Aspettando Godot (En attendant Godot, 1952)
Pozzo. Le lacrime del mondo sono immutabili. Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro, chi sa dove smette. E così per il riso. Non diciamo troppo male, perciò, della nostra epoca; non è più disgraziata delle precedenti. Ma non diciamone neanche troppo bene. Non parliamone affatto.
Pozzo. Poco fa mi chiamavate signore, tremando. Adesso mi fate delle domande. Qui va a finire male.
Estragone. E adesso che facciamo?
Vladimiro. Non lo so.
Estragone. Perché?
Vladimiro. Aspettiamo Godot.
Estragone. Già, è vero.
.........
Aspettando Godot : grandissimo successo a Parigi e poi in tutto il mondo.
I due protagonisti attendono un enigmatico personaggio che simboleggia forse l'irraggiungibilità o l'inesistenza di Dio.
Due vagabondi, Vladimir ed Estragon, attendono un personaggio misterioso, Godot; ma non conoscono né l'ora né il luogo in cui poterlo incontrare, ma soprattutto non sanno cosa fare nell'attesa.
Ad un tratto arriva sulla scena qualcuno, ma non si tratta di Godot: arrivano un vecchio, Lucky, carico di bagagli e tenuto al guinzaglio dal suo padrone, Pozzo, che vuole venderlo al mercato.
Più tardi un ragazzino annuncia che Godot non arriverà questa sera ma l'indomani.
Nel secondo atto ricompaiono tutti i personaggi del primo: Pozzo è cieco e Lucky muto.
Pozzo vorrebbe sapere che ore sono e dove si trova ma non riceve risposta.
Cala il buio: ricompare il ragazzo che annuncia che Godot non verrà neppure questa sera, ma sicuramente domani.
Ma si capisce che l'attesa sarà vana domani, sarà vana sempre.
.....
Quando fu chiesto a Beckett, in occasione della prima americana di Aspettando Godot, regia di Alan Schneider, chi o cosa rappresentasse Godot, rispose: "Se lo sapessi, l'avrei detto nel dramma".
..........
Nel corso degli anni ho apprezzato parecchie produzioni, inclusa una memorabile con Ugo Pagliai (Estragone) ed Eros Pagni (Vladimiro).
Per come io conosco Didi e Gogo, essi sono cupi, vaudevilliani, un po’ lenti nel capire e malinconici.
E’ importante che il ritmo trasmetta la sospensione del tempo.
Sono la noia ed il tedio delle loro vite che rendono reali i loro comici tentativi di suicidio su quell’albero tristemente sterile. Avere la cadenza giusta è assolutamente cruciale.
Se fatta troppo lentamente la commedia diviene mortale e snervante.
Ma, nella rappresentazione che si svolge in questi giorni al Teatro Manfredi di Ostia, il ritmo imposto da Claudio Boccaccini è fin troppo veloce.
Nei primi momenti della commedia é facile credere a Didi e Gogo, più che altro per il modo crudo e diretto con cui recitano il dialogo.
Forse, però, non viene lasciato abbastanza tempo per assorbire l’assurdo tedio e la poesia della loro disperazione.
In ogni caso, gli interventi comici prendono forma quando Gogo chiede una carota, ha bisogno di aiuto per andarsene o quando più tardi si mette le scarpe.
E, appropriatamente abbigliati nei logori costumi, Pietro de Silva e Felice Della Corte, nei panni di Didi e Gogo, sembrano effettivamente essere i disperati vagabondi con tendenze suicide di Beckett.
Il dialogo ci fa capire che hanno girato molto e che hanno perdite di memoria in cui un giorno scivolava nell’altro senza distinzione per 50 anni.
Del resto, in questa commedia il tempo è essenziale.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)