Collevecchio
Sono tornato ai luoghi
donde,
adolescente,
fuggii per inseguire un
sogno.
A questo che verdeggia di
smeraldi,
son tornato,
colle antico della terra dei
Sabini,
in una notte d’agosto.
Disteso come allora, sul
dorso,
fra l’erbe ho rimirato i
ricami tracciati dalle scie delle stelle cadenti,
fulminee più che il
pensiero,
ad infittire di palpiti il
mio petto.
E l’alba m’ha colto immobile
e la rugiada m’ha imperlato
le ciglia e i capelli.
L’erba verde si tende come
seta;
sugli alberi crescono le
foglie rosse.
L’uccello cerca il nido
mentre le nuvole si
accostano ai fiori.
Amato mio colle natio!
Antico, non vecchio.
Amore stilli, con la
rugiada.
Il tempo non può invecchiare
ciò ch’eterno,
e tu lo sei!
Collevecchio,
sui tuoi blandi pendii
s’arrampicano gli ulivi
e, le viti, le uve indorano
di sole.
Passano gli anni,
svanisce il roseo volto,
col passo del dolore
s’imbianca la mia chioma.
Canto di galli, suono di
campane, cento uccelli in volo,
canti di uccelli inondano il
cielo.
Collevecchio,
é di struggente bellezza il
tuo autunno,
già s’intravede, quando gli
uccelli migrano
e il loro stormo, lungamente
volteggia,
par che sciami,
ne l’aria tersa,
fra cielo e i verdi campi,
prima di scomparire
all’orizzonte.
ANTONIO VALERIANO PULIMANTI
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