lunedì 25 giugno 2012

PIU' ALTO DEL MARE



PIU’ ALTO DEL MARE



Agonizzante.


Proprio io.


Polso filiforme.


Pupilla midriatica.


Riflessi quasi assenti.


Ritmo cardiaco di galoppo.


Immobilizzato, angosciato perché ho l’impressione di morire.


La mia vita è appesa a un filo.


La prognosi è riservata, riservatissima.


E la colpa non è solo del fato che mi ha ridotto in questo stato larvale.


Ma anche del fatto che ho temporeggiato sottraendo minuti preziosi alla decisione.


Cos’ha combinato?


Boh…


Un’insinuante puzza di bruciato comincia a solleticare le mie narici.


“Vuoi vedere…” mormoro tra me, che mi stanno fregando!


Davvero, roba da matti!


Smadonno mentalmente.


Scemo che sono!


Se non è zuppa, è pan bagnato.


Fuori, all’aria aperta!


Lontano da quell’odore di chiuso.


Sulla soglia del portone, inalo almeno un paio di litri d’aria.


E il sentore di bruciaticcio, di cui ho le narici impegnate, sale e dilaga con prepotenza nel cervello.


Se qualcuno sta sparlando di me non c’è più nemmeno un secondo da perdere.


Avanti, quindi.


Bando alle parolacce!


Però, vacca puttana! Quando ci vogliono…


Cambiare?


"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!" prendo spunto dalla celeberrima frase che Tomasi di Lampedusa fa pronunciare a Tancredi ne “Il Gattopardo”, per esprimere tutta la preoccupazione e il disappunto per quanto mi sta succedendo.


“Perché?” chiedo dopo un po’.


E’ la prima parola che mi ritorna alla lingua.


Fra tutte, forse la meno adatta.


Va bene.


Presto, presto!


Accetto senza esitare.


In mancanza di meglio.


Nell’aria, quindi, non c’è più odore di bruciato.


Però, a un certo punto…


A un certo punto mi chiedo se non stia esagerando e mi rimane il dubbio se aggiungere o meno un cucchiaino di zucchero al caffè che ho chiesto per chiudere il pranzo.


Infine non posso fare altro che attendere.


Pentirmi.


Pentirmi e redimermi.


E forse…


Forse?


Forse mi farò frate!


Mi farà meno male.


Nessuno più ride.


Cosa intendo?


Niente.


Scazzo vero e proprio.


Chiamiamo le cose col loro nome!


Agli ordini, faccio dentro di me.


Sperando che finisca qui.


Fino a nuovo ordine.


Da vecchio coglione.


Ora è giunta l’ora di giocare a carte scoperte, me ne frega un cazzo, Monti, Merkel, Hollande o Barack Obama …


Tutto sommato non è poi così sbagliato.


Sul mare il vento sta cominciando a soffiare.


Raffiche alte per intanto.


Solo da qui a un po’, comincerà a sollevare onde bianche di spuma.


A me il vento, piace.


Mi fermo, ricevendo in viso le prime raffiche.


Guardo il cielo.


Più alto del mare.


Dopodiché sembra che tutto si oscuri.


Torno a casa.


Spero che non sia successo niente, che tutto fili liscio, ma…


La legge è legge.


E non ammette ignoranza.


Dimenticatevi di me d’ora in avanti.


Per tutti, io non esisto più.


Non guido più contromano.


Non sogno più.


E buonanotte.


Buonanotte a tutti i sognatori!


“…sogno un po’ più forte quando sono sveglio...” (Ligabue)






Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 12 giugno 2012

OVER THE RAINBOW

OVER THE RAINBOW Giornata di merda. Umida, tra l’altro. Un’umidità saporita che sta aumentando col passare delle ore. Pare di masticarla come un cibo, riempie lo stomaco, togliendo l’appetito. Infatti, nonostante l’ora, non ne ho neanche un filo. Entro in ufficio. Mi si presenta una scalcagnata sindacalista che solo un ardito, cieco e con un arretrato di anni, potrebbe avvicinare. Sbuffo, nervoso. “Molto bene”, penso. “Manca un codice”, dice riferendosi a un mio vecchio ricorso. “Lo so”, confesso. “Aggiungilo, quindi” fa lei. “Lo dico ma è come se non lo facessi. Non sono più interessato”, avviso prima di salutarla, in un soffio. Soffio che provoca una smorfia di disappunto sul viso della sindacalista perché tra tutti gli eccellenti ricorrenti, veri e presunti, che il suo elenco può vantare, dal dirigente CHICCHIRICHI', al direttore generale CAZZAVILLANI, al direttore didattico POMPINI, al notaio FICAROTTA, al prefetto MEZZABARBA, al segretario comunale TONTODIMAMMA, il nome che lei avrebbe volentieri fatto a meno di sentire è proprio il mio. “L’occasione fa l’uomo ladro” aggiunge, “non tocca a me insegnartelo, Mario Pulimanti! Un’orribile parolaccia destinata a lei sale alla lingua, ma mi trattengo. “Non sempre” rispondo. Lascia cadere le braccia lungo i fianchi. “Allora ciao e grazie”, dice. E si avvia lungo il corridoio del piano terra. Le cose cambiano, penso, secondo come e chi le guarda. O cazzo. Mmm…. Roba da matti! Stanco. Stufo. Vecchio. E pure coglione. Mi brucia lo stomaco. Esco. Fuori, all’aria aperta! Lontano da quell’odore di bruciato! Quel sentore di guaio, quell’ala malefica che mi ha sfiorato quando mi ha parlato del vecchio ricorso, del fatto che secondo lei vinceranno in appello, improvvisamente è sparito. Ho sbagliato? No, non mi pare. Cosa dovrei rispondere? Sì? No? Boh? La verità, porca puttana! D’altronde mica posso negare che avrei fatto male a far parte ancora della squadra dei ricorrenti storici di un ricorso inutile. E adesso? Nessun pensiero, se non quello di stare lì, attendere. Smetterò di sbirciare l’orologio. Non zoppicherò. E, poiché di fantasia ne ho, mentre prendo a calci la realtà, comincio immediatamente a immaginare come potrebbe essere una vacanza in Salento O vivere sopra l’arcobaleno. Over the rainbow. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

giovedì 7 giugno 2012

L’AMORE QUANDO C’È (QUATTRO STORIE POSSIBILI)

L’AMORE QUANDO C’È (QUATTRO STORIE POSSIBILI) Perugia. Aldo, un direttore di banca. Venerdì mattina è ancora buio. Qualche luce nelle case, nessuna nel cielo nuvoloso. Nell’aria, anziché il suono della sveglia, si sentono i sospiri di Aldo. Sospira pensando a Susanna, la moglie di Riccardo Pavone, controllore di volo. Le ha parlato ieri pomeriggio, senza mai staccare gli occhi dai due tronchi di coscia sognando il buio in cui vanno a finire. E’ venuta a chiedere informazioni su come effettuare un bonifico. “Non ho gli occhi nel culo” ha replicato lei. “Quindi è inutile che continui a guardare lì!” Perdio! Gli é entrata nel sangue al ritmo di galoppo. Cavolo, ha giurato su tutti i santi che d’ora in poi non perderà occasione per spiarla, cercando di attaccare bottone. Ha subito tentato di invitarla a cena. Ne ha ricevuto occhiatacce e risposte abrasive. Risultato, questo, che l’ha convinto di una cosa: per averla dovrà studiare manovre. Per tutta la notte ha progettato piani, componendola, pezzo dopo pezzo, nella sua fantasia. L’ha tutta ormai. Quasi. Occhi, naso, orecchie, fianchi, tette, culo. Gambe! Diobono, quelle gambe! E caviglie. Caviglie da scatto, non tozze. Gli manca solo una cosa, la patatina. Il Creatore non può aver fatto due gambe così perfette per rovinarle con una fragolina malformata sulle piccole labbra. Ecco, quando avrà finalmente ceduto, Aldo sa già da dove comincerà a baciare quella donna: dalla patatina. Tutto sta nel convincerla a lasciarlo fare. Firenze. Giovanni, il figlio di un imprenditore. Venerdì mattina è ancora buio. Qualche luce nelle case, nessuna nel cielo nuvoloso. Nell’aria, anziché il suono della sveglia, si sentono i sospiri di Giovanni. Sospira pensando ad Antonella. Anche se è fidanzato con Mary, brutta da far venire il mal di pancia a guardarla. Gli è stata imposta da Gennaro, il severo padre di Giovanni, abile e ricco imprenditore dell’edilizia. Così abile da farsi socio un ricchissimo magnate australiano, Paul Dixons. Anche se Mr. Dixons gli ha imposto una “condicio sine qua non”: il fidanzamento di sua figlia Mary con Giovanni. Detto, fatto: Gennaro ha fatto capire al figliolo che senza Mary non erediterebbe mai l’azienda paterna. Ieri sera Giovanni ha portato Mary a vedere una commedia. Un intreccio goliardico farcito di doppi sensi che hanno provocato risate a ripetizione dalla platea. Solo Mary l’ha seguita come se fosse a messa e a Giovanni non é venuta nemmeno la tentazione di spiegarle qualcuno degli equivoci che hanno fatto sganasciare tutti gli altri spettatori. Inizialmente ha subito il fidanzamento come un inevitabile martirio. Ma poi qualcosa é cambiato. E da un po’ di tempo, finge. Per tenersi buono il padre. Anche di fronte alla bruttezza della figlia del magnate Dixons. Infatti, dal momento che aveva conosciuto Antonella, i globuli rossi di Giovanni, anziché ossigeno, hanno cominciato a portargli nel cervello atomi di felicità pura. Sotto la pelle del viso sente di avere un diuturno sorriso che, però, non può, non deve esibire. Deve, piuttosto, continuare a fingere di essere cambiato: guai a insinuare sospetti, la posta in palio é troppo alta. Tutto pur di avere Antonella. Anche dire di sì a suo padre Gennaro quando l’altra settimana gli ha chiesto di partecipare ad un convegno a Venezia, facendosi accompagnare da Mary. Così avrebbe potuto unire l’utile al dilettevole: il lavoro con un una romantica passeggiata in gondola con la sua fidanzata. Uno dei peggiori giorni della sua vita, pensa ora Giovanni. Lungo, noioso. Un tormento dell’anima e del corpo. L’ha trascorso a Venezia, presso la sede dell’Associazione di commercianti del Borgo Antico, convocato assieme a tutti gli altri dirigenti della ditta del padre per comunicazioni di estrema importanza. A Giovanni hanno fischiato le orecchie per i discorsi ascoltati, un rosario infinito di inutili parole quasi prive di peso e in balia dei venti dell’economia…. Cazzate. Poi, la domenica successiva, la gita in gondola nonostante una pioggia fitta, dentro un grigio di acqua e cielo che Mary, in una delle rare, spontanee uscite -parla poco, per fortuna, e solo se interrogata, risposte brevi, secche, come se scappasse- ha definito di malinconica bellezza. Che bisogno c’é stato, s’é chiesto a lungo tutto il viaggio di ritorno, di farlo andare fino a Venezia per sentire i soliti discorsi? E soprattutto, con Mary? Genova. Gaspare Bertoni, focoso impiegato del comune. Venerdì mattina è ancora buio. Qualche luce nelle case, nessuna nel cielo nuvoloso. Nell’aria, anziché il suono della sveglia, si sentono i sospiri di Gaspare. Sospira pensando a Francesca, la sua ultima fiamma, una cretina senza pari, un vulcano di parole e risate. Un vaso vuoto. Fuori, però, perfetta. Il suo sguardo, il candore della sua pelle, l’eleganza dei movimenti ne fanno un affresco da santuario. Lo stesso sguardo, lo stesso candore, gli stessi movimenti cambiano di segno sotto le lenzuola. Allora gli occhi sono spie di lussuria, i gesti quelli indolenti di una tigre prima dell’attacco. Per questo Gaspare ne è stregato. Bruna, la signora Bertoni sa delle intemperanze del marito? E, se sa, finge di niente? Spesso i suoi amici si sono posti la domanda, invidiosi anche, per il fatto che Gaspare la passi sempre liscia, mai un problema, una discussione. D’accordo, Gaspare é furbo, fa le cose per bene. Ma la signora deve avere le fette di salame sugli occhi. Tutt’altro, invece. Bruna è al corrente. Non s’è mai piegata, però, ad ascoltare voci o pettegolezzi. Sa e basta. Puro intuito femminile. E dal sapere, trae vantaggi. I continui regali che il marito le fa per tenersela buona, inutile negarlo, le fanno comodo. Sulle scappatelle del marito chiude gli occhi, tappandosi anche il naso per non inalare i mielosi profumi delle sue amanti: non sono donne, quelle, con cui bisogna scendere a patti. Quando Gaspare poi punta una preda fresca, la musica migliora, e comincia il bello. Perché in quei casi suo marito diventa ancor più prodigo di regali. E che regali! Urbino. Gianluca, studente universitario. Venerdì mattina è ancora buio. Qualche luce nelle case, nessuna nel cielo nuvoloso. Nell’aria, anziché il suono della sveglia, si sentono i sospiri di Gianluca. Sospira pensando a Elisabetta. Ogniqualvolta è entrato in casa del commercialista Angelo Versani, ricevuto sulla porta da Elisabetta, la moglie del commercialista, ha fissato gli occhi sulle tette della donna, sognando di toccarle. Elisabetta, per parte sua, ha sognato di lasciarsele toccare da quelle mani giovani ma, per far sì che accada, deve creare l’occasione. Cosa non facile, impossibile addirittura. Il marito è estremamente geloso. Un Otello! Ma é sicura di riuscire presto a beccarlo da sola a solo, fargli intendere una certa disponibilità, stimolare a sua volta la fantasia del giovanotto, provocarlo a inventarsi una di quelle occasioni che inevitabilmente finiscono sotto qualche lenzuola. E poi tutto si é realizzato. Angelo Versani si é dovuto trasferire per un paio di mesi a Bologna, per motivi di lavoro. Ed Elisabetta si é presto rilevata una vera e propria ninfomane seriale che sottopone il suo Gianluca a massacranti maratone sessuali. Le prove? Sono lì, basta guardare Gianluca. Magro, le occhiaie, nervoso e svanito. Uno straccetto. Però contento. E tanto! Ah, l’amore. L’amore quando c’è! L’alba del nuovo giorno sorge su di una Italia con le occhiaie. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Calcioscommesse: giustizia sì, ma non sommaria

Calcioscommesse: giustizia sì, ma non sommaria Molti giocatori, essendo diventati dei simboli, dovrebbero dare il buon esempio. Molti fanno invece esattamente il contrario ed è giusto che quando ciò accade siano puniti dalla legge o dalle loro società. Gli sportivi non sono intoccabili. Però, esattamente come tutti gli altri cittadini, non possono essere vittime di giustizie sommarie per compiacere settori dell'opinione pubblica. Infatti dovrebbe sempre valere il principio che essere indagati non vuol dire, automaticamente, anche essere condannati. La cultura del sospetto non è l'anticamera della giustizia. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

domenica 3 giugno 2012

Non tutti i bastardi sono di Ostia

NON TUTTI I BASTARDI SONO DI OSTIA
Sono di Ostia. E non sono un bastardo. Ci saranno decisioni da prendere, comprensibili diffidenze da superare, resistenze da piegare. Mi chiedo se sarò all'altezza di questo compito. Sono veramente arrabbiatyo. Abbasso la testa, contrito. Riprendo a camminare in silenzio. Immergendomi nel profumo del vento arrivo all'albero degli impiccati. Intorno a me, indolenti nuvole grigie sembrano galleggiare nell'aria, sospinte dal vento umido, leggero. Quasi a volermi salutare, una grande quercia regala al vento una manciata di foglie multicolori, che scivolano a lungo mollemente, dietro a me, sul lastricato. "No, Mario" mi dice il vento. "No, ascolta: non puoi cambiare la realtà". Sorrido: "Non temere, vento. Non ci sono problemi. Come vedi, non devi preoccuparti di nulla". Sono stanco di vivere nell'incertezza. Decido saggiamente che è preferibile rallentare il passo, piuttosto che importunare chi mi condanna. Esito un momento, lancio le ultime grida di sfida, spingo la mia rabbia. E abbandono la via dei boschi. Detesto caldamente le polemiche. Evito di fornire troppe spiegazioni. Senza ostilità, me ne vado. Nella luce fioca diffusa dal mare. Dimenticando ogni cosa. Lentamente. Non tutti i bastardi sono di Ostia. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)