sabato 31 gennaio 2009

Errore di GOOGLE

E' stato un errore umano". E' questa la spiegazione di Google ai problemi riscontrati da milioni di internauti che hanno usato il motore di ricerca tra loe 15,30 e le 16,25 di oggi pomeriggio. Sul blog del motore di ricerca, è stato pubblicato pochi minuti fa il "post" con le spiegazioni e le scuse di Google. "Il messaggio comparso nel periodo in questione, che indicava qualunque link risultato di una ricerca come sospoetto e a rischio di contenere materiale pericoloso è stato chiaramente un errore", spiega il blog di Google.

"Quel messaggio compare solo per i siti che vengono dichiarati effettivamente a rischio
dopo un controllo accurato da parte di una organizzazione non-profit,
la StopBadware.org, e la lista, proprio per la sua delicatezza la lista dei siti a rischio viene gestita manualmente e non dalle macchine".

E' durato circa una quarantina di minuti. Le funzionalità del motore di ricerca più usato al mondo sono tornate normali da pochi minuti, ma durante il breve periodo per la rete si è diffusa una ondata di messaggi molto preoccupati.

Centinaia di utenti sparsi per tutto il mondo hanno segnalato di aver incontrato dei problemi nel fare le ricerche. In pratica ad ogni pagina di risposta veniva aggiunta la frase "questo sito può contenere materiale pericoloso" e se si cliccava sul link della ricerca, compariva una pagina che invitava a non andare avanti perché il sito era potenzialmente pericoloso. Problemi erano stati rilevati anche con Google News.

Il problema tecnico di Google ha mandato in tilt il sito di riferimento per la sicurezza online, StopBadware.org, che ospitava la pagina di avvertimento sui siti pericolosi. Il messaggio, infatti che è comparso per diversi minuti quando si tentava di fare una ricerca su Google si è tramutato in un involontario attacco DoS ("Denial of Service" - viene usato dai pirati informatici per impedire l'accesso ai siti), saturando la banda del
server di StopBadware.org, organizzazione dedicata alla lotta contro il software "maligno", a cui aderiscono istituzioni accademiche Usa e aziende informatiche e che è anche la fonte di Google per questo tipo di dati.

"Milioni di persone hanno tentato di accedere alla pagina che metteva in guardia sulla potenziale pericolosità dei risultati di ricerca di Google - spiega il blog di StopBadware.org - e questo ha
mandato in tilt il nostro sito.
Al momento tutte le funzionalità sono

state ripristinate".
Mario Pulimanti

venerdì 30 gennaio 2009

Non ti fermare mai



Non riesco a dormire.

Telefono a un amico.

Nessuna risposta. Forse sta facendo un riposino post coitum.

Mi rimetto a letto.

E' stata una giornata strana.

Fredda e triste, perfetta per un’esumazione. Ci siamo stretti gli uni agli altri, le mani in tasca e la testa incassata tra le spalle, mentre l’operaio che manovrava lo scalpello immergeva ripetutamente l'arnese nella lapide di mio suocero.

Come un flash, mi viene in mente nonno Angelino con in braccio un bambino.

Sono io, e gli sto chiedendo cosa mamma mi ha messo nel piatto.

“E’ vitello.”

“E cos’è?”

“E’ una vacca bambina.”…e mi pizzica una guancia.

Sorrido, ma questo non tranquillizza le farfalle che ho nello stomaco.

Tutte le persone di mezza età divagano.

Certo. Quando si passano i cinquanta, si ottiene dallo Stato la licenza di divagare.

Quando alla fine mi addormento, ho il sorriso sulle labbra.

Mi mastico il labbro superiore.

Non ho preso la valeriana e la mia insonnia lo sa.

Rigirarsi, sindrome della gamba inquieta, incapacità di trovare una posizione comoda.

Alle tre del mattino saltano sul treno dei sintomi anche le palpitazioni cardiache e il respiro corto, so abbastanza di psicologia da riconoscere un attacco di panico.

E’ terribile.

Resto immobile per qualche minuto, cercando di riportare la respirazione sotto controllo.

Salto dal letto, faccio qualche flessione sulle braccia, bevo due bicchieri d’acqua, faccio zapping tra i canali tivvù con il volume a zero e alla fine mi siedo per terra in un angolo e mi stringo le ginocchia al petto, oscillando avanti e indietro.

E’ piacevole svegliarsi ascoltando qualcuno che ti sciorina davanti tutti i tuoi problemi.

Oggi non ho nemmeno quella soddisfazione. Simonetta dorme.

Alle sei, in uno sforzo quasi isterico di semplificare la mia vita, vado in bagno e telefono in ufficio.

“Mario, sei tu?”.

“Ho bisogno di sapere l’esito dell’interrogazione sulla pesca e lo sviluppo rurale, Lorenzo. Sto pensando a troppe cose, troppo in fretta.”

“Mario, hai una voce tremenda. Stai bene?”

“No. Credo di aver avuto un crollo nervoso. Probabilmente è solo un attacco di panico. Non ho preso la valeriana e sto dando la testa nel muro.”

“Come mai non l’hai presa?”

Il momento della verità.

Me lo sono scordato.

Aspetto che si metta a urlare, che mi insulti. Voglio che lo faccia, cazzo.

“Capisco.”

Maledizione, perché deve essere così maledettamente gentile?

“Potrei non venire al lavoro, Lorenzo.”

“Devi scegliere quello che è meglio per te, Mario.”

“Non ti dispiace rispondere all’interrogazione al posto mio, allora?”

“Ok. Ci penso io.”

Stringo il cellulare così forte che le mie nocche sbiancano.

“Non puoi essere così schifosamente altruista su questa cosa! Dammi dello sfruttatore! Dimmi che dovrei pensarci io!”

“Chiamami quando tornerai al lavoro, Mario”

Riaggancio. Sollevo il cellulare sopra la testa, con l’intenzione di fracassarlo contro le piastrelle del pavimento.

Mi accontento di posarlo sul lavandino.

Gabriele bussa alla porta.

“Papà? Stai bene?”

Entra e si siede accanto a me.

“Cavolo”, impreco. “Cavolo! Io non sono così debole!”

Lui ride.

“Tu non sei debole, sei umano.”

“E tu lo trovi divertente?”

"Certo, papà."

Squilla il cellulare. Il suo.

Risponde.

Infilo il cappotto ed esco.

Schiumo di rabbia.

Qualcuno ha dimenticato di dire a Ostia che l’inverno sta finendo, dato che una pesante grandinata ha inondato ogni cosa, e io rischio di rompermi il collo scivolando su una pozzanghera ghiacciata.

Decido: vado alla Garbatella.

Arrivo.

La casa é vuota.

Mamma é andata a Testaccio, da Antonella.

Guardo una foto di papà.

Lui amava ripetermi che “ la vita non è una corsa che si può vincere. La fine della corsa è la stessa per tutti: si muore. Il punto non è vincere la corsa, Mariuccio. Il punto è come la si corre. In altre parole, non si tratta di vincere o di perdere, ma di come si gioca la partita. E tu, Mariuccio, corri. Non ti fermare mai.”

Arivarono Natali. Capodanni. San Valentini. Pasque.

Arrivò la Pasquetta del novantadue.

E continuai a correre.

Afferro la foto e la tengo stretta a me, e piango, piango, piango, finché non esce più niente.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

domenica 25 gennaio 2009

Menopausa maschile



E' sabato.
Improvvisamente, mi sveglio. Ahi, la testa. Che male! Sbadiglio con la mascella che scricchiola per l'accumuolo notturno di calcio, poi impiego un minuto per ritrovare l'orientamento. Postumi da valeriana. Mi costringo a mettere i piedi a terra, penso di fare qualche esercizio per gli addominali, decido che non sono ancora pronto e vado a fare una doccia tiepida. Il sapone che promette di aprirmi gli occhi non lo fa. Quando esco dalla doccia sono assonnato come prima e in più o i brividi. "Basta", dico alla mia faccia allo specchio. Cristo, ho cinquantatre anni. Non ho mai avuto un brufolo dai tempi della scuola media, ma adesso c'é un foruncolo che mi fissa come un terzo occhio in mezzo alla fronte. Ho le crisi della mezza età. Sarà menopausa maschile? Meglio uscire. Ostia ha l’odore dell’inverno e cioè il tanfo di spazzatura e gas di scarico ha una sfumatura di vento freddo. E' adeguatamente ventosa, la temperature è poco sopra i cinque gradi, i marciapiedi umidi per la recente pioggia. Riprende a piovere e le nuvole grigie si fondono con i toni bruno e nero della cittadina e degli alberi morti, i pochi che ci sono. Le fogne non funzionano e dovunque brandelli di cose morte si trasformano in fango alla prima pioggia. Come al solito ci sono in giro nuvole di fumo passivo sufficienti a far ammalare di cancro degli animali da laboratorio. Oggi di pensieri ce n’è un’insalata. Penso a papà. Pasquetta del novantadue. E' allora che sono diventato quello che sono oggi. Penso a Nonna Jole. Non posso dimenticarmi il suo volto saggio e profumato, gli occhi celesti e i capelli grigi raccolti dietro la testa. Brrr. Mi sento gelare a questi ricordi. Lasciamo stare. Penso a mia moglie. E' una donna che si preoccupa di tutto. La lista delle cose di cui si preoccupa in ogni dato momento è interminabile: il benessere dei figli, per esempio, o l’inadeguatezza del nostro stipendio, o il taglio delle spese scolastiche minacciato nella scuola di nostro figlio Alessandro, o la macchia d’umidità sopra la finestra, o lo scricchiolio delle sue giunture ogni volta che si alza la mattina, o il libro che da tempo nostro figlio Gabriele deve restituire alla biblioteca comunale e non riesce più a trovare, o il riscaldamento del pianeta. Ma in questo momento particolare ci sono due cose che le danno ulteriori motivi di preoccupazione: la minacciosa certezza dell’avanzare del tempo (Tempus fugit!) nonché lo stato della salute mentale di suo marito (vale a dire, del sottoscritto). Mi dice: “Guardati intorno. Ci sono uomini che fanno jogging, che coltivano ortaggi, che vanno in bicicletta, che costruiscono case. La tua specialità è quella di essere negato per qualsiasi lavoro manuale”. Questo vale anche per l’educazione dei figli. Mi accusa di essere come Ulisse, l’Odisseo che lascia il figlio appena nato e quando lo riabbraccia ha venti anni e si è fatto uomo: Telemaco. Difatti, a suo dire, mi sono ritrovato Gabriele ventiduenne senza aver fatto nulla, perché ha pensato sempre a tutto lei. Del resto dice che la mia filosofia di vita è l’utilitarismo spinto. In poche parole sarei un integralista dell’edonismo estremo. Ognimodo ho due figli svegli. Beh, per dirla giusta a volte non mi sento del tutto realizzato nella vita professionale e in quella creativa. Malumori passeggeri. Ah, tra Gabriele e il quattordicenne Alessandro qualsiasi contatto è fuori discussione finché non raggiungono la privacy impenetrabile del salotto di casa. Il casino è che il grande non ama avere il piccolo tra i piedi. Ma giunti a casa….Fin da piccoli, col pretesto di disegnare, scrivere e colorare, in realtà si assestano colpi di matita e pastelli negli occhi, nelle orecchie ed in altre parti del corpo, mentre guardo impotente Simonetta che, sfigatissima, sembra avere il sorriso teso e lo sguardo perso di chi non desidera altro che essere trasportata il più lontano possibile. Non sono certo un uomo con una posizione appetibile. Sono un funzionario statale bloccato al nono livello da molto tempo. Da quando va avanti questa storia? Da 20 anni. Funzionario statale suona, comunque, un po’ stalinista, a mio parere. Bando alle rassegnazioni. Ehilà, che strana giornata ieri. Da subito. Ero già fuori di testa al pronti-via. Pazzesco: all’improvviso una collega pomposa, che pensa di essere una giurista doc, si è sentita in dovere di spiegarmi i motivi per cui è stato emesso un certo parere del Consiglio di Stato. Ma era troppo pallosa e deprimente, per cui mentre parlava a un certo punto staccavo la spina e pensavo al teatro. Lei un paio di volte mi ha guardato strana, per cui mi sa che spesso mi ha detto delle cose che dopo gliele ho chieste un’altra volta. Tipo una volta che mi sono rimesso in onda e ho sentito che faceva: bla, bla, bla il parere del Consiglio di Stato di dicembre. Al che le faccio: "Quand’è che è stato emesso il parere?" Ma credo che era quello che aveva appena detto. Il parere è di dicembre. Ma a dirla tutta: non ero stato mica io a chiederle queste cose, capito. Cioè sarebbe stato più facile concentrarmi se avesse parlato con meno spocchia e boria. Vabbè, la roba più importante è che poi è andata via lei e la sua vanagloria. Ne ho fatta di strada, dai tempi in cui avevo i capelli neri. Adesso, che li ho come quelli di Kit Carson, posso dire che sono cresciuto come persona: una volta la collega tracotante l’avrei invitata a fare un viaggio fino al buco del culo del mondo. Il che mi fa pensare, solo per un attimo, che sarebbe stato meglio se l’avessi fatto, come insegnano gli episodi di bullismo scolastico. La verità è che sia a scuola che al lavoro vengono premiati i più furbi e prepotenti e non quelli più bravi. A essere sinceri, non è che voglio sbrodolarmi addosso dicendo che sono più competente di colleghi che hanno reggenze e incarichi che io non ho. Ci mancherebbe! Basta pensare al lavoro. Allora decido di andare a Cineland. Gioco a boowling. Con Ferruccio. Il boowling mi offre un rifugio dai problemi, buttare giù un birillo dopo un'altro mi mette in uno stato quasi zen. Dimentico il mio lavoro, la mia insonnia, i miei problemi. Torno a casa. Mi preparo un drink. Finisco di bere il mio gin and tonic, che la cena è quasi pronta. Bene. Sento un odorino. Ora posso concludere. Insomma, alla prossima. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

mercoledì 21 gennaio 2009

Sono solo


Sono solo.
Moglie e figli a Collevecchio.
Esco con due amici, uno magro e l’altro no.
Davanti a una birra “c’è la luna piena?” mi domanda quello grasso.
Lo vedo gustarsela con grande piacere, perciò gli dico, scherzando “La luna piena ti trasforma in un maiale mannaro”.
“Può darsi” ribatte.
I suoi occhi diventano due fessure. A volte ho lo splendido dono di far affiorare il lato peggiore delle persone.
“Non ti arrabbiare, Porky” sogghigno. “Era solo una battuta”.
Incrocia le braccia. “Per tua informazione, ho appena perso cinque chili.”
“Ma non li hai persi…li hai nascosti nel culo.”
“Mario, sei proprio un idiota patentato a diciotto carati” ribatte.
“Ehi, amico, perché sei così di cattivo umore? La tua pasticceria ha finito i bomboloni?”
Mi punta l’indice sotto il naso. “Fai un’altra battuta sul grasso e…”
“E cosa fai, mi mangi?”
L’amico magro si mette faccia a faccia con me, urlandomi “potreste per favore comportarvi in modo più professionale, voi due?”
“Attento -gli dico- quando avrà finito con me potrebbe ancora avere fame.”
L’amico grasso alza gli occhi al cielo, voltandomi le spalle.
“Scusa, Palladiburro, ma io volevo solo scherzare” dico.
Il magro abbocca e mi abbraccia.
L’altro strige i pugni, mi guarda, poi borbotta qualcosa e se ne va.
“Quello non ha il senso dell’umorismo. Probabilmente mangia per compensare una vita sessuale insoddisfacente.”
“Non credo proprio che sia questo il suo problema” risponde il magro.
Poi lo saluto e vado a casa.
Mi infilo nel letto e chiudo gli occhi.
Mi ci vogliono cinque secondi per capire che ho più possibilità di vincere al lotto che di addormentarmi.
Così accendo il televisore.
Replica. Sport. Cavolata. Film già visto. Cavolata. Cavolata. Replica. Cavolata. Televendite.
Alla fine mi fermo su una promozione che elogia gli effetti anti invecchiamento dei succhi vegetali.
Un uomo di novant’anni fa decine di flessioni sulle braccia e proclama che il frullato di sedano è un elisir di lunga vita.
Può mai abboccare qualcuno?
Io sì, e richiedo la consegna urgente.
Finisco nel bel mezzo di un seminario su come migliorare la memoria e dormo a intermittenza fino alle sette, quando suona il telefono.
Mi rizzo sul letto, pensando che sia Simonetta, o mia madre.
“Mario? Sono Lorenzo. Sembra che ci siano dei problemi su una interrogazione.”
“Aspetta un attimo. E’ quella dei pomodori cinesi?”
“Sì, Mario.”
“Sarò lì in meno di un’ora.”
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 16 gennaio 2009

Ridere fa bene (Carnevale 2009)



Non ho l’aria condizionata. Per risparmiare.
Il che significa che in estate in casa mia c’è più o meno la stessa temperatura che all’inferno, ma con più umidità. Nel tentativo di raggranellare spiccioli, dunque, ho trasformato il mio appartamento in una serra. Nel periodo estivo é così caldo che delle orchidee selvatiche spuntano sui cuscini del divano. Esco. Nelle strade vicino a casa mia ci sono più tombini che asfalto e io mi devo contorcere ogni volta che la mia macchina prende una buca. Sto andando a trovare un amico. Il condominio dove vive è il più bello dell’isolato, il che non significa molto. Ci sono comunque dei graffiti sul marciapiede e sui muri, nel portone ci sono tre evidenti buchi di strana provenienza. Parcheggio davanti all’edificio, sulla strada. Scendo dalla macchina provando lo stesso senso di disagio che ho sempre a Nuova Ostia. Il portone blindato ha la serratura rotta e mi permette di entrare facilmente. L’atrio puzza di sporcizia e di marcio. Altri graffiti sulla parete, qualcuno ha spaccato due delle tre luci del corridoio. Il mio amico ha un appartamento al piano terra. Il numero è stato tolto dalla porta. Busso. Mi apre la porta. Entro. Ride. Sembra posseduto da uno degli Orsetti del Cuore. Il motivo? E' contento perché é arrivato il carnevale del 2009! Incredibile, vive in questo tugurio, eppure ride per il carnevale. Mmmh...a questo punto mi mostro freddo fino alla scortesia, perché secondo me sta esagerando. Eppure lui continua a ridere, contento. E' proprio vero quando si dice "Beati i puri di cuore". E lui, vedendomi perpòesso, mi fa: "Mariuccio, la vita va presa ridendo, senza pensarci troppo sopra!" Mi ha convinto. Rido anch'io. Passiamo due ore in allegria, tra battute spiritose e birra a volontà, poi lo saluto. Ritorno a casa, più contento di quando ne sono uscito. Mi metto al pc. E scrivo le cose che state ora leggendo, non per rilevare un codice segreto che apra una porta nascosta su un mondo d’insperate possibilità, ma per dire una cosa, sì ovvia, ma ugualmente importante, che mi fatto capire il mio amico: ridere stimola il sistema cardiovascolare tanto quanto l'esercizio fisico. Ridere fa bene al cuore, mentre la depressione aumenta il rischio di mortalità. Quindi non dobbiamo offenderci se a volte amici, colleghi o semplici conoscenti scherzano su questioni che ci toccano. È umano, naturalmente, ma riuscire a ridere di noi stessi è salutare. Come ho detto fa bene al cuore. Una medicina che va bene per tutti, grandi e piccoli, uomini e donne. Quindici minuti quotidiani di sane risate rappresentano una cura molto efficace per il sistema cardiovascolare. Tanto è vero che il riso fa buon sangue ed il ridere anche di noi stessi è la migliore medicina perché il buon umore sembra attivare le reti del cervello che sono coinvolte nel benessere psicofisico. L'umore ha un grande impatto sulla nostra salute psicologica e fisica. Il nostro senso dell’umorismo, intendendo con questa espressione anche la capacità di stabilire amicizie ma anche rapporti di coppia duraturi, è una potente medicina anti-stress. Vivere con il sorriso sulle labbra -anche quando si viene derisi o criticati ingiustamente- aiuta ad affrontare meglio le difficoltà della vita, non costa nulla e non ha effetti collaterali. Ho sempre saputo che il riso aiuta la salute e che ridere difende dal logorio. L'umorismo è una necessità, risultato di un impulso a eludere la ragione, ricreando in noi adulti uno stato infantile della mente, come rimozione di inibizioni interne. E’ basato spesso su un meccanismo psicologico che cela l'orgoglio di sentirsi migliori degli altri. Perché l'umorismo permette di parlare di cose che in società sono inammissibili. In questo senso ha a che fare con l'aggressività, come la sessualità. Si possono dire battute sessuali senza scandalizzare. Mentre la volgarità dà fastidio. Eppure persino questo tipo un po’ becero di umorismo affranca, ridendo, da uno dei tabù imposti dalla società e assorbito nella coscienza. Ecco perché i bambini si divertono a dire parolacce, a parlare di cose proibite. Sembra che sia terapeutico anche l'umorismo nero, perché aiuta ad allontanare l'ansia nei confronti della morte. Scarica tensioni, eliminando le quali restano più energie per affrontare la giornata, il lavoro, lo studio, la famiglia. Non si migliorano così le capacità intellettive, ma queste vengono sfruttate meglio. Mentre se si è tesi non si riesce a concentrarsi, per essere creativi. Curarsi ridendo, guarire ridendo, è forse più difficile da quando il carnevale dura tutto l'anno, e non solamente nei pochi giorni in cui il Buffone diventava Re. Buon Carnevale a tutti! Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

giovedì 15 gennaio 2009

"Australia" con Nicole Kidman




Vado a letto.
Per le successive tre ore, il sonno è una faccenda stop- and- go, brevi periodi intervallati da attacchi di ansia, domande ossessive e dubbi.
Mi costringo a fare qualche flessione sullem braccia e un po’ di addominali,.
Mnutile.
Mi alzo, faccio una doccia calda e mi vesto con una giacca marrone, calzoni in tinta e camicia a righine.
Avventurandomi nel soggiorno scopro che non sono stato il solo ad avere una nottata intensa.
Per il mio supremo stupore, Gabriele rimane a guardarmi sul divano.
Ha studiato tutta la notte, e ora non ha sonno.
“Adesso capisco come mai tanti ragazzi vanno fuori corso”
Lui non replica.
E’ troppo stanco per rispondere alle mie battute goliardiche. Del resto sta frequentando Giurisprudenza con ottimi risultati. Bravo, Gabry!
Entro in cucina.
Mi preparo un caffè.
Penso al lavoro.
Il grado mi consente di alzarmi più tardi, di operare sulle pratiche senza problemi di giurisdizione, di dare ordini quando è necessario e di scegliere i provvedimenti di cui occuparmi.
Mi ci sono voluti più di trenta anni per raggiungere questo livello di autonomia e adesso me lo godo. Probabilmente è questo il motivo per cui nessuno dell’ufficio viene a bussare alla mia porta per impartirmi ordini o lamentarsi del mio lavoro. Il grado ha i suoi privilegi.
Sono spiritoso, attento, romantico e innamorato di me.
Eppure, devo ammettere che una parte di me ha deciso che è corretto mostrare anche il rovescio della medaglia.
Ho qualcosa che non va.
E non sono difetti trascurabili.
Ho i capelli bianchi.
Lascio sollevata la tavoletta del water.
Conservo una giovanile passione per i film horror di seri B e la musica pop anni Ottanta.
Certo, non ho mogli in quattro diverse città.
Né tengo la mamma mummificata su una sedia a dondolo in soffitta.
E mi piace la Kidman!
Australiana, pelle del colore della porcellana, lineamenti perfetti e delicati, donna di indubbia bellezza, Nicole Kidman è la mia attrice preferita.
Brava come nel dolente Ritratto di signora, bella come nel cimiteriale The others, scaltra come nell'effeminato The hours con cui, mettendosi un nasone finto per essere Virginia Woolf, riuscì a vincere un Oscar.
Ho ancora nella mente lei, nel personaggio sensuale, scatenato ed a tratti demenziale di Satine (perfetta in questo ruolo di seducente cortigiana) in Mouline rouge, che sussurra al suo partner, Ewan McGregor: “la cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare!”.
Ormai ho raggiunto la pace dello spirito, se non proprio quella dei sensi, ma, ascoltando queste parole pronunciate così sensualmente, non posso non amare Nicole Kidman!
E ora è arrivato nella sale “Australia”, un film di Baz Lurhmann, dove una splendida Nicole Kidman è Lady Sarah Ashley, una ricca nobildonna inglese, che eredita una tenuta in Australia con 2000 capi di bestiame. e inizia una relazione con un altro allevatore della zona, interpretato da Hugh Jackman.
Del suo ruolo in Australia Nicole ha detto che è stato “molto bello tornare a cavalcare e stare in mezzo a mucche e tori, anche se sono assolutamente false le voci secondo cui ho dovuto addirittura imparare a castrare un toro: non l'ho mai fatto! Per non parlare delle vesciche ai piedi e i muscoli a pezzi....”
Chiudo gli occhi, fingendo di essere il mandriano.
Sto impazzendo?
Sto cominciando a pensarlo sul serio.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 14 gennaio 2009

Auguri, Senatore


E’ uno di quelli tosti.
Mi guardo intorno nel mio ufficio, una nocca premuta contro la tempia, cercando di scacciare il dolore con la volontà.
Se ne saranno accorti i colleghi?
Sicuramente.
Ho i muscoli del collo così tesi che li si potrebbe suonare, sono fradicio di sudore e non riesco a controllare il tremito.
Non ho mai avuto un dolore così intenso.
E’ come se avessi la testa in una morsa che viene stretta poco a poco, finché gli occhi non sono sul punto di schizzare fuori.
Forse mia moglie ha ragione.
Dovrei andare da un dottore.
Ma l’idea mi terrorizza.
E se il dottore scoprisse qualcosa di veramente grave?
E se avessi bisogno di un intervento chirurgico?
Preferisco affrontare il dolore piuttosto che permettere a qualche ciarlatano di frugarmi nel cervello.
“Stai bene, Mario?”
Una collega. Femmina. Aspetto scialbo, fianchi pesanti, capelli castani, corti, con taglio tutte punte, tipo Peter Pan.
“Mal di testa.”
Riesco a fare una smorfia di sorriso.
“Vuoi un analgesico?”
“Sì, grazie.”
Lei va alla scrivania.
“Saridon?” domanda lei da dietro il tramezzo che forma il suo cubicolo.
“Benissimo.”
Mi porge la pillola, inarcando un sopracciglio.
“Devo proprio ringraziarti per questo.”
“Non c’é problema. Soffro anch’io di emicranie. Avrei ucciso pur di far passare il dolore.”
“Lo sai, lavoriamo qui da anni e non so niente di te.”
Lei sorride. I denti davanti sono storti.
“Sono sposata, con una figlia.”
Mi sforzo di sorridere. Chi poteva immaginare che un brutto coso come lei avesse una famiglia?
“E tu? Sei sposato?”
“Sì. Due figli, però.”
“Già, bé, come diceva Eduardo i figli so pezzi de core.”
“Senti, adesso devo tornare al lavoro. Grazie per il Saridon.”
“Figurati.”
E se ne va ciondolando.
Ingoio l’analgesico.
Il dolore pulsante, sembra scemare lievemente.
Siedo alla scrivania.
Prima di accendere il pc, do una sbirciatina al giornale.
Ehilà, Andreotti compie 90 anni.
Anche lui soffre spesso di emicranie.
Lo ritengo il miglior politico che l’Italia abbia mai avuto.
Auguri, senatore!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

martedì 13 gennaio 2009

Insonnia



Arrivo a casa dopo le dieci di sera.
Abito a Ostia, in un appartamento tra Corso duca di Genova e Piazza delle Repubbliche Marinare.
E’ un quartiere rumoroso, le strade sono sempre piene di tifosi della Roma e di ragazzi che fanno il giro dei bar.
Molti frequentatori del Bar Amigos passano le serate proprio sotto la mia finestra, comunicando a strilli.
In compenso, il costo degli appartamenti è troppo alto.
La stanchezza si abbatte su di me a ondate, come una marea, ma io e il sonno non siamo buoni amici.
Nelle notti migliori riesco ad avere due ore di sonno REM prima che lo stress mi svegli.
Do la colpa al mio lavoro, dato che è più facile che incolpare me stesso.
Sono stato da vari medici generici, ma non ho mai ceduto all’idea di andare da uno strizzacervelli. E dire che una delle mie migliori amica, Silvia, è una psicologa.
D’altra parte l’insonnia mi da mordente: meno sonno equivale a più produttività.
E poi molte persone trovano sexy le borse sotto gli occhi.
“Ciao, Mario, come è andato il lavoro?” mi chiede Simonetta.
I colleghi sono dei gran mattacchioni, una volta scolato qualche drink. Nah, sto scherzando: sono in ufficio diventiamo ancora più noiosi.
Ho appena avuto una discussione di due ore con alcuni di loro su…una interrogazione rigardante i pomodori siciliani.”.
Sorride.
Ceniamo.
Mi metto una vecchia T-shirt, e mi infilo a letto.
Penso a Gabriele e a Alessandro. Penso al mio stipendio. Penso al teatro.
Come se non avessi abbastanza cose per la testa.
Il riposo, come previsto, rifiuta di ubbidirmi.
Mi giro.
Mi rigiro.
Faccio esercizi di respirazione e di rilassamento che mi portano vicino al sonno, e forse, per brevi periodi di tempo, a un sonno vero, da cui vengo strappato dopo pochi minuti.
Provo un enorme sollievo quando la radio sveglia suona e viene l’ora di andare al lavoro.
Faccio la doccia, indosso una camicia celeste, una giacca blu con pantaloni in tinta, e esco.
Le otto del mattino e la temperatura è rigida.
Ostia, città che non ha un buon odore nelle giornate normali, quando c’è una umidità del genere puzza decisamente.
Devo passare da un vicolo per raggiungere la fermata del bus e il tanfo dei cassonetti della spazzatura mi colpisce come un cazzotto.
Proprio di fronte alla fermata, c’è il bar aperto.
Ordino un caffè, nero.
Bevo un sorso e faccio una smorfia.
Troppo amaro.
Caffeina in bocca, varco la porta del bar e prendo il bus.
Sono raffreddato.
Sì, cavolo. Ho dei ghiaccioli che mi pendono dal naso.
C’é altro?
No, una giornata come tante altre.
Perfetto.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

lunedì 12 gennaio 2009

Anche gli audiolesi al teatro Nino Manfredi di Ostia




Un progetto “Il teatro del silenzio”. Un obiettivo: quello di realizzare una iniziativa destinata a tutti e, in particolare alle persone che, abitualmente sono escluse da eventi culturali quali il teatro, il cinema e altre forme di spettacolo. Grazie a “Piazza 77” e al coinvolgimento del XIII municipio con l’assessore allo Sport e al Turismo, Giancarlo Innocenzi, tutto questo è possibile. Lunedì 12, alle 21 infatti, al teatro Nino Manfredi di Ostia, andrà in scena “Il paradiso può aspettare” una commedia il cui allestimento è stato predisposto anche per le persone audiolese. Durante la rappresentazione, che è ad ingresso gratuito, e grazie a due schermi posti sul proscenio, scorreranno infatti i sottotitoli così da permettere di seguire lo spettacolo all’insegna della integrazione più totale e senza barriere. Nel corso della conferenza stampa di presentazione che ha avuto luogo questo pomeriggio nella sala consiliare del XIII municipio, sono state illustrate le prerogative di questa iniziativa e l’evento di lunedì ha una doppia valenza, quella di essere una “prima” nazionale. “Il nostro municipio - ha detto l’assessore Innocenzi - è particolarmente attento a questo tipo di manifestazioni destinate a quanti vivono un disagio e spesso sono estromesse da eventi culturali”. La commedia, per quanto riguarda la storia, ricalca per certi versi il celebre film “Ghost” ma in chiave più divertente. “Un’idea - ha sottolineato il delegato alla Cultura Salvatore Colloca - che lega l’aspetto culturale all’aspetto sociale e in questo senso dobbiamo ringraziare il teatro Manfredi che è sempre attento ad ospitare questo tipo di iniziative. Da rilevare anche un altro aspetto, quello del costo zero per quanto riguarda l’amministrazione - il XIII municipio ha offerto il suo gratuito patrocinio (ndr) - costo zero in quanto uno sponsor del territorio ha appoggiato economicamente l’iniziativa e questo è un bell’esempio di come il pubblico si posa integrare al privato”. Particolarmente significativo l’intervento di Erica De Giacobbi, segretaria lidense della Fiadda, che associa le famiglie italiane per la difesa dei diritti degli audiolesi. “Sono nonna e mamma di audiolesi e con questa occasione ritengo sia stata finalmente abbattuta la barriera della comunicazione, soprattutto per soggetti spesso umiliati. Monica Picca, presidente della commissione cultura, ha voluto evidenziare “il binomio cultura-aspetto sociale” di questa manifestazione. Il direttore artistico del teatro Manfredi, Felice Della Corte, ha invece sottolineato come questa iniziativa “dà modo a tutti di assistere insieme a una rappresentazione teatrale”.

sabato 10 gennaio 2009

Energici pensieri


Sabato mattina. Il sole già splende, il cielo è azzurro e un vento fresco scuote rumorosamente le insegne degli stabilimenti. Sto passeggiando verso il pontile, dopo aver sorseggiato con calma una tazza di caffè sul balcone e dato una scorta ai quotidiani. Mi sono svegliato presto. Ieri sera, quasi all’una, dopo aver mangiato gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e aver bevuto un goccio di vino, sono andato a letto pieno di pensieri strani. E allora non sono riuscito a dormire. In parte era colpa del bruciore allo stomaco per aver mangiato a quell’ora tarda e in parte è stata colpa dei sogni inquietanti che ho fatto nei brevi istanti in cui mi sono appisolato. Mi sono svegliato diverse volte di soprassalto, con il cuore che mi batteva all’impazzata e vaghe e brutte immagini che scivolavano lungo i viscidi pendii del mio subconscio. Sono rimasto sdraiato a fare respiri lenti e profondi, finché non sono riuscito ad addormentarmi un’ora prima che mi svegliasse una telefonata. Da favola: avevano sbagliato numero! Annuso l’aria, umida ma abbastanza fresca, e do un’occhiata all’orologio. Le sei e mezzo. Sembra che sarà un’altra bella giornata; e molto lunga, per giunta. Ricordi, sensazioni, cose così… Non so perché. Bouganvillee e rosmarino, gerani e basilico. Saint Tropez? Macché: Collevecchio. Mi sdraio sull'erba, sulla schiena, le mani intrecciate dietro la testa. Eccola là, l'Orsa maggiore. E accanto a lei, l'Orsa Minore. Quante volte le ho guardate, dal balcone di zia Felly affacciato sul cortile, oltre il quale si vede il Soratte. Da bambino certi pomeriggi d'estate prendevo la bicicletta Graziella che mi aveva regalato papà per i miei otto anni e mi lanciavo a tutta velocità lungo il Cavone. Poi sbucavo dalla Buchetta e imboccavo la strada immersa nel verde che porta al Parco della Rimembranza. Una volta lì smontavo dalla bici e scendevo tra i cespugli e andavo a sedermi sul piedistallo di un antico cannone costruito durante la prima guerra mondiale. E guardavo il tramonto. Collevecchio. Un nostro vicino, amico di mio nonno, mi offriva sempre dei dolci appena sfornati dalla moglie. Era un uomo alto e tarchiato, largo quasi quanto era alto, ma muscoloso e sano. Indossava spesso uno stretto gilet sulla camicia e un paio di ampi pantaloni. Forse allora non avrà avuto più di quaranta anni, ma il lavoro dei campio lo aveva invecchiato, come dimostravano le rughe profonde e la pella ruvida sul suo volto robusto. Arrivo al pontile. Mi fermo. Contemplo il mare. Che bello vedere una tale, sconfinata immensità. Meraviglioso trovarsi davanti a qualcosa di cui non riesci a scorgere la fine. Scruto l'orizzonte che si perde nell'acqua. Rimango per qualche istante con lo sguardo perso in lontananza. Poi guardo verso il punto in cui il mare si ricongiunge alla terra. A riva si scorgono cinque gabbiani vicino a delle imbarcazioni. Ho un sacco di progetti e questo mi fa pensare che tutto sommato non è ancora il momento di mettersi a fare bilanci, più o meno. Rifletto: di solito sono piuttosto incapace riguardo ai problemi meccanici o elettrici. La mia abilità manuale non va al di là della sostituzione di una lampadina. E anche in quel caso devo leggere le istruzioni. Tengo le braccia incrociate sulla camicia, ma non sembro intenzionata a tornare a casa. E così continuo a passeggiare, con il rumore delle onde come unica compagnia. Lascio che il fragore delle onde mi avvolga. Mi sento sfinito: non ho più risorse fisiche, e anche quelle mentali iniziano a vacillare. Non ho mai immaginato che combattere con i pensieri potesse prostrarmi tanto. Mi stringo contro i ricordi e un sorriso illumina il mio viso stanco. Mi sento come un cane alla catena. Per quanto voglia correre, non mi posso allontanare. Penso: "Da chi discendiamo?". Da nobili? Non credo. Probabilmente da artigiani e contadini. Perché no? Gente che si dedicava anima e corpo a lavorare terre ingrate, cercando la comprensione delle spighe e la pietà del sole. Buone persone. Spesso penso a papà, morto nel novantadue. Se sono in difficoltà, penso: papà ti prego fai qualcosa. Lo so che ci sei, da qualche parte. So che mi vedi. Torno a casa. Mi siedo sul divano. Penso. Di solito sono piuttosto incapace riguardo ai problemi meccanici o elettrici. La mia abilità manuale non va al di là della sostituzione di una lampadina. E anche in quel caso devo leggere le istruzioni. Ora vedo il telegiornale. Ma cosa sta dicendo la tv? Ah, che bisogna riprendere la ricerca sul nucleare. "Il nucleare è un tema delicato per il nostro Paese, ma l'attuale Governo è intenzionato a riportare l'Italia quanto meno nel campo della ricerca dello sfruttamento dell'energia nucleare per recuperare il gap accumulatosi in questo campo con gli altri Paesi". Possibile, mi chiedo. Del resto nessuna nazione, per quanto potente, può illudersi di contare solo sulle proprie forze. Esco sul balcone. Mi fermo sulla soglia per lasciare ai miei occhi il tempo di riabituarsi al sole. Finisco di bere il mio gin and tonic, che il pranzo è quasi pronto. Bene. Sento un odorino. Ora posso concludere. Insomma, alla prossima. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

mercoledì 7 gennaio 2009

Fabrizio de Andrè



Sono passati dieci anni dalla morte di Fabrizio De André, ucciso l’11 gennaio 1999 da un tumore al polmone.

Una voce, quella del cantautore genovese nato nel 1940, destinata a restare impressa nella memoria collettiva italiana, per la bellezza della sua musica e per l’intensità delle sue parole.
Le sue canzoni parlavano di giustizia, povertà, potere, vittime, soldati, sesso, ipocrisia, morte, e della rendita di una puttana.
Per una decina d’anni centellinò le sue uscite pubbliche ma le sue canzoni si facevano sentire e notare.
Gli amici lo chiamavano Faber, come aveva iniziato a fare Paolo Villaggio gironzolando fra i vicoli di Genova.
Poi si imbarcò nel primo tour con una band che mescolava musicisti genovesi dei New Trolls e della Nuova idea e che si portava come spalla dei giovani di belle speranze: Beppe Grillo prima, Eugenio Finardi poi.
Due anni dopo fu la Pfm a convincerlo a tornare in scena, arrangiando le sue canzoni in chiave rock.
Ad aprire gli spettacoli altri due giovani di belle speranze, Roberto Benigni e David Riondino.
Ne parlarono tutti.
Anche troppo.
De André e la compagna Dori Ghezzi, tornati dal tour con i soldi per la stalla nuova della loro fattoria in Sardegna furono rapiti e rilasciati dopo 117 giorni e il versamento di un cospicuo riscatto.
L’esperienza da un certo punto di vista liberò Fabrizio da altre paure riconciliandolo con il pubblico e spingendolo a osare musicalmente più del solito.
Io suoi dischi non erano semplici raccolte di canzoni, ma cercavano da sempre un filo conduttore e un rapporto con la società.
Non era didascalico.
Usava le metafore e le immagini per raccontare altre cose.
Poi le decine di libri, i numerosi film, i dischi che per dieci anni si sono succeduti e altri ne arriveranno.
Ciascuno con il compito di ricordare, tutti che riescono a farcelo rimpiangere, a dare valore aggiunto a quella sua voce dal timbro unico, pulita, essenziale, chiara e tagliente come una lama di coltello, che pesava ogni sillaba.
Fabrizio De André ha pubblicato in trent’anni tredici album in tutto.
La sua produzione inizia nel 1961 con alcuni singoli, "Nuvole barocche", "La ballata del Miché", e la prima censura due anni dopo per l’ironica "Carlo Martello" scritta con Paolo Villaggio.
1966 - TUTTO FABRIZIO DE ANDRÉ - La prima pubblicazione è un’antologia che riunisce cinque anni di straordinarie canzoni, da "La guerra di Piero" a "La canzone di Marinella".
1967 - VOLUME I - Il primo album effettivo aggiunge al repertorio "Bocca di rosa", "Via del campo" e i primi brani che guardano con occhio particolare alla religione.
1968 - TUTTI MORIMMO A STENTO -Ispirato alla poetica di François Villon è un album "concept" che parla degli ultimi, drogati, impiccati, fantaccini. Da qui escono "La ballata dei drogati", "Girotondo" e "Leggenda di Natale" ispiurata a Brassens.
1968 - VOLUME III - Riprende alcune canzoni del primo periodo aggiungendo quattro inediti fra cui "Il gorilla" da Brassens.
1970 - LA BUONA NOVELLA -In piena contestazione Faber pubblica un album concept interamente dedicato a Gesù, «il più grande rivoluzionario della storia», e ispirato dai Vangeli apocrifi, con la famosa "Il testamento di Tito". A suonarlo è la futura Pfm con l’aggiunta di Branduardi
1971 - NON AL DENARO, NON ALL'AMORE NÉ AL CIELO -Un nuovo capolavoro, nove canzoni ispirate all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, nove personaggi esempi di diversa umanità, da "Un giudice" a "Il suonatore Jones".
1973 - STORIA DI UN IMPIEGATO - Ancora un concept album che si confronta con il Maggio francese e il terrorismo attraverso la vicenda di un impiegato e la sua lotta violenta contro il sistema.
1974 - CANZONI - Un omaggio a Dylan, Cohen e Brassens e altre canzoni già note
1975 - VOLUME VIII - Realizzato in Gallura con Francesco De Gregori contiene alcune grandi canzoni personali, come "La cattiva strada" e "Amico fragile".
1978 - RIMINI - La collaborazione con il giovane cantautore veronese Massimo Bubola porta una ventata di folk rock e un forte rinnovamento nelle forme musicali. Tra i temi, aborto, omosessualità, contestazione, emarginazione, guerra, si aggiunge l’immigrazione tradicendo Dylan (Avventura a Durango) e l’uso della lingua sarda (Zirichiltaggia).
1981 - FABRIZIO DE ANDRÉ - Solo un indiano in copertina per un grande disco che crea un parallelo fra gli indiani d’America, i popoli invasi e i pastori sardi, dopo il rapimento subito cantato in "Hotel Supramonte" e dopo l’esperienza appena precedente con la Pfm che riarrangiò per gruppo rock le sue canzoni.
1984 - CRÊUZA DE MÄ - Con Mauro Pagani nasce l’album in genovese che guarda alla musica e alla cultura mediterranea e apre un nuovo capitolo nella storia di De André e della canzone italiana.
1990 - LE NUVOLE - In italiano nella prima parte, in sardo, napoletano e genovese nella seconda trae da Aristofane lo spunto per un confronto fra la borghesia immobile e il popolo ansioso di novità, con una grande invettiva "La domenica delle salme" .
1996 - ANIME SALVE - Realizzato con Ivano Fossati racconta un viaggio nell’anima del mondo parlando di varie solitudini, del transessuale, del rom, dell’innamorato, del pescatore d’acciughe, un "discorso sulla libertà", come lo definì Fabrizio.
Ciao Fabrizio.
Non smetterò mai di ascoltare la tua musica.
Mai.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

domenica 4 gennaio 2009

Befana 2009



Gabriele mi dice: “Non vai pazzo per il tuo lavoro, vero?”.
Faccio una specie di sogghigno.
“Papà, se potessi cambiarlo, cosa ti piacerebbe?”.
“Mi piacerebbe essere un musicista. La musica è la cosa che mi piace più di tutte. Mi piace ascoltarla e mi piacerebbe suonare il sax, se fossi capace. In realtà non sono capace, visto che non ho mai avuto il coraggio di provarci”.
Mi piacerebbe, ma mi rendo conto che è una prospettiva irrealistica.
Simonetta, meccanicamente: “Mario, stasera ci sarà la riunione di condominio”.
Già.
Finta espressione dispiaciuta, la sua.
Grazie per la precisazione, replico.
Vabbè, ammetto il mio falso interesse per la stenditura illegale di bucato, la detenzione abusiva di impianti stereofonici, l’ascensore rotto, i balconi da ristrutturare.
Nel frattempo Alessandro mi ricorda che domani è il 6 gennaio.
Il giorno della Befana.
Amo Babbo Natale.
Però da buon romano gli preferisco la Befana.
Non é uno scherzo.
Ve lo giuro.
Sì sto parlando proprio di lei, della misteriosa vecchina che, a cavalcioni di una scopa, con il suo naso aquilino e indossando un gonnellone scuro e ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle e un fazzoletto in testa, porta doni ai bambini buoni la notte tra il 5 e il 6 gennaio.
A quelli cattivi porta invece una calza piena di carbone.
I bambini le preparano, in un piatto, un mandarino o un’arancia e un bicchiere di vino.
Il mattino successivo insieme ai regali troveranno il pasto consumato e l’impronta della mano della Befana sulla cenere sparsa nel piatto.
In definitiva, lei è la personificazione della festività dell’Epifania che ricorda in ambito cristiano l’omaggio che i Re Magi offrirono a Gesù Bambino.
State scuotendo la testa?
E va bene, é giusto così.
Sforzandomi di apparire rispettoso ma risoluto, non mi rimane che cantare allora:
"La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, col cappello alla romana: Viva, viva la Befana!".
Basta così.
Mi sdraio sul letto, giro lentamente la testa e socchiudo un occhio.
Ripenso alle Befane della mia infanzia.
E sono contento.
Disgustosamente contento.
Poi mi addormento.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Famiglia italiana



E’ sera, con una mano digito sui tasti del computer, nell’altra mangio un pezzo di dolce.
Mentre scrivo, mi accorgo di avere gli occhi gonfi e rossi per la troppa consuetudine con lo schermo del PC.
Penso a mio padre.
Di che cosa è morto?
Della stessa cosa di cui muoiono tutti, alla fine: per una serie di circostanze.
Aveva una malattia che non poteva essere curata.
Non c’è stato nulla da fare.
Ma adesso è inutile parlarne.
Adesso.
Mmh.
E allora dov’è il problema?
Mi chiedo: che c’è oltre la memoria?
Vicino a me Gabriele, mio figlio grande, è pensieroso.
Sono convinto che non occorra la magia o la psicoterapia per scoprire che cosa vogliano i nostri figli.
Basta chiederglielo e ascoltare attentamente le loro risposte.
Oh, vuole solo i soldi per la benzina.
Okay, a questo punto preferisco non fargli altre domande.
Gabriele, dondolando la testa soddisfatto, esce.
Ripenso a ieri, al lavoro.
Le voci sono come l’influenza: quando arrivano devono fare il loro corso e quando se ne vanno si portano dietro la carriera di qualcuno.
Spengo il computer.
Mi allento la cinta dei pantaloni con una smorfia di piacere.
Raccolgo il telecomando e passo pigramente da un canale all’altro, fermandomi infine su un telegiornale che guardo per qualche minuto con annoiata disattenzione, consapevole che mi si stanno abbassando le palpebre.
Non sto male.
Sono solo stanco, stanchissimo.
Prima di scivolare nel sonno, all’improvviso scuoto il capo incredulo.
Una notizia sorprendente.
Ieri la commissione Affari sociali della Camera ha presentato la sua indagine sulla famiglia-tipo in Italia.
Non emerge nulla di nuovo, se non la sconfortante conferma che le famiglie numerose sono solo un ricordo, che ci si sposa sempre meno, che aumentano i figli nati fuori dal matrimonio, che gli italiani sono sempre più anziani, che nascono pochi bambini, che i soldi per arrivare a fine mese non bastano mai.
Da tempo, ormai, la famiglia patriarcale italiana non esiste più.
I nuclei si sono fatti piccoli: due figli al massimo per coppia.
Molti sono gli ultraottantenni, con problemi di non autosufficienza.
I giovani, che non possono mantenersi, restano a casa e non si sposano.
Il primo figlio, per un'italiana, arriva intorno ai 30 anni e, quando arriva, costa.
Capperi, sembra assurdo ma i nostri politici fanno di tutto per discriminare la famiglia rispetto ai single: sposarsi non solo non conviene ma è addirittura penalizzante.
I single sono trattati meglio dei coniugi ai fini fiscali.
E allora, perché fare figli nel matrimonio se conviene farli al di fuori?
Che barba.
Non mi lascio intrappolare.
Vada al diavolo pure la politica fiscale italiana.
Capito?
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)