lunedì 29 dicembre 2008

Buon 2009



E' una serata chiara con la luna piena.
Seduto sul divano, leggo.
Dalla lettura dei quotidiani, apprendo che il problema dei botti illegali è diventata una questione scottante.
Scrollo le spalle.
Lo scorso anno era il botto "Finanziaria" o la "testata di Zidane", negli anni precedenti sul mercato clandestino era andato a ruba lo "Tsunami", prima ancora lo storico "Pallone di Maradona".
Fisso il giornale con occhi spaventati.
Quest'anno, tra a i botti illegali, ci sono anche gli "Occhi di Bin Laden", sinistro nomignolo affibbiato ad una vera e propria bomba che esplode con grande potenza.
Non so cosa dire: sono ordigni pericolosissimi.
Mi accarezzo il mento.
Nervosamente, cercando di smaltire lo shock provocatomi da questa notizia.
A Napoli hanno attivato addirittura un numero verde per segnalare i venditori di botti illegali.
Mi ricordo le foto-choc del pronto soccorso il primo dell'anno.
Di ogni anno.
Già.
Entra in casa Gabriele.
Con una amica.
Bella e col cane.
Un cocker.
Alan.
Mi salutano e vanno in un'altra stanza.
Alan li ignora e, dal momento che la porta del salone è aperta, entra e si infila sotto il divano.
Mentre accarezzo il capo del cane festante, do uno sguardo al telegiornale.
"Anno nuovo vita nuova!"
Sono troppo distante dalla finestra, ma sento ugualmente il frastuono dei botti di capodanno.
Di tanto in tanto delle vere e proprie esplosioni illuminano il cielo notturno.
Improvvisamente, alle mie spalle, Alan trema.
Spengo la tivvù e lo accarezzo per riportarlo alla calma.
Agita allegramente la coda e abbaia debolmente.
Lo prendo tra le braccia.
Mi sdraio sul divano, accarezzando il suo muso con le mani.
Altri botti.
Nonostante la piccola stazza, il cagnolino é forte e determinato e si agita ancora.
Nello stesso momento, i rumori dall'esterno si affievoliscono.
Alan si calma.
Sto bene qui sul divano.
Sto talmente bene che quasi mi appisolo.
In uno strano stato di dormiveglia, penso a chi non mi ama.
Oh, Signore, Dio delle vendette, mostra la tua gloria!
Fino a quando certe persone trionferanno, accaparrandosi consensi e applausi?
Salvaci, Supremo giudice della terra!
Abbatti i nostri nemici, fai cadere loro addosso una pioggia di carboni accesi, distruggili nel fuoco eterno, seppelliscili in fosse profonde da cui non possano risorgere!
Amen!
Un botto più forte degli altri mi fa sobbalzare, svegliandomi.
Apro gli occhi, abbandonando strane preghiere sacrificali.
Dopo qualche minuto riaccendo la tivvù.
"Anno nuovo vita nuova!"
Ci metto un pò a digerire le ultime notizie.
Mentre il cronista parla, penso.
I telegiornali-disgrazia, con persino notizie visive sopra, scritte scorrevoli sotto sono ormai monotoni.
La gente non sa più come ammazzarsi: con coltello, pistola, affettamento, in macchina, ascensore, scuola, cucina ecc.
"Anno nuovo vita nuova!"
Ancora un po' e la novita sarà quell'antica normalità del passare il capodanno in compagnia, mangiando "sono a dieta ma", bevendo "tanto non guido", ridendo e "spettegolando" (che adesso si legge gossip) degli amici appena andati via.
Nel frattempo sono arrivati Alessandro con Simonetta.
Guardo Alan.
I suoi occhi sono umidi e sinceri.
"Anno buono per tutti!"
Dico bene?
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

Capodanno al Teatro Nino Manfredi di Ostia


Un’idea per il Capodanno?
Eccola: “RAP-SODIA” al Teatro Nino Manfredi di Ostia.
Correte al botteghino del Manfredi.
I posti stanno terminando.
Un consiglio a tutti quanti da parte di Mario Pulimanti!
Buon 2009!

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RAP-SODIA

Regia: Pino Ferrara
Attori: DOSTO & YEVSKI con la partecipazione di Donna Olimpia
Da: mercoledì 31 dicembre 2008
A: mercoledì 31 dicembre 2008
Orario: 22.30

INFO/PRENOTAZIONI 0656324849

Note:Vincitori del Premio Televisivo BRAVO GRAZIE 2007 in onda su RAI2 Dopo 400 repliche e quattro anni di tournee in Italia ed all’estero (Francia, Spagna, Grecia, Germania, Argentina, Perù, Uruguay, Cile, Corea, etc.) tornano sulle scene italiane ed approdano al Teatro NINO MANFREDI per festeggiare con voi l’arrivo del nuovo anno


Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 27 dicembre 2008

L'Ideologia Gender




Mi alzo.

Oggi non lavoro.
E' festa!
Decido di uscire senza una meta precisa.
Prove generali di vita da pensionato, mi dico, tra il divertito e lo sconsolato.
Quando esco, mi ritrovo davanti a una giornata dicembrina senza una nuvola, fredda e luminosa.
Salgo in macchina.
Destinazione? Incerta!
Inaspettatamente, inizia a piovere.
Sempre di più.
Il diluvio non accenna a perdere forza.
Cammino praticamente alla cieca perché i tergicristalli non ce la fanno a spazzare l’acqua.
Allora, accosto.
Scendo dalla macchina.
Entro in un bar.
Sono tutto bagnato.
Prendo un caffé.
Leggo il giornale.
Ma cosa c'é scritto?
Incredibile!
Benedetto XVI critica quella che definisce "l’ideologia gender", dichiarando che è Dio a decidere tra uomo e donna e che " volersi
fare da soli è una forma di autodistruzione dell’uomo".
Lo afferma Benedetto XVI per spiegare, nell'atteso discorso alla Curia Romana riunita per gli auguri natalizi, la posizione della Santa Sede contro la discrimnazione dei gay ma anche contro l'equiparazione di queste coppie alle altre che sono state molto contestate in queste ultime settimane.
"Qui - spiega il Papa - si tratta di fatto della fede nel creatore e dell'ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un'autodistruzione dell'uomo e quindi una distruzione dell'opera stessa di Dio".
E conclude: "Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine “gender” si risolve in una autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal creatore ".
Un rumore mi fa voltare di scatto.
Qualcosa si agita dietro di me.
Mi guardo intorno a occhi sgranati.
Da un tavolino fa capolino un viso sorridente.
E' Ferruccio.
"Ehi! Accidenti a te! Mi vuoi spaventare?" gli dico scherzando.
Ferruccio ride e mi guarda negli occhi. "Che cosa c'é che non va?"
"Niente."
"Senti, si vede lontano un miglio che stai male".
Si siede vicino a me.
"Che cosa ci fai in questo bar?"
"E' un bel posto, qui. Ci vengo spesso".
Poi gli faccio leggere l'articolo del giornale.
"Ah, ecco!" fa lui, col tono di chi ha capito tutto. "Sei stupito di questo fatto".
"E già. Il Papa ha detto..."
"Chiudi la bocca, Mario" scherza Ferruccio, ma anche lui é colpito dall'ideologia gender.
Ed infatti, subito aggiunge, contraddicendosi: "Dimmi, Mario, che cosa ne pensi tu?".
Prendo coraggio. La domanda mi pare sibillina, ma decido di rispondere con sincerità. "Ecco, io...la penso come il Papa".
"Capisco", fa lui. "E posso sapere come hai raggiunto questa consapevolezza?"
"L'uomo crede di farsi da solo e disporre da solo, sempre ed esclusivamente, di ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo spirito creatore e va verso l’autodistruzione" replico.
"E non ti pare che questo sia un motivo quanto mai sciocco per rispondere?".
Il tono é così duro che io comincio a rimpiangere la mia risposta.
Ma, subito dopo, dico: "Non è l’uomo che decide, è Dio che decide chi è uomo e chi è donna".
"E' importante che la tua motivazione sia forte, Mario, perché avere delle certezze assolute come le hai tu, é arduo. Inoltre, il saggio é chi ha sempre dubbi".
Sobbalzo sulla sedia. "Come Ferruccio?"
"E' così difficile riuscire a capire cosa sia giusto e cosa no..."
Rimango colpito dalla sua risposta.
Alla fine decidiamo di uscire dal bar.
Non piove più.
Il nostro ritorno a casa ce lo possiamo prendere con comodo.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 26 dicembre 2008

Presepe


Mi sento strano questa mattina.

Mi ha svegliato la radio sveglia.

Più precisamente Fabrizio de Andrè e il suo Testamento.

“Questo ricordo non vi consoli…quando si muore, si muore soli”

Mi alzo.

Simonetta ha preparato il caffè.

Lo bevo.

E penso.

A mio padre.

Non dimenticherò mai il suo viso, perché lo vedo ogni volta che mi guardo allo specchio.

Amava ripetermi spesso due citazioni.

Quella di William Shakespeare: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.”

Nonché quella di Arthur Schnitzler: “E nessun sogno è mai interamente un sogno”.

In fondo non è affatto male il caffè.

Peccato che la radio interrompa le mie riflessioni.

Una notizia traumatica.

Un indice sconvolgente dei tempi dolorosi in cui viviamo.

Siamo, purtroppo, arrivati a questo!

Non scherzo, sto dicendo sul serio.

Anche i più innocenti simboli del Natale, come Gesù bambino ed il Presepe, da sempre i più cari all'infanzia, stanno in questi giorni aprendo un forte problema di convivenza fra religioni e culture, specialmente nelle scuole.

Sono trascorso quattro anni da quando una sentenza del Tribunale dell'Aquila aveva imposto la rimozione del Crocefisso dalla scuola elementare di Ofena a seguito della richiesta avanzata da Adel Smith, presidente dell’Unione Musulmani d’Italia, il quale si è sempre caratterizzato per i suoi atteggiamenti fondamentalisti.

Ed infatti, anche negli anni successivi, sempre ad Ofena (la cittadina abruzzese dove vive Smith) per non offendere la sua sensibilità e quella della sua famiglia, si era preferito rinunciare del tutto al Presepe e ai canti di Natale, sia nelle scuole che nelle strade.

Tutto questo è inaccettabile.

Fortunatamente in questo Natale del 2008 le cose sono andate diversamente.

A questo punto, senza neppure radermi, esco.

Camminando sul lungomare, continuo a riflettere.

Rimane, comunque, un fatto grave che noi italiani, che viviamo in una comunità che ha profonde radici cattoliche, siamo obbligati ad assistere inermi e questo storpiamento religioso.

Certo, si può ben parlare di razzismo al contrario.

Queste scelte, a mio parere, non appaiono, infatti, motivate da senso di rispetto e tolleranza per le altre religioni ma costituiscono, invece, una vera e propria rinuncia alla difesa dei nostri valori cristiani e tradizioni culturali.

Ma l’esposizione del crocifisso (così come il Bambino del Presepe) non lede in alcun modo la libertà dei mussulmani e degli ebrei (o degli atei), come non ledono la libertà dei cristiani le stelle di David dello Stato ebraico o le mezze lune delle bandiere islamiche.

Difatti le recenti esperienze insegnano che abbiamo, sparsi per l'Italia, educatori vittime della sindrome di Stoccolma, che solidarizzano ostentatamente con chi sta sequestrando i valori cattolici fino a togliere il Crocifisso dai muri e Gesù dal testo di canzoni e preghiere natalizie, nonché dal Presepe.

Penso che noi cattolici dovremmo uscire dal letargo e dal torpore e cominciare, intanto, a chiedere ai mass media di dare maggiore attenzione al significato cristiano del Natale, come del resto ha anche recentemente consigliato Papa Benedetto XVI.

Se, invece, restiamo in silenzio di fronte a queste vicende, si potrebbe con il tempo arrivare ad una violazione della libertà dei bambini, ai quali potrebbe essere scippata del tutto la festa più simbolica dell'infanzia: la nascita di Gesù.

Il principio di tolleranza è certamente, in primo luogo, un valore a difesa delle minoranze; ma anche le minoranze debbono prender serenamente atto dei modi di essere, di sentire, di esprimersi della maggioranza.

E rispettarli.

Speriamo che, sull’onda di quando è successo ad Ofena, triste cittadina senza Natale, certa magistratura non abbia eliminato anche in altre città i festeggiamenti tradizionali come il presepe, cosa peraltro avvenuta, oltre che ad Ofena, anche in molte altre scuole emiliane e romagnole su indicazione di alcuni insegnanti.

Ed io, romano de Roma, da cittadino dell’Urbe auspico un ritorno alla riscoperta delle nostre tradizioni.

Un’ultima occhiata al mare.

Poi torno a casa, con la mia barba e la mia stanchezza.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 12 dicembre 2008

Pensieri di Natale



Natale. Penso a miei genitori.

In tasca ho una piccola foto del loro matrimonio. Davanti alla Chiesa del Testaccio. Mio padre elegantissimo nel suo completo nero, mia madre una giovane e sorridente principessa in bianco. Ricordo mio padre: “Ho un problema, Mario”. “Un problema?” “Di salute. Niente di serio. Devo farmi curare.” E’ morto due mesi dopo, il 20 aprile 1992. Ne è passato di tempo, ormai, ma il ricordo è ancora vivo. Bruciante. Proprio come allora. Che tristezza.

Natale. Penso a Blade Runner.
Un film mitico. Rivedo la scena finale sotto la pioggia, in cui il replicante dice a Deckard: "Ho visto cose che non potresti immaginare. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orion. E ho visto i raggi beta balenare al buio vicino alle porte di Tanhauser. E tutti questi momenti andranno perduti, come lacrime nella pioggia". Straziante.

Natale. Penso a Simonetta.
Non so come avesse fatto Simonetta a innamorarsi di me…da giovanissima era così bella che quando le top-model la vedevano si mettevano a piangere. Sono patetico? E’ proprio così tremendo vedere qualcosa con gli occhi contenti? Parenti e amici mi invidiano per la mia vista-mare. Io invidio loro per i soldi. Mia moglie mi rimprovera che a causa mia è una fila d’anni che non fa più niente di niente, a parte le cose che fa ogni giorno della sua vita.

Natale. Penso all'ufficio.
Entro dall’ingresso principale e mi dedico al mio allenamento giornaliero: salire una rampa di scale anziché prendere l’ascensore. La mia stanza è al primo piano. Per arrivarci percorro un corridoio lungo e largo. Il mio capo vi entra di rado e posso lavorare in pace e senza interruzioni. Accendo il computer. Sullo schermo si apre la finestra “Proprietà, data e ora”. E’ la funzione del sistema operativo Windows XP che si usa per attivare il PC. A destra del desktop appare un calendario con indicata la data del giorno e, sulla sinistra, le barre di icone dei siti web e il menù a tendina con i comandi equivalenti. Occhieggio la foto di mio figlio Gabriele, sentendomi rassicurato dal suo sorriso. Metto la mia borsa sopra la poltrona, accanto alla scrivania. Apro i documenti che mi interessano e inizio a lavorare, poi interrompo per andare a una riunione. Ho iniziato a lavorare con un dirigente pignolo, che imponeva uno standard molto alto: c’era sempre qualcos’altro da fare, qualche nuova pratica da istruire, un’ora in più da trascorrere in ufficio. Poteva farti impazzire. Poteva anche insegnarti a diventare un gran bravo funzionario.

Natale. Penso a me stesso.
Sono uno scrittore? No, anche se scrivo. Cavolo, avete da guardarmi a quel modo? Scrivere mi distende. I nervi. Certo, certo. Ma le ingiustizie rimangono. A volte mi piace credere che prima o poi otterrò qualcosa anch’io. Chimere. Scrivo perché questa per me è la sola opportunità di essere guardato e non soltanto visto, di essere ascoltato e non soltanto udito.

Natale. Penso a quando ero ragazzo.
A volte giocavo a calcio. Ma in campo mi comportavo in modo patetico, facevo un errore dopo l’altro, rovinavo le azioni dei compagni e stavo sempre tra i piedi a bloccare un buon passaggio. Scorrazzavo in modo inconcludente urlando che mi passassero il pallone, ma più gridavo, gesticolando come un matto, meno mi consideravano. Quando fu chiaro che non avevo neanche un briciolo di talento calcistico, decisi di trasformarmi in un tifoso appassionato. Era più facile gridare di gioia quando la mia squadra segnava e urlare insulti all’arbitro quando infliggeva un calcio di rigore contro il mio club.

Natale. Penso alla scuola.
Quando frequentavo il ginnasio al Sacro Cuore, avevo un salesiano che ci insegnava filosofia. Era anche il preside dell’istituto, ma non mi ricordo come si chiamasse. Il problema era che vedeva il mondo in bianco e nero. Era lui a decidere cos’era bianco e cos’era nero. Non si può amare una persona così senza temerla Forse nemmeno senza odiarla un po’. E fui rimandato in filosofia.

Natale. Penso a nonno Angelino.
Lui amava spesso dirmi che a Collevecchio, prima della Grande Guerra, esistevano salotti dove si giocava forte, frequentati dagli uomini più facoltosi del paese. In una notte si potevano vincere o perdere interi patrimoni!
Nonno Angelino. Ricordo in che mese e anno sia successo. E il ricordo vive in me, un frammento di passato perfettamente conservato. Difatti sono diventato la persona che sono oggi all’età di ventitre anni, in una calda giornata estiva del 1979. Ricordo il momento preciso: ero seduto su una panchina del parco Sant’Angelo a Collevecchio. E’ stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventotto anni che sbircio di nascosto in quel parco. Oggi me ne rendo conto. Seduto sulla panchina all’ombra di un salice mi torna in mente la frase che mio fratello Stefano mi aveva detto: “Nonno Angelino è morto”. Mi ricordo che alzai gli occhi verso il cielo e piansi. Penso alla mia vita fino a quell’estate del 1979. Quando tutto è cambiato. E io sono diventato la persona che sono oggi.

Natale. Penso a Collevecchio.
L'aria odora come il reparto profumeria di Panorama e le vicine colline di Calvi e Casperia sono quiete come sempre, coperte di erba e trifogli, verdeggianti di vigneti, pini e cipressi nodosi.

Natale. Penso a zio Mario.
Sottile l'umorismo dei suoi discorsi. Sorrisi al momento giusto. Tanto lavoro. Tanta fantasia e altruismo. Ascoltava tutti con pazienza, senza salire mai sul piedistallo. L'ultima volta insieme è stata a Collevecchio. Ristorante Reginus. Pranzo dei cugini Pulimanti, pronipoti di Gigiotto. Peccato non aver spinto l'accellatore per ritornare con lui all'Olimpico. Quello zio giusto, forte, umano è rimasto dentro di me. Ora me ne sono accorto.

Natale. Penso a Hitler: un pazzo, che ha fatto uccidere milioni di innocenti. Come Stalin.

Natale. Penso alla pittura.
Sono fortemente attratto dalla pittura di rottura, che rifiuta il neoclassicismo ottocentesco vetusto e arrogante. Ammiro l’opera
coraggiosa dei primi espressionisti e dei secessionisti viennesi. Mi illumino davanti alle scomposizioni cubiste di Cezanne e Picasso, mi esalto con le pennellate di Van Goch, piango con Munch e le sue angosce dilatate.

Natale. Penso a un vecchio amico.
Ricordo che fosse un buon diavolo e che non avesse mai preso per il collo nessuno, a parte la bottiglia.

Natale. Pensieri vari. Passi stanchi di casalinghe affannate. Impronte di scarpe da tennis di finti poveri. Tracce di suole che hanno ballato poco e male in tutti i locali di Ostia. Sotto la pioggia siamo tutti uguali, puzziamo alla stessa maniera.


Natale. Penso a Dante.
Nel mezzo del cammin di nostra vita…
…mi ritrovai per una selva oscura…
…che la diritta via era smarrita.
Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
facevi la divina podestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
Se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.


Natale. Rientro a casa, mi lavo le mani e la faccia. In attesa che Simonetta torni, chiamo Gabriele e parlo con lui e Alessandro.
Quindi telefono a mio fratello. Intanto mangio un sandwich e stappo il vino. Scoraggiato, bevo. Ora in pancia ho quasi un’intera bottiglia di buon Brunello. Da Montalcini, ovviamente. Molti mi ritengono pazzo: un prete mancato, ex fumatore incallito, ossessionato dal fare esattamente ciò che la Bibbia mi dice, terrorizzato da Dio, impossibilitato a prendere decisioni da solo nel timore di offenderlo. Ipnotizzato dalle infallibili certezze religiose, dove i cattivi sono cattivi e i buoni sono buoni. Sbagliato: non sono un integralista. Non sono mai stato razzista, e non mi ritengo nemmeno stupido. Basta così. Sono esausto. E’ stata una giornata molto lunga.

Natale. Come faccio a essere sicuro di non sognare in questo momento?

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 5 dicembre 2008

Il sogno di Mario

Spesso e volentieri mi capita di fare sogni senza capo né coda.
Cosa ho sognato?
Ho sognato Nicole.
Nicole Kidman.
Ma non è stato un gran che, come sogno, dico con faccia di cuoio.
La Nicole del sogno ha la voce di un soprano che canta un’aria leggera.
Gli occhi sono due stelle che rischiarano la notte, e risplendono nello squallore della stanza come diamanti nel deserto.
Abbandono ogni difesa di fronte a tanta grazia.
“Signorina, che piacere” balbetto arrossendo.
Lei mette un broncio appena scherzoso.
Gli occhi restano seri.
Il suo corpo pare animato di vita propria tanto è sinuoso e vitale.
Quello che io vedo squadrandola con occhi da troppo tempo digiuni di pane e companatico non si possono raccontare a tutti.
Lei è una donna bionda e magra. E scaltra. La Kidman, isomma.
Si accorge della mia reazione e decide di porre fine al mio imbarazzo “Mario, soffri di paresi facciale?”
Certo nei sogni può succedere di tutto.
Anche che la bella australiana mi chiami per nome.
Reagisco.
“Domando scusa signorina, stavo seguendo il filo di un mio…personale ragionamento”.
Lei riprende con tono grazioso ma fermo: “Meglio che torni domani, Mario”.
Mi scuoto “Le domando di nuovo scusa, signorina, stavo pensando…per i fatti miei e non avevo afferrato bene cosa mi stava dicendo. Rimedio subito. Lo gradisce un caffè?” dico.
Quando voglio la parte del ruffiano mi riesce alla perfezione.
Lei accetta il caffè.
Anche lei non è indifferente al mio fascino discreto.
Mi trova simpatico con quegli atteggiamenti da anatroccolo goffo che prende a cazzotti le forme verbali.
Merita un bacio.
Al volo ci capiamo.
Bella donna e bel cervello.
Chi l’ha detto che l’una esclude l’altro?
E poi, mi sveglio.
Mi sento stanco, di quella stanchezza buona che prende dopo uno sforzo felice, o dopo l’amore.
Mi alzo.
Entro in cucina.
“Vedi di levarti quella faccia da due novembre”, dico ad un Alessandro agitato per il compito in classe di greco che dovrà fare da qui a un paio d’ore.
In bocca al lupo!
Saluto una Simonetta contenta.
Mi fissa con occhi di donna.
Stamattina farà un salto a Collevecchio.
Con Silvia, che è intanto arrivata da noi.
Simonetta la saluta regalandole uno di quei sorrisi che tra donne sono una rarità.
Buon Viaggio!
Saluto Gabriele.
E’ livido come un’alba di gennaio.
Domani ha l’esame di Procedeura.
Civile.
In bocca al lupo!
Esco.
Prendo la metro alla stazione di Ostia centro.
Nuvole a grappoli si rincorrono nell’azzurro. Il mattino frizza di tramontana lidense.
Scendo alla stazione della Piramide.
Un braccio di sole intiepidisce Roma irrorandola di raggi benefici.
Arrivo in ufficio.
Entro nella mia stanza.
E’ presto.
Chiudo la porta a chiave, apro il secondo cassetto della scrivania e mi tuffo sui cracker salati.
Mangiando penso.
E pensando rifletto.
Penso a mio nonno Angelino.
Parlava poco, ma ogni parola era pesata.
Papà Valeriano glielo rimproverava ma lui lo guardava e diceva: “Ascolta il vento, figlio mio. Il vento parla”.
Ho voglia di piangere.
“Ti voglio bene papà”.
Guardo fuori dalla finestra del mio ufficio.
C’é il sole. E piove.
Sciabolate di luce cade a pioggia sulla terra. Come lacrime del cielo.
Aculei d’ortica mi dilaniano il torace.
Entra una collega.
Un donnone.
Mi chiede lo stato dell’arte di una pratica.
Le rispondo.
Il donnone ciondola il capo dubbioso.
Poi esce maestoso portandosi dietro mezzo quintale di fondoschiena.
Con un amico vado a prendere il caffè.
Al bar, colleghi stanno affrontando mistici discorsi.
Parlano di quelle sette che richiamano strampalate e farneticanti teorie supportate da pseudointerpretazioni di testi antichi per giustificare l’ingiustificabile.
Rientrando in stanza, mi imbatto con una consulente.
Una signora dei trucchi, una maliarda, che sta portando scompiglio nell’ufficio.
Sa come stornare gli uomini, e come condannarli a una dipendenza vergognosa.
Torno a riprendere il totale controllo di me stesso.
Allora prendo il mouse, ci penso un tantino sopra e poi mi metto a lavorare.
Certo!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)