venerdì 25 maggio 2012

OSTIA

OSTIA Ostia. Terra di mare. Il sole è intenso. Acque salate, salate come la mia vita. Ostia. La mente viaggia. Il mio cuore è schiavo. Ostia. Sentimenti avvelenati. Impossibili. Impotenza di fronte ad eventi ruggenti. Caos oscuro. Ostia. Guardo il tramonto. Sono avvolto dalla bellezza di quegli attimi. La mia mente è altrove, viaggia in un mondo fantastico. Ostia. Mi fermo in attesa di una profumata brezza di mare. Delicata sul mio viso bagnato. Di lacrime. Ostia Cerco la luce. Indispensabile per poter sorridere di nuovo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Andate tutti a fanculo!

Andate tutti a fanculo! A mia madre dovrà essere asportato un tumore al colon. Inoltre presenta una metastasi al fegato di circa 8cm e dovrà sottoporsi a una epatectomia destra allargata. Cazzo! Ma interessa ancora a qualcuno sapere perché vent’anni fa è morto Paolo Borsellino con gli uomini di scorta? Sapere perché l’anno seguente sono morte 5 persone e 29 sono rimaste ferite nell’attentato di via dei Georgofili a Firenze, altre 5 sono morte e altre 10 sono rimaste ferite in via Palestro a Milano, altre 17 sono rimaste ferite a Roma davanti alle basiliche? Interessa a qualcuno tutto ciò, a parte un pugno di pm, giornalisti e cittadini irriducibili? Oppure la verità su quell’orrendo biennio è una questione privata fra la mafia e i parenti dei morti ammazzati? O meglio, una risposta la trova: non interessa a nessuno. A parte i soliti Di Pietro e Vendola, famigerati protagonisti della “foto di Vasto” che va cancellata o ritoccata come ai tempi di Stalin, magari col photoshop, non c’è leader politico che dica: “Voglio sapere”. Anzi, dalle dichiarazioni dei politici che danno aria alla bocca senza sapere neppure di cosa parlano, traspare un corale “non vogliamo sapere”. Forse perché sanno bene quel che emergerebbe, a lasciar fare i magistrati che vogliono sapere: il segreto che accomuna pezzi di Prima e Seconda Repubblica, ministri e alti ufficiali bugiardi e smemorati, politici, istituzioni, apparati, forze dell’ordine, servizi di sicurezza. Quel segreto che viene violato solo quando proprio non se ne può fare a meno perché mafiosi e figli di mafiosi han cominciato a svelarlo. Quel segreto che ha garantito carriere ai depositari e ai loro complici. Già quel poco che si sa è insopportabile per un sistema che si ostina a raccontarci la favoletta dello Stato da una parte e dell’Antistato dall’altra, l’un contro l’altro armati. La leggenda del mai abbassare la guardia, delle centinaia di arresti e sequestri, della linea della fermezza, del tutti uniti contro la mafia, mentre dietro le quinte si tresca con quella per venire a patti, avere voti, usarla come braccio armato e regolare i conti sporchi della politica, rimuovendo un ostacolo dopo l’altro: da Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, giù giù fino a Falcone e Borsellino. Ora, nel ventennale di Capaci e via D’Amelio, prepariamoci a un surplus di retorica, nastri tagliati, cippi, busti e monumenti equestri, moniti quirinalizi, lacrime tecniche e sobrie, corone di fiori delle alte cariche dello Stato (anche del presidente del Senato indagato per concorso esterno che spiega all’Annunziata la sua teoria di giurista super partes sul concorso esterno senza neppure arrossire). Sfileranno in corteo trasversale quelli che han chiuso Pianosa e Asinara, svuotato il 41-bis, abolito i pentiti per legge, tentato di abolire pure l’ergastolo, regalato ai riciclatori mafiosi tre scudi fiscali. Quelli che han detto “con la mafia bisogna convivere” e ci sono riusciti benissimo. Casomai interessasse a qualcuno, i disturbatori della quiete pubblica riuniti nell’Associazione vittime di via dei Georgofili, guidata da una donna eccezionale, Giovanna Maggiani Chelli, hanno appena reso noto la sentenza con cui la Corte d’assise di Firenze ha mandato all’ergastolo l’ultimo boss stragista, Francesco Tagliavia. “Una trattativa – scrivono i giudici – indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Il concorso esterno, se ci fosse un po’ di giustizia, la Cassazione dovrebbe abolire anche la strage. Oppure unificare i due reati in uno solo, chiamato “schifo”. A mia madre dovrà essere asportato un tumore al colon. Inoltre presenta una metastasi al fegato di circa 8cm e dovrà sottoporsi a una epatectomia destra allargata. Cazzo! Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 22 maggio 2012

Fine di una storia

FINE DI UNA STORIA Nicole. La donna con cui stavo ricominciando a vivere dopo che Luna se ne era andata via. A Melbourne. Australia. Con Jacopo. Dannazione! Nicole. La donna che un incidente mi ha portato via insieme al suo sorriso, la sua dolcezza, la sua forza d’animo. La sua scomparsa mi ha privato di una tranquillità che sentivo riaffiorare, di quel tepore che trasmette il sentirsi amati. Di un parte di umanità. Ora c’è Desirée. Ma le cose tra noi non vanno come vorrei. Ci sono troppi ostacoli legati al passato, troppe sofferenze con cui confrontarsi. Troppi ricordi. Gli stessi che, ogni anno, mi fanno tornare in questo cimitero per alimentare una nostalgia a cui è impossibile sottrarsi. Un lamento interiore che sibila come vento attraverso le imposte. Un sussurro lontano, proveniente dagli abissi della solitudine. E del vuoto. Nicole. Tu ormai così lontana. Giochi con le stelle. Fai capriole sulle nuvole. Non conosci più l'amaro sapore dell'inverno. Mmmhhh…Woody Allen diceva: “La vita si divide in orrori e miserie.” Mah! Nicole. Sto pensando a lei, mentre mi sparo un colpo in testa con una Glock 30. Ecco, ora sto morendo. Vedo la luce avanzare dal fondo della stanza. Aspetto. Faccio finta di contare. Cerco di ingannare il tempo. La luce invade la stanza. Credo di essere morto. Anzi ne sono quasi certo. Sì, Sono morto. Fine. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 14 maggio 2012

Vado a vedere se di là é meglio

VADO A VEDERE SE DI LA’ E’ MEGLIO E’ risaputo, Carla è una vera bellezza. Vive sola, per essere precisi in un appartamento composto da una camera, salotto e servizi, in un palazzone vicino Piazza Marco Vipsanio Agrippa, ad Ostia.Il Lido di Ostia è una bellissima località, conosciuta principalmente con il nome di Ostia (o anche Lido di Roma). In pratica, é una frazione di Roma Capitale nonché l'insediamento principale del Municipio Roma XIII ed è costituita dai tre quartieri marini di Roma città, Lido di Ostia Ponente, Lido di Ostia Levante e Lido di Castel Fusano. Avrebbe preferito una posizione un po’ più centrale e un appartamento un po’ più lussuoso. Ma dalla fermata della metro di Ostia Centro, che dista appena una decina di minuti da casa sua, le ci vogliono solo trenta minuti per essere al centro di Roma e chiunque, guardando l’arredamento raffinato e costoso del suo appartamento potrebbe correttamente dedurre che, vuoi per il denaro guadagnato con il sudore della fronte presso il reparto cosmetici di un negozio esclusivo di Via Frattina, vuoi per altre entrate non meglio identificate, Carla é comunque una giovane donna non priva di mezzi. Alle cinque di pomeriggio è languidamente adagiata e rilassarsi sul suo prezioso copriletto, mentre pigramente si dipinge le unghie lunghe, belle e curate con uno smalto di una luminosa tonalità grigio azzurro delicato ma con un con un finish perlato. Indossa una vestaglia corta in satin di seta lucido color nero con un perizoma coordinato e maniche arricchite da perline, con le gambe, deliziosamente lunghe e snelle, piegate e raccolte vicino al corpo e la mente persa a immaginare la serata che l’aspetta con Pierangelo, un ragazzo conosciuto da poco su facebook . Escono da un mese, ma è la prima volta che lui la viene a prenderla a casa. Pierangelo, intanto, sta uscendo da casa per andare a Ostia, dalla sua Carla. Abita nel rione Testaccio, nel cuore della vecchia Roma, a via Nicola Zabaglia, vicino all’ex mattatoio. Il nome Testaccio deriva dal cosiddetto "monte" (mons Testaceus): 35 metri di cocci (testae, in latino) e detriti vari, accumulatisi nei secoli come residuo dei trasporti che facevano capo al porto di Ripa grande. Incontra Fabione, un suo amico. Cavolo, un metro e sessanta per 110 chili! E’ in compagnia di una bella ragazza, di almeno trent’anni più giovane di lui. Sorridendo, gli presenta Alina, rivelando una bocca piena di denti di un bianco lucente. “E’ una ragazza rumena, di Bucarest” gli dice, stringendosi sulle spalle sproporzionatamente larghe. Pierangelo reprime un forte desiderio di piazzare un pugno su quella faccia ghignante. Salutati Fabione e Alina, sale in macchina. Direzione Ostia. Mentre guida, pensa a Valentina, la sua ex moglie. Si sono separati dopo dieci anni di matrimonio. Dire al marito che esce con le amiche e che farà tardi: è una delle scuse più classiche che una donna usa se vuole nascondere incontri galanti e tradimenti. Valentina lo aveva fatto, ma con una variante che le è stata fatale: portarsi dietro il proprio cane da salotto, un beagle che aveva legato alla fioriera davanti a un bar di Testaccio con il cui proprietario lei aveva intrecciato un rapporto sentimentale. Abbassata la saracinesca dell’esercizio, ma non totalmente, i due amanti avevano dato libero sfogo alla loro travolgente passione. Senza cena pronta, Pierangelo aveva deciso di recarsi in rosticceria. Il caso però aveva voluto che scegliesse una rosticceria situata vicino al bar-alcova. All’arrivo di Pierangelo il cane legato alla fioriera si è messo ad abbaiare insistentemente perché ha riconosciuto il padrone. Allora Pierangelo, insospettito, si era avvicinato al bar, aveva alzato di scatto la saracinesca e aveva scoperto i due amanti in flagrante. Ripensando a Valentina si sente come un giocatore di scacchi che, sconfitto dopo un eroico combattimento, riveda e analizzi criticamente le mosse e le intenzioni dietro alle mosse che l’hanno condotto alla sconfitta. E già un’idea nuova e strana sta attecchendo nelle fertili profondità della sua mente, e lo rende impaziente di tornare alla scacchiera. L’idea nuova è questa: rifarsi una vita con Carla. Non gli passa neanche per la testa di ritornare da Valentina. Anche se… Anche se non sapesse spiegarne la ragione, è perfettamente consapevole di una curiosa circostanza: la sua mente non sembra mai tanto capace di recupero, tanto acuta come quando in apparenza è stata sconfitta. Sì, la sua sconfitta si chiama Valentina. Anche se, forse, non l’ha scordata del tutto. Ma Carla è ora la sua vittoria. Ed è proprio in queste occasioni che il cervello gli si agita irrequieto nel cranio come una tigre selvaggia e feroce che, costretta nei confini di una stretta gabbia, vi si aggiri senza sosta, lanciando dei ringhi rabbiosi, pronta a colpire. Lui Valentina non la perdonerà mai. Mai! Mai? Arrivato ad Ostia si ferma a Via Pietro Rosa. Compra un mazzo di rosse per Carla. Riparte e si dirige verso Piazza Agrippa, dove parcheggia in sosta vietata davanti al King Bar. Sono le otto. Decide di prendersi un caffè, prima di chiamare Carla. Vede che l’uomo davanti al bar non è Tonino, come invece aveva sperato. Ma si dirige verso il bar lo stesso. “Mi sa che non può lasciare l’auto lì, amico”…. “Forse tu non sa chi sono io” dice Pierangelo, con l’autorità arrogante di un Giulio Cesare o di un Alessandro Magno che si aggiri tra le proprie truppe. “Non mi importa chi sei, amico” dice il giovanotto alzandosi in piedi. “Il fatto è che non puoi…” “Senti ragazzino, te lo dico io chi sono. Mi chiamo Pierangelo. Pierangelo Taddeo, capito? E se arriva qualcuno che vuole sapere di chi è quell’auto digli pure che è mia. E se non ti crede, digli di venire direttamente da me!” Supera il ragazzo e oltrepassa la porta d’ingresso. “Ma…”. Pierangelo non l’ascolta più. Preso il caffè, esce. Non è mai stato da Carla. Via delle Corazzate, vicino al teatro Affabulazione. Mah? Dove sarà? Non vuole telefonare a Carla perché non vuole farle sapere che é così imbranato da non trovare il suo portone. Mentre esce dal bar nota un piccolo tratto di terreno abbandonato tra una drogheria e la schiera di case abbandonate che iniziano subito dopo. E’ uno spiazzale di una decina di metri, in cui si trovano un paio di rastrellerei per biciclette, materiali abbandonati chissà quando da qualche impresa di costruzioni -mattoni rotti, mucchi appiattiti di sabbia- e, sparsi ovunque, gli immancabili pacchetti di sigarette vuoti e i sacchetti di patatine accartocciati. Ci sono anche due auto, seminascoste e indisturbate. Pierangelo si ferma, cerca di orientarsi e si rende conto di essere a soli quaranta o cinquanta metri dalla casa di Carla, che si trova un po’ più avanti a sinistra, sulla strada principale. Resta immobile, stringendo forte tra le mani un sacchetto con l’uva. Una signora é nel giardino davanti alla casa. La distingue chiaramente, anche se gli da le spalle, con i capelli raccolti alla bell’e meglio sulla testa e le gambe snelle più adatte a una studentessa che a una madre di famiglia. Con in mano un paio di cesoie si china su un cespuglio di rose per tagliare i fiori appassiti. Si accorge che se pensa a Valentina, é triste. Valentina, che ha sempre amato le poesie di Pablo Neruda Adesso gli tocca ricominciare daccapo, partendo dal presupposto che Carla sia la scelta giusta. Con tutta la sua strampalata imprevedibilità, alla radice profonda del suo essere c’è un’ardente passione per la verità, per la logica e la razionalità e inesorabilmente i fatti, quasi tutti i fatti, portano alla stessa conclusione: che su Valentina si era sbagliato, e si era sbagliato fin dall’inizio. Però sa che, nonostante l’abbia tradito, non ha ancora dimenticato il sapore dei suoi baci. E il profumo del suo corpo. E chissà se mai lo dimenticherà! Torna a guardare un’altra volta il terreno abbandonato, nascosto alla vista dei passanti, dove i fiori appassiti sono ora ammucchiati ordinatamente sul bordo di una stretta striscia di prato. Per Pierangelo è comunque un’umiliazione tremenda che il suo matrimonio sia finito. Ma comunque tra lui e Valentina è finita. Definitivamente, pensa. Per alcuni mesi, dopo aver scoperto il suo tradimento, hanno comunque continuato per un po’ a vivere insieme, ma dormendo in stanze separate e quasi non rivolgendosi la parola. Ma, per quanto Pierangelo ci abbia provato, lui non è mai riuscito proprio a perdonarla. Certo, quando le ferite più dolorose hanno cominciato finalmente a chiudersi, marito e moglie hanno cercato di esaminare la loro triste situazione con un minimo di razionalità e comprensione reciproca. Lei gli ha giurato di amarlo, che si é resa conto di quanto lui sia importante e che spera con tutto il cuore che restino insieme. Pierangelo allora è scoppiato a piangere e hanno deciso di rimanere insieme e di provare a salvare la loro unione. In ogni caso il divorzio non é mai stato messo in discussione, perché lui é cattolico. Così ha detto. Poi, invece, hanno deciso di separarsi. Sarà stata la scelta giusta? Del resto la loro vita insieme sembrava appesa ad un filo sottilissimo e Pierangelo sa che sarebbe meglio se ora riuscisse a trasferirsi ad Ostia. Del resto è un impiegato del Comune di Roma, ed anche ad Ostia ci sono uffici comunali dove potrebbe andare a lavorare. Vicino alla sua Carla, oltretutto. E’ la scelta giusta? Perché ha sbagliato con Valentina, da costringerla a tradirlo? Dove ha sbagliato? Queste domande gli martellano la mente come se nel suo cervello si sia installato un interlocutore che non si lasci zittire. Entra nel portone. Sale le scale. Suona il campanello. D’un tratto Pierangelo si sente molto stanco. Vuole vedere se di là è meglio. E, mentre Carla apre la porta, piange. “Ormai non l'ho più, è vero, ma forse l'amo ancora. E' così breve l'amore e così lungo l'oblio. E siccome in notti come questa l'ho tenuta tra le braccia, la mia anima non si rassegna d'averla persa” Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

venerdì 11 maggio 2012

Come finiscono le favole (Raffaele, pugliese di Monopoli)

COME FINISCONO LE FAVOLE A MONOPOLI Questa notte il sonno di Raffaele é stato discontinuo. Non è un uomo dalle abitudini regolari, e neanche dai gusti decisi. A volte beve l’Amaro del Gargano e a volte beve un limoncello. Talvolta, quando il suo spirito è oppresso, beve un liquore di alloro o un Padre Peppe di Altamura. Ogni tanto beve nel suo salotto e ogni tanto in un locale pubblico; ogni tanto ad un bar di Piazza XX Settembre e ogni tanto in un locale vicino al palazzo Palmieri, perché sono a due passi. Ogni tanto non beve affatto. Ieri sera ha bevuto a Via Mantegna, nella sala bar gestita da un suo amico. E’ stata una giornata piena di preoccupazioni. Non proprio di preoccupazioni, ma piuttosto di tensione, di ansia. La sua mente è ingombra di frammenti di immagini, come le schegge di vetro sul terreno di una discarica. Cambia posizione, si gira e si rigira, ma la giostra dei suoi pensieri è incontrollabile, e alle tre di notte decide di alzarsi per preparare una tazza di caffè. Quando era bambino, il culmine della felicità terrena era godersi delle lunghe dormite fino a tardi. Ma non è più un bambino e le ore di sonno discontinuo lo lasciano sempre stanco e nervoso. La situazione è chiara e semplice. Sì, forse è stato un po’ sfortunato, e più di una volta. Pensa che sarebbe stato in grado di dirigere un ufficio bene come chiunque altro. Ne è sicuro. Sa di essere avido ed egoista, come la maggioranza degli uomini, ma astuto e competente. Soprattutto sa che si sarebbe goduto il potere. E a questo punto, quando la possibilità di ottenerlo sembra ormai sfumata, c’è forse una componente di tetra soddisfazione nell’osservare le inadeguatezze altrui e un tranquillo godimento per le loro disgrazie. Tornato a letto, con la luce accesa, cerca di puntare gli occhi chiusi, ma sempre irrequieti, su un punto a circa dieci centimetri di distanza dal naso e, a poco a poco, il girotondo comincia a rallentare sempre più, finché si ferma. Sogna una splendida ragazza con una maschera sugli occhi che si sbottona la camicetta scollata e ondeggia sensualmente i fianchi sopra di lui mentre si slaccia la cerniera a lato della gonna. Infine, quando si porta le dita snelle e allungate al volto e sposta la maschera, Raffaele riconosce il volto di Federica. Poi, si addormenta. Si sveglia da una sonno agitato alle otto e accende Radio Blu Monopoli: alberi sradicati, cantine allagate, capanni ridotti a mucchi di assi. Sì, il breve ritorno dell’estate, luminoso e benevolo, volge ormai al termine. Venerdì sera le previsioni per il fine settimana avevano parlato di tempo instabile e perturbato, con possibilità di vento forte e pioggia. Ieri sera, sabato, già si era sentito che faceva più freddo e nuvole scure in arrivo da occidente dall’Adriatico incombevano su Monopoli. Cupamente il meteorologo aveva mostrato in tivvù una cartina della Puglia quasi nascosta da una fitta serie di linee concentriche con l’epicentro nei pressi di Molfetta, e in toni minacciosi aveva profetizzato l’arrivo di un fonte freddo e della conseguente bassa pressione. Infatti, in tarda serata, aveva cominciato a piovere. Molto. Ora, mentre si lava e rade, sente un’allegria che non ha più provato da quando si è separato dalla seconda moglie. Ora vede le cose con maggiore chiarezza. La strada per la felicità è ancora lunga, ma almeno c’è uno spiraglio di luce. Esce dal garage in retromarcia e scende dalla Volvo per chiudere il portone. Finalmente ha smesso di piovere e tutto quanto sembra lavato e pulito. La domenica è iniziata con violente raffiche di vento e, sebbene le preannunciate precipitazioni intense siano durate lo spazio di una sola notte, alle nove del mattino le strade sono immerse in un’atmosfera stranamente ovattata, quasi onirica. E i pochi passanti sembrano comparse di un film muto. Respira a pieni polmoni. E’ bello essere vivi. Entra in un bar. Esamina con diffidenza una pigna di panini al prosciutto “freschi di giornata” sotto la loro campana di plastica e ordina una birra. Per le undici ne ha già tracannate tre e un piacevole rilassamento gli ha pervaso le membra. Si accorge che i suoi pensieri girano in tondo e che la capacità di concentrarsi lo ha temporaneamente abbandonato. Ha bisogno di una donna. Ma di donne non ne ha. Pensa, come gli capita spesso, a quanto siano attraenti le donne. Ne ha avute, naturalmente, forse fin troppe. E un paio di loro abitano ancora i suoi sogni e tornano a richiamarlo verso un tempo lontano, tanti anni prima, quando le giornate erano piene di luce. Una di queste è Alessandra. Si ricorda quando indossava quel leggero maglioncino nero, che a lui piaceva tanto. Sotto il maglioncino i suoi seni pieni e liberi dalla costrizione del reggiseno ondeggiavano irresistibili, e quanto era bella con quella lunga gonna nera con lo spacco vertiginoso che lasciava un’incertezza sublime su cosa mai portasse sotto. La sua bocca era seducente e appiccicosa, dalle labbra umide leggermente socchiuse e i denti di un bianco lucente. Ora intorno a lui le foglie sono ormai cadute: a metà dei cinquanta, solo. Divorziato due volte. Ed ora eccolo lì, seduto in un bar dove la vita è fatta di caffè, sigarette, patatine, noccioline, slot-machine. Il posacenere sul suo tavolo è schifosamente pieno di cicche e cenere. Lo allontana con la mano, caccia giù quel che resta del caffè ed esce. Si avvia lentamente verso casa e si butta sul letto vestito di tutto punto. Questa sì che è vita. Al suo risveglio, alle 15, si sente uno straccio e si domanda se stia vivendo l’infanzia della terza età o la terza età dell’infanzia. Prende il cellulare. Compone subito un numero. Quello di Monica. “Pronto?” risponde una voce carica di sensualità. “Ah, sono Raffaele”. “Oh, caro. Come stai?” “Bene, Monica. Stasera volevo invitarti a cena”. “Sarebbe bello, ma ho un altro impegno. Meglio domani”. “Bene” dice Raffaele con una certa emozione. “Ora però sto aspettando un’amica. Ci vediamo domani”. “Ehm, sì, senz’altro” balbetta un emozionato Raffaele. “Allora, arrivederci a domani”. Dal tono della sua voce Raffaele indovina che doveva essere sdraiata, con le sue mani che scivolavano sensuali su quelle sue membra stupende, e lui non deve fare altro che aspettare domani. Se la immagina quando l’aveva vista la prima volta, con il primo bottone della giacca slacciato, e con la fantasia vede le proprie dita slacciare anche gli altri, e scostare lentamente i due lembi. Sono le sei di pomeriggio quando Raffaele si infila nuovamente nella Volvo. Siede immobile al volante per pochi minuti e poi sorride. Sta pensando ai seni di Alessandra, mentre esce dal parcheggio. Si dirige nella zona di Monopoli nord, nelle acque antistanti Cala Corvino. E’proprio sugli scogli nelle acque antistanti Cala Corvino, che si accende un’altra sigaretta. Fumando, ride. E fumando, pensa: c’è chi ha fortuna e chi no. Sulla cima della testa i capelli gli si sono molto diradati in due zone, ma un ciuffo grigio le tiene ancora separate, arginando l’incipiente dilagare della calvizie. Non indossa cravatta e sul colletto della camicia azzurra c’è una riga di sporco. Pensa di cambiarsela domani. Poi chiude gli occhi. Così finiscono le favole. A Monopoli. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

lunedì 7 maggio 2012

Momenti delicati di una domenica di maggio in compagnia di Paolo Fox, Andrea Bizzarri, Hollande, calcio e Roma-Lido

Momenti delicati di una domenica di maggio in compagnia di Paolo Fox, Andrea Bizzarri, Hollande, calcio e Roma-Lido Domenica 6 maggio sono sdraiato a letto, tormentato dalla spiacevole consapevolezza di avere tante cose da fare, se solo riuscissi a trovare la forza d’animo per cominciare. Di già le nove e mezzo. Ho l’emicrania e decido di non toccare alcol tutto il giorno. Mi giro dall’altra parte, sprofondo la testa nel cuscino e cerco di non pensare a nulla. Ma per me questa felice forma di nichilismo è del tutto impraticabile. Finalmente alle dieci mi alzo, mi lavo, mi faccio la barba ed esco con passo deciso in strada per andarmi a prendere il giornale della domenica. E’ una passeggiata di una decina di minuti e me la godo. Mi sento la testa già più sgombra, e procedo con una certa allegria, valutando se sia meglio comprare il giornale sportivo o il classico quotidiano. E’ il mio tradizionale dilemma giornalistico della domenica, che va di pari passo con la battaglia in corso nella mia personalità, perennemente in bilico tra svago e cultura. Talvolta compro un giornale, talvolta l’altro. Oggi li prendo entrambi. Alle dodici accendo la tivvù. “Mezzogiorno in famiglia” la trasmissione del fine settimana di Rai Due con l’imperdibile oroscopo della domenica di Paolo Fox e relativa classifica dei migliori segni zodiacali. Mi abbandono nella mia poltrona preferita, con in mano una tazza di caffè nero bollente. Chi sarà questa settimana il segno piu’ favorito dalle stelle? Diamine, il Sagittario! Il mio segno. La mia vita non è poi male, alle volte. Prendo il giornale sportivo e per dieci minuti mi dedico alle rivelazioni sconvolgenti di Totti, Nesta e Del Piero che i cronisti di questa testata sono in qualche modo riusciti a mettere insieme. Ci sono molti articoli sfiziosi e ne comincio uno sulla segreta destinazione di Lionel Andrés Messi per il prossimo anno. Juve, Chelsea o Manchester City? O rimane al Barcellona? Ma la storia mi annoia dopo pochi paragrafi. Ho ragione ad essere arrabbiato. E’ scritta con i piedi e, cosa più grave, per niente stuzzicante. Finisce sempre così. Io in realtà non apprezzo questa specie di semi-verità addomesticata; personalmente voglio cose forti o proprio niente. Non comprerò più questo giornale. Però è una decisione che ho già preso molte volte. E so che domenica prossima ci ricadrò come uno stupido, attratto ancora una volta dalle salaci promesse della prima pagina. Spalanco la bocca: Cristiano Ronaldo al Milan? La Juve, dopo il quasi certo tricolore, vincerà anche la Coppa Italia e la Supercoppa? Cristo, e chi vincerà la corsa Champions: Napoli, Lazio, Udinese o Inter? Alzo un sopracciglio mentre i miei occhi si fermano su una notizia che riguarda l'indagine barese sul calcioscommesse: l'ex presidente del Lecce Semeraro potrebbe aver avuto un ruolo nella combine del derby Bari-Lecce che fece guadagnare ai salentini la permanenza in A! Ma per oggi ne ho già avuto abbastanza. Al punto che degno appena di un’occhiata fuggevole la fotografia di una seducente promessa del cinema che mostra metà dei suoi seni da un milione di euro a un fuoriclasse dell’Inter. Dopo aver come al solito archiviato la pagina del golf nel cestino della spazzatura, passo al quotidiano normale. Mi sconvolge la scoperta che quasi sicuramente Sarkozy potrebbe beccare una batosta solenne. E se Hollande vincerà le elezioni in Francia 17 anni dopo Francois Mitterrand, la sinistra tornerà alla Bastiglia. Bene….Bene….Molto bene…Ottimo…. Leggo poi gli articoli principali e quasi tutte le recensioni letterarie e cinematografiche, tento senza successo di trovare una soluzione ad un enigmatico rebus, mi blocco sul tre verticale del cruciverba della penultima pagina e infine arrivo alla pagina dedicata alla lettere e alla medicina: sempre gli stessi temi, ma con una buona dose di sano buon senso. Poi il mio sguardo è attratto da una lettera. Mi raddrizzo sulla poltrona per leggerla e sul mio volto compare un’espressione perplessa. E’ della direzione generale dei trasporti comunali che risponde a una mia breve missiva sui cronici ritardi della metro di Ostia. 27 aprile, sì mi sembra proprio che sia stata pubblicata quel giorno. Cavolo, dicono che la metro di Ostia è sempre puntuale e che le corse non vengono mai soppresse. Emetto un fischio sottovoce e lentamente digerisco la replica del Cotral. Che bugiardi! Ora sarà meglio rispondere con una nuova lettera di denuncia, però non mi ricordo bene cosa abbia scritto su quella precedente. Meglio ricontrollarla. Mi avvicino a un’alta pila di giornali legati per bene con una cordicella, appoggiata per terra nell’ingresso accanto alla porta. I boy-scout passano a ritirarla una volta al mese e io, anche se personalmente non sono mai stato un lupetto, entro certi limiti approvo questa organizzazione. Strappo bruscamente la cordicella e mi metto a frugare tra i giornali. Venticinque, ventisei, ventotto aprile. Ma niente ventisette. Magari l’ho buttato via con una pila precedente. Maledizione. Guardo un’altra volta, ma non c’é. La lettera non l’no nemmeno salvata sul pc. Decido allora di lasciar perdere e di non replicare, anche se prenderei volentieri a calci nel sedere i gestori della metro del Lido. Che dite, amici? Non posso uscirmene con affermazioni del genere senza un minimo di prove! Sì, avete perfettamente ragione. Ma quello che mi premerebbe ribadire è l’enorme disagio a cui andiamo quotidianamente incontro noi poveri pendolari della Roma-Lido. In parole povere, è un sevizio scadente. Però, che vita la mia. Ahimè a volte mi viene da abbandonare ogni speranza, sedermi tutto solo in un garage buio, o usare il gas della cucina, o semplicemente tagliarmi la gola e morire. Improvvisamente mi viene la pelle d’oca. Sento una strana stretta alla gola e un lungo brivido mi corre lungo la schiena. Meglio lascia perdere con questi pensieri. Arriverà la fortuna anche per me. Lo sento. E sarà in pigiama di seta, quando arriverà. Non può che essere così. Non può che essere così! Poi mi alzo e vado in cucina. Appoggio il gomito e guardo fuori dalla finestra. Mi siedo. Mmm….alzo la testa e mi appoggio allo schienale della sedia traballante. Sfoglio una rivista che è sul tavolo. Un sorriso delicato e sognante si disegna per un attimo sulle mie labbra. In copertina, Nicole Kidman. Grande attrice, bionda naturale. Anche se un po’ piatta di seno. Ma di una tale sensualità… Una regina del cinema. Cinema! Teatro! Ora ricordo: prendo il cellulare e telefono a un teatro trasteverino, l’Agorà. Prenoto un posto per domenica prossima,13 maggio. La Compagnia Readàrtop presenterà “ Bòbo” scritto e diretto da Andrea Bizzarri. O meglio, per essere un tantino più precisi, Andrea lo reciterà insieme ad altri quattro giovani attori, Alida Sacoor, Roberto Bagagli, Andrea Alesio e Giulia Priori. Bé, Andrea è anche figlio di un mio grande amico, Paolo. Ma che cavolo! Ora mi sento in pace con me stesso e con tutto il mondo. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)