giovedì 31 gennaio 2013

Io, contro l'uragano

Io, contro l’uragano.
Sono nato a casa. Al Testaccio, in via Bodoni 45. Allora, si nasceva a casa. E’ nata lì anche mia sorella, Antonella Maria. Mio fratello Stefano è nato invece alla Garbatella. Sempre a casa. A Via Enrico Cravero 20 Ci eravamo trasferiti lì da poco. Simonetta è nata invece a Collevecchio. A via Cavone 1. Come la sorella, Antonella. Sì, avete capito bene: ho una sorella che si chiama Antonella e pure una cognata con lo stesso nome. Viceversa, i mie due figli sono nati in ospedale. Gabriele, il mio primogenito, è nato all’ospedale San Giacomo, alle 20 e 30 di sabato 18 ottobre 1986. Mentre nasceva, la TV stava trasmettendo la sigla di apertura della trasmissione”Fantastico 7” con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini, Alessandra Martines, il trio Lopez-Marchesini-Solenghi e Nino Frassica. La sigla era “Tutto matto” cantata da Lorella Cuccarini. Alessandro, il mio secondogenito, è nato all’ospedale Grassi di Ostia, alle 4 del mattino di mercoledì 9 novembre 1994. Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo splendido brano di Willie Nelson “Georgia in my mind”. Lavoro al Ministero dell’Agricoltura. Da 32 anni. I primi 13 anni in Direzione, al personale. Poi, per 18 anni sono stato all’Ufficio legislativo del Gabinetto del Ministro. Giorni del miele e dello zenzero. E poi è arrivato il giorno della locusta: sono stato retrocesso di nuovo al personale. Pane amaro. Indignazione. Umiliato da un trasferimento punitivo. Ingannato e tradito. L’amicizia svanita nel nulla. Bravo, uomo di passaggio. Un uomo solo, immerso in acqua nera. Un re pallido, senza ritorno. Amico di un uomo che ha corrotto una città. Un serpente, che percorre le strade del male. Chi si crede di essere? Uomo nel buio. Tempesta: del resto negli uffici del Gabinetto ci puoi lavorare solo se sei agganciato ai poteri forti. I pesci affogano. Ho ghiaccio nelle mani mentre mangio arance rosso sangue. Capire il potere, fabbrica del consenso. Non ci sono riuscito. Mi sono perso in una foresta di girasoli. Voglia di giustizia… Quasi quasi mi compro un manuale per l’allevamento di demoni…così, tanto per difendermi e di non fare più la figura del fesso! Ok, sono sottopagato. Socialmente disadattato. E pure un paranoico ipocondriaco. Se per caso sento un dolorino al braccio, penso di essere sull’orlo dell’infarto anche se il braccio è quello destro. Certi disturbi comportamentali non spariscono così, in un amen. Simonetta è andata a Collevecchio. Gabriele è uscito con gli amici. Alessandro sta in biblioteca. All’Elsa Morante. Accendo la tivvù. C’è un dibattito sulle sette. Così vengo a sapere che i capi di queste associazioni esercitano un controllo assoluto sugli adepti, che sono tenuti a rinunciare al loro passato. Scelgono preferibilmente individui vulnerabili e giocano sulle loro insicurezze. Cercano in preferenza soggetti solitari e li convincono ad abbandonare gli amici e la famiglia. Gli adepti cominciano a vedere in loro l’unica fonte di sussistenza mentale. Fare il leader di una setta è molto impegnativo: devono mantenere un controllo ininterrotto sugli adepti, intuire i dissensi e stroncarli sul nascere. Quindi, qualora possano sussistere influenze esterne per strada o in luoghi pubblici, rimangono particolarmente cauti. Nel loro ambiente, al contrario, sono più rilassati. I leader di una setta detengono il potere al cento per cento; sono loro a stabilire come gli affiliati trascorrano ogni minuto del loro tempo. Assegnano loro compiti di ogni genere, anche solo per tenerli impegnati ed evitare che abbiano tempo libero, tempo per pensare. I capi-setta si creano la loro etica, definita esclusivamente in base a ciò che è bene per la setta e per mantenere in vita il culto; leggi e moralità esterne sono irrilevanti. Loro convincono i seguaci che è eticamente giusto fare ciò che loro dicono, o suggeriscono loro di fare. E’ perciò pericoloso affidarsi a questa sette organizzate. Ci rimetti troppo: non ti lasciano pensare come vuoi. Ti controllano. So che sembra stupido, ma non mi piace l’idea di predatori che approfittano della vulnerabilità altrui. Sette. Comunque sia, le sette non vanno confuse con le religioni. Religioni. Per molti la religione non ha una posizione centrale nella loro vita. Sì, celebrano Pasqua e Natale, anche se in quei casi i simboli delle feste sono un coniglio e un ometto allegro vestito di rosso. Queste persone preferiscono trasmettere ai figli la propria etica: regole solide e incontrovertibili, comuni quasi a ogni fede e hanno la fastidiosa sensazione che la religiosità portata all’estremo possa essere molto pericolosa. Hanno una filosofia di vita sorprendentemente semplice: non credono nel bene e nel male, tantomeno in Dio e Satana. Per loro, queste sono astrazioni che distraggono dalla realtà. Improvvisamente un rumore mi allontana da queste meditazioni. Riesco a recuperare i popcorn dal forno a microonde un attimo prima che si trasformino in un’arma di distruzione di massa, com’è successo la settimana prima. Bevo un sorso di passito. Vino da meditazione. Mi avvicino la mia piccola pila di quotidiani e settimanali, dando un’occhiata alla foto di Nicole Kidman. Ho comprato un pollo in rosticceria. Ma quando lo guardo, il mio stomaco si rivolta. Lo metto in frigo per domani, preparando al suo posto un gin tonic bello carico. Prendo fiato e ne mando giù un sorso. Mah. Forse per oggi può bastare Il mio stomaco non gradisce nemmeno quello, ma il cocktail mi aiuta a eliminare un po’ di tensione. E infatti quando lo termino mi metto a sbadigliare. Incoraggiato da questo fausto presagio, mi dirigo in camera da letto. Mi spoglio, lasciando cadere i vestiti dove capita. Poi mi infilo sotto le coperte e spengo la luce. Sospiro, rassegnato a un’altra notte insonne. Intanto penso. Ricordi, sensazioni, cose così… Come gocce di sale e di vento. Cattedrali di smeraldo. Non so perché. Colpevole d’amare. Collevecchio. Ripenso a un giorno di primavera. Mi trovo nell’impossibilità di distinguere la fantasia dalla realtà. Più lontano ancora. Oltre il Parco della Rimembranza, ai margini del cimitero, il mare delle vette d’albero che ondulavano al vento. La fragile luminosità pomeridiana s’incupiva e rischiarava sugli occhi di mia madre secondo il passaggio delle nuvole. E poi, oltre la linea dei campi, il rumore dei trattori che transitavano cigolando a brevi intervalli. Io, bambino selvaggio, mangiavo mirtilli senza lavarli. Dannazione: una cosa divertente che non ho fatto mai più. Collevecchio. Simonetta. Fiore di neve. Una moglie affidabile. A lei piaceva aiutare nonna Ida a preparare il pane. Nonna raccoglieva la farina sino a farne una montagnola e poi ci faceva un cratere, come quello dei vulcani. Il compito della piccola Simonetta era quello di versare dentro il cratere un po’ di lievito sciolto in una tazzina. Poi la nonna Ida cominciava a lavorare la farina con le mani, domandandole ogni tanto di aggiungere altro lievito. Dopo metteva la pasta di pane in due grandi piatti di portata e li sistemava vicino al camino spento, lontani dalle correnti d’aria e con sopra una coperta di lana. L’altro suo compito, e questo le piaceva moltissimo, era quello di andare a controllare se la pasta era lievitata. Sollevava un lembo della coperta e guardava. Quando era triplicata di volume ed era diventata una massa compatta e compiuta, avvertiva nonna che riportava i piatti in cucina e, coltello alla mano, tagliava pezzi di pasta e dava loro forma di pagnotte. Infine cominciava a infilarle dentro il forno. Come è buono il pane appena sfornato! Un altro debolissimo ricordo mi attraversa la memoria, un esile guizzo reminiscente… La figlia dei ricordi. Erano i tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin. Non vedevo l’ora di andare all’università; per quanto mi riguardava, era lì che la vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo. Sacro Cuore dai salesiani, al ginnasio e Socrate, al liceo. In questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a quello che pensavo del mondo. All’università sono diventato un vero studente. Partecipavo alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo. Ricordo i miei primi giorni di lavoro. Come una gabbia. Neoassunto e infimo nella gerarchia. Con uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c’era un lavoro importante di un collega in malattia. Io avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani. Io, contro l’uragano. Da una vita. Ma ora, basta! No, non devo pensare. Smetto di farlo. Devo avere la mente vuota. E’ quello il trucco. Se non avessi niente a cui pensare, non ci sarebbe niente che mi tenga sveglio. Immagino un immenso campo di grano, mosso dal vento, circondato da un alto recinto. Fuori dal recinto ci sono milioni di pensieri: la famiglia, il lavoro, i soldi, eccetera eccetera. Ma il mio recinto è troppo alto, troppo solido, e io non li lascerei entrare. Voglio lessarmi nella mia vasca. Sono proprio sull’orlo del sonno, pronto a caderci dentro senza riserve, quando il telefono squilla. “Pulimanti.” “Mario? Vedo che sei ancora sveglio.” Batto le palpebre per un paio di volte. Per quanto brami il sonno, ci sono cose più importanti. “Ciao, Stefano Va tutto bene?” “Va tutto a meraviglia, Mario. Non è che ti ho svegliato vero? So che sei un animale notturno e dopo le ventitré le telefonate costano meno.” Sbadiglio. “Sono sveglio. Lo sai che puoi chiamarmi quando vuoi, fratellone.” Parliamo del più e del meno. Poi riattacca. Adesso il sonno è lontanissimo. Ricordo mio padre. Per poco non mi usciva di bocca una parola che non pronuncio da ventun anni. La prima in assoluto che ho imparato a formulare, quando ancora non ero nemmeno capace di stare in piedi. Da quando è morto, nella pasquetta del novantadue, non mi sono più capacitato dal non riuscire più a rivederlo davvero. Papà. Ho sempre pensato che mio padre fosse un Dio. Piango, tanto non mi vede nessuno. Ma mamma… mamma era tutto per me. La mia migliore amica, la mia guida, la mia eroina. L’ultimo angelo. Promessa di paradiso. E’ stata lei la ragione che mi ha fatto essere quello che sono ora. Ricordo il dottore dell’ospedale San Camillo, col viso di falco, dirmi “sua madre è deceduta!”. Mamma. L’amore più grande del mondo. Mi ha sempre difeso come una leonessa difende i suoi cuccioli, anche a costo di subire biasimi e critiche. Alle mamme non dovrebbe essere permesso morire. Scaccio con decisione quel pensiero dalla mia testa, per evitare di scivolare nella svenevolezza. Esco così dalla porta delle lacrime. Nel frattempo, rientra Gabriele. “Dove sei stato” gli chiedo quando entra in soggiorno con i suoi jeans chiari e una maglietta rossa. Ha gli occhi un po’ stanchi, ma a parte questo sembra che stia bene. “Che bella accoglienza” replica. “Vuoi rispondermi?” “Se proprio lo vuoi sapere, sono stato a FreakOut ” “Dove si trova?” A Via Poggio di Venaco”. “E che succede lì?” “Non succede un bel niente. C’è birra buona. La gente canta canzoni e si diverte.” “Puzzi di fumo.” “E’ un pub, papà. La gente fuma. Senti se hai intenzione di assillarmi in questo modo, me ne vado a letto. Devo andare alla Scuola di Notariato domani, non te lo ricordi?” E con questa ultima frase Gabriele va a passi pesanti nella sua stanza. Faccio per andargli dietro, ma poi ci ripenso. Per quanto sia agitato, capisco che non è il caso di intraprendere una lunga discussione con mio figlio. Me la vedrò con lui domani. Lo sento fare rumore in cucina, tirare l’acqua del bagno e chiudere la porta della sua camera da letto. Ormai è impossibile tornare a dormire, malgrado la stanchezza. Se avessi un cane lo porterei a spasso. Mi alzo. Mi verso un dito di cognac. Nella stanza accanto tutto tace. Forse con Gabriele ho sbagliato. Ricevuto. Sono stato inescusabilmente malaccorto. Chiaramente. Vado in bagno. Ho voglia di grattarmi sotto le ascelle. Decido di uscire, anche se è molto tardi. Esamino mentalmente il mio guardaroba. Il vestito migliore è di Armani. Normalmente non posso permettermi abiti firmati, infatti questo l’ho comprato in un outlet. Quello di Ponzano Romano. Il prezzo era comunque alto, nonostante lo sconto, però quando lo indosso mi sento molto più sicuro di me. Poi ci ripenso, e torno a letto. Tra le braccia della notte. La vita è un’altra storia. Tartufi bianchi in inverno. La notte ha occhi curiosi. Quando finalmente arriva il sonno, arrivano anche gli incubi. Repellenti. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 30 gennaio 2013

Trasferimento punitivo: alla faccia dell’amicizia!

Trasferimento punitivo: alla faccia dell’amicizia! Un anno fa sono stato trasferito da un ufficio importante ad un posto di secondaria importanza. Trasferimento punitivo. Ne ho perso di prestigio e di guadagno. Non posso pensare.. non posso pensare che un amico mi abbia tradito. Sono sbalordito, ma lo dico con tono assolutamente certo, senza svelare la fonte. Aggiungo che quando l’ho capito sono stato tanto male da avere avuto conati di vomito: per me l’amicizia vera era intoccabile.... Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 28 gennaio 2013

Il giorno della memoria: per non dimenticare

Il giorno della memoria: per non dimenticare Istituito tredici anni fa, il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi), apparve l’inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio in tutta la sua realtà. Il Giorno della Memoria non è una mobilitazione collettiva per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto, un atto di riconoscimento di questa storia: come se tutti, quest’oggi, ci affacciassimo dei cancelli di Auschwitz, a riconoscervi il male che è stato. Solo ad Auschwitz sono stati uccisi quasi un milione e mezzo di ebrei. Shoah è una parola ebraica che significa “catastrofe”, e ha sostituito il termine “olocausto” usato in precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso dava implicitamente un senso a questo evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di sei milioni di persone. La Shoah è il frutto di un progetto d’eliminazione di massa che non ha precedenti, né paralleli: nel gennaio del 1942 la conferenza di Wansee approva il piano di “soluzione finale” del cosiddetto problema ebraico, che prevede l’estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni espansionistiche o da una per quanto deviata strategia politica. È deciso sulla base del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. È una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo “Judenfrei” (“ripulito” dagli ebrei). L’odio antisemita è un motivo conduttore del nazismo. Tra le vittime, dell'antisemitismo ci furono cittadini ebrei di ogni ceto sociale: ricchi e poveri. E coloro che riuscirono a sfuggire al genocidio e ai campi di sterminio furono comunque troppo pochi. Tra costoro ci fu Bruno Zevi che nel 1940, già impegnato sul fronte antifascista, si rifugiò negli Stati Uniti per continuare i suoi studi e sostenere la lotta contro il nazismo insieme ad altri ebrei italiani vittime della stessa sorte, fra cui il futuro Premio Nobel per l'Economia Franco Modigliani che, per le stesse ragioni, aveva lasciato l'Italia qualche mese prima di Zevi. Il Giorno della Memoria non vuole misconoscere gli altri genocidi di cui l’umanità è stata capace, né sostenere una superiorità del dolore ebraico. Non è infatti un omaggio alle vittime, ma una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Non è la pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di persone hanno permesso che accadesse. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 25 gennaio 2013

La crisi del Monte dei Paschi di Siena

La crisi del Monte dei Paschi di Siena
I titoli tossici protagonisti di spericolate operazioni di finanza creativa, hanno fatto un’altra vittima illustre. Anzi due. Il presidente dell’Abi, ed ex presidente di Banca Mps, Giuseppe Mussari, che si è dimesso, e lo stesso Monte dei Paschi di Siena, le cui quotazioni in Borsa negli ultim i giorni sono state più volte sospese per eccesso di ribasso. Il protagonista di questa nuova bufera finanziaria ha un nome in codice: Alexandria. Si tratta di un derivato al centro di un contratto di finanza strutturata tra Mps e la banca giapponese Nomura, che si va ad aggiungere a quello firmato con Deutsche Bank, denominato Santorini. Queste due esposizioni potrebbero costare a Mps un buco nei conti del bilancio 2012 fino a 700 milioni di euro, che dovrebbe essere tamponato con i soldi dello Stato, ovvero i Monti-bond. Un’operazione di ristrutturazione del debito da centinaia di milioni tra Mps e la banca giapponese Nomura (arrivata in Europa con l’acquisto della Lehman Brothers) nel 2009. Responsabili dell’operazione, oltre a Mussari, gli ex Antonio Vigni (direttore generale) e Gianluca Baldessarri (capo della finanza). Il contratto, da qualche mese al vaglio della Procura di Siena, sarebbe servito a Mps per abbellire il bilancio 2009 scaricando su Nomura le perdite di un derivato basato su rischiosi mutui ipotecari che poi i giapponesi avrebbero riversato sul Monte attraverso un contratto segreto a lungo termine. Il contratto non sarebbe stato trasmesso dall’allora vertice della banca senese ai revisori dei conti di Kpmg e a Bankitalia. L’accordo sarebbe rimasto custodito per tre anni nella cassaforte di Vigni. L’esistenza del derivato è stata confermata da Mps, che adesso vede alla guida il tandem Alessandro Profumo (presidente) e Fabrizio Viola (Ad). La bufera potrebbe essere solo all’inizio. Dal punto di vista finanziario, la toppa dei Monti-Bond dovrebbe tranquillizzare sulla tenuta di Mps. Ma per l’immagine della banca senese si tratta di un nuovo, durissimo, colpo. Notoriamente il Monte dei Paschi di Siena rientra nel sistema di potere della sinistra. Del resto esponenti prima del Pci e poi del Pd si sono succeduti ai vertici, se non della banca, certamente dell'azionista di controllo della banca stessa, cioè della Fondazione Monte dei Paschi. Tant'è vero che presidente dell'istituto è stato nominato Alessandro Profumo, simpatizzante del Pd. Gli organi di governo e di controllo di questo ente infatti, unico tra le fondazioni bancarie a rifiutarsi per lunghi anni di scendere sotto il 50% delle azioni dell'Mps, sono da sempre in larga parte composti da membri nominati dagli enti locali della città e della Provincia di Siena a loro volta governati storicamente dal Pd. Inoltre Mussari, presidente dell’Abi, è nell’orbita del Pd e questa sua vicinanza ha agevolato la sua carriera. Effettivamente è stato il sindaco uscente di Siena, Franco Ceccuzzi, del Pd, a chiedere nei mesi scorsi un cambio della guardia alla testa della banca, come poi è avvenuto con l'arrivo a Siena di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. Questo prova l'influenza che gli esponenti del Pd hanno sempre avuto sul Monte dei Paschi di Siena e sul suo azionista di riferimento. Per questo motivo Beppe Grillo ha detto che: “quello che hanno fatto alla banca e` peggio della tangentopoli di Craxi e di Parmalat insieme. Hanno fatto di un partito una banca e di una banca un partito”. Al contrario Pierluigi Bersani afferma che: ''non c’è nessuna responsabilità' del Pd. Il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche''. Certo non si possono fare derivare responsabilità dirette del Pd per i contratti derivati che sono stati sottoscritti dall'Mps o per altre sbagliate scelte gestionali dei vertici della banca senese. Ma il Pd, anche se non è direttamente responsabile degli illeciti finanziari commessi durante la gestione Mussari, non può neppure chiamarsi completamente fuori da questa vicenda. E così ora, mentre il titolo crolla in Borsa, l’istituto viene salvato in extremis da un prestito governativo di 4 miliardi di euro. Per l’anno prossimo è previsto un vertice rinnovato, con una ricapitalizzazione da parte di privati e un drastico ridimensionamento del personale. E’ proprio vero: per le tasche di noi poveri cittadini Italiani non c’è pace! Lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena non è solo una vergogna ma un vero e proprio danno per noi cittadini. E guarda caso, questo buco di MPS corrisponde esattamente a quanto prelevato con l’IMU da Monti dalle nostre tasche… Guarda caso! Ora però un dilemma mi opprime: ho un euro e non so se comprarmi il caffè o 15 azioni del MPS. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 24 gennaio 2013

Tristezza di una moglie

Simonetta è triste, oggi. Piange la morte della mamma della sua amica Simonetta Bareato. Alla mamma della professoressa Bareato, lei era molto affezionata. La triste notizia l’ha veramente colpita. Cerco di consolarla, inutilmente. Purtroppo accade in un solo momento ciò che non vorremmo accadesse mai. Quando una persona muore, quando non possiamo più toccarla o sentire la sua voce, sembra scomparsa. Per sempre. Ma il ricordo delle persone che ci sono state care non morirà mai. Più forte di qualsiasi abbraccio, più importante di qualsiasi parola. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 18 gennaio 2013

CRONACHE DELLA FAMIGLIA PULIMANTI

CRONACHE DELLA FAMIGLIA PULIMANTI
Mi alzo dal letto e mi muovo a passi incerti verso il bagno e la promessa di pulizia della doccia. Sento il sudore scivolarmi come un dito freddo e sudicio per la schiena e, mentre regolo il miscelatore, prova nel mio intimo il desiderio di sciogliersi come una statua di sale sotto al forza del getto caldo e mescolarmi con l’acqua e con l’acqua scomparire per sempre, giù in fondo alla terra. Non riesco ad agire perché per tutto il tempo, nonostante gli scoppi d’indignazione, penso di commettere un terribile errore, una sequela di terribili errori. Sono un cacciatore di stelle cadenti. Le cose non possono stare come io sono sempre più certo che stiano. “Che cosa sto facendo?” mi chiedo sgomento mentre ritraggo il pugno che ha appena sfiorato la parete, contrito; mentre distruggo deliberatamente la mia carriera. Ho sempre creduto di avere un romanzo in testa. Pensavo che la svolta del mio destino, il mio colpo di fortuna, mi avrebbe consentito di scriverlo. Ho scarabocchiato migliaia di frasi banali in questi mesi, e non riesco a trovarlo. Non c’é. Se c’è, é nascosto. Nei confini di un giardino. Dall’ottantaquattro mi trovo a Ostia, nel cuore dell’Italia. Ho raccontato ad un mio amico che sono un maniaco omicida uscito da un manicomio criminale grazie a un cavillo giuridico. Per questo, secondo me, mi abbraccia ogni volta che ci vediamo: vuole farmi vedere che mio è amico oppure vuole accertarsi che io non abbia addosso un’ arma. Non sono sicuramente un lettore con la puzza sotto il naso perché, accanto a molti classici, gli scaffali della mia libreria sono pieni di romanzi di evasione. Simonetta, lettrice dei fiori.. A volte si perde in una specie di mondo degli spiriti. Colpa delle stelle. Finché le stelle staranno in cielo. Belle per sempre. Spesso arriva in punta di piedi. E’ una donna temprata da mille battaglie familiari, forse un po’ scettica e miscredente, caratteristica che cade a pennello quando si tratta di smorzare gli impeti di Gabriele e di Alessandro. Tutto per amore. Gabriele, grandi speranze. Alessandro, una mano piena di nuvole. I segni rossi del coraggio. Con la passione della giovane età, in alcune occasioni si fanno trascinare dalle idee eccessive che nutrono. Suona il campanello. Apro la porta. Alzo gli occhi e guardo mia sorella e mio fratello. Che sorpresa! Stefano, in piedi accanto alla porta, mi scruta perplesso. Poi mi abbraccia. “Sei il mio fratellone, no?”. Con le mani appoggiate ai braccioli del divano, Antonella si rimbocca il vestito. Antonella, di noi tre, è quella anomala. Magra, con un’espressione costantemente tesa, animata, da sprazzi di vera energia. Così era mamma. Mamma Ernesta, più dolce delle lacrime. Tenera come la notte. Papà Valeriano, bello per sempre. Non c’è ritorno. Comunque, ora sono di buonumore. Nel giro di pochi minuti uscirò con Stefano a godermi Ostia. Incontriamo un tossico. Un tossico vero. Va fuori di testa. Discorsi mistici. Jonesco puro. D’impulso rispondo: “Non importa che la tua fede discenda da Geremia e da Gesù, da Allah e da Maometto, o da Brama e Buddha, qualcuno ti dirà che sbagli e per questo ti combatterà”. Fa un ampio sorriso. E se ne va. “Che vuoi dire?” fa Stefano. “Cavolo ne so. Era lì che parlava e mi è venuta in mente questa risposta.” Stefano apre un pacchetto di sigarette. Ne accende una. Fa una risata sonora, con il fumo che gli esce dalla bocca e dalle narici. “Gli integralisti sono pazzi” dice. “Meglio evitarli. Mi ci è voluto tanto per impararlo, ma ci sto arrivando” rispondo sorridendo. “Bene. Spero che ce la farai”. E mi da un colpetto sulla spalla facendomi un cenno d’intesa. Il tempo è stupendo. Mi sento bene. Sono circa le sei di pomeriggio quando ci fermiamo su una panchina di fronte al Pontile. Ostia è bellissima a quest’ora del giorno. Ci saluta un musulmano. Lavora sotto casa mia, a un autolavaggio dove spesso porto la mia macchina. Dice: “gli ebrei sono gente del Corano. Come Gesù, che è riconosciuto come un profeta molto importante dall’Islam ma non è un dio. Esiste un solo Dio e soltanto Maometto ha comunicato al popolo la vera parola di Dio. Ma David e Ibrahim, che voi chiamate Abramo, sono importanti profeti per l’Islam e noi li rispettiamo per ciò che hanno fatto. Sono stati Ibrahim e suo figlio Ishmael a costruire la Kaeeba e a imporre la pratica dell’Haji, il pellegrinaggio alla Mecca.” Comincio a spazientirmi. “Grazie per la lezione di teologia, ma tutto questo cosa c’entra con il mio saluto?” Va via. Offeso. Un’amica mi raggiunge e rimane in piedi accanto a me. E’ struccata; il suo viso è luminoso e delicato. Indossa jeans e una t-shirt. Porta dei sandali aperti. “Spero che tu non mi consideri troppo spregiudicata se ti invito a cena stasera”, dice scherzando. “A cena?” La guardo come se avessi scarsa familiarità con la lingua parlata dalla ragazza. Mi dice: “Più siamo diversi e più siamo uguali”. Sciocchezze buddiste. Declino l’invito. Tengo fermo il timone dell’Enterprises. Rientriamo a casa. La casa dei destini intrecciati. Stefano si avvicina al carrello dei liquori e si prepara un bicchierone di whisky. Con soda. Per me vodka tonic. “Sta andando tutto bene?” dice Simonetta con un sospiro, abbassando la testa. Non so cosa fare. Tento di abbracciarla. Rimango seduto con il mio imbarazzo. La guardo a bocca aperta. “Non preoccuparti” dico. Il suo sguardo si distende. Sorride e mi stringe il braccio. Risponde al cellulare. Mmmh, quanto è buona questa vodka! Stefano annuisce, guardandosi il drink. Dalle finestre aperte davanti a me vedo il buio che scende su Ostia. Entra un venticello caldo profumato di mare. La gente di Ostia possiede il mondo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 16 gennaio 2013

Fare outing

Non ritengo sia una forma di esibizionismo ma una libera scelta infrangere la riservatezza, dichiarando la propria omosessualità, come hanno fatto per esempio -tanto per citarne alcuni- Alessandro Cecchi Paone, Tiziano Ferro o Jodie Foster. Il fare outing credo sia un momento di liberazione di chi, dopo essere stato costretto a vivere in modo più o meno segreto la propria sessualità, ritenga di poterne finalmente parlare senza sensi di colpa e in assoluta libertà. Questa scelta, se avviene senza eccessi o inutili ostentazioni, merita il massimo rispetto. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 15 gennaio 2013

CAMBIARTE IL DESTINO (STORIA DI UNA TRANS)

CAMBIARE IL DESTINO (STORIA DI UNA TRANS) Salve, sono un etero dichiarato. Esatto, ma non omofobo. Oh, sì: favorevole al riconoscimento delle coppie omosessuali. Gìà: non apprezzo i fanatici che hanno voluto la legge 40. Ah, dimenticavo: nemmeno quelli che si sono comportati in modo spiacevole sulla vicenda Englaro. Okay: I maschi degli animali scelgono sempre femmine della loro specie. Sì, lo so: é l’istinto stesso che li guida. Certo, nel caso degli uomini, c’è anche la ragione a innalzare muri. Proprio così: e, per farsi beffa di loro li costruisce di vetro. Cavolo, è possibile a volte trovare piccole zone d’ombra, che tuttavia non costituiscono un vero rifugio nel sole accecante del viaggio, ma solo una condanna per chi nell’ombra è costretto a nascondersi per tutta la vita. Come, Raffaella. Prima del cambiamento di stato anagrafico si chiamava Marcello. Ottenuta la sentenza positiva, tutti i suoi documenti sono stati modificati per sesso e per nome. Infatti, secondo la legge italiana un transessuale da uomo a donna diventa donna a tutti gli effetti, compreso il diritto di sposarsi ed adottare. Altri particolari? Marcello: all’asilo guarda gli altri bambini ed é convinto di essere una femminuccia pur avendo il pene. Purtroppo sì: scopre di essere un uomo solo nell’età dello sviluppo. Vengo subito al dunque: é magrolino, molto sensibile e chiacchierone. Non ha forza fisica, il suo maestro dice che é troppo sensibile. La competitività lo spaventa e non ama i giochi aggressivi. A 24 anni sposa Donatella. I rapporti con lei precipitano quasi subito. E’ innamorato di Donatella, ma preferisce i baci e le carezze alla penetrazione. A un certo punto comincia a mettersi i suoi vestiti e le sue scarpe. Si traveste, cercando di coinvolgerla. Lei non ne vuole sapere, guardandolo come se fosse un pazzo. Un anno dopo si separano. Bene: si rade il pube. Vedere la pelle bianca, liscia è una rivelazione. Non si ferma e depila tutto il corpo. Ecco cosa ha rimosso da sempre: l'essere una donna! E’ nata Raffaella. Subito dopo, comincia la terapia con lo psicologo. Sono necessari due anni di analisi per poter far richiesta al tribunale del cambio sesso. Dopo numerose perizie psicologiche e mediche Marcello ottiene il permesso di potersi operare. Al procedimento, svolto a porte chiuse, partecipano il giudice, uno psicologo di parte con una dichiarazione giurata, uno psicologo nominato dal giudice ed un endocrinologo, anche lui nominato dal giudice. L’intervento di Marcello, che ha ad oggetto la trasformazione del pene in vagina, dura quattro ore. Sono necessari tre mesi prima che Marcello (ora Raffaella) possa essere dimessa dall’ospedale. Ha continue emorragie, problemi di cicatrizzazione e la paura che la neo vagina si richiuda, come spesso accade a chi si sottopone ad un tale intervento. Trascorre un mese in camera iperbarica. I primi tempi, è un inferno fare la pipì. Il seno Raffaella lo rifà pochi mesi dopo. Poi interviene chirurgicamente sia sulle corde vocali che sul pomo. Malgrado siano necessarie ulteriori operazioni per guarire completamente dalle emorragie che la perseguitano per più di quattro anni, non si pente mai. Quest’anno le comunicano, durante un controllo di routine, che ormai è guarita. Per tutta la vita, dovrà fare uso di ormoni ma non importa, perfino nei suoi documenti, attraverso procedimento di rettifica, è stato cambiato il suo sesso e il suo nome. Però non potrà mai sposarsi in chiesa. Gli unici documenti che non riesce a cambiare sono quelli richiesti per il matrimonio ecclesiastico, il certificato di battesimo, di comunione e di cresima. Ma che colpa ha lei, se è nata incastrata in un corpo che non le apparteneva? A giugno dell’anno scorso conosce Francesco. Lo sente avvicinarsi sempre di più a lei, attratto suo malgrado in quella danza eterna tra fiamma e falena. Al Fontane del Gianicolo, durante un concerto estivo, le dice parole bellissime. Mentre parla, Raffaella lo vede cedere ma non lo sente accettare. E la titubanza di Francesco diventa per lei, invece che tenerezza, un’apparenza di forza. Si indurisce e nasconde. E, come sempre, fugge. Lo allontana per il timore esausto di una nuova illusione, un nulla di fatto reso ancora più doloroso da quello che prova per quell’uomo e che non ha mai provato prima, con quella forza e quella violenza. E adesso é rimasta sola per l’ennesima volta, con accanto la compagnia indesiderabile della vergogna. Chiude l’acqua della doccia e si sporge dalla cabina per afferrare l’accappatoio. Indossa l’indumento e inizia a strofinare i capelli con il cappuccio mentre posa i piedi sul tappetino di spugna davanti a lei. Lo specchio è coperto di vapore e la sua immagine è solo un movimento indistinto e senza forma dietro una cortina di fumo immobile. Così rimane anche lei per un attimo, immobile, indecisa se asciugare lo specchio e cercarsi di nuovo sotto quel velo d’acqua sottile. Poi gira la testa e finisce di asciugarsi. A piedi nudi, esce dal bagno e raggiunge la camera da letto. Si veste rapidamente con un jeans e una maglietta comoda, indossa un paio di scarpe sportive ed esce. C’è una sola differenza, rispetto a prima. Una nuova consapevolezza. Ha trovato il suo equilibrio psicofisico, Troverà anche un compagno che la ami e contraccambi il suo amore: sì, potrebbe essere proprio Francesco. E’ una trans e lo dichiara senza paura. Non ha le mestruazioni. Non può avere figli. Ma vuole vivere alla luce del sole. Raffaella ha cambiato il suo destino. Ora sorride. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 14 gennaio 2013

Sesso in cucina

La libido vacilla e il talamo annoia al punto tale che neppure la più sensuale delle guepière riesce a risvegliare gli stanchi sensi. Certo, non è ancora arrivato il momento di mettere la sensualità in pensione. Ehilà, basta affinare la fantasia e trovare nuove rotte. E se il letto annoia, il divano é troppo scontato e la casa non è dotata di un ascensore che prometta una bollente risalita, ecco sbucare dal cilindro la “sexy room” del momento. La cucina. Sì, proprio il regno della casalinga, quello fatto di pentole, mestoli e coltellacci. Tra un minestrone che bolle e un brasato che si rosola la fantasia erotica galoppa, quasi a far invidia a Jack Nicholson e Jessica Lange, magistralmente avvinghiati su un tavolino dopo che lui ha trillato il campanello per ben due volte. Non è la perversione del momento, ma è la nuova tendenza del sesso domestico. Nei sogni di noi italiani a quanto pare le lenzuola di seta, gli avvolgenti materassi ad acqua e i celebrati effluvi di N.5 hanno lasciato il posto a tovaglie quadrettate, ampi grembiuli, zaffate di aglio e peperoncino e tavoli sui quali… consumare. Del resto con il frenetico modificarsi della vita non poteva che cambiare anche l’uso dello strumento che ci appartiene di più: la nostra casa, appunto. Sfidando le ire dei nutrizionisti ormai si mangia in salotto, davanti a maxi schermi che lasciano i più con la forchetta sospesa tra una soap e una partita. Le camere da letto sono diventate delle biblioteche, sommerse di riviste, libri, computer portatili e blocchi notes: letti come immense scrivanie dove tra penne e quotidiani anche il più ben disposto degli spiriti cerca un’altra strada. Non rimane che la cucina: avvolgente, calda, sensuale, ahimè spesso disertata dalla donna che trascorre ormai la maggior parte del proprio tempo fuori casa. Bisognava pur consegnarle un nuovo ruolo. E cosa c’è di più nobile di votarla a talamo: luci soffuse, profumi che se non inebriano i sensi senza dubbio stuzzicano l’olfatto e il gusto, qualche fantasia la fanno pur venire. Diciamolo, gli ingredienti ci sono tutti, basta saperli cogliere: i grandi amatori teorizzano da secoli che il sesso va giocato coinvolgendo tutti i cinque sensi. E se poi si vuol strafare, si possono allargare gli orizzonti, d’altra parte le moderne soluzioni di design di spazi sui quali accoccolarsi ne offrono più d’uno. Il tavolo è scontato? C’è il piano lavoro, ci sono le sedie che diventano sempre più poltrone e meno sedili. Insomma, aguzziamo l’ingegno. Un solo piccolo accorgimento. Occhio ai nuovi spazi, oggi tanto di moda: se le alcove infatti avevano il dono della privacy, la cucina e gli spazi aperti non si sono ancora attrezzati, e con porte inesistenti e ampie vetrate come vuole la moda, è molto facile passare da un momento di intimità ad una pubblica esibizione. Questo sì che sarebbe fare una frittata! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 11 gennaio 2013

Tutto a posto e niente in ordine

Tutto a posto e niente in ordine
Preparatevi, perché la mia visione del mondo potrebbe non coincidere esattamente con la vostra. Mi chiamo Mario. Mario Pulimanti. Ed abito a Ostia. Mi sembra di essere affacciato dall’alto e di trovarmi ad osservare un abisso con i piedi appoggiati su un pavimento di vetro. Rientro a casa dal lavoro. Sono seduto su un duro sedile di un vagone del metrò. Socchiudo gli occhi, perso nelle mie riflessioni. Sarà per il fatto che sono stanco. Sarà perché mi sento una fame da lupi come mi accadeva quando avevo appena dato un esame all’Università. Non lo so. Però penso, penso, penso… Non sono certamente un uomo con una posizione appetibile. Sono solo un funzionario statale bloccato al nono livello da molto tempo. Da quando va avanti questa storia? Da 35 anni. Funzionario statale suona, comunque, un po’ stalinista, a mio parere. Penso ad un mio amico del quale sono stato il testimone di nozze. E’ una cosa che fra uomini come me dovrebbe rappresentare un legame per tutta la vita. Eppure ultimamente ci siamo visti poco. Ora fa il prefetto. Ho deciso, appena torno a casa gli telefono. Parola di giovane marmotta. Ma ecco che, riflettendo e rimuginando, a un tratto mi trovo, ahimè, coinvolto in mistiche congetture. Mio malgrado, sia ben chiaro! Ecco, davanti a me vedo il discepolo senza nome vicino a Maria di Cleofa, mentre al suo maestro crocifisso gli viene inferto un colpo di lancia nel petto. Intanto Anna, il sacerdote assassino, ride del Gesù morente sulla croce, insieme a Satana, capo delle forze del male, che perde però la battaglia definitiva quando Cristo, l’Unto, risorge. “Eli, Eli, lemà sabactàni?” Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Io, cattolico romano alla Marchese del Grillo, mi servo del dogma per uscire fuori dai miei dubbi razionali. Quindi penso al Corano, che non ha difficoltà nell’esortare a diffondere le sue verità religiosa anche con la forza fisica. E’ facile dire che la nostra arma è la parola. Mi ricordo che alcuni giorni fa ho rivolto queste mie devote perplessità a Stefano, mio fratello. Ricordo anche che lui, sornione, mi ha lanciato un’occhiata stupita, consigliandomi di non fumare troppo pakistano nero. Mah… Cosa avrà voluto dire? La metro va e io continuo a pensare. Il cattolicesimo non prevede la fine imminente di questo mondo e si aspetta l’instaurazione del regno di Dio, non tramite una campagna politico-militare, né mediante la conquista politica del potere. Il suo messaggio è diverso da quello dell’Islam. Questo anche per merito del pensiero politico liberale sviluppatosi in Occidente nel secolo scorso, anche per merito di cattolici-modernisti come Hugues-Félicité, Robert de La Mennais, Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini e Alessandro Manzoni, secondo i quali la religione è un’attività separata e distinta dalla politica. Invece l’Islam è rimasto antico, non avendo mai operata questa separazione tra religione e politica. E se Mazzini fosse nato a Beirut, invece che a Genova? Ah, tra un pensiero e l’altro non mi sono accorto che seduto a fianco a me c’è un mio amico, Pierangelo. Sta leggendo notizie della sua Roma sul quotidiano sportivo. Per lui niente è stato semplice. Mai. E’ molto tempo che non lo vedo. “Come stai?” gli chiedo. “La storia di sempre. Io che inseguo te che insegue lei che in segue lui. Sfuggire a persone che mi cercavano quando scoprivano che sono così e veder fuggire per lo stesso identico motivo persone che cercavo io.” “Non c’è mai stata nessuna?” “Oh, sì. Come in tutte le storie di delusione che si rispettino, c’è stato un attimo di illusione. C’era una ragazza nel posto dove stavo prima. Era allegra e simpatica. Faceva la veterinaria. Avrei dovuto saperlo che quando si vive fingendo l’amore è facile vederlo anche dove non c’è. Però quando stavamo insieme mi faceva ridere fino alle lacrime.” “E poi cosa è successo?” “Quello che succede sempre. Le risate sono finite e sono rimaste le lacrime.” “Mi dispiace.” “Dispiace anche a me. Così, eccomi qui. C’è una storiella molto efficace come esempio. Quella del sognatore, del pazzo e dello psichiatra. Il sognatore costruisce castelli in aria, il pazzo ci abita e lo psichiatra riscuote l’affitto.” “Vale a dire?” “Sì, Mario. La mia esperienza mi ha insegnato infatti che è molto difficile che una coppia sopravviva a una crisi economica grave e all’angoscia che ne deriva, ma è pure molto difficile che sopravviva all’agiatezza e alla noia. Non solo, direi che le difficoltà economiche uniscono e, addirittura caricano una coppia di progetti, ma il denaro separa, e carica una coppia di problemi. Io credo che le difficoltà spesso inizino quando le coppie risolvono i loro problemi e gli rimane il tempo di veder morire la sera nei loro salottini, guardandosi in faccia. Quando hai problemi, non vedi la faccia; vedi il futuro. Quando non ti resta che la faccia, è un brutto affare”. “Hai ragione, Pierangelo. Credo anch’io che le grandi crisi domestiche si origino così.” “In effetti, Mario, per una coppia di sposi è molto facile avere un progetto di vita comune: entrambi pensano allo stesso tempo ad andarsene di casa, trovare un appartamento, ammobiliarlo, sfogliare i dépliant delle agenzie di viaggio e pianificare una scopata.” “Già. E questo invece di risolvere le cose non fa altro che aumentare la confusione”. Pierangelo allarga le braccia in segno d’impotenza, dicendo: “Sì, perché questo fa pensare ai giovani sposi che la vita abbia un senso e che siano nati l’uno per l’altra. Ma gli anni di matrimonio a poco a poco modificano la situazione, con la persistenza di una goccia d’acqua. Nulla garantisce che il progetto di vita che desidera il marito coincida con il progetto di vita che desidera la moglie; non solo, uno dei due finisce per intralciare l’altro. Dopo un po’ sono due perfetti sconosciuti che si incontrano, si guardano, si rifiutano e cercano rifugio altrove. Ma non temere Mario, poiché la saggezza occidentale ha previsto tutto: ormai ci sono rifugi eccellenti, come il lavoro, i pettegolezzi con le amiche. Il cinema, il teatro e il campionato di calcio. Chi crede che in una casa ci sia un mondo, si sbaglia: ci sono due mondi. Nemmeno i figli rinnovano il primo progetto comune, perché per i figli ciascuno ha un progetto diverso”. Arriviamo alla stazione di ostia Centro. Scendiamo dalla metro. “Buona fortuna, Pierangelo. Sei un uomo in gamba ma penso che in ogni caso tu ne abbia bisogno”. Con un sorriso, quest’uomo straordinario mi tende la mano. Salgo sullo 01, pensando: ci sono storie d’amore, o per lo meno amori che durano quindici giorni. Tutte quelle coppie che il sabato riempiono i bar di Piazza di Spagna, di Piazza Venezia, del Pantheon, di Fontana di Trevi a Roma o di Piazza Anco Marzio a Ostia e che giurano di amarsi fino a che non nasca una nuova avventura sono più felici di Pierangelo. Almeno hanno un destino sentimentale assicurato fino alla fine del mese, mentre lui non ha niente, tranne i suoi libri, il panorama della finestra di casa e quei maledetti ricordi di donne che non ci sono più.” Decido: prima di andare a casa, mi regalo una passeggiata sul lungomare. E così, seduto su una panchina del Pontile, di fronte al mare immagino di essere un maestro di alchimia, l'antica arte considerata la progenitrice della chimica moderna, che veniva praticata nei tempi andati ed il cui obiettivo principale era la ricerca della famosa pietra filosofale, che si credeva potesse guarire tutte le malattie ed avesse la capacità di trasformare i metalli in oro, cosicché chi l’avesse posseduta sarebbe potuto diventare come un novello Re Mida, sovrano entrato nella mitologia per trasformare tutto ciò che toccava in oro. Nella serie fantastica di Harry Potter la pietra filosofale compare nel primo episodio, che ha appunto questo titolo, ed è custodita in un corridoio segreto ad Hogwarts da un enorme cane a tre teste. Ma questa è un’altra storia. Intanto io per un attimo mi illudo appunto di essere un famoso alchimista che, dopo una vita spesa negli studi, ha finalmente trovato la possibilità di coronare quello che per secoli è stato il sogno non realizzato di tanti alchimisti, la pietra filosofale, portatrice sana di ricchezza e di gloria! Mah… Tutto a posto e niente in ordine. Torno subito, purtroppo, con i piedi per terra augurandomi che le prossime elezioni possano regalarci, se non proprio una pietra che trasformi il metallo in oro, almeno una bel Governo che sia in grado di trasformare il nostro stipendio se non in oro quantomeno… in argento! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 7 gennaio 2013

SE TI ABBRACCIO NON AVERE PAURA

SE TI ABBRACCIO NON AVERE PAURA
Londra vibra, e Walter ci si immerge con gioia. Londra avvolta nella nebbiolina e nel denaro, con un odore che Walter conosce bene. Ha lavorato per anni presso lo studio legale inglese Berwin Leighton Paisner . Ora è in pensione. Entra all’All Bar One, vicino alla stazione ferroviaria di London Bridge. Lui ha i propri orizzonti sessuali: questo sì, questo no. Si siede. Prende un hamburger con le patatine. E una St. Peter Old style porter. Una birra artigianale. Favolosa. Guarda il vuoto attraverso la finestra del vecchio bar. Quel vuoto è pieno di cose: una donna sugli ottant’anni chiede l’elemosina per mantenere i genitori, un vecchietto guarda il culo delle passanti e, siccome non può alzare ormai più niente, alza un sopracciglio, una spazzina municipale insegue brandendo la scopa un cane cagone e pure di destra, un orientale appena arrivato rovista tra il sudiciume dei portoni e nel frattempo si offre come maggiordomo filippino. Ma Walter vede solo il vuoto, che è quello che resta nella vita dopo aver visto tutto. Davanti a lui si siede Danielle. Agente della polizia metropolitana di Londra. Che fragranza il profumo del suo corpo! Bella, calda e croccante come il pane appena sfornato. Quando la vede, Walter le sorride. Walter é un tipo che l’età pone al di sopra di ogni sospetto, ma che in modo simpatico e affettuoso ha sempre dichiarato di avere un debole per lei. Danielle ha accettato quel corteggiamento fittizio che dura da tempo, senza arrivare mai a essere invadente o allusivo. “Io desidero un lavoro, come quello della poliziotta, che mi consenta di prendere di criminali e di farli finire in galera, a prescindere da quello che guadagno. Il tuo lavoro da avvocato, Walter, consiste invece nell’esatto contrario: aiuti dei criminali a uscire di galera in funzione di quello che guadagni.” “Ecco qui. Fine del sogno proibito.” “Quale sogno proibito?” “Un bel giro per Londra, con una McLaren MP4-12C, in una giornata come questa,, con una bella donna come te.” Danielle le sorride mentre spinge il pulsante dell’ascensore. “A volte bisogna osare, Walter.” “Danielle, alla mia età? Quando ero giovane avevo il timore che le donne mi dicessero di no. Adesso ho il terrore che mi dicano di sì.” Danielle ride. “Se ti abbraccio non avere paura” le dice Walter. “Buona giornata, Walter.” “A te, Danielle.” Walter torna a casa. Entra nel portone. Nell’ascensore incontra Celestine, la nuova inquilina del terzo piano. E rimane abbagliato: vede labbra di pianta carnivora e immagina labbra vaginali dolci e fragili come bachi di seta. Pensa che da quando é impotente è diventato un poeta, forse perché le donne si riempiono di parole quando non si possono riempire d’altro. Pensa che Celestine sia piena di cose dolci, ma in altri tempi avrebbe pensato che fosse piena di cose sordide: gambe da mordere, un ventre da schiacciare, natiche da aprire, una lingua da fare a pezzi. La guarda con apprensione. La saluta. Le volta le spalle. E se ne va trascinando i piedi. Entra dentro casa. Si siede sul divano. Accende la tivvù. Beve un bicchiere di Legacy by Angostura”, Rum torbato. Miscela di distillati eccezionali. Poi si addormenta, sognando Danielle. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 2 gennaio 2013

BEFANA 2013

Amo Babbo Natale. Però da buon romano gli preferisco la Befana. Non é uno scherzo. Ve lo giuro. Sì sto parlando proprio di lei, della misteriosa vecchina che, a cavalcioni di una scopa, con il suo naso aquilino e indossando un gonnellone scuro e ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle e un fazzoletto in testa, porta doni ai bambini buoni la notte tra il 5 e il 6 gennaio. A quelli cattivi porta invece una calza piena di carbone. I bambini le preparano, in un piatto, un mandarino o un’arancia e un bicchiere di vino. Il mattino successivo insieme ai regali troveranno il pasto consumato e l’impronta della mano della Befana sulla cenere sparsa nel piatto. In definitiva, lei è la personificazione della festività dell’Epifania che ricorda in ambito cristiano l’omaggio che i Re Magi offrirono a Gesù Bambino. State scuotendo la testa? E va bene, é giusto così. Sforzandomi di apparire rispettoso ma risoluto, non mi rimane che cantare allora: ” La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, col cappello alla romana: Viva, viva la Befana!”. Basta così. Spengo il pc. Sono troppo stanco per scrivere ancora. La testa mi fa male. Allungo la mano per tastarmi la fronte e sento un forte bruciore. Mi sdraio sul letto, giro lentamente la testa e socchiudo un occhio. Domani è il 6 gennaio. Mi chiedo: cosa mi porterà la Befana? Poi mi addormento. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)