ero lì: la mattina del nove novembre all’ospedale Grassi di Ostia, una buona struttura idonea a favorire un trattamento più umano del paziente.
Era il 1994. Il calendario della Chiesa Cattolica Romana, festeggiava Sant’Oreste di Tiana medico morto nel 304 martire in Cappadocia, durante la persecuzione di Diocleziano.
Torturato e martoriato con i chiodi perché non rispettava i principi deontologici della corporazione dei medici pagani, che nella sostanza praticavano la stregoneria facendosi pagare lautamente dai loro pazienti.
Ero appena uscito dall’Ospedale.
Stavo rientrando a casa.
L’autoradio mi stava facendo ascoltare Willie Nelson che cantava “Georgia on My Mind”, la canzone ufficiale dello stato degli Stati Uniti della Georgia.
Erano le 5 di un mattino piovoso.
Due ore prima era nato Alessandro.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 2 febbraio 2012

Le liberalizzazioni del decreto "Cresci-Italia"




Le liberalizzazioni varate dal governo con il '”Cresci-Italia” sono incisive, ma potrebbero essere migliorate. Infatti con questo decreto si fanno dei passi avanti nella modernizzazione del paese, però sarebbe conveniente andare avanti su questa strada, per far uscire l'economia italiana dalla condizione quasi stagnante degli ultimi anni. Più concorrenza per le farmacie e i notai porterebbe maggiori benefici agli utenti. Per il settore delle RC Auto si potrà avere una diminuzione dei premi se i comportamenti concorrenziali saranno meglio controllati. Per ridurre il costo di utilizzo delle carte Bancomat sono utili ulteriori interventi normativi che accrescano la trasparenza e il valore segnaletico dei prezzi applicati dalle banche, consentendo al cliente scelte consapevoli ed efficienti.
Sull'obbligo della pattuizione scritta del compenso per gli avvocati, abrogata dal decreto, sarebbe meglio tornare invece a quanto prevedeva la manovra di agosto. Estendere la possibilità di aprire società a responsabilità limitata “semplificate” (con un euro di capitale) oltre ai giovani sotto i 35 anni. Importante la separazione da Eni delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio del gas.
Sul prezzo della benzina pesano più le alte tasse che i costi di distribuzione che il decreto liberalizzazioni intende diminuire. Sui trasporti l'efficacia del nuovo quadro regolatorio dipenderà però dalle azioni concrete della costituenda Autorità per le reti. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 1 febbraio 2012

COME SASSO NELLA CORRENTE




COME SASSO NELLA CORRENTE

Tento di aprire gli occhi aiutandomi con le dita, ma le palpebre sembrano incollate.
Raddoppio gli sforzi, ansimando, incapace di strapparmi dal sogno.
Poi, in un attimo, mi sveglio.
I miei occhi sono spalancati, le mani tremanti appoggiate al bordo del letto.
Balzo in piedi, rendendomi conto che ho dormito o comunque ho indugiato sui confini del regno del sonno.
Ho la sensazione che le mie gambe siano rigide come pezzi di legno.
Barcollando, mi dirigo verso il bagno.
Accendo la luce.
Accecante.
Mi avvicino al lavandino.
Mi spruzzo in viso.
Avverto con piacere il contatto con l’acqua fresca.
A questo punto, ricomincio a sentirmi umano, per quanto debole.
Vorrei camminare, con lo sguardo fisso sulla luce del sole che si rispecchia sul mare.
Una mano sulla spalla mi risveglia da questi dolci pensieri.
E’ Gabriele.
Gabriele non ha paura di dire ciò che pensa.
Lui esprime sempre le sue idee.
Però non è uno sconsiderato.
Sostiene che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori dal suo controllo, come foglie al vento.
Una verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale.
Ecco perché non parla di politica fuori di casa.
O con estranei poco affidabili.
“Stai bene, papà?” Traggo un profondo respiro. “Sì”. “E’ colpa di questa umidità terribile e innaturale. E’ come un castigo. Secondo me, intorpidisce il cervello e brucia lo spirito, Dovresti sdraiarti e riposare”. “No! Con questa umidità, il sonno è il peggior nemico dell’uomo. Sogni terribili…”.
Saluto Gabriele. Saluto Alessandro. Saluto Simonetta.
Decido di farmi una passeggiata in questa mattina di tardo inverno. Le strade luccicano ancora per la pioggia durata tutta la notte. Pioggia purificatrice. Nell’aria aleggia un buon odore di pulito.
Arrivo a casa di mia madre. Alla Garbatella.
Ha avviato la macchina per fare la pasta.
Cominciano ad uscire i fili delle fettuccine e lei le taglia a mano a mano che raggiungono la lunghezza conveniente.
Esce nel terrazzo di casa, strappa qualche foglia di basilico che cresce in un vaso e di nuovo in cucina insieme alle foglie con pinoli, aglio, olio, sale, pepe, in un bicchiere del frullatore.
Prepara la salsa.
Mette a bollire la pasta e intanto lavora a un saltimbocca alla romana.
Lamine di carne di maiale con fette di prosciutto e una foglia di salvia, il tutto insieme da uno stuzzicadenti e passato in padella.
Entra in sala da pranzo con il vassoio pieno di fettuccine fumanti e con la pentola coperta dove riposa il saltimbocca.
A tavola, come unico commensale, l’attendo io.
Vino? Blanc de Vignes Les Cretes. Un vino Bianco della valle d' Aosta prodotto da un uvaggio di Chardonnay, Priè blanc, Muller thurgau e Pinot Grigio.
Amabile, armonico. Austero.
La saluto.
Torno a Ostia.
Passeggio, senza meta.
Trascinato dai miei pensieri.
Come sasso nella corrente.
Arrivo al pontile.
Intorno a me centinaia di persone che cercano di spremere alle ultime ore della gioirnata il loro inutile succo di gioia razionata.
Intorno a me, donne.
Donne sessualmente insoddisfatte.
Donne maritate e ben scopate dentro e fuori casa.
Molte strillano come una cinghia oliata male.
Intorno a me, uomini.
Incoerenti, lunatici, curiosi, sordomuti. Mistici. Mah…non importa che la tua fede discenda da Geremia e da Gesù, da Allah e da Maometto, o da Brama e Buddha, qualcuno ti dirà che sbagli e per questo ti combatterà.
Eccolo, il mal di testa! Rombi di tuono mi pulsano alle tempie e mi sembra di veder baluginare sottili filamenti di fulmini, che subito svaniscono. Mi stringo le tempie con la punta delle dita, i gomiti all’infuori, in parte per placare il martellamento.
Entro in un Bar. Prendo un caffè.
Esco.
Vedo una macchina attraverso una vetrina.
Cammino e imbocco la porta del teatro Manfredi.
Gestito da amici. Veri.
Saluto Paolo. Saluto Luciano. Saluto Felice.
Esco.
Entro in una banca.
Esco, saluto la guardia di sicurezza che sorride e fa un cenno con la testa.
Dio quanto amo il sorriso di una guardia di sicurezza.
E’ come l’acqua per un uomo che sta affogando.
Attraverso Corso Duca di Genova.
La giornata si sta facendo sempre più grigia, cade una pioggerella leggera e un vento irregolare mi soffia frammenti di foglie morte sul naso.
Prelevo cento euro al bancomat dall’altra parte della strada, taglio per Via Grenet su fino a Piazza Rendina.
Arrivo sul lungomare.
Rifletto.
Pensieri mistici.
Dostoevskij diceva che per rendere la realtà plausibile è assolutamente necessario mischiarci un pizzico d’invenzione.
Il dottore alza lo sguardo dalla sua scrivania. “Ha i trigliceridi alti. Quante bustine di zucchero consuma a settimana?” “Cinque”. E’ una piccola bugia bianca. Sono arrivato a cinque bustine lunedì, ma poi ho smesso di contare, così sono rimasto a cinque bustine. “Niente zucchero. Niente alcool. Per un paziente con i suoi valori di trigliceridi, il rischio di attacco al cuore, infarto o trombosi cresce drasticamente.”. Improvvisamente sono tanto, tanto spaventato. Il cuore batte violentemente. Sudore sulla fronte. Il dottore alza lo sguardo. I suoi occhi sono finestre su un cielo di pieno inverno. “Lei appartiene a un gruppo statistico con rischio elevato.” Fuori dallo studio medico si sta facendo buio e fa veramente freddo. Il traffico è rumoroso nell’aria umida di Ostia. Salutandomi, mentre dava un’occhiata all’orologio, il dottore mi ha ricordato che a causa della mia età…e dei miei trigliceridi… si manifesteranno presto vertigini, stanchezza e perdita della libido. E’ tutto finito. Io sono finito. Scandaloso. Un senso di paura cresce dentro di me. Terrore esistenziale. Lo zucchero, l’alcool, il sesso: senza di loro, cos’altro rimane? Mi sento vecchio, stanco e inutile e persino spaventato.
Non desidero una vecchiaia olimpica e senza strida, come una sonata per violino eseguita da un linfatico violinista svizzero. Preferisco morire gridando. Quando mi porteranno al mattatoio comincerò a ululare, a bestemmiare e a insultare.
Aggiro Piazza Rendina, passo per via Grenet e supero infine l’incrocio di Corso duca di Genova. E qui che abito. Al 253.
Il cielo è nero come l’inchiostro, punteggiato di stelle e con qualche spruzzata di nuvole. Il cielo è macchiato dalle scie degli aerei che atterrano e decollano dal vicino Aeroporto di Fiumicino.
Entro a casa.
Prendo l’album di fotografie.
Mi diverte vedere vecchie foto.
Toh, ma qui ci sono io sulle spalle di papà. A Collevecchio.
Anche qui sono con papà. Al mare.
E qui sono con papà. Allo stadio.
Quando mi addormento in poltrona, mentre nel camino il fuoco si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album si notano ancora le tracce delle mie lacrime.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)