La romanità
Quanti abitanti che oggi
vivono a Roma sono romani?
Che cosa resterà in futuro
della romanità?
Certo, nel corso dei secoli
Roma ha subito anche drammatici spopolamenti e poi lenti e progressivi
ripopolamenti.
L’antica Roma era abitata da
quattro milioni di abitanti che nel Medioevo sono ad un certo punto (per vari
motivi: inondazioni, peste ecc.) diminuiti fino ad arrivare solamente a 50mila
abitanti.
Ai tempi del Belli ce n’erano
160 mila, che all’inizio del secolo erano saliti a 200 mila, ma nel corso degli
ultimi sette o otto decenni, specialmente a partire dal dopoguerra, si é
ripopolata ad un ritmo vertiginoso.
Oggi conta quasi cinque
milioni di abitanti.
Ma soltanto in minima parte
sono romani: non più di centomila.
I restanti quattro milioni e
novecentomila residenti non sono romani.
E tutto sta ad indicare che
i romani sono destinati a ridursi ulteriormente, probabilmente fino a sparire,
come sarà destinato a sparire purtroppo anche il nostro bellissimo dialetto.
Infatti il dialetto
romanesco é ormai moribondo.
Trattasi non già di una
morte naturale, bensì di un assassinio vero e proprio, perpetrato con fredda
lucidità, con premeditazione, con tante persone pronte ad approvare la pulizia
etnica del nostro amato vernacolo romanesco.
Moravia diceva che il
dialetto romano è un misto di fiorentino e di campano.
I costruttori di San Pietro
erano tutti toscani, e mescolarono il loro dialetto con il dialetto campano.
Anche la lingua a Roma é un
miscuglio di Italiano.
Moravia, anche se campano,
diceva anche che Roma non era un cumulo di rovine, perché quelle romane sono
rovine attive, ossia sempre in trasformazione, e la trasformazione è qualcosa
di vivo, di vitale.
Le stesse idee le ha anche
espresse Federico Fellini, per il quale Roma rinasce miracolosamente dalle
proprie rovine, come l’araba fenice dalle proprie ceneri.
Del resto fin dall’antichità
Roma era una città cosmopolita, internazionale; alcuni degli imperatori
venivano dalla Spagna, dall’Africa; parecchi degli artisti, scrittori, cineasti
che ci hanno offerto nuove visioni o nuove interpretazioni di Roma venivano da
altri luoghi o da altri paesi, come il Borromini, Fellini, Gadda, Pasolini.
Già Montaigne diceva che
alla sua epoca Roma era la città più cosmopolita d’Europa.
Dal canto suo Borges non si
stancava di ripetere che Roma era un mito dell’immaginazione universale.
Significative sono le parole
di Adriano riportate nel celebre libro della Yourcenar: “Altre Rome verranno e
io non so immaginarne il volto, ma avrò contribuito a formarlo?”
A mio parere converrebbe
mantenere sempre vive le tradizioni culturali romane e lo spirito della romanità,
da lasciare in eredità ai nostri figli e nipoti.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)