lunedì 31 marzo 2014

Clandestini sbarchi

La crescente instabilità politico ed economica di tanti Paesi dell’Africa è la causa principale dell'aumento degli sbarchi clandestini dalla coste africane. Difatti la povertà crescente e la mancanza di prospettive spingono migliaia di persone a fuggire dalle proprie terre d'origine per rifarsi una vita altrove. Di fatto i clandestini provenienti dall’Africa arrivano in Italia su barconi malandati, ammassati in modo disumano ed in condizioni igieniche proibitive, lasciando le loro case nella speranza di trovare un lavoro ed una vita migliore, ma quasi sempre la realtà è diversa. Giunti sulle coste italiane sono ospitati in centri di prima accoglienza e poi rimandati nel Paese di provenienza, in quanto privi di ogni permesso di soggiorno e documento: coloro che riescono ad eludere i controlli hanno, comunque, poche possibilità di trovare un lavoro onesto e rischiano di andare ad infoltire la schiera dei disperati che vivono di piccoli espedienti nelle grandi città. Molto spesso questi migranti clandestini, dopo essere stati costretti a pagare grosse somme di denaro alla criminalità organizzata per poter compiere il viaggio, senza alcun documento e senza alcuna prospettiva di lavoro, diventano anch’essi dei criminali. L’incentivo agli sbarchi è inoltre determinato dalla cronica assenza dell'Europa, che considera il tema dell'immigrazione clandestina più un problema italiano che un'emergenza europea. Però sarà difficile risolvere il problema dell’immigrazione fino a quando questo argomento verrà trattato solamente come una questione di ordine pubblico o di accoglienza dato che i crescenti flussi migratori si possono gestire con fermezza, lungimiranza e risorse economiche e non con un generalizzato solidarismo o un semplice pugno di ferro. E’, dunque, compito dello Stato mettere fine al giro degli affari illegali collegati all’immigrazione clandestina che ogni anno garantisce alle organizzazioni criminali un fatturato di milioni di euro. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di aumentare i controlli ed il pattugliamento in mare in accordo con gli altri Paesi interessati al fenomeno; in ogni caso è indispensabile sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sul problema e fare in modo di eliminare le cause dell’immigrazione clandestina. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Lotta vera all’evasione fiscale (vietato tassare i ricchi: dipendenti e pensionati unici tassati)

I lavoratori dipendenti, pur avendo un reddito medio di venti mila euro, guadagnano di più degli imprenditori e di molti lavoratori autonomi come i professionisti, gli avvocati, i medici ed i commercianti. Perciò i conti non tornano se si pensa che i lavoratori dipendenti ed i pensionati (che percepiscono redditi tassati alla fonte) costituiscono quasi il 90% dei contribuenti italiani. Nonostante ciò non si è mai parlato, nel contesto della spending review, di lotta all'evasione fiscale, che invece sarebbe l'unica fonte dove trovare risorse necessarie per far ripartire l'economia italiana. Fonte che da sola garantirebbe introiti superiori a quelli che si potrebbero ottenere con la somma di tutti gli altri interventi settoriali di cui si parla in questi giorni. Probabilmente questa soluzione non viene adottata per la paura di perdere consensi elettorali. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 28 marzo 2014

Odio l’euro

L’Euro ha causato un trasferimento di produzione industriale da tutti i paesi periferici verso la Germania. L’Europa non ha da tempo una dinamica crescente nella produzione, a causa della concorrenza asiatica, ed al suo interno c’e’ un solo vincitore (la Germania) e tanti sconfitti (tutti gli altri stati membri). La dinamica in caso di mantenimento dell’euro e’ la stessa degli ultimi anni), con una Germania che sottrarrà quote a tutti gli altri. Il trend proseguirà inevitabilmente, fintanto che la Germania manterrà un’inflazione minore o uguale ai partners, e potrà mutare solo quando tale tendenza muterà in modo duraturo (ipotesi fantascienza). In caso di disgregazione dell’euro, e ritorno alle valute nazionali, accadrebbe qualcosa di analogo a quanto accadde nel 1992-95, quando l’Italia (e gli altri paesi che svalutarono) ebbero un’impennata nella produzione industriale e la Germania invece ebbe una bella sconfitta. E’ cio’ che accade in corrispondenza di ogni riaggiustamento monetario. E’ vero che l’Italia ha minore peso industriale rispetto all’epoca, ma e’ anche vero che l’incidenza dell’Import-Export rispetto alla produzione e’ aumentata molto rispetto a venti anni fa, per cui e’ prevedibile vi saranno gli stessi effetti. Del resto questa Europa a trazione tedesca e ideologicamente iper-rigorista, penalizza fortemente alcuni paesi (l'Italia certo, ma anche la Francia) a favore di altri, senza peraltro rafforzare l'economia europea nell'ambito della competizione globale. Se non si cambia questo orientamento la spinta anti-euro è destinata a crescere, fino forse ad esplodere. E a quel punto potrebbe essere troppo tardi. Sono convinto, perciò, che l’uscita dell’euro sia un affare per l’Italia e per le altre nazioni periferiche (specialmente quelle che hanno un sistema industriale dignitoso) ed un pessimo affare per la Germania. Infatti l’opzione euro non e’ un’opzione, ma e’ un suicidio. Gli svantaggi sono infiniti. I vantaggi promessi all’origine (tassi, sicurezza) stanno svanendo in questa crisi. Ma quello che e’ peggio e’ che appare evidente che l’euro ha alle spalle una costruzione imperfetta, destinata ad un verosimile collasso. Per cui vale la pena tenere l’euro solo perché’ e’ uno status symbol chic? Direi proprio di no. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 27 marzo 2014

Meglio l’ora legale

Tra poco sposterò un'ora più avanti la lancetta dell’orologio. Infatti nella notte tra il 29 ed il 30 marzo tornerà l'ora legale che in ogni caso preferisco a quella solare. Tanto è vero che quando, come ora, inizia capisci che la bella stagione sta arrivando e le giornate sembrano subito più lunghe. Al contrario quando dopo l’estate ritornerà l’ora solare sarà come se improvvisamente fosse ridiventato inverno. Da un giorno all’altro. E sarà subito notte! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Assurdo il divieto di bruciare le ramaglie

La nuova disciplina dei rifiuti introdotta dal decreto legislativo 205/2010 ha recepito la direttiva n. 2008/98/Ce, emanata in applicazione del Protocollo di Kyoto per ridurre le emissioni inquinanti e di anidrite carbonica. In questo modo la combustione sul campo dei residui vegetali derivanti da lavorazione agricola e forestale si configura quindi come illecito smaltimento di rifiuti, sanzionabile penalmente oltre che amministrativamente ai sensi dell′art. 256 del D.Lgs 152/2006. Il decreto 205 è ingiusto e iniquo, scritto da chi non conosce la materia, perché ha equiparato a rifiuti speciali anche le sarmenti della vite, i residui di potatura di ulivo e di altre culture, che non si possono più bruciare nei campi, non tenendo conto che si tratta in questo caso di una pratica naturale che rientra nel ciclo del carbonio che così ritorna in natura. l legislatore non ha infatti studiato a fondo le realtà in cui questa legge interviene, dato che per l’agricoltore è solo un aggravio di costi. Io sono un euroscettico sempre più convinto che le direttive europee dovrebbero essere recepite in Italia con più attenzione. Pura follia considerare rifiuti speciali i tralci e residui di potatura. Questa norma deve essere abrogata al più presto, anche perché il loro smaltimento è così diventato economicamente insostenibile per le aziende. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 25 marzo 2014

Mangiare sano

La sicurezza alimentare rappresenta un diritto, quello di mettere in tavola alimenti sicuri, che corrispondano a quanto promettono. Il consumatore, sommerso da messaggi di scandali su questo o sul quel prodotto, finisce con il diventare diffidente. E dall’altro viene fatto oggetto di una battaglia commerciale che enfatizza alimenti sempre più sani, sicuri e naturali. Bersagliato da ogni parte, in balia della paura di non scegliere bene, il consumatore finisce con l’avere timori che lo inducono ad allontanare dalle proprie scelte i prodotti che ritiene poco affidabili, più sull’onda di una percezione che di un'analisi serena. Ed è proprio per spezzare un percorso che rischia di essere viziato, che corre l’obbligo a chi governa il sistema di offrire non solo messaggi chiari, ma anche strumenti che possano tranquillizzare. Lo stesso concetto di sicurezza viene spesso inteso nel senso sbagliato, stravolto nella sua sostanza: sicuro è ciò che non ci fa paura. Sicurezza significa invece che dal punto di vista igienico sanitario il prodotto non presenta pericoli, che è stato sottoposto a tutti i controlli, indipendentemente dall’area geografica da dove proviene; test che ci consentano di portarlo sulle nostre mense in tutta tranquillità. Inoltre, l’abitudine a consumare ortaggi e frutta in periodi dell’anno in cui naturalmente non vengono prodotti, ha concorso a snaturare quello che dovrebbe essere un rapporto equilibrato con il cibo. E’ anche importante una consapevole lettura delle etichette, aspetto che viene erroneamente tralasciato o sottovalutato. Infatti mangiare sicuro vuol dire sia poter contare su alimenti controllati che acquisire la capacità di orientarsi verso scelte consapevoli. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 24 marzo 2014

Fare famiglia, pratica finanziariamente estrema

Sarebbe opportuna una politica fiscale più a misura di famiglia. In Italia le famiglie numerose sono solo un ricordo. Ci si sposa sempre meno. Aumentano i figli nati fuori dal matrimonio. Gli italiani sono sempre più anziani. Nascono pochi bambini. I soldi per arrivare a fine mese non bastano mai. Da tempo, oramai, la famiglia patriarcale italiana non esiste più. I nuclei si sono fatti piccoli: due figli al massimo per coppia. Molti sono gli ultraottantenni, con problemi di non autosufficienza. I giovani, che non possono mantenersi, restano a casa e non si sposano. Sembra assurdo ma i nostri politici fanno di tutto per non aiutare la famiglia. In Italia, fare famiglia sembra una pratica finanziariamente estrema. Una sfida alla logica economica. Dal punto di vista fiscale non conviene sposarsi. Anzi, é addirittura penalizzante. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Renzi difenda il made in Italy alimentare

Lo scandalo legato ai prodotti agricoli provenienti dall’estero che continuano ad essere spacciati come italiani, dall’extravergine ai salumi, per la mancanza di trasparenza nell’informazione delle etichette è una delle principali cause della perdita di valore del made in Italy in agricoltura. Ciò comporta un calo del valore aggiunto in agricoltura, rendendo quindi necessario investire sull’innovazione (come ad esempio le bioenergie derivanti dall’agricoltura) sulla qualità e sulla trasparenza. Infatti la mancata applicazione dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti ha provocato la proliferazione del falso made in Italy a tavola: dal pomodoro cinese all’olio tunisino, dal prosciutto olandese alla possibilità addirittura di vendere come italiana la macedonia in scatola composta da ananas e acini di uva extracomunitaria, prugne bulgare e pere cinesi. Serve un deciso cambio di rotta verso una politica agricola legata al territorio che valorizzi l’impresa nell’interesse dei cittadini e dei consumatori. Perciò il governo Renzi cerchi di difendere i nostri prodotti agroalimentari dalle falsificazioni e dalle truffe, attuando le norme di trasparenza, sostenendo le aziende agricole, bloccando così l’ingresso di prodotti falsati che inducono in inganno i consumatori. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 21 marzo 2014

Basta con la cultura del sospetto

Basta con la cultura del sospetto Ritengo che occorra la massima severità nei confronti di politici e amministratori ritenuti colpevoli e condannati senza però dimenticarsi della presunzione di innocenza che è un principio del diritto penale secondo il quale un imputato è considerato non colpevole sino a condanna definitiva, vale a dire, sino all'esito del terzo grado di giudizio emesso dalla Corte Suprema di Cassazione. Perciò, dato che l'imputato si deve considerare innocente sino ad una sentenza di condanna che sia passata in giudicato, sono sempre più convinto che non debba sempre prevalere la cultura del sospetto e la deriva giustizialista, essendo più grave che un innocente sia in galera che un colpevole in libertà. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

giovedì 20 marzo 2014

Ricchezza concentrata nelle mani di pochi

La crisi è la conseguenza delle politiche che sono state fatte negli ultimi trent’anni, dove abbiamo assistito ad un indebolimento dei poteri pubblici a favore delle grandi concentrazioni di potere economico e finanziario privato. Questo è avvenuto attraverso la deregolamentazione della finanza (la deregulation infatti consiste nel passaggio da una economia strettamente regolamentata dallo Stato verso un'economia dominata dalle regole del mercato) ed attraverso la stagione delle privatizzazioni che hanno interessato ogni ambito: dal sistema creditizio, all’apparato industriale, ai sistemi di welfare. L’esito di queste politiche è stato un aumento delle disuguaglianze sociali. La crescita delle disuguaglianze è causa della crisi, perché questa non è una crisi di scarsità, ma di sovraccapacità produttiva: i beni prodotti non vengono venduti per i bassi salari dei lavoratori e l’impoverimento dei ceti medio bassi. Quello che è necessario è allora un intervento capace di incidere sulle fragilità strutturali dell’apparato produttivo del paese, dovute soprattutto alla dismissione di ogni politica industriale dopo i processi di privatizzazione degli anni ’90, in grado di riconvertire l’economia verso la produzione di nuovi beni, e che al tempo stesso sostenga la domanda attraverso una forte ridistribuzione della ricchezza, fortemente concentrata nelle mani di pochi. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

Troppi avvisi di garanzia

Negli ultimi anni in Italia si fa troppo uso dell’avviso di garanzia, dato che basta una semplice denuncia per riceverlo. Del resto ciascuno di noi potrebbe essere stato sottoposto ad indagine, senza esserne mai venuto a conoscenza, perché magari un vicino ci ha denunciati per qualche motivo e gli investigatori hanno ritenuto, dopo qualche indagine, che si trattava di una denuncia fondata sul nulla. E’ vero che l'avviso di garanzia non è un'anticipazione di condanna, trattandosi di un atto dovuto che viene emesso dal magistrato, come dice la parola stessa, a garanzia di un cittadino per evitare che a suo insaputa vengano effettuate indagini nei suoi confronti. Però è altrettanto vero che per questo motivo molte persone sono state danneggiate nell’ambiente familiare e lavorativo per poi essere riconosciute, magari dopo diversi anni, del tutto estranee alle vicende per le quali hanno ricevuto l’avviso, e quindi innocenti. Infatti l’avviso di garanzia dovrebbe essere a tutela dell’indagato, e non danneggiarlo come invece sempre più spesso purtroppo avviene. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

mercoledì 19 marzo 2014

La giusta direzione di Renzi

Alcuni provvedimenti annunciati dal premier Renzi come quelli sul lavoro sono poco più che allo stato embrionale dato che ci sono questioni da definire come i tagli alle pensioni o i risparmi sulla spesa. Infatti Renzi, a causa del problema ancora aperto delle coperture finanziarie, ha mostrato le sue carte, anche se la partita è ancora tutta da giocare. In ogni caso ha il merito di aver trasmesso fiducia, cambiando alcune regole del gioco, pure se non è certo scontato che riuscirà a dare concretezza ai suoi propositi. Quindi, ritenendo che Renzi si sia mosso nella direzione giusta, sono ora in attesa di vedere come proseguirà. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

martedì 18 marzo 2014

Baby squillo, incolpevoli vittime

La prostituzione è sempre più diffusa ed il sesso sempre più scollegato da ogni valore, sia riproduttivo, sia affettivo. Tanto è vero che spesso si legge di minorenni che esercitano la professione più vecchia del mondo a causa della distorsione dei valori in cui sono precipitate. Alcuni malpensanti ritengono che le baby squillo siano ragazzine convinte che per loro incontrare persone adulte per soldi in cambio di sesso non sia altro che un normale e redditizio passatempo. A mio parere, invece, queste mini-escort subiscono l'atteggiamento di certi adulti, spesso gli stessi genitori, che le hanno indotte e convinte a vendere il loro corpo, strappandole al loro mondo di bambine e adolescenti, brutalizzando il loro presente e il loro futuro. Infatti il problema è proprio la loro inconsapevolezza, trattandosi di vittime del mondo degradato e malato degli adulti, vale a dire involontarie vittime di una società che si basa più sull'apparire che sull'essere, dal momento che non sono di sicuro felici di vendere il loro corpo ancora acerbo. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

lunedì 17 marzo 2014

I cortili della Garbatella

La fisionomia della Garbatella, fondata nel 1920, riprende il modello inglese delle Città Giardino (verde, giardini, spazi esterni comuni) essendo composta da lotti, con edifici che circondano cortili. Il quartiere, nato per ospitare le famiglie degli operai impegnati nelle industrie della Via Ostiense, iniziò la sua espansione sulle proprietà delle famiglie Grazioli, che occupavano casali e ville. Qualche arboreto, numerosi canneti, vari orti punteggiavano un paesaggio costituito in massima parte da aree tenute a pascolo brado, affittate a pastori che praticavano la transumanza. Il territorio era dunque quasi interamente disabitato ma si animava quando si svolgevano i pellegrinaggi delle sette Chiese, un rito itinerante tra il sacro e il profano che aveva nella "chiesoletta", la cappella dedicata ai santi contadini Isidoro e Eurosia, una delle tappe d'obbligo. Inoltre in questa Chiesa nel 1575 c’era stato l'incontro tra San Filippo Neri, ideatore dei pellegrinaggi, e San Carlo Borromeo. Si dice, che in zona una garbata locandiera avesse gestito una ospitale osteria. Per questo motivo il tratto dei colli di San Paolo (questo l'antico nome del luogo) cominciò a chiamarsi Garbatella, in riferimento alla garbata ostessa. Motivo conduttore della Garbatella era il cortile. Spazio, oltre che architettonico, della cortesia, dello scambio d’idee, del vicinato, dell’amorosa conoscenza dell’altro, dove s’affollavano fluide diplomazie, relazioni libere, variabili, controverse, come quelle fissate dalla poesia, cortese per l’appunto, di trovatori e giullari medievali. I cortili di Via Luigi Orlando, per esempio, una stretta stradina in salita, che porta al cuore della vecchia Garbatella: i due lati della strada sono costeggiati infatti da una serie di deliziosi villini tutti mono o bifamiliari, ognuno col suo giardinetto privato, con grandi alberi fioriti. Seppur ad una prima occhiata sembrino molto simili fra loro, si possono notare alcune differenze nei particolari: nella scaletta esterna, nella loggia o nel portico su colonnine, sui tetti, tutti ricoperti da tegole e fantasiosi comignoli. Ricordo i cortili della Garbatella quando noi bambini giocavamo a calcio, con i pantaloni corti, le bretelle, il pallone supersantos comprato alla bottega facendo una colletta. La Garbatella a me piace così, con le facciate di alcuni palazzi che si sgretolano e sui marciapiedi cadono i gusci degli anni ormai andati. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

venerdì 14 marzo 2014

ROMA SPARITA E OSTIA PROFUMATA DI MARE

Sono un testaccino, svezzato alla Garbatella ed ora lidense doc: quindi un vero “romano de Roma”. Ma la mia Roma è sempre stata quella Roma silenziosa dove, però, le meraviglie non sono più cartoline consunte di una Roma imperiale, barocca, spesso intrisa dei pianti folkloristici, nostalgici della vita “de ’na vorta”. La mia Roma è sempre stata la Roma invisibile, direbbe Calvino: la città ai margini, la città del Testaccio e della Garbatella, dove s’intrecciavano storie diverse, famiglie, classi sociali, poteri, mestieri, uomini e donne, ragioni pubbliche e private. Adesso é cambiato tutto. Infatti a Testaccio adesso ci vivono poeti che ogni anno vincono premi letterari, artigiani che fabbricano ancora ombrelli e bastoni artigianali di alta fattura: oggetti unici e ricercati diventati famosi per design e qualità e pittori di pesci morti. Le case del Testaccio sono di moda perché si vede che in esse si trova lo spirito del popolo romano, in attesa che qualcuno lo colga. Ma ai miei tempi da lì uscivano solo le urla delle partorienti i cui mariti avevano sbagliato numero nel chiamare l’ambulanza. Gli strilli dei bambini. Le scoregge dei pensionati. Le manganellate regolamentari della polizia. Era un mondo spietato, con le tavole vuote e le condutture intasate. Motivo conduttore della Garbatella era, invece, il cortile. Spazio, oltre che architettonico, della cortesia, dello scambio d’idee, del vicinato, dell’amorosa conoscenza dell’altro, dove s’affollavano fluide diplomazie, relazioni libere, variabili, controverse, come quelle fissate dalla poesia, cortese per l’appunto, di trovatori e giullari medievali. I cortili di Via Luigi Orlando, per esempio, una stretta stradina in salita, che porta al cuore della vecchia Garbatella: i due lati della strada sono costeggiati infatti da una serie di deliziosi villini tutti mono o bifamiliari, ognuno col suo giardinetto privato, con grandi alberi fioriti. Seppur ad una prima occhiata sembrino molto simili fra loro, si possono notare alcune differenze nei particolari: nella scaletta esterna, nella loggia o nel portico su colonnine, sui tetti, tutti ricoperti da tegole e fantasiosi comignoli. Ricordo i cortili della Garbatella quando noi bambini giocavamo a calcio, con i pantaloni corti, le bretelle, il pallone supersantos comprato alla bottega facendo una colletta. La Garbatella a me piace così, con le facciate di alcuni palazzi che si sgretolano e sui marciapiedi cadono i gusci degli anni ormai andati. Ricordo, poi, i chiostri dell’Aventino con il Testaccio della mia infanzia. Ricordi, memorie, nostalgie, rimpianti. Orme indelebili, incancellabili nostalgie, profondi flashback. Orme, sì orme di una vita trascorsa in una città incantevole. Anche se Roma, la mia Roma è ora diversa da quella città che si mostrava a me quando ero un giovane romano di un tempo che non c’è più. Comunque, da trent’anni abito ad Ostia, città di mare e di cultura. Sì, proprio il Lido di Roma, dal profumo salmastro inimitabile, dove guardo il cielo profondo e azzurro diventare tutt'uno con il mare. Cielo e mare, doni meravigliosi, simboli blu di libertà, di una magia infinita e misteriosa. Sconvolgente simbiosi di vita, aria e acqua, il mistero della vita sulla terra. Ostia, profumata di mare. Per me un angolo di paradiso. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

martedì 11 marzo 2014

LA CARTOLINA DEL LANCIERE

LA CARTOLINA DEL LANCIERE Cavolo, che bel venerdì: oggi sono in ferie. Ed è pure primavera. Però ho i postumi di una sbronza. Tre ore di sonno, dopo una serata a casa di mio fratello guardando partite di champions legue e bevendo whisky torbato. Una figata. Sì, si dice così a Roma, o no? Sì, pure ad Ostia si dice così. La brezza proveniente dal mare ha spazzato via l’umidità e ora gonfia le lenzuola del mio letto, facendone un’oasi di frescura. Sul tavolino accanto al comò, un piatto capace ospita tre kiwi, due banane e una ciotola di fragole, lamponi, mirtilli e ribes. E una bottiglia di Macallan 25 years Anniversary, whisky di puro malto. Papà Valeriano lo adorava perché maturato in barili di quercia. Mi alzo. Gabriele è andato all’Elsa Morante, la nostra biblioteca lidense, con Francesca. Simonetta ha portato la mamma dal dentista, il mio amico Juan Carlos Murgia. Alessandro sta studiando in camera sua. Entro nel mio studio. Mi ritrovo di nuovo alla scrivania, che è sistemata in uno degli angoli della stanza.. Di fronte a me il monitor del computer. Posso però dire che mi sento più a mio agio con penne e matite che col pc. In fin dei conti, nessuno è perfetto! Sono uno scrittore oppure solo uno che scrive? Forse sono uno che finge ideali inesistenti. Amo il mio libero arbitrio, il jazz e le mie infinite miserie. Non sono tipo da ansie, non mi consumo per beffe annunciate. Ok, veniamo al dunque: accusare la famiglia di non sapere più fare il proprio dovere e incapace di esercitare il proprio ruolo é un alibi per scaricare responsabilità che stanno fuori dalla famiglia. Del resto in questi anni non è stato fatto molto per consentire ai genitori, che spesso lavorano entrambi al contrario di quanto accadeva un tempo, di fare meglio il proprio mestiere di madri e padri. Basta vedere le poche scuole d'infanzia aziendali che ancora ci sono in Italia, i costi spesso proibitivi degli asili nido, una scuola spesso intesa come area di parcheggio. E non sempre per colpa dei genitori. Mi verso il bicchiere di whisky. Non tutte le cose che vedo sono spettacolari. Mi accorgo, infatti, di stare leggendo il giornale con i pugnalini negli occhi, come Zio Paperone nei fumetti. La notizia infatti parla della violenza domestica, di quella violenza cioè che le donne di qualsiasi età, estrazione culturale e ceto sociale subiscono da parte dagli uomini di casa, anche padri o fratelli. Questa violenza è la prima causa di morte nel mondo per le donne: addirittura più degli incidenti stradali e delle malattie. E, dato che le violenze si consumano prevalentemente in privato, è difficile che queste vengano denunciate. Per questo motivo sarebbero opportuno che ci fossero delle campagne di sensibilizzazione al problema e aiuti più concreti verso chi avesse il coraggio di denunciare il proprio aguzzino. Sia ben chiara una cosa: io sono contro tutte le violenze sulle donne, le quali rispetto a noi uomini hanno sempre vissuto situazioni di subordinazione e discriminazione. Questo non vuol dire però condannare a priori gli uomini e assolvere le donne, ma solamente di prendere atto di ciò che la cronaca ci consegna, dato che in questa dolorose vicende il ruolo di vittima e quello di carnefice sono inequivocabili. Nel diritto romano la moglie era un vero e proprio possesso del marito. E le cose non erano cambiate neppure durante il Medioevo, dato anche che in questo periodo il diritto feudale prevedeva che la terra si tramandasse per discendenza maschile. Ora, anche se nei paesi industrializzati la donna sembra aver definitivamente raggiunto l’uomo nei diritti, non si sono però ancora estinte del tutto forme di violenza fisica, psicologica ed economica. Certo, l’incapacità di mediare le tensioni all'interno della coppia e in altre situazioni, facendo prevalere, fino alle conseguenze più estreme, il proprio io rispetto a tutto il resto è una caratteristica negativa della nostra società, e accomuna uomini e donne. Questo atteggiamento deriva difatti da una incapacità di gestire con equilibrio situazioni di rottura e di difficoltà relazionali, e di questa situazione le donne pagano senza dubbio il prezzo più alto. Basta: getto il giornale per terra. Chiudo gli occhi, continuando a bere il mio Macallan. Pensieri sparsi affollano la mia mente. Garbatella: casa di mamma. La Garbatella a me piace così, con le facciate di alcuni palazzi che si sgretolano e sui marciapiedi cadono i gusci degli anni ormai andati. Sento l’odore della mia infanzia, mentre guardo un album di vecchie foto. Apro il cassettino centrale della scrivania. Da un cofanetto segreto, tiro fuori un album. L’album dei sogni. Ci sono mamma e papà, prima che si trasferissero sull’arcobaleno. Bevo un caffè. E’ nero e scuro come l’interno di un sarcofago. Intorno a me, silenzio. L’unico suono che sento è il pulsare delle mie tempie, il battito del mio cuore. Sudo mentre sfoglio pagina dopo pagina. Il sudore mi scorre sulla fronte, sulle tempie, mi entra negli occhi mentre me ne sto seduto, chino sul libro, senza più riuscire a distinguere il sudore dalle lacrime. All’esame della scuola per mimi, l’allievo fece scena muta. Su, meno stronzate, facciamo in fretta. Non ci sono più i bravi illusionisti di un tempo. Sono tutti spariti di scena. Sono nato in una casa umile di Testaccio. Adesso è cambiato tutto. Adesso lì ci vivono poeti che ogni anno vincono premi letterari, artigiani che fabbricano ancora ombrelli e bastoni artigianali di alta fattura: oggetti unici e ricercati diventati famosi per design e qualità e pittori di pesci morti. Le case del Testaccio sono di moda perché si vede che in esse si trova lo spirito del popolo romano, in attesa che qualcuno lo colga. Ma ai miei tempi da lì uscivano solo le urla delle partorienti i cui mariti avevano sbagliato numero nel chiamare l’ambulanza. Gli strilli dei bambini. Le scoregge dei pensionati. Le manganellate regolamentari della polizia. Era un mondo spietato, con le tavole vuote e le condutture intasate. Che pensieri: sono così sconvolto che sento persino qualcosa di miracoloso, una specie di eccitazione sessuale. Ma l’unica cosa che riesco a dire è “Tutto questo è assurdo. Sto diventando matto!” Era un calciatore sciatto e impreciso. Lavorava con i piedi. Ora capisco. Sto per morire. Davanti al giudice, i due pianisti trovarono un accordo amichevole. E’ un modo di dire. Non credo che abbia particolare importanza. Ma mi ha scombinato un po’ la vita. Adoro il mare. Ostia, al mattino. Voglio riaprire la finestra dell’arcobaleno. Datemi le chiavi. Non mi fate perdere la pazienza! Cavolo, un milione di cose mi impediscono di aprire quella finestra, un milione di cose su cui non si deve ragionare, né calcolare, né fermarsi a vedere. Solo sentire. Un milione di cose che non stanno da nessuna parte, ma che sono comunque nell’aria. Ovunque, tranne che nei tuoi occhi. Fino a tal punto arriva il tuo disprezzo? Sì. E’ successo tutto in fretta: più in fretta di quanto cerchi di ricordare. Solo in qualche occasione mi è sembrato di perdere l’equilibrio. Solo in rari istanti ho avuto dei dubbi, mi sono chiesto se la realtà sia davvero come la sto vivendo. Assomiglio sempre più a mio padre. A volte si fanno delle scelte che non si sanno spiegare, io ho la capacità di cambiare i miei piani, di voler vedere le conseguenze delle cose. Stefano, mio fratello, definisce questo mio modo di fare dicendo che voglio sempre portare le cose all’estremo. Ho sempre sentito dire che i soldi sono soldi. E che molti soldi sono potere. E che moltissimi soldi siano il massimo. Sarò sincero. Intuisco il tuo disprezzo. Me lo soffi in faccia. Accendo un sigaro d’alta classe. Lo lascio morire acceso e con dignità. Quando penso di essere vicino alla verità sento che ogni fibra del mio corpo è vicina al nucleo dell’arcobaleno, alla sua nuda e pura essenza. Non riesco mai ad arrivare alla fine, non vado mai oltre questo punto. E i sogni continuano. Ernesta Aloisi. Moglie di Antonio Valeriano Pulimanti, poeta collevecchiano. Ah. Ok. Madre di Antonella. Madre di Stefano. E madre mia. E’ morta domenica 29 luglio. All'Ospedale San Camillo di Roma. Alle diciotto e trenta di un triste pomeriggio. Il rito funebre è stato celebrato a Testaccio. Nella Chiesa di Santa Maria Liberatrice. Il feretro, al termine del funerale, è stato portato al cimitero storico di Collevecchio, in provincia di Rieti. Qui mamma è stata seppellita a mezzogiorno del secondo giorno di agosto. Mi chiedo se sento qualcosa, sollievo, rabbia. Non credo. Provo solo dolore. Questo tipo di cose ti divora dall’interno. Sono terrorizzato dallo scorrere del tempo, dagli istinti. Dal fatto di non avere il controllo di essi. Da ogni piccola scheggia di tempo, la trasformazione di un infinito numero di cellule. Dall’aria che cambia, il mare di fronte a casa mia che è la stesso ma nello stesso tempo non lo è, da mio fratello Stefano che è invecchiato, io che sono invecchiato, impercettibilmente ma inevitabilmente invecchiato, e dal fatto che, in qualsiasi momento, può crollarmi qualcosa in testa dall’alto, e distruggermi. La verità può arrivare tramite un dettaglio, il tempo delle rivelazioni può arrivare e cogliermi impreparato, di sorpresa. Non appena mi sono assicurato che tutto è a posto, che ho io il controllo, questa sensazione lascia il posto a una nuova scheggia, anch’essa insicura, fugace, pericolosa, e come si fa a vivere una vita che appare così effimera, così temporanea? E costantemente quella sensazione di solitudine, nonostante la famiglia, la condivisione. Simonetta. Gabriele. Alessandro. Loro sembrano pensare che quello che è successo non abbia toccato solo me, ma anche loro, forse nel tentativo di alleggerirmi il peso. La morte di mamma, quella perdita che conosco solo io e nessun altro, colora tutti i miei giorni, a parte qualche breve, quasi euforico, istante di oblio. Ed è di nuovo qui, come un peso. E’ come se mi avessero diagnosticato una malattia mortale e io tenessi la diagnosi per me, perché non ce la farei a sopportare le espressioni dei loro visi se lo dicessi. Certo, lo ripeto, dal 29 luglio la mia famiglia mi sta vicino. Questo mi trasmette una strana sensazione di sicurezza, di innocenza, ma le notti sono terribili. Mi sveglio con il cuore che batte talmente forte che ho paura che stia per fermarsi, che non ce la faccio più, che morirò. Sì, spesso la notte mi sveglio senza fiato. Mi alzo e mi siedo davanti alla tivvù, tiro fuori il vecchio videoregistratore dall’armadio e cerco i filmati registrati dai miei genitori quando eravamo piccoli. Tengo il volume basso e la luce spenta. Mia madre e mio padre si passano la telecamera, e la famiglia fa cose da tipica famiglia. Filmano me e Stefano che giochiamo con il pallone. Io e Antonella che corriamo al Parco della Rimembranza di Collevecchio. Io e mio padre che giochiamo a ping-pong, mentre mio fratello impara a camminare. Mia madre che fa un filmino di prova con mio padre, hanno appena comprato la videocamera. Cinquant’anni fa. Sembra così giovane, assomiglia a me. E io cerco qualcosa, un filo conduttore o un dettaglio nella mia storia, che possa spiegare ciò che è successo, perché è andata così, ma niente. Non trovo niente. Niente che possa giustificare la morte di una madre. Ciò che mi fa paura è il silenzio. Non poterle più parlare. Vorrei avere almeno un attimo, mamma, anche solo per dirti ciao. La morte di mamma mi fa ancora male. Credo di essere un po’ depresso. A volte mi viene da piangere nelle situazioni più strane, e vorrei essere in cattiva salute, vorrei stare per morire. Forse domani, forse non prima di altri cinquant’anni, ma prima o poi il mio corpo cambierà direzione, inizierà l’atterraggio. A parte qualche mal di testa e il fatto che sono ancora un po’ sovrappeso, fisicamente sto bene. Non mi sto spellando in maniera preoccupante, non mi sento raschiare quando respiro, i miei organi interni, il fegato, i reni, tutti eseguono le loro funzioni biologiche come dei bravi lavoratori obbedienti. Mi sembra uno spreco. Non finirò mai di ringraziare i miei genitori, che mi hanno insegnato fin da piccolo l’importanza di poter essere ciò che si è e di trattare gli altri con rispetto e dignità. Sono stati fantastici. Comunque, appena mi muovo un po' ho subito il fiatone. Cavolo, inizio a invecchiare. A volte sogno una cassa da morto ad assi povere con dentro un salma. La mia. Ma, proprio quando cerco di compatirmi un po’, la memoria mi fa strani scherzi e comincia un viaggio a balzelloni tra episodi della mai vita che io vorrei dimenticare, ma che la memoria, appunto, mi rimbalza indietro, pam, pam, pam, come un muro con un palla da ping pong! Pam: io dai salesiani del Testaccio. Pam: io alla Chiesa del Giglio che sposo Simonetta, la sabina. Pam: io, che cullo Gabry, ascoltando Bob Dylan. Pam: io, che cullo Alex, ascoltando Bruce Springsteen. Pam: io che mi laureo. Pam: io che lavoro alle Poste di Fiumicino. Pam: io che lavoro al Comune di Roma. Pam: io che lavoro al Ministero dell’Agricoltura. Pam: io che piango nonno Angelino, nonna Leonella, nonna Jole. E zia Valeria. Pam: io che seppellisco papà Valeriano. Pam: io che seppellisco mamma Ernesta. Pam: io, over the rainbow. Mi sembra di muovermi lateralmente, sempre più lontano dalla vita che mi sarebbe piaciuto fare, sospinto -dal destino o dalla incapacità do prendere decisioni giuste, che importa?- su terreni sempre più paludosi nei quali la virtù e le qualità che mi si riconoscono (ritengo di essere un uomo sensibile, discretamente colto, con un certo senso dell’umorismo, fondamentalmente buono) non servono a niente e i difetti di cui mi accuso (so di essere distratto, timoroso, poco determinato, persino ingenuo) finiscono col farmi affondare sempre di più. Dite che sto parlando a coda di porco, intorcinata, non in forma esplicita? Vabbè, ok. Ascolto Bob Dylan, a luci spente. Mi inganna l’oscurità. Sono un mercante di libri maledetti. Fuori dal tempo. Forse, non ho capito nulla. Né qui, né altrove. E morirò. In terre lontane? A Collevecchio? Ad Ostia? Sicuramente, sotto una cupola stellata. Alle radici del cuore. Addio arcobaleno, ciao. Con un sospiro, mi allungo sulla sedia e rimango ad ascoltare il mare. Distrattamente, mi cade l’occhio dentro il cassetto a sinistra della scrivania. Le mani iniziano a tremarmi. Le lacrime cominciano a pungermi gli occhi. In mano ho una cartolina del 1950, inviata da Pietralata, raffigurante due lance con bandieruola azzurra, incrociate sotto una granata a fiamma dritta. Al centro della granata vi è il numero 8 con la scritta: "Impetu hostem perterreo" (terrorizzo i nemici con impeto). Sul retro della cartolina una frase: “Sono ricco, di una ricchezza rara: ho te”. Papa, Tenente nel Gruppo Esplorante Divisionale (G.E.D.) "Lancieri di Montebello, l’aveva inviata ad una giovane ragazza di Testaccio, figlia di Jole e di Vittorio. Eh, sì: proprio mamma, che per lui sarà sempre la sua “Ernestina”. A quella cartolina mamma ci teneva tantissimo. La portava sempre con sé. Prendo una decisone al volo. Precetto Ale ed usciamo. Destinazione: Collevecchio. Un cimitero che assomiglia a un giardino fiorito, talmente bello che, sostiene il custode del camposanto, varrebbe la pena visitarlo. Così il cimitero di Collevecchio si presenta in questi giorni. Due donne accovacciate si danno da fare davanti alle tombe. Io e Ale ci avviciniamo al marmo bianco. Lei è lì che ci aspetta. Sulla tomba ci sono alcuni fiori secchi. Li getto nel cestino, poi Ale si avvicina alla fontanella e riempie il vaso d’acqua fresca per il nostro mazzolino di peonie e ortensie. Le tonalità sgargianti e solari dell’ortensia. Il bianco candido della peonia. Erano i suoi fiori preferiti. Sistemo i fiori e finalmente guardo la lapide. Le date le so a memoria, ma le leggo lo stesso. 22 ottobre 1932 – 29 luglio 2012. Il viso di mamma é impresso nella mia mente peggio del marchio a fuoco sulla pelle di un vitello. Si dice che di solito col passare del tempo i visi dei nostri cari vadano pian piano a nascondersi nella nebbia dei ricordi. Che cominciano a confondere i lineamenti, il colore degli occhi e dei capelli, l’altezza e soprattutto il suono della voce. Cose che a me non succedono. Mamma non ha perso neanche un neo della pelle nella mia memoria. L’immagine del suo viso, chiara e vivida, forse sarà l’ultima cosa che vedrò quando toccherà a me. “Ciao, mamma” dico a bassa voce. “Hai visto? Siamo venuti a trovarti”. Mi vedo riflesso nel marmo lucido e pulito. “Guarda, t’ho portato una cosa…”. Mi infilo la mano in tasca ed estraggo la cartolina di papà. La metto sotto il vaso. Una delle due donne, vestita di nero, si è inginocchiata e si sta facendo il segno della croce. Anche io mi volto verso la tomba e tolgo una foglia caduta sulla lastra di marmo. “Buona primavera, mamma” e le mando un bacio. Squilla il cellulare. Stefano, mio fratello. Gli dico dove siamo. “E’ davvero così? Mamma si sarebbe salvata se l’avessero messa in terapia intensiva, dopo l’operazione?” chiedo aggrottando le sopracciglia, mentre sul viso mi transitano rapidamente, per fondersi l’uno nell’altro come fiumi in piena, il bianco dello sconcerto, il verde della bile, il rosso dell’imbarazzo, lo scarlatto dell’ira. “Sì, Mario, ricapitoliamo brevemente: lei é stata operata per la rottura del femore all’ospedale San Camillo, sabato 28 luglio di due anni fa. Un intervento perfetto, durato poco più di un’ora. La fase post operatoria sembrava procedere regolarmente. Ma attorno alle sei di pomeriggio del giorno dopo, domenica 29 luglio, il suo cuore ha smesso di battere. Non si sa da dove sia partita l’embolia, l’unica cosa certa è che mamma non c’è più..” Scuoto la testa desolato. Stefano aggiunge “Certo se l’avessero messa in terapia intensiva, come avevano promesso prima di operarla, sarebbe ancora viva. Infatti la terapia intensiva garantisce immediati interventi in caso di necessità, per cui si sarebbero accorti in tempo dell’embolo, rianimandola prontamente.” Salutando Stefano, mi ricordo del dottorino dal viso di falco che mi ha detto “sua madre è deceduta!” con un tono indifferente. Sembrava quasi che mi prendesse in giro. Mi ha costretto a soffrire, impreco, maledetto, maledetto, maledetto! L’avrei ucciso, gettando il suo corpo ai corvi e agli avvoltoi del deserto. Mamma Ernesta. Mi ha sempre difeso come una leonessa difende i suoi cuccioli, anche a costo di subire biasimi e critiche. Ci fermiamo a pranzare ad un ristorante vicino al santuario di Vescovio. Tornando a casa, Ale accende la radio. “…poi mi viene in mente, se mi metto lì a pensare, il bacio di una madre come solo lei sa dare…” Diamine, non potevano scegliere un altro momento per trasmettere “Come Gioielli” di Eros Ramazzotti! Debbo ritenermi soddisfatto di avere avuto una mamma come mamma Ernesta. Lei, che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica. Lei, un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio. Lei, con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino. Lei, che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé. Lei, una canzone nella notte. Lei, una ninna nanna speciale. Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Lei, quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me. Lei, quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare. Lei, il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto. Lei, mamma, una parola: la prima che ho detto. Lei, mamma, un sorriso: il primo che ho visto. Lei, mamma, una voce: la prima che ho udito. Lei, mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato. Lei, mamma, una culla: la prima che ho avuto. Lei, mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere. Lei, che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita. Arrivati ad Ostia Ale mi saluta. Al Fara Nume il maestro Andrea Serafini sta preparando uno Shakespeare multimediale tra teatro, cinema, musica. Io, invece, entro nello studio medico. Il dottore alza lo sguardo dalla sua scrivania. “Ha i trigliceridi alti. Quante bustine di zucchero consuma a settimana?” “Cinque”. E’ una piccola bugia bianca. Sono arrivato a cinque bustine lunedì, ma poi ho smesso di contare, così sono rimasto a cinque bustine. “Niente zucchero. Niente alcool. Per un paziente con i suoi valori di trigliceridi, il rischio di attacco al cuore, infarto o trombosi cresce drasticamente”. Improvvisamente sono tanto, tanto spaventato. Il cuore batte violentemente. Sudore sulla fronte. Il dottore alza lo sguardo. I suoi occhi sono finestre su un cielo di pieno inverno. “Lei appartiene a un gruppo statistico con rischio elevato”. Fuori dallo studio medico il traffico è rumoroso. Salutandomi, mentre dava un’occhiata all’orologio, il dottore mi ha ricordato che a causa della mia età…e dei miei trigliceridi… si manifesteranno presto vertigini, stanchezza e perdita della libido. E’ tutto finito. Io sono finito. Scandaloso. Un senso di paura cresce dentro di me. Terrore esistenziale. Lo zucchero, l’alcool, il sesso: senza di loro, cos’altro rimane? Mi sento vecchio, stanco e inutile e persino spaventato. Il tizio che mi saluta sembra un Testimone di Geova. Ha i capelli cortissimi, una camicia bianca e una targhetta con il nome. Non riesco a leggerla. Entro in un bar. Mi siedo a un tavolo. Di fronte a me, un signore. Anziano. Ex consigliere circoscrizionale. Mentre parla in un tono monotono, inevitabilmente mi ritrovo inondato da un oceano di retorica che martella contro scogliere di metafore. Una buca. Inciampo. Torno a casa imprecando contro tutti gli dei. Ceno. Poi leggo. Sul divano. Prendo in mano il libro che sto leggendo, ma le parole sembrano scivolare via dal foglio. Guardo oltre il libro, verso il balcone. Intravedo il mare, sotto ed il cielo, sopra. Intanto Gabriele mi dice che sta andando con Francesca a Torvajanica. Quando scompare, mi guardo intorno. Simonetta sta chattando su facebook. Resto alquanto perplesso quando sento che molti hanno centinaia di amici su Facebook. Possono essere considerati dei veri amici, persone disposte a prendersi cura del tuo cane o a riaccompagnarti a casa dall’ospedale, o sono soltanto una massa informe composta da gente che si accontenta di lasciare messaggio carini in bacheca ma che non hanno niente a che fare con al vita di tutti i giorni? Come si fa ad avere novecento amici? All'improvviso la mia mascella prende a tremare. Le labbra fremono. Il mento si corruga e infine, pur tentando di tenerla chiusa, apro la bocca in uno sbadiglio. Poi sbatto le palpebre. Prima ancora di chiudere gli occhi, tuttavia, sprofondo nell'incoscienza. Il sonno mi avvolge completamente, privo di sogni e punti di riferimento. Un sonno così somiglia all'eternità, senza nulla che aiuti a misurare il trascorrere del tempo, senza una traccia che indichi la vastità dello spazio, dove un singolo istante non é molto diverso da un miliardo di anni e un atomo é grande quanto l'universo. Tutte le diversità della vita, il piacere e il dolore, si dissolvono in un'unità primordiale, che abbraccia ogni cosa, persino il nulla. E' a questo che somiglia la morte? Poi all'improvviso, mi sveglio. Non c’è più nessuno: anche Simonetta è andata via. Guardo a lungo il soffitto. Non riesco ad alzarmi. Sulla scrivania è rimasto il vecchio album di fotografie. Lo riprendo: qui avevo sei anni. “Vieni!” sembra dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa. Mi manca il tuo sorriso, mamma. Improvvisamente mi sento invadere da una torpida sonnolenza. Quando mi addormento, mentre il giorno si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album spiccano ancora le tracce delle mie lacrime. Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)

venerdì 7 marzo 2014

8 marzo 2014: colpa delle stelle

Ostia. 8 marzo 2014. Lei odorava di sole, glielo portava il vento quell’odore ardente e lieve. E’ una cosa terribile la vecchiaia. La vecchiaia è la vendetta dei brutti. Perché è quella passata di vernice che ammazza tutta la bellezza e che riduce a zero le differenze. Le donne non dovrebbero invecchiare mai. Esco sul balcone. Verso il mare vedo cornacchie magre che volano in circolo sopra la spiaggia in cerca di cibo. Odio questi uccelli. Sono sporchi, e per loro anche la spazzatura è cibo. Hanno preso il sopravvento sugli altri volatili. Sbranano le uova di passeri, pettirossi, rondini, fringuelli, piccioni e tortore. Sono sempre più numerosi. Stanno diventando i padroni dei cieli italiani. Ieri ho letto sul giornale una notizia inquietante. In altre parole, la brutta fine toccata alle colombe della pace liberate da Papa Francesco e attaccate subito dopo da un corvo e da un gabbiano. Di certo né il pontefice né i bambini che erano affacciati con lui a San Pietro potevano sapere che lasciando volare via le due bianche colombe le avrebbero consegnate a una morte tanto rapida quanto cruenta, che si è consumata davanti agli occhi attoniti della folla in Vaticano. Ad Ostia ormai gli unici a tenergli testa sono i gabbiani. Siedo sul divano senza la forza di andare a prendere il bicchiere di rum Angostura che ho lasciato sul tavolo e neanche il telecomando. Mi sento sprofondare in un letto di sabbia. Mi abbandono. E penso. Forse morire è così. Chiudere gli occhi e lasciare andare via tutto, per sempre, calare in una massa nera e senza luce dolce e calda come la pancia di una madre., rimettersi in posizione fetale, chiudere gli occhi e tornare a quello che si era prima di nascere. Poi mi faccio coraggio e mi alzo a prendere bicchiere e telecomando. Mi risiedo sul divano, sorseggiando il mio rum. Accendo la tivvù. Socchiudo gli occhi mentre la voce di un conduttore stanco esce dall'altoparlante con le ultime notizie. Disordini in Israele, interventi politici assurdi sulla questione degli immigrati, una rapina a un ufficio postale. Riapro gli occhi mentre lo speaker è rimpiazzato da un altro che comincia a cantilenare sciocchezze, cosa che mi induce a cambiare canale. Ehilà, stanno parlando della festa delle donne. Vengo così informato che le origini della festa dell'8 marzo risalgono al 1908, quando a New York, 129 operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le brutte condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero durò alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario bloccò le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Nello stabilimento scoppiò un incendio, forse doloso, e le operaie morirono. Questo fatto diede il via, negli anni immediatamente successivi, ad una serie di celebrazioni che, nei primi tempi, erano circoscritte agli Stati Uniti. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, proprio in ricordo della tragedia della fabbrica americana. Comunque esistono altre versioni della storia dell'8 marzo, ma il significato della celebrazione non cambia. La scelta della mimosa come simbolo dell'8 marzo è stata fatta in Italia, esattamente nel 1946, dalle donne dell'UDI (Unione Donne Italiane) che stavano preparando il primo "8 marzo" del Dopoguerra. Alle donne romane piacquero quei fiori gialli dal profumo particolare, che avevano anche il vantaggio di fiorire proprio nel periodo giusto e non costavano tantissimo. E così la mimosa divenne da allora il fiore simbolo delle donne e dell'8 marzo. Tuttavia nel corso degli anni il vero significato di questa ricorrenza è un po' sfumato, lasciando il posto ad una ricorrenza caratterizzata anche da connotati di carattere commerciale e politico. A mio suocero non piacevano le mimose. A sei anni era stato costretto a vedere la bara del padre cosparsa di petali gialli. Cavolo, ma cosa mi sta succedendo? Panico. Ad un certo momento, tutte queste immagini, e altre centinaia che si succedono troppo rapidamente per poter essere colte, mi bombardano nel tempo che impiego a sgranare gli occhi. Mi alzo di scatto, ansante. Mi alzo dal divano. Malfermo sulle gambe, avanzo barcollando fino a toccare lo schienale della poltrona. Sento una forte nausea e vado in iperventilazione, tanto da avvertire un formicolio ai polpastrelli. Sopraffatto dal capogiro cado in ginocchio e mi piego in avanti ritrovandomi carponi, con lo sguardo puntato sul pavimento. Dopo un paio di muniti di affanno durante i quali non oso abbassare le palpebre, mi tiro su lentamente. Ho il viso madido di sudore e mi asciugo con il dorso della mano prima di alzarmi del tutto, cauto. Le gambe mi tremano appena mentre muovo i primi passi verso il tavolino. Da lì mi dirigo a fatica verso la porta, aggrappandomi saldamente. Il piccolo corridoio che porta alla mia camera da letto mi sembra molto più lungo di quanto sia in realtà: ho l'impressione di camminare per un'eternità prima di toccare la porta della camera. A fatica, l'apro. Mi avvicino alla finestra della camera da letto: sto per abbassare la tapparella, quando vedo due stelle che attira la mia attenzione. Il cielo non é stellato, ha solo queste due stelle, grandi, bianche e luminose. Resto un po' stupito, mi sistemo meglio gli occhiali e cerco di guardarle meglio. Sono lì, brillanti, uniche nel cielo. Lascio la tapparella alzata. Mi trascino un passo alla volta fino al letto, dove mi sdraio. Il letto risponde scricchiolando minaccioso sotto il mio peso. Penso a quando ho chiesto il motorino a papà. Allora avevo appena compiuto quattordici anni ed ero sicuramente un adolescente rompicoglioni. Credo di aver detto parecchie sciocchezze e gli vomitai addosso una marea di accuse, ma lui non perse la calma e mi lasciò sfogare, prima di giocare il suo asso nella manica: un Benelli "Gentleman" rosso. Penso a mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere. Che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita All'improvviso, uno strano profumo di mimosa. Chiudo gli occhi. Poi svengo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

martedì 4 marzo 2014

Il “Salva Roma” a parere di un romanlidense

Il “Salva Roma” a parere di un romanlidense E’ risaputo che Roma abbia molti debiti per l'incapacità amministrativa dei suoi dirigenti, per i mancati controlli gestionali, per gli sprechi, per le continue turbolenze politiche, per la corruzione. Del resto la parentopoli e gli appalti pilotati al Comune di Roma sono sintomatici di un sistema affaristico mafioso legato a doppio filo al voto di scambio. Abito ad Ostia (che, oltre ad essere il Lido di Roma, è il decimo Municipio -ex tredicesimo- della Capitale) e da cittadino romanlidense penso che sarebbe opportuno nominare un commissario ad acta per gli accertamenti e le verifiche necessarie alla ricostruzione dei fatti che hanno determinato il dissesto finanziario, nonostante l'applicazione di addizionali IRPEF e tariffe dei servizi, tra i più alti d'Italia. Invece l’ultimo Consiglio dei ministri, il primo dell’era Renzi, ha dato il via libera al nuovo decreto legge “Salva Roma”, che consentirebbe di correggere il buco nel bilancio di circa novecento milioni che grava sui conti della città. A spendere sono tutti bravi. Ma in tempi di crisi e di risorse decrescenti occorre anche saper recuperare efficienza. Ridurre costi e spese. Vendere più che comprare. Roma è una delle più grandi aziende italiane con settantamila dipendenti tra uffici comunali e società controllate. Intorno al Comune ruotano decine di partecipate nei più svariati settori. Il Sindaco di Roma Ignazio Marino ha chiesto allo Stato di intervenire per coprire i buchi creati dagli amministratori del suo Comune, senza però presentare un concreto piano di risparmi e tagli. Ma così si rischia che tra qualche anno lo Stato sarà nuovamente costretto a coprire l'ennesimo buco di bilancio. Sindaco Marino, ma era proprio il caso di assumere (senza che ce ne fosse la necessità) cento dirigenti suoi amici con stipendi d'oro? La luce in fondo al tunnel e' sempre piu' simile ad un treno...... Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

lunedì 3 marzo 2014

Un'Europa diversa

Un tempo si diceva che gli europei hanno bisogno di “più Europa”, ora si dovrebbe dire che gli europei hanno bisogno di “un’Europa diversa”, essendo evidente che gli anni della crisi e dell’austerity hanno distrutto le speranze che prima riponevamo nell’Europa così com’era e come si pensava che fosse destinata ad evolversi. Infatti l’attuale politica liberista imposta dalla Germania a tutti gli altri stati membri dell’Unione europea strangola l'economia reale, frena gli investimenti, impoverisce gran parte della popolazione, aumenta la disoccupazione, fallendo perfino sull’argomento da essa elevato a metro di misura di tutto: l'equilibrio contabile, la riduzione del deficit, il pareggio di bilancio, il progressivo rientro dal debito. Quindi, anche se la Merkel non vuole, si deve affiancare all’unione monetaria un’unione finanziaria europea, non essendo più possibile mantenere una situazione in cui i capitali continuino a rifluire dagli istituti creditizi dei Paesi più esposti a quelli tedeschi: occorre pervenire a un sistema unificato di assicurazione dei depositi bancari, concordemente garantito dagli Stati membri dell’Eurozona. Solo così si possono tutelare le classi subalterne rispetto ad un’equa ripartizione sociale dei costi della crisi. Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)