lunedì 31 dicembre 2012

Svuotate le cantine di Mannino

Svuotate le cantine di Mannino
Un danno enorme. La cantina Abraxas di Pantelleria dell’ex Ministro dell’Agricoltura Calogero Mannino, ha subito un attentato analogo a quello recentemente subito dalla cantina Case Basse a Montalcino: sono state infatti svuotate le vasche di vino. Parte dell’annata 2012 e 250 ettolitri di passito del 2010 e 2011 non ci sono più; in tutto 700 ettolitri. La vicenda, fa subito pensare a quello che è successo poche settimane fa a Montalcino, a Case Basse, la cantina di Gianfranco Soldera dove sono state svuotate le vasche di sei annate di pregiatissimo Brunello di Montalcino. Un caso che ha portato in tempi rapidissimi all’arresto di un ex dipendente, licenziato poco tempo prima dallo stesso produttore. Ora questo episodio analogo a Pantelleria. Abraxas è un’azienda con venticinque ettari vitati e una produzione di centoventimila bottiglie, tra cui spicca sicuramente un Doc Passito di Pantelleria molto gettonato. Nei giorni scorsi era stata comunicata la cassa integrazione a quattro dipendenti, compreso l’enologo Michele Augugliaro. Sempre pochi giorni fa Mannino è uscito indenne da una vicenda processuale legata alla vinificazione del vino della cantina. Ora l’attentato. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 27 dicembre 2012

Amo il cioccolato bianco

Amo il cioccolato bianco.
Certo, non contiene cacao e alcun genere di coloranti, per cui sotto l’aspetto tecnico non potrebbe essere definito cioccolato. Si ottiene miscelando solo burro di cacao per il 20% del peso, latte o derivati per almeno il 14%, e il saccarosio non più del 55%. Il cioccolato bianco, più grasso del fondente, è largamente utilizzato per glassare torte e preparare mousse, salse e dolci vari. Introdotto in Svizzera pochi anni dopo la prima guerra mondiale, il primo cioccolato di questo tipo è stato prodotto nel 1930 e un anno dopo è sbarcato negli Stati Uniti. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 20 dicembre 2012

Educazione testaccina

EDUCAZIONE TESTACCINA
Incontro Michele. Vorrebbe aumentare di molto le probabilità di passare, con Simonetta, dallo stadio di conoscenza occasionale a quello di conoscenza biblica. Un pazzo furioso, senza dubbio. “Carpe diem, quam minimum credula postero”, recita con un sorriso incerto. Lo guardo negli occhi: “In che senso?” “E’ una poesia molto bella di Orazio,” dice pungente. “Sì’, sì. Vabbè”, sogghigno, facendo spallucce. “ Cogli l’attimo, e non fidarti del domani”, traduce con calore e con un groppo in gola molto convincente. “Cerchi di essere creativo” rifletto. “La conosci?”. “Certo” ammetto io, che però quando sento il nome di Orazio, istintivamente lo associo a Clarabella, e non ad un poeta latino. Schiaritasi la voce, continua: “Carpe diem, letteralmente, significa “afferra ogni giorno”. Orazio, rivolgendosi ad una fanciulla che vuole conoscere il proprio futuro, le dona una mirabile sintesi di saggezza: non affannarti nella ricerca di risposte sul domani, ma accetta il tuo destino e vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo. ”. “Il concetto non era certo nuovo all’epoca (se ne erano appropriati gli epicurei), eppure conserva una invidiabile potenza ancora oggi” osservo. “L’uomo è in balia di eventi che lo strattonano e lo fanno schiantare contro situazioni dolorose e all’uomo non resta altra soluzione se non quella di assaporare la vita nel più pieno dei modi, senza affannarsi per il futuro” precisa Michele. “E’ difficile mettere in pratica questi consigli nel nostro mondo moderno, costruito su castelli di carta -scadenze, impegni, orari, compiti, progetti, promesse” rispondo io. “Ma è proprio per questo motivo, per l’affannosa velocità dei nostri giorni, che il messaggio carpe diem conserva il suo valore; la vita è una successione di innumerevoli istanti che devono essere vissuti, afferrati, il più possibile, prima che il tempo ci porti troppo presto al capolinea” spiega Michele. Lo saluto. Torno a casa. Adesso vi state chiedendo chi sono io? Beh, eccovi accontentati. Ho 57 anni. I miei genitori mi hanno lasciato. Non sono assenti. Sono invisibili. Vicini a me. Finché le stelle saranno in cielo. Educazione testaccina. Ricordo il profumo di mamma. Un profumo che rimane nel cuore. E il volto di papà. I suoi occhi pieni di gioia sono puntati nei miei. Pieni di lacrime. Finché le stelle saranno in cielo. Da tempo ho lasciato alle spalle la timidezza dell’infanzia e dell’adolescenza. Sono a casa davanti al computer e, mentre scrivo, mi accorgo di avere gli occhi gonfi e rossi per la troppa consuetudine con lo schermo del PC, che uso sia al lavoro che a casa, agli angoli della bocca cominciano da tempo a farsi avanti rughe profondamente incise, il profilo della mascella non è sfuggito all’incipiente doppio mento. I capelli, una volta neri, sono ormai bianchi e, per di più, in questo momento reclamano disperatamente un taglio. La mia è una faccia che non nasconde nulla, una faccia di cui ci si può fidare. Mi siedo sul divano. Penso al mio ufficio. C’è una litografia di Kandinsky sulla parete. Tanti rettangoli verdi e neri, tutti di traverso. All’improvviso mi compare davanti nonno Angelino. E nonna Leonella. Con loro spesso a Collevecchio andavo a trovare un loro amico, Brighella. Aveva una fattoria ricoperta di edera, bella da morire. Un lato della casa era fiancheggiato da un frutteto con gli alberi punteggiati dal giallo dei frutti. Mi portavano anche da zia Loreda, una sorella di nonna. Le oche, trotterellando, si gettavano nell’acqua di un piccolo stagno paludoso. Altra visita. Altra zia. Navina. Altra sorella di nonna. Mi divertiva vederla dare da mangiare ai maiali. Nonno aveva un caro amico, Giovanni. Mi faceva sedere in alto, al posto di guida della trebbiatrice. Insieme andavamo a Cicignano, frazione collevecchiana, ad acquistare uova e verdura da contadini locali. In queste occasioni non dimenticavo di fare visita ai vitelli, che erano i miei animali preferiti, o di salire sulle balle di fieno ammucchiate dentro i granai. Ricordo i nonni ascoltare coloriti monologhi su gioie e dolori della vita bucolica. Ricordi, tesori infantili ormai persi. Ok, mi alzo. Non ho motivo per rimpiangere la mia decisione. Sono felice di essere sfuggito dall’atmosfera sempre più dolorosa dei ricordi. Chiamo Alessandro, il mio secondogenito. Sta studiando. Chiamo Gabriele, il grande. Non c’è. E’ uscito con Francesca. Chiamo mia moglie. Sta telefonando. Esco di nuovo. Ora o mai più. Sulle vie del Pontile. Mi aggrappo al silenzio del mare. Un silenzio che si può ascoltare. Nel frattempo Alessandro e Gabriele mi hanno raggiunto. Sorrido al pensiero che loro contano su di me. Almeno per ora. Al cellulare, Simonetta. Ha messo il rombo al forno. Si avvicinano nubi temporalesche. Torniamo. Mi limito a sorridere sapendo che tra pochi minuti arriverò al punto di rimpinzarmi di linguine con pesce spada e pomodorini. E di rombo al forno con patate. Che strana giornata, oggi. Passato e presente. E’ così bello. Messa così la faccenda non suona poi così tremenda. Così. Ciao, mamma. Ciao, papà. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 13 dicembre 2012

Buon Natale, papà! Buon Natale, mamma!

Buon Natale, papà! Buon Natale mamma!
Mi trovo a Collevecchio. Davanti al camino, sfoglio un album di fotografie. Sorrido vedendo le foto dei miei genitori. Papà, Antonio Valeriano Pulimanti. 20 aprile 1992. Pasquetta amara. Quel giorno è morto mio padre, Antonio Valeriano. Ne è passato di tempo, ormai, ma il ricordo è ancora vivo. Bruciante. Proprio come allora. Se ne è andato all'ora di pranzo. Poco prima di addormentarsi, mi chiama. Sono le undici di una pasquetta amara. Maledetta. "Mariuccio, ho appena fatto un sogno. Mi sono spaventato un pò", mi dice. "Vuoi una camomilla?" rispondo. "No. Stai qui. Ti ricordi quando eri piccolo, e ti raccontavo tutte le sere una storia per farti dormire?" "Sì" replico.” Ne vuoi sentire ora una?" "Ma, papà, sono grande per sentire ancora le favole" "Allora ti racconterò una storia vera" mi dice. "Ma le storie vere non finiscono sempre come vorresti tu" "Non importa, Mariuccio" L'abbraccio forte. Non fa in tempo a raccontarmi nessuna storie, si addormenta subito. Per l'ultima volta. Per sempre. Sul suo comodino, un libro di Neruda. Stava leggendo questa poesia prima che mi chiamasse. "... Si muero sobreviveme con tanta fuerza pura que despiertes la furia del pàlido y del frìo. Es una casa tan transparente la ausencia que yo sin vida te veré vivir y si sufres, mi amor, me moriré otra vez (.. Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura che tu risvegli la furia del pallido e del freddo. E' una casa sì trasparente l'assenza che senza vita io ti vedrò vivere e se soffri, amor mio, morirò nuovamente....)". Ancora oggi, ogni tanto, mi torna in mente quella faccenda..... E questa cosa mi accompagna e stranamente non mi fa paura. Da quando papà non c’è più, mi sento ancor più legato a lui. Perché mi manca. Probabilmente è il segno di una volontà che ci vuole legati per sempre. Mi manca il suo umorismo, la sua acuta osservazione degli altri. Mi manca la sua educazione, la sua cultura che non esibiva mai. Mi mancano i giorni di Natale passati insieme a lui. Mi mancano le sue parole, i suoi messaggi, le sue battute con i tempi comici perfetti. Mi manca la sua faccia tonda, aperta e fiduciosa. Con un accenno di opulenza che lui per altro portava con molta leggerezza. Mi manca la sua stuzzicante ingenuità sempre pronta a rilevarsi in un sorriso. “La vita è solo un sogno.” Quella frase, le ultime parole di un uomo che credevo invincibile. Immortale. Mi manchi, papà. Mamma, Ernesta Aloisi. 29 luglio 2012. Ricordo il dottore dell’ospedale San Camillo, col viso di falco, dirmi “sua madre è deceduta!”. Era stata operata per la rottura del femore. Un intervento perfetto. La fase post operatoria sembrava procedere regolarmente. Ma attorno alle sei di pomeriggio del giorno dopo, domenica 29 luglio, il suo cuore smetteva di battere. Non si sa da dove sia partita l’embolia. Mamma. Mi ha sempre difeso come una leonessa difende i suoi cuccioli, anche a costo di subire biasimi e critiche. Accendo la radio. “…poi mi viene in mente, se mi metto lì a pensare, il bacio di una madre come solo lei sa dare…”. Diamine, non potevano scegliere un altro momento per trasmettere “Come Gioielli” di Eros Ramazzotti! Mamma. Lei, che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica. Lei, un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio. Lei, con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino. Lei, che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé. Lei, una canzone nella notte. Lei, una ninna nanna speciale. Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Lei, quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me. Lei, quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare. Lei, il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto. Lei, mamma, una parola: la prima che ho detto. Lei, mamma, un sorriso: il primo che ho visto. Lei, mamma, una voce: la prima che ho udito. Lei, mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato. Lei, mamma, una culla: la prima che ho avuto. Lei, mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere. Lei, che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita. In questa foto avevo sei anni. “Vieni!” sembra dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa. Mi manchi, mamma. Queste sono le cose che ho perduto. Ricordi… Tornano sempre, anche quando non dovrebbero… Brandelli di passato. Stilettate di dolore, di angoscia. Questo é il ventesimo Natale che papà non c’è più. Questo é il primo Natale senza mamma. Ora vorrei tanto telefonare per dire, sottovoce, che li voglio sempre bene. Che li ricordo com’erano veramente: due genitori speciali.. Intelligenti. Soprattutto, buoni. Buon Natale, papà! Buon Natale, mamma! Quando mi addormento in poltrona, mentre nel camino il fuoco si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album spiccano ancora le tracce delle mie lacrime Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 10 dicembre 2012

Italia in caduta libera: noi, i nuovi poveri

Italia in caduta libera: noi, i nuovi poveri Allarme Istat: le famiglie italiane diventano sempre più povere.
E’ infatti un futuro a tinte fosche quello dipinto dall’Istat nel rapporto “Reddito e condizioni di vita”, relativo al 2011. Tanto è vero che si può ben affermare che il partito dei poveri sia quello più grande. In concreto, ciò significa che, per esempio, aumenta il numero degli individui che vivono in famiglie che dichiarano di non potersi permettere una settimana di ferie lontano da casa, che non hanno potuto riscaldare adeguatamente l'abitazione, che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro o che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni. Da brividi. La classe media italiana, punto di forza del paese dal dopoguerra a oggi, é stata spazzata via dalla crisi del debito e dalle manovre di austerity. Dati peggiori rispetto alla media europea. Nelle regioni del Sud e nelle famiglie numerose i rischi maggiori. Per una famiglia su due redditi mensili sotto 2mila. Redditi più bassi anziani soli e famiglie con un solo genitore. Al 20% della popolazione va quasi il 40% della ricchezza nazionale. I più poveri devono accontentarsi dell'8%. Un dato che preoccupa soprattutto per la percentuale in crescita di coloro che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro, dove le persone tra i 18 e i 59 anni lavorano meno di un quinto del tempo. Tre italiani su dieci sono a rischio povertà in un Paese dove i redditi dei più ricchi crescono percentualmente con un rapporto di 10 a 1 rispetto a quelli dei meno abbienti. A fare da spartiacque tra le conseguenze della crisi economica è il lavoro. Le famiglie che hanno come entrata principale un reddito da lavoro autonomo mostrano minori difficoltà, mentre si registra un serio problema di penalizzazione del lavoro dipendente. Conclusione: il capitalismo finanziario continua a governare l’Italia, e senza la ricostruzione di un interesse generale ci farà diventare sempre più poveri. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 6 dicembre 2012

Renzi ha perso: peccato!

Renzi ha perso: peccato!
Mi dispiace che Renzi abbia perso. Gli italiani avevano davanti la possibilità di cambiare, ma non hanno colto l’occasione. Invece ha vinto Bersani, ed ora il segretario del Pd è il candidato premier del Centrosinistra. Il 40% di consensi ottenuti da Matteo Renzi al ballottaggio delle primarie è un risultato importante. Non si può, infatti, sottovalutare quanto accaduto: in passato le primarie del centrosinistra avevano avuto un esito scontato, con risultati quasi bulgari. Questa volta poco il 40% ha votato contro il segretario del partito. Una svolta sui cui sarebbe miope per i dirigenti del Pd chiudere gli occhi. Certamente Renzi era fautore di proposte più nette (come l'abolizione del finanziamento pubblico), mentre Bersani ha preferito mantenere un profilo diverso, più pragmatico e meno dirompente. Del resto essendo il segretario del Pd fortemente sostenuto dall'apparato del partito, ben difficilmente avrebbe potuto spingersi troppo in là. Meglio, anche su questi temi, battere la strada dell' usato-sicuro. Il programma di Bersani era molto centrato sull’uguaglianza, che era anche il titolo di uno dei dieci punti programmatici. Il programma di Renzi puntava invece molto sulla meritocrazia (senza trascurare ovviamente l’uguaglianza, soprattutto dei punti di partenza). Certo, ora il Pd esce da queste primarie come il partito favorito alla vittoria delle prossime elezioni politiche, sia per proprio merito che per demerito altrui. Intanto, Beppe Grillo è contento: sa che la vittoria di Bersani, che è ancora accostato alla vecchia politica, non farà altro che incrementare la migrazione dei voti verso il suo Movimento 5 Stelle. Sarà facile per lui accusare il Centrosinistra per questo mancato cambiamento. La vittoria di Bersani poi, accelererà la ridiscesa in campo di Berlusconi, che vede in Bersani un avversario più facile, rispetto ad un Matteo Renzi che ha meno della metà dei suoi anni (Berlusconi 76, Renzi 37). Inoltre, con la legge elettorale che non verrà cambiata (e con la quale il Pd arriverà di poco sopra il 30%) con il forte astensionismo, con Grillo in ascesa, con il ritorno di Berlusconi, a Bersani non resterà altro da fare che guardarsi ulteriormente intorno per cercare nuove alleanze e creare così una forte coalizione di governo. Altrimenti avremo un Parlamento frammentato e di conseguenza un Paese ingovernabile. Con Renzi vincitore sarebbe stata un’altra storia. Ecco perché avrei preferito che avessi vinto lui. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 3 dicembre 2012

"Sedicesima sagra del panpepato a Collevecchio" breve racconto di Mario Pulimanti

Sedicesima sagra del panpepato a Collevecchio
Domenica 23 dicembre 2012. Esco. Sulle scale, incontro un condomino. Sempre la stessa faccia da giudice per le indagini preliminari. Imprecando, mi informa che l’ascensore non funziona. Vado al caffè Morganti, da Gioacchino. Lì si può gustare un caffè divino! “Lo zucchero va messo prima del caffè, sennò rovina la cremina che si forma in superficie. E l’acqua va bevuta prima. Così la bocca si pulisce bene di tutte le schifezze e l’aroma resta più a lungo”, dice Carmelo, barista palermitano. Annuisce l’altro barman, il romano Michele: da giovane è senz’altro stato un discreto alzagonnelle. Salgo in macchina. Alla guida, Simonetta. Accanto a lei, Alex. Dietro, io. Nell’altra macchina, Marco al volante. Accanto a lui, Rita. Dietro, Gabry e Francesca. Direzione: Collevecchio. Evento: sedicesima sagra del panpepato, dolce tipico della tradizione sabina. La peculiarità del panpepato come lo fanno a Collevecchio deriva dall'abbinamento del cioccolato, della frutta secca, dei canditi e del miele con il pepe. Il dolce è poi cotto al forno; meglio se a legna. Viene solitamente consumato durante le festività natalizie. Per prepararlo ci si impiegano almeno due giorni infatti: la sua preparazione richiede infatti pazienza e voglia di sporcare tutta la cucina; non a caso sono sempre meno le persone che lo preparano a casa ma quelle che lo fanno si avvantaggiano parecchio in modo da evitare che la cucina delle feste si sporchi eccessivamente causando ulteriore stress. L'impasto si divide in panetti che, una volta cotti, si taglieranno a fettine sottili. A Collevecchio viene preparato in ogni famiglia con ricette che differiscono leggermente l'una dall'altra. Mi dicevano che la mia bisnonna Marietta al posto delle mandorle e delle noci che avevano un costo molto elevato, utilizzasse i noccioli della frutta estiva (prugne e albicocche), opportunamente essiccati e conservati. Zia Loreda lo preparava mettendo il miele insieme a zucchero, bicarbonato e un cucchiaio di semi di anice. Zia Navina lo poneva su una tortiera insieme all'arancia candita. Nonna Leonella lo avvolgeva con molta cura nella carta argentata in modo che nessuna parte del dolce rimanesse esposto all’aria. Zia Felly prepara i panpepati la sera stessa, subito averli impastati, e li ascia sulla spianatoia a freddare per farli compattare ancora meglio. La mattina dopo li mette in forno e li cuoce senza ritoccarli con le mani. Fino a qualche anno, quando ancora la salute glielo permetteva, lo preparava anche mia suocera, Venia. Scaldava il miele su fiamma molto bassa, dopo averci aggiunto un po’ d’acqua. Poi, dopo aver fatto bollire versava il miele diluito sugli ingredienti preparati in modo che si sciogliesse la cioccolata. Aggiungeva a questo punto la farina a pioggia, ma molto lentamente e girando in continuazione. Simonetta modella con un cucchiaio i panini che dispone sulla teglia. Sì, anche lei prepara a casa il panpepato, perché dice che lei usa il cioccolato, i pinoli e la frutta secca mentre di solito quello in vendita è pieno di farina perché la farina costa meno e rende di più. Arriviamo. Questa è la Sagra del panpepato di Collevecchio. Per quanto riguarda la cronaca, eccoci qui. Anche quest’anno molte novità: la “novena” itinerante per le vie del paese degli zampognari. Le scene di vita medioevale e duelli in armatura presentati da una Scuola d’Arme Medioevale che si esibisce nelle piazze del Paese. Intorno a noi, le vie del paese sono gremite. Come tutti gli anni. E, come tutti gli anni, musica con gli organetti e con la Banda Musicale Cittadina di Collevecchio. Assaggiamo il Panpepato. Alex e Gabry più volte. E pure Francesca. Eh, sì: anch’io ne assaggio alcune fettine sottili. Simonetta mi chiede se sono più buoni quelli che fa lei. Certo, rispondo. Marco mi fa l’occhiolino bisbigliandomi in un orecchio: “Sei proprio un democristo!...” Rita ride. Marco ne acquista tre. Per le vie del paese, inoltre, mostre d’arte e mercatini di prodotti artigianali. Di fronte a noi antiche cantine aperte per l’occasione. Sia a pranzo che a cena. Qui si possono gustare le specialità culinarie della sabina. Sono le tredici. Ne approfittiamo. Ci sediamo a tavolino. Frittatina con asparagi selvatici per antipasto. Poi, nelle caratteristiche scifette in legno fumanti ci servono piatti di polenta con sugo di spuntature e di salsicce. Degustiamo pure “lo recalicu”, ovvero il prelibato piatto contadino a base di farina di granoturco, mista ai fagioli, l'olio a crudo, il pepe ed il pecorino. La carne è di allevamenti sabini con profumi e sapori unici. Tartufo, funghi, asparagi sempre locali e freschi. Tutto accompagnato da Colli della Sabina bianco per Gabry e Simonetta, rosato frizzante per Alex e Marco, rosso frizzante per me e Francesca, rosso per Rita. Una breve visita al Cimitero a salutare mamma e papà, poi andiamo a prendere il caffè dalla suocera. Lo ha preparato Carmela: ottimo. Esco nel cortile e guardo in alto. “Sono tante, eh, le stelle?” dice Simonetta, tentando di mantenere il tono leggero. “In che senso” rispondo. “Hai bevuto troppo”. “La pensi davvero così?” “Sì, più o meno sì”. “Spiritosa”. “E hai mangiato come un bue”. “Ne sei sicura?”. “Certo. Fortuna che guido io”. “Ma nemmeno per sogno. Mi guarda negli occhi, dicendo “Guido io. Senza discussioni”. E si allontana. Salgo in macchina, al posto dietro ovviamente. Marco mi si avvicina, dicendo “E ora sono cavolacci tuoi!”. Partiamo. Simonetta spiega ad un Alex annoiato che per lei partire da Collevecchio è sempre doloroso. Io sonnecchio, guardando la notte fuori dal finestrino. Poi prendo una fettina di panpepato dalla tasca destra del giubbotto. E me la mangio. Ah, che buono il panpepato! Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)