martedì 30 settembre 2008

Luca Zaia: latte e pesca



Il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Luca Zaia, in sede di consiglio dei ministri di settore, si é detto convinto che non si arriverà ad uno scontro tra noi e gli altri paesi della Comunità, dato che l'Italia ha già dato tanto sin dal 1984, quando l'allora governo in carica "ha accettato condizioni umilianti e sbagliate per la tradizione e il modello economico italiano".
Inoltre, il nostro ministro é convinto che il rapporto che ha con Mariann Fisher Boel lo aiuterà a non prendere in considerazione alcuna forma di rinazionalizzazione del comparto. Zaia ha poi comunicato di aver ottenuto 130 milioni di euro dall'Europa per gli stanziamenti in favore degli indigenti. "Un risultato - ha evidenziato- che premia la professionalità dei nostri rappresentanti nel corso della trattativa e che certamente aiuterà il sistema Italia a favorire le persone più esposte socialmente". Quindi, sempre nel corso del primo incontro negoziale sulla revisione della Politica agricola comune, Zaia ha parlato del settore latte, per l'Italia uno dei punti principali della stessa Pac. Infatti il ministro ha tenuto a precisare di aver "chiesto alla Commissaria Fisher Boel e al Ministro dell'agricoltura francese Michel Barnier che sostengano la nostra proposta di aumentare la quota nazionale italiana del 10%, cioè di circa un milione di tonnellate annue. Non possiamo più accettare la sperequazione sul latte in atto da 24 anni e che riguarda esclusivamente il nostro Paese, costretto a coprire quasi la metà del proprio fabbisogno interno con latte straniero. L'Italia si sente ed è la California d'Europa. È finita l'epoca in cui ci facevamo bastonare in silenzio. Siamo favorevoli poi alla creazione di un fondo straordinario che sostenga la produzione lattiero casearia, convinti che le risorse da destinare a questo scopo ci siano". Zaia si é poi soffermato su un altro tema caldo, la pesca. Ancora una volta, sottolinea Zaia, "è successo di doversi confrontare polemicamente con il Commissario Ue alla Pesca Joe Borg. Noi continueremo a chiedere di sapere cosa ostacoli l'applicazione degli accordi non soltanto al tonno rosso, ma a tutte le specie ittiche". Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

domenica 28 settembre 2008

Vino






L’Europa decide per il sì al vino senza alcool ma i produttori italiani giustamente protestano.
Nel lungo dibattito sul regolamento applicativo della riforma dell’Ocm vino è sulle pratiche enologiche che si sta delineando una nuova geografia enologica comunitaria.
“Dopo l’apertura dell’Europa - afferma la Coldiretti - ai miscugli ottenuti da vini provenienti da diversi Paesi Ue e alla possibilità di etichettare con la dicitura generica vino comunitario il vino sfuso e magari importato a basso costo, arriva la proposta di introdurre la dealcolizzazione parziale del vino”.


Si tratta di una pratica di cantina, finora vietata, volta a sottrarre, con tecniche industriali, dal vino una parte dell’alcol prodotto naturalmente dalla fermentazione.
Ed è la Francia, il principale e tradizionale concorrente del Vigneto Italia, a portare avanti la proposta, in un documento di lavoro non ufficiale messo a punto dagli uffici agricoli della Commissione europea.
La pratica dell’allontanamento dell’alcol dal vino non è ancora stata definita dall’Oiv (Organizzazione internazionale della vigna e del vino), ma sarà tra i punti all’ordine del giorno nei prossimi incontri di filiera che si terranno presso il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

sabato 27 settembre 2008

DIVORZIO

DIVORZIO


Chi non conosce Porta Portese?

Ricordo ai pochi ignari che è il mercato domenicale più grande e più famoso di Roma.

Si estende da via Portuense a via Ippolito Nievo, arrivando fino a viale Trastevere e ovviamente alla piazza che da cui prende il nome, piazza di Porta Portese.

Come ogni mercato che si rispetti apre molto presto, intorno alle sei, poi si smonta tutto intorno alle quattrodici.

Porta Portese è talmente grande e vario che vi si può trovare di tutto: vestiti usati e nuovi, panini con salsiccia e porchetta, marche tarocche, vecchie biciclette, caschi da moto, valigie, borse, accessori per la casa, piante, dischi, antiquariato, mobili, dischi, cd, ombrelli, taglia puntarelle, portachiavi, giocattoli, cosmetici e ogni cosa vi venga in mente.

Oggi é appunto domenica e decido di andare a Porta Portese con Alessandro, il mio secondogenito di 14 anni.

Penso che i ragazzi della sua età creino un pò di disordine, a volte non sanno dove mettere le mani, hanno un’espressione stupita e non riescono a stare del tutto diritti.

Parcheggio a Via Marconi.
In un primo momento da qui non mi oriento molto bene.

Non ho il coraggio di chiedere in che direzione sia il mercato, ma lo trovo ugualmente senza grosse difficoltà.

Supero la cupola di una Chiesa, poi, incerto su quale direzione prendere in una piccola piazza color rosso, scorgo, lontano sulla destra, delle figure affollarsi alacremente sotto uno scintillio di luci elettriche.

Prendo quella direzione e scopro che la strada conduce direttamente al mercato; prima vedo uomini e donne dall’aspetto sconsolato seduti per terra tra merci disposte su vassoi o pezzi di stoffa: orologi, cianfrusaglie e goiellini da poco prezzo in pelle e argento. Subito dopo, lungo la strada, si trova un tetto irregolare, rattoppato, di plastica e lamiera ondulata, che copre rastrelliere di tessuti dai colori brillanti e tavoli ricolmi di libri di seconda mano.

E’ una sorta di lingua rudimentale che sporge dall’apertura ad arco di un ampio fabbricato bruciato, brulicante come un alveare.

All’interno, la strada si divide, diramandosi confusamente tra rotoli di tappeti, barattoli di spezie rosse e gialle, mucchi di frutta, altri indumenti e rotoli di brillante tessuto sintetico.


Forse il mercato è realmente una specie di griglia di passaggi, ma appare come un formicaio caotico.

Un profumo caldo, gradevolmente confuso, è nell’aria, di sale e zucchero bruciato; di nocciole tostate, zenzero, cipolle e carne che frigge.

Riesco a malapena a muovermi, tanta è la gente.

Non sono propriamente alla ricerca di un chiosco preciso; ma le prime bancarelle verso cui la folla mi ha trascinato non sono ovviamente adatte ai miei gusti: più che altro vi si vendono ciondoli d’argento su cinghie di pelle.

Poi mi trovo di fronte a un chiosco più ampio, brillante di luce che si riflette su gioielli e quadri dorati, sembra quasi una versione ridotta e confusa di un negozio che si trova vicino a casa mia, a Ostia.

Ci sono gocce di ambra che pendono da catene d’argento e dai ganci degli orecchini, spille a forme di ragno e -vedo non appena riesco a liberarmi dalla folla che mi circonda- statuette d’imitazione romana e una serie di ampi vasi rosso carne, a forma di grossi globi, di marmo o di un materiale molto simile.

C’è una donna seduta al centro del chiosco, su una sedia di legno, con le gambe distese.

E’ pesante e tarchiata, e sarebbe sembrata fuori luogo in mezzo a tante cose scintillanti se non avesse quella espressione decisa di possesso.

Si alza, al nostro ingresso, con sguardo inquisitorio.

Una donna più giovane, intenta distrattamente a spolverare una figura di cane, la imita. prende le nostre ordinazioni: un Campari per me e una Coca Cola per Alessandro.

Ci sediamo. Sul tavolo, una rivista. La leggo, mentre Alessandro gioca con la sua PSP.

Parla di Papa Luciani.

Vengo così a sapere che la fermezza che caratterizzò gli interventi di Luciani a tutela degli elementi teologici che egli riteneva indiscutibili lascia il campo a una riflessione sulla morale.

Spicca l'attitudine verso i problemi relativi alla morale familiare, allora particolarmente scossa dalle discussioni che accompagnarono l'introduzione del divorzio e la prima significativa diffusione della contraccezione farmacologica.

In quest'ambito gli interventi di Luciani risultano caratterizzati dall'esigenza di proporre un'applicazione della dottrina cattolica che assumesse positivamente, per quanto possibile, le istanze, le difficoltà, le sofferenze delle persone.


Dopo l'uscita dell'enciclica Humanae vitae assunse le direttive di Paolo VI con il consueto atteggiamento di piena obbedienza, ma ammise di avere desiderato una decisione diversa, che rendesse possibile il ricorso alla contraccezione.

In un'altra occasione auspicò che i progressi della scienza consentissero al magistero di modificare il divieto dell'Humanae vitae.

Luciani si oppose costantemente alla legalizzazione del divorzio, ponendo l'accento sulla difesa del matrimonio come sacramento, una dimensione che egli riteneva inscindibile dai suoi risvolti sul piano civile.


Gli interventi compiuti nel 1969 in occasione del dibattito parlamentare sulla legge Fortuna-Baslini, rivelano una concezione della società che faceva leva sul diritto della maggioranza.

Tuttavia nell'opporsi con fermezza al divorzio Luciani si dichiarava, in termini misurati, incline ad accettare una legalizzazione delle "unioni di fatto".


Luciani, consapevole di assumere una posizione più aperta di altri esponenti del cattolicesimo italiano, raccomandava di superare l'impianto legislativo di orientamento discriminatorio e di riconoscere una pari dignità e potestà giuridica alla donna nell'ambito della famiglia.

Valicando gli stessi limiti della riforma del diritto familiare, le unioni di fatto furono proposte come "male minore", nella speranza che in quel modo si potesse evitare l'introduzione del divorzio.

Luciani riteneva che esse non dovessero ottenere una piena equiparazione giuridica al matrimonio, ma considerava necessario garantire loro un sufficiente riconoscimento sul piano legislativo.

Così scriveva: "Ho accennato sopra a lacune della progettata riforma.

Una mi sembra importante.

E infatti: ci sono, innegabili, le situazioni patologiche della famiglia, i casi dolorosi.

A rimedio, alcuni propongono il divorzio, che, viceversa, aggraverebbe i mali.

Ma qualche rimedio, fuori del divorzio, non si può proprio trovare?

Tutelata una volta la famiglia legittima e fatto ad essa un posto d'onore, non sarà possibile riconoscere con tutte le cautele del caso qualche effetto civile alle unioni di fatto?

Non si potrà, per esempio, migliorare con la legge la situazione dei figli nati fuori del matrimonio?

O regolare alcuni interessi patrimoniali?

Sono unioni illegittime si obietta è un rischio legalizzarle, sia pure parzialmente: rischio per il torto che si farebbe alle famiglie legittime e per un certo incoraggiamento che si darebbe a nuove unioni di fatto.

Ma se, insieme, questa parziale legalizzazione impedisse la legge molto peggiore sul divorzio e rimediasse ad altri innegabili e gravi disagi?

Non sono io solo a pensarlo.

E non sono solo a pensare che su questo terreno i cattolici e altre forze politiche potrebbero trovare un accordo, evitando gli scogli insidiosi del divorzio".



Luciani cercava una soluzione, che fosse accettabile dal punto di vista dottrinale e insieme realmente praticabile, per le molte situazioni di conflitto irrisolvibili.


La legalizzazione delle unioni di fatto gli pareva assicurasse alcune garanzie ai contraenti (le sue preoccupazioni erano volte a sostenere soprattutto la posizione della donna, considerata il coniuge meno tutelato dal diritto e dalle reali condizioni della società italiana) e all'eventuale prole, e lasciava aperta la via d'uscita delle separazioni senza mettere in discussione il concetto sacramentale di indissolubilità del matrimonio.


Ne conseguiva la sua implicita opposizione al matrimonio civile, in una prospettiva di cristianità che riconosceva come unico vero matrimonio quello cattolico, riproposto come fondamento del modello familiare per tutta la società.


Ma appare chiaro anche il suo tentativo di offrire una soluzione pragmatica a quelle situazioni di tensione che rendevano insostenibile il mantenimento di un rapporto di coppia.

In seguito, Luciani non tornò pubblicamente sulla questione della legalizzazione delle unioni di fatto, ma rimase evidente che il suo orientamento in campo morale era segnato da un non comune tratto di benevolenza.


Poso la rivista. Bevendo il mio apritivo, rifletto. Il matrimonio?


Una società per azioni.

Sei coppie su dieci stanno assieme solo per denaro.

Oggi se non si arriva al divorzio è più per gli interessi economici in comune che non per il bene dei figli o per mantener fede a un vincolo sacro.

In un caso su tre oggi il matrimonio va già in crisi entro il primo anno, ma spesso anche da subito, appena si inizia a vivere assieme o, nei casi più fortunati, quando arriva il primo figlio.

Dati sconcertanti che danno la misura di quanto sia considerato difficile e problematico oggi il matrimonio.
Le prime cause dell´insofferenza reciproca?

La difficoltà della convivenza e la gestione del patrimonio familiare.

Conclusione: solo per il 13% delle coppie la prima crisi seria arriva nel giro di tre anni e solo l´8% delle coppie sposate oggi va incontro alla classica crisi del settimo anno.

Si giunge così al divorzio.

Così spesso che Benedetto XVI parla di è emergenza per separazioni e divorzi e ricorda: "L'uomo non può separare ciò che Dio ha unito".


Si direbbe che l'uomo d'oggi abbia sviluppato un'idiosincrasia per il matrimonio.

Nei suoi confronti si sente insicuro, perfino deluso, come si vede dall'enorme aumento dei casi di divorzio in tutti i Paesi dell'occidente.

Il divorzio sembra ormai rientrare fra le caratteristiche delle società più avanzate e progressiste.

Ma si può pensare al divorzio come un progresso, un vantaggio solo nella misura in cui si ritiene che il matrimonio abbia probabilità di insuccesso (così come si richiedono garanzie per la restituzione del denaro solo quando si teme di non rimanere soddisfatti dalla merce acquistata).

Non c'è dubbio: un mondo che inizia a credere nel divorzio ha cominciato a perdere fiducia nel matrimonio.


Va bene, caro amico che hai avuto il coraggio di leggermi fino a qui.

E’ finita, puoi andare a casa.

Va a casa a trovare la tua famiglia.

Togliti quell’espressione, non sentirti così.

Non è colpa tua.

Non potevi fare altro.


L’intera faccenda è vergognosa.

Sono tempi difficili quelli in cui viviamo.

Questo è tutto.


Mario Pulimanti




(Lido di Ostia -Roma)