giovedì 27 gennaio 2011

E' morto Mario Scaccia



È morto martedì notte, al Policlinico Gemelli di Roma, l'attore Mario Scaccia, 91 anni.
Era stato ricoverato prima di Natale per un piccolo intervento ma poi, a causa di una serie di complicazioni, non era più uscito dall'ospedale.
L'attore era nato a Roma il 26 dicembre del 1919.
Figlio di un pittore, nel 1945, appena reduce dalla Seconda guerra mondiale, si era iscritto all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, in cui si diplomò successivamente nel 1948.
Ma già nel 1946 aveva calcato il palcoscenico con Woyzeck di Büchner, prima di avviare una lunga carriera che l'avrebbe visto cimentarsi nelle esperienze di spettacolo più disparate.
Artista fantasioso e versatile, Scaccia aveva costituto nel 1961 - con Enriquez, la Moriconi e Mauri - la Compagnia dei Quattro.
Al lavoro in teatro (dove si ricordano l'interpretazione di Fra Timoteo nella Mandragola di Machiavelli, il Chicchignola di Petrolini e il Negromante dell'Ariosto) ha affiancato una discreta attività cinematografica:
Sul grande schermo debuttò nel 1954 in «Tempi nostri» di Blasetti, interpretando in seguito film di Lattuada, Petri, Bolognini. Fu anche attore televisivo in grandi sceneggiati: interpretò Plonplon in «Ottocento» (1959), Capitan Sandracca ne «La Pisana» (1960), Manilov ne «Le anime morte» (1963), Bompard in «Tartarino sulle Alpi» (1968) e la figura del dottore ne «Le avventure di Pinocchio» diretto da Comencini (1971).
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 22 gennaio 2011

"Le fuggitive" al Teatro Manfredi

Stasera ho visto al Teatro Manfredi "Le fuggitive", un testo di Pierre Palmade e Christophe Duthuron che ha avuto successo in Francia e per la prima volta viene rappresentato in Italia.
Su una strada, si incontrano due donne. La prima in fuga dalla casa di Riposo che la ospita, l’altra, con il vestito delle occasioni, in fuga dalla festa del 20° compleanno della figlia. Si incontrano per caso facendo l’autostop per allontanarsi, fuggire appunto, dalla routine giornaliera e da un mondo che le avvolge loro malgrado.
Due vite che si incontrano e da quel momento si intrecciano. Il loro è un autostop che le porterà a condividere esperienze a loro sconosciute. Interessante interpretazione di Valeria Valeri (classe 1925, che interpreta Claude) e Milena Vukotic (classe 1938, che interpreta Margot).
Margot attraverso questo viaggio iniziatico e con l'aiuto di Claude si libererà dei pesi inutili che la attanagliavano.
Mmmh...ad essere sincero non mi aspettavo che la regia si reggesse tutta sulla scansione narrativa degli ambienti e delle situazioni assurde del testo, impiegando pochi oggetti di scena, mentre alcune diapositive, proiettate in quinta, alludono alla scenografia, per il resto mancante, lasciando agire le due attrici in un palco vuoto.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 15 gennaio 2011

Tengo duro e basta




Chiamami sognatore!
Sento che ho ragione so di avere ragione.
Mi piace la tranquillità, stare in mezzo alla natura, scrivere, pensare, respirare aria pulita e vorrei rimanere in questo stato di quiete.
Penso di non riuscire ad esprimere bene ciò che sento dentro.
Tutto intorno a me resta fermo, immobile.
Io sto cambiando direzione.
Mi sento strano.
Sembra tutto così diverso.
Vedo le stesse cose con occhi diversi.
Sembra che tutti se la prendano con me per la loro infelicità.
Le cose cambiano.
Ma non riesco a controllarmi.
E sono qui.
Nella stanza buia.
Solo io e la solitudine.
C'è questa musica che fa da sottofondo alla malinconia che si alza. Mi sento confuso.
Cerco qualcosa che mi rassicuri.
Guardo la solitudine.
Cerco il suo sguardo.
Eccolo.
Senza aprire bocca m dice che prima o poi tutto cambierà.
Che ogni cosa non sarà più la stessa.
Cosa volete, o gente, dalla vita mia?
Vorrei correre, saltare e fuggire via.
Sono inutile, serio, vano ed incompreso, a volte quasi calmo e inerme, altre teso.
Pensieri liberi e sibillini ora dominano la mia mente, confondo passato e presente alla ricerca di un futuro evanescente.
È l'ora di partire.
Da qualche parte oltre il mare c’è il relitto di una nave.
Oh devo tenere duro, tenere duro.
Devo tenere duro.
Tengo duro e basta.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 6 gennaio 2011

FERISCE PIU' LA LINGUA DELLA SPADA



Le parole feriscono più della spada, come dice un famoso proverbio?
Una spada può ferire quando colpisce il bersaglio!!! Tant'è che l'uomo ha anche inventato strumenti per difendersi... armature, scudi, e ha affinato così tanto la tecnica che la spada viene usata prima di tutto per parare i colpi dell'avversario. Le parole invece non feriscono, LE PAROLE UCCIDONO... uccidono la parte più fragile di una persona, la sua anima, ed ogni colpo è letale... e non siamo stati capaci di inventare strumenti per difenderci, perchè non esistono... inoltre la spada se manca il colpo il pericolo è scampato... le parole anche quando non colpiscono subito,rimangono lì sospese ad osservare il momento migliore per tornare... non c'è modo per evitarlo. Quindi penso che bisognerebbe sempre stare attenti ad usare le parole.... perchè il vostro avversario potrebbe non essere più in grado di rialzarsi. C’era una volta un ragazzo con un carattere irascibile. Un giorno decise di recarsi dal saggio del villaggio per chiedere il suo aiuto. “Saggio, aiutami. Non riesco ad avere degli amici. La gente non ama stare in mia compagnia perché sono spesso critico e irascibile”. Il saggio gli disse: “Prendi questa scatola di chiodi. Pianta un chiodo nella palizzata ogni volta che ti renderai conto di aver dato un giudizio troppo severo, di aver criticato qualcuno ingiustamente, di aver perso le staffe, di aver fatto una battuta troppo sarcastica o di aver detto qualunque altro tipo di cosa spiacevole verso un’altra persona. Quando riuscirai a non piantare nemmeno un chiodo torna da me”. Il giovane annuì e se ne andò. I primi giorni fu un disastro: arrivò a piantare fino a 37 chiodi. Poi gradualmente diminuì. Diventava sempre più consapevole delle sue reazioni e riusciva a controllarle. Scoprì anche che era più facile mantenere la calma che piantare chiodi nella palizzata! Finalmente arrivò il giorno in cui il giovane non piantò alcun chiodo. Tornò dal saggio fiero del suo risultato. “E’ stato difficile ma ci sono riuscito. Eccoti i chiodi che restano”. Il saggio gli sorrise. “Bravo” gli disse. Ora sei pronto per la seconda parte. Torna dalle persone che hai accusato, giudicato o offeso in qualche modo e chiedi scusa in modo sincero per il tuo comportamento. Togli un chiodo dallo steccato per ognuna delle volte che lo farai. Quando avrai tolto tutti i chiodi torna da me”. Il giovane annuì e se ne andò. Questo gli sembrava un compito davvero difficile ma decise di andare fino in fondo. Dopo diverse settimane il giovane tolse anche l’ultimo chiodo dalla palizzata, ritornò dal saggio e gli porse la scatola dei chiodi con fierezza. “Ecco, questi sono tutti i chiodi che ho tolto dalla palizzata, non ne è rimasto nemmeno uno”. “Bravo” disse il saggio. “Ora vieni con me”. Il saggio lo portò davanti alla palizzata e il giovane fu contento di dimostrare che effettivamente non ci fossero chiodi rimasti. Il saggio disse “Che cosa vedi ora?”. “Uno steccato con i buchi dei chiodi che ho tolto”. “Ecco, questo è il punto. La palizzata non tornerà mai come prima. Quando dici delle cose preso dalla rabbia, esse lasciano una ferita, proprio come questi buchi. Non puoi piantare un coltello nella carne di un uomo e poi estrarlo. Non ha importanza quante volte dirai “mi dispiace”, la ferita sarà ancora lì. Anche se hai chiesto scusa ad una persona che hai ferito, il buco rimane. Le nostre parole restano nel tempo. E’ molto meglio comunicare con parole d’amore e di comprensione per poter vedere i frutti nel tempo. ”La fierezza sul viso del giovane si spense rapidamente. Il saggio proseguì: “Ecco, prendi questi semi. Ogni volta che dirai parole d’amore e di comprensione pianta un seme nel tuo giardino. Non dovrai più tornare da me ma ricordati di ringraziare Dio quando potrai godere della compagnia dei tuoi amici all’ombra delle piante che saranno cresciute”. Le nostre parole continuano a vivere dopo di noi, nelle azioni che sono generate nelle persone che ci hanno ascoltato, che abbiamo ispirato. Possono essere fiori o veleno, siamo noi a deciderlo. Noi stessi siamo il risultato di tante parole che abbiamo sentito e ascoltato da diverse persone. I nostri valori, le nostre credenze derivano da altre persone che ce li hanno trasferiti in modo più o meno consapevole. Dentro di noi portiamo la vita delle persone con cui siamo entrate in contatto. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)