sabato 10 gennaio 2009

Energici pensieri


Sabato mattina. Il sole già splende, il cielo è azzurro e un vento fresco scuote rumorosamente le insegne degli stabilimenti. Sto passeggiando verso il pontile, dopo aver sorseggiato con calma una tazza di caffè sul balcone e dato una scorta ai quotidiani. Mi sono svegliato presto. Ieri sera, quasi all’una, dopo aver mangiato gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e aver bevuto un goccio di vino, sono andato a letto pieno di pensieri strani. E allora non sono riuscito a dormire. In parte era colpa del bruciore allo stomaco per aver mangiato a quell’ora tarda e in parte è stata colpa dei sogni inquietanti che ho fatto nei brevi istanti in cui mi sono appisolato. Mi sono svegliato diverse volte di soprassalto, con il cuore che mi batteva all’impazzata e vaghe e brutte immagini che scivolavano lungo i viscidi pendii del mio subconscio. Sono rimasto sdraiato a fare respiri lenti e profondi, finché non sono riuscito ad addormentarmi un’ora prima che mi svegliasse una telefonata. Da favola: avevano sbagliato numero! Annuso l’aria, umida ma abbastanza fresca, e do un’occhiata all’orologio. Le sei e mezzo. Sembra che sarà un’altra bella giornata; e molto lunga, per giunta. Ricordi, sensazioni, cose così… Non so perché. Bouganvillee e rosmarino, gerani e basilico. Saint Tropez? Macché: Collevecchio. Mi sdraio sull'erba, sulla schiena, le mani intrecciate dietro la testa. Eccola là, l'Orsa maggiore. E accanto a lei, l'Orsa Minore. Quante volte le ho guardate, dal balcone di zia Felly affacciato sul cortile, oltre il quale si vede il Soratte. Da bambino certi pomeriggi d'estate prendevo la bicicletta Graziella che mi aveva regalato papà per i miei otto anni e mi lanciavo a tutta velocità lungo il Cavone. Poi sbucavo dalla Buchetta e imboccavo la strada immersa nel verde che porta al Parco della Rimembranza. Una volta lì smontavo dalla bici e scendevo tra i cespugli e andavo a sedermi sul piedistallo di un antico cannone costruito durante la prima guerra mondiale. E guardavo il tramonto. Collevecchio. Un nostro vicino, amico di mio nonno, mi offriva sempre dei dolci appena sfornati dalla moglie. Era un uomo alto e tarchiato, largo quasi quanto era alto, ma muscoloso e sano. Indossava spesso uno stretto gilet sulla camicia e un paio di ampi pantaloni. Forse allora non avrà avuto più di quaranta anni, ma il lavoro dei campio lo aveva invecchiato, come dimostravano le rughe profonde e la pella ruvida sul suo volto robusto. Arrivo al pontile. Mi fermo. Contemplo il mare. Che bello vedere una tale, sconfinata immensità. Meraviglioso trovarsi davanti a qualcosa di cui non riesci a scorgere la fine. Scruto l'orizzonte che si perde nell'acqua. Rimango per qualche istante con lo sguardo perso in lontananza. Poi guardo verso il punto in cui il mare si ricongiunge alla terra. A riva si scorgono cinque gabbiani vicino a delle imbarcazioni. Ho un sacco di progetti e questo mi fa pensare che tutto sommato non è ancora il momento di mettersi a fare bilanci, più o meno. Rifletto: di solito sono piuttosto incapace riguardo ai problemi meccanici o elettrici. La mia abilità manuale non va al di là della sostituzione di una lampadina. E anche in quel caso devo leggere le istruzioni. Tengo le braccia incrociate sulla camicia, ma non sembro intenzionata a tornare a casa. E così continuo a passeggiare, con il rumore delle onde come unica compagnia. Lascio che il fragore delle onde mi avvolga. Mi sento sfinito: non ho più risorse fisiche, e anche quelle mentali iniziano a vacillare. Non ho mai immaginato che combattere con i pensieri potesse prostrarmi tanto. Mi stringo contro i ricordi e un sorriso illumina il mio viso stanco. Mi sento come un cane alla catena. Per quanto voglia correre, non mi posso allontanare. Penso: "Da chi discendiamo?". Da nobili? Non credo. Probabilmente da artigiani e contadini. Perché no? Gente che si dedicava anima e corpo a lavorare terre ingrate, cercando la comprensione delle spighe e la pietà del sole. Buone persone. Spesso penso a papà, morto nel novantadue. Se sono in difficoltà, penso: papà ti prego fai qualcosa. Lo so che ci sei, da qualche parte. So che mi vedi. Torno a casa. Mi siedo sul divano. Penso. Di solito sono piuttosto incapace riguardo ai problemi meccanici o elettrici. La mia abilità manuale non va al di là della sostituzione di una lampadina. E anche in quel caso devo leggere le istruzioni. Ora vedo il telegiornale. Ma cosa sta dicendo la tv? Ah, che bisogna riprendere la ricerca sul nucleare. "Il nucleare è un tema delicato per il nostro Paese, ma l'attuale Governo è intenzionato a riportare l'Italia quanto meno nel campo della ricerca dello sfruttamento dell'energia nucleare per recuperare il gap accumulatosi in questo campo con gli altri Paesi". Possibile, mi chiedo. Del resto nessuna nazione, per quanto potente, può illudersi di contare solo sulle proprie forze. Esco sul balcone. Mi fermo sulla soglia per lasciare ai miei occhi il tempo di riabituarsi al sole. Finisco di bere il mio gin and tonic, che il pranzo è quasi pronto. Bene. Sento un odorino. Ora posso concludere. Insomma, alla prossima. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

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