Non ho il coraggio di dire queste cose a mia moglie, così le scrivo sul
giornale. Così come, sul versante femminile, esistono le mani di fata, su
quello maschile esistono gli uomini veri, quelli da amaro Montenegro, capaci di
salvare cavalli ma anche di aggiustare oggetti, di riparare guasti domestici,
di lavare i piatti e di cucinare. Io, ahimé, come molti altri uomini, non
appartengono a questa categoria. In realtà so fare tante altre cose. Leggo
moltissimi libri e me li ricordo. Credo di cavarmela con la scrittura e
malgrado quello che dicono certi miei colleghi, penso di lavorare con impegno e
con discreta abilità. Faccio delle belle fotografie. E poi quando c’è da bere e
da mangiare sono un vero professionista! Ma, come dice mia moglie Simonetta, in
tutto il resto, o quasi, sono un disastro. E quando dico disastro non esagero.
Perché la mia vita è punteggiata, quotidianamente, da sconfitte imbarazzanti.
Prendiamo la botanica. Vi dico subito che Simonetta ha il pollice verde. Ogni
pianta che lei mette in casa diventa un baobab. Io, invece, sono una catastrofe
vivente. Ogni pianta che metto in ufficio muore dopo pochissimi giorni. Sono
l’Attila delle azalee, dei ficus e degli oleandri. Passiamo alla cucina. Per
sintetizzare il mio rapporto con i fornelli sarò esplicito: non so cucinare
nemmeno un uovo al tegamino. Quando prendo in mano una padella divento Fantozzi.
Confondo il sale con lo zucchero. Mi brucio le mani quando scolo l’acqua della
pasta. E le poche volte che ho provato a cuocere una bistecca i vicini hanno
chiamato i pompieri per via del fumo, che ho provocato nel palazzo. Poi c’è il bricolage.
Se c’è da attaccare un quadro mi prendo a martellate da solo. Se devo bucare
una parete col trapano mi ritrovo nel salotto dei vicini di casa. Non parliamo
dei miei maldestri tentativi quando c’è da sturare un water: provoco un
maremoto e allago l’appartamento. Se cerco di aggiustare una presa elettrica
faccio saltare la corrente in tutto il quartiere. Da solo non riesco a mettermi
un cerotto al dito. E se prendo in mano un tubetto di attaccatutto resto per
tre giorni con il pollice incollato all’indice. Piuttosto che cambiare una
gomma della mia automobile, vendo l’automobile. Perché potrei restare lì, a
combattere col crick, per intere settimane. Impazzisco quando c’è da registrare
qualcosa in Tv. Se decido di registrare un film mi ritrovo sul decoder un
documentario sulla vita delle renne nella Lapponia orientale! Comunque sono un
uomo fortunato perché mia moglie, nonostante tutto, è innamorata dei miei
difetti e, sempre vigile sul destino dei nostri due figli, Gabriele ed
Alessandro, finisce con l’essere lei il vero fulcro della famiglia, anzi ne è
l’unica colonna portante. E, anche se il suo tentativo di trasformare la nostra
famiglia in una unità di cui andare socialmente fieri fallisce inevitabilmente,
eppure l’amore rimane lo stesso. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
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