venerdì 5 dicembre 2008

Il sogno di Mario

Spesso e volentieri mi capita di fare sogni senza capo né coda.
Cosa ho sognato?
Ho sognato Nicole.
Nicole Kidman.
Ma non è stato un gran che, come sogno, dico con faccia di cuoio.
La Nicole del sogno ha la voce di un soprano che canta un’aria leggera.
Gli occhi sono due stelle che rischiarano la notte, e risplendono nello squallore della stanza come diamanti nel deserto.
Abbandono ogni difesa di fronte a tanta grazia.
“Signorina, che piacere” balbetto arrossendo.
Lei mette un broncio appena scherzoso.
Gli occhi restano seri.
Il suo corpo pare animato di vita propria tanto è sinuoso e vitale.
Quello che io vedo squadrandola con occhi da troppo tempo digiuni di pane e companatico non si possono raccontare a tutti.
Lei è una donna bionda e magra. E scaltra. La Kidman, isomma.
Si accorge della mia reazione e decide di porre fine al mio imbarazzo “Mario, soffri di paresi facciale?”
Certo nei sogni può succedere di tutto.
Anche che la bella australiana mi chiami per nome.
Reagisco.
“Domando scusa signorina, stavo seguendo il filo di un mio…personale ragionamento”.
Lei riprende con tono grazioso ma fermo: “Meglio che torni domani, Mario”.
Mi scuoto “Le domando di nuovo scusa, signorina, stavo pensando…per i fatti miei e non avevo afferrato bene cosa mi stava dicendo. Rimedio subito. Lo gradisce un caffè?” dico.
Quando voglio la parte del ruffiano mi riesce alla perfezione.
Lei accetta il caffè.
Anche lei non è indifferente al mio fascino discreto.
Mi trova simpatico con quegli atteggiamenti da anatroccolo goffo che prende a cazzotti le forme verbali.
Merita un bacio.
Al volo ci capiamo.
Bella donna e bel cervello.
Chi l’ha detto che l’una esclude l’altro?
E poi, mi sveglio.
Mi sento stanco, di quella stanchezza buona che prende dopo uno sforzo felice, o dopo l’amore.
Mi alzo.
Entro in cucina.
“Vedi di levarti quella faccia da due novembre”, dico ad un Alessandro agitato per il compito in classe di greco che dovrà fare da qui a un paio d’ore.
In bocca al lupo!
Saluto una Simonetta contenta.
Mi fissa con occhi di donna.
Stamattina farà un salto a Collevecchio.
Con Silvia, che è intanto arrivata da noi.
Simonetta la saluta regalandole uno di quei sorrisi che tra donne sono una rarità.
Buon Viaggio!
Saluto Gabriele.
E’ livido come un’alba di gennaio.
Domani ha l’esame di Procedeura.
Civile.
In bocca al lupo!
Esco.
Prendo la metro alla stazione di Ostia centro.
Nuvole a grappoli si rincorrono nell’azzurro. Il mattino frizza di tramontana lidense.
Scendo alla stazione della Piramide.
Un braccio di sole intiepidisce Roma irrorandola di raggi benefici.
Arrivo in ufficio.
Entro nella mia stanza.
E’ presto.
Chiudo la porta a chiave, apro il secondo cassetto della scrivania e mi tuffo sui cracker salati.
Mangiando penso.
E pensando rifletto.
Penso a mio nonno Angelino.
Parlava poco, ma ogni parola era pesata.
Papà Valeriano glielo rimproverava ma lui lo guardava e diceva: “Ascolta il vento, figlio mio. Il vento parla”.
Ho voglia di piangere.
“Ti voglio bene papà”.
Guardo fuori dalla finestra del mio ufficio.
C’é il sole. E piove.
Sciabolate di luce cade a pioggia sulla terra. Come lacrime del cielo.
Aculei d’ortica mi dilaniano il torace.
Entra una collega.
Un donnone.
Mi chiede lo stato dell’arte di una pratica.
Le rispondo.
Il donnone ciondola il capo dubbioso.
Poi esce maestoso portandosi dietro mezzo quintale di fondoschiena.
Con un amico vado a prendere il caffè.
Al bar, colleghi stanno affrontando mistici discorsi.
Parlano di quelle sette che richiamano strampalate e farneticanti teorie supportate da pseudointerpretazioni di testi antichi per giustificare l’ingiustificabile.
Rientrando in stanza, mi imbatto con una consulente.
Una signora dei trucchi, una maliarda, che sta portando scompiglio nell’ufficio.
Sa come stornare gli uomini, e come condannarli a una dipendenza vergognosa.
Torno a riprendere il totale controllo di me stesso.
Allora prendo il mouse, ci penso un tantino sopra e poi mi metto a lavorare.
Certo!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

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