martedì 23 febbraio 2010

"Le belle notti" al Teatro Manfredi




Urbinati. Di fronte al mare.
Mentre aspetto l’antipasto, brindo con una bottiglia di Amarone della Valpolicella, un vino rosso del Veneto.
Arrivano bruschette e insalata.
Mi infilo il tovagliolo nel colletto, gesto poco elegante ma pratico, e io non disdegno mai ciò che è pratico.
Ho fame, ma sono anche molto stanco.
Torniamo a casa. Ci sediamo sul divano. Di fronte alla tivvù.
Facciamo a testa e croce.
Per scegliere il programma da guardare.
Perdo e ci sintonizziamo su un programma di informazione, che in fondo non mi dispiace.
La mia squadra sta giocando una brutta stagione.
Sento un formicolio alla testa quando il mio cellulare prende a squillare.
E’ Luciano, amico e presidente del teatro Manfredi.
Mi dondolo in avanti e all’indietro, più e più volte.
“Posso farti una domanda?” mi dice.
Socchiudo gli occhi. “Certo”.
“Verrete domani a vedere il nuovo spettacolo?”
“Ci puoi scommettere. ”
“Grazie, amico. Per me significa molto.”
Rifletto a lungo, poi scoppio in una risata: “dammi pure del pazzo, Luciano, ma questo spettacolo è imperdibile. Ne sono convinto. Come tutti gli altri del Manfredi”.
“D’accordo, Mario. A domani, allora”.
Guardo in soggiorno. Non c’è traccia di Alessandro.
Diavolo, Simonetta è al telefono con la sorella.
Nessun problema.
Ritorno in salone.
Mi siedo di nuovo sul divano accanto alla sedia a dondolo di Gabriele. “Era nonna?”
“No, Luciano.”
“Tutto bene?”
“Sì.”
“Ti dispiace darmi la macchina stasera, papà?”
“Nessun problema.”
Mi ringrazia e se ne va.
Ah, dimenticavo amici di dirvi qual è il nuovo spettacolo del Manfredi.
Bé, lo faccio subito: eccovi accontentati.
"Le Belle Notti".
Che C’è? Vi state chiedendo chi è il regista.
Ma è Claudio Boccaccini, diamine!
Okay, gli attori sono 17 giovani.
Cosa, volete sapere i loro nomi?
Giusto. Lo farò subito.
Sono:Daniele De Angelis, Laura Buono, Ariele Vincenti, Carlotta DiCarlo, Alessia Francescangeli, Davide Maria Marucci, Federica Perrotta, Simone Perronace, Rossella Pugliese, Luca Restagno, Gioele Rotini, Antonio Randazzo, Carlo Sicignano, Veronica Pinelli, Giulia Tirdi, Matteo Zenini e Giulia Morgani.
Che c’è ancora?
Mi state chiedendo le date delle rappresentazioni?
Rilassatevi, lo stavo facendo adesso.
La commedia verrà rappresentata da martedì 23 febbraio a domenica 7 marzo 2010.
Shhh. Cosa succede? La trama?
Stavolta rido apertamente.
La stavo per l’appunto riportando presa fresca fresca dal sito del teatro.
“Il 12 dicembre 1969, in pieno fermento sessantottino, diciassette giovani studenti occupano un noto liceo romano. Un reparto della celere, prontamente allertato dal preside, circonda l’istituto dove i ragazzi si sono barricati. Le ansie, le paure, unite all’eccitazione crescente per l’atto di ribellione che li vede protagonisti, producono a mano a mano il cementarsi del gruppo.
E, nonostante le evidenti differenze di carattere e di estrazione sociale, i giovani occupanti matureranno con il passare delle ore un senso di unità e di appartenenza, che sfocerà in una vera e propria presa di coscienza collettiva che regalerà loro l’emozione indelebile di essersi sentiti artefici e protagonisti di un momento storico.
La prima giornata di occupazione volge al termine quando dalla televisione giungerà la notizia terribile della strage di Piazza Fontana.
Nella seconda parte dello spettacolo è sempre lo stesso liceo il teatro dell’azione, e sempre di un’occupazione si tratta, ma è passato un po’ di tempo….
Siamo negli anni 2000, e i nuovi protagonisti altri non sono che i figli degli occupanti di quel dicembre del ’69. Stessi palpiti, stesse problematiche. Ma quanto è cambiato lo scenario sociale che fa da sfondo ad un’azione di dissenso analoga ma molto distante da quella di trenta e passa anni prima.
Le Belle notti è una commedia tenera e divertente, ma anche malinconica e crudele, che scandaglia senza giudicare un’età della vita, quella prossima ai vent’anni, sbirciandola in due epoche diverse e per certi versi lontanissime: quella della ribellione e dell’anticonformismo della fine degli anni ’60 e quella dell’omologazione, quindi apparentemente immobile e pacificata, dei giorni nostri.
L’utilizzo di brani musicali memorabili nel corso di tutta la pièce segnerà ulteriormente gli evidenti cambiamenti di scenario sociale susseguitisi in questi ultimi trent’anni.”
Concludo con le ultime notizie:
Aiuto regia: Monica Ramires
Costumi: Lucia Mirabile
Fonia: Maurizio Scozzi
Autore: Giovanni Clementi.
Cosa state aspettando allora?
Correte subito a prenotare il vostro posto al teatro Manfredi per assistere alla Belle Notti.
Sbrigatevi che i posti stanno finendo!
Amusez–vous bien!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

venerdì 19 febbraio 2010

Arisa, Sanremo, Elton John: i miti dei nostri tempi




Sabato. Dalla finestra il cielo di questo febbraio lidense è di un blu intenso, come il vestito di una liceale al ballo di fine anno. L’aria è straordinariamente tersa. Esco. Colazione al bar Magnanti, da Giovacchino. Cappuccino di Carmelo. Perfetto. Appena l’assaggio una magnifica sensazione cremosa mi avvolge il palato. Sfoglio un giornale. Leggo le rubriche di Maurizio Costanzo, di Roberto Gervaso e di Federico Moccia. Cosa leggo? Incredibile: Gesù? Era “un uomo gay super intelligente”. Questo almeno è la visione di Elton John, che, chiamato a rispondere sulla sua religiosità dalla rivista americana Parade, ha anche aggiunto che Cristo era "una figura piena di compassione che capiva i problemi degli uomini". Mah…esco dal bar. Passeggio. Lungomare di Ostia ponente. Nella zona di Via Domenico Baffigo. Incredibile: con la pista ciclabile hanno trovato il modo di eliminare quasi del tutto il marciapiede! Una bicicletta mi affianca. Ferruccio. Lui dice sempre di non aver più una stazione da raggiungere. Vive alla giornata e pensa che vada bene così. C’è comunque dell’idealismo in lui. Con tutto quello che sa adesso, non potrebbe più sentirsi come allora, ai tempi giovanili dei grandi idealismi. E’ troppo esperto e pratico per tornare a guardare la vita attraverso un paio di occhiali rosa, o per pensare che uno possa risolvere i problemi del mondo a tavolino. Ma perdere il suo idealismo, smettere di credere nella capacità degli esseri umani di andare oltre i loro istinti primitivi, significa diventare vecchi, amareggiati e inutili per gli altri, perfino per se stessi. Ferruccio mi saluta e se ne va. L’idealismo è un po’ come Venere nel cielo del giorno. Una volta sei in grado di vederla. Ma con il passare del tempo ti serve meno e vuoi scrollarti di dosso la responsabilità, e hai la capacità di vederla, di crederci. Ma adesso pensi che saresti riuscito a vederla di nuovo se avessi fatto uno sforzo e avessi guardato con attenzione. Arrivo al porto, mi siedo sul parapetto, mi stringo il giaccone e guardo su nel cielo, cercando di trovare Venere prima che il giorno finisca e cali il buio. Poi riprendo a camminare. E intanto, rifletto. Penso ad un mio amico del quale sono stato il testimone di nozze. E’ una cosa che fra uomini come me dovrebbe rappresentare un legame per tutta la vita. Eppure ultimamente ci siamo visti poco. Ho deciso, appena torno a casa gli telefono. Parola di giovane marmotta. Ho un leggero soprassalto, che per un istante mi fa dimenticare dove sto andando: non mi sono accorto di essere molto vicino al mare. Dunque in un attimo arrivo al Pontile. Intorno a me, il mare. Incontro un’amica. E’ la classica bellezza romana. Talvolta, soprattutto quando raccoglie i capelli lunghi fino alle spalle, la gente pensa che sia una ballerina in pensione, passata con qualche rimpianto a una vita taglia quarantaquattro. Lei in realtà non ha mai ballato in vita sua, se non a scuola o in qualche locale. La sua unica concessione alla vanità femminile è la cura delle sopracciglia: le sfoltisce e le decolora regolarmente. Altri espedienti sono in fase di studio, ma per il momento nessuno è stato messo in pratica. Le squilla il cellulare. Risponde, poi mi saluta. Mi passo la mano sui miei capelli bianchi. Ho delle priorità e, per quanto mi riguarda, la vanità non ne ha mai fatto parte. Nel frattempo il cielo è diventato nero come l’inchiostro, punteggiato di stelle e con qualche spruzzata di nuvole. Il cielo è macchiato dalle scie degli aerei che atterrano e decollano dal vicino Aeroporto di Fiumicino. Punto verso casa. Mi incammino sul lungomare, aggiro Piazza Rendina, passo per via Grenet e supero infine l’incrocio di Corso duca di Genova. E qui che abito. Al 253. Una volta arrivato davanti al portone, mi guardo attorno. Ora Ostia si sta riqualificando come sobborgo marino di Roma, con negozietti e ristoranti caratteristici, case ristrutturate in versione signorile e vari club nuovi e scintillanti. Entro a casa. E’ vuota. “Ciao” dice Simonetta senza voltarsi mentre butta gli spaghetti, dritti come bastoncini da shanghai nell’acqua bollente. Bevo un bicchiere di vino bianco. Freddo. Gabriele fa ritorno a casa. Si siede alla scrivania e fissa la finestra. Gabriele non ha paura di dire ciò che pensa. Lui esprime sempre le sue idee. Però non è uno sconsiderato. Sostiene che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori dal suo controllo, come foglie al vento. Una verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale. Ecco perché non parla di politica fuori di casa. O con estranei poco affidabili. Che strano: stasera mi sento di schifo. Un perfetto idiota. Ormai sono maturo per qualche ospedale psichiatrico per lungodegenti.Gabriele mi consiglia di riposarmi, finendo di parlare con un sorrisetto. Liturgia. Alzo le spalle. Tanto sono sicuro che non servirebbe a nulla.Grazie al cielo a Sanremo. Così mi limito a sedermi davanti alla TV e, detto per inciso, a godermi lo spettacolo. Prima dello spettacolo, un giornalista ci informa che il Festival di Sanremo ha sessant’anni. Dal 1951 l’Italia è cambiata, il Festival di Sanremo no. Da sessant’anni il Festival di Sanremo accompagna la nostra vita. Le canzoni hanno riflesso la cronaca e la storia, i problemi, le ambizioni e la politica. Da quella prima volta nel 1951, quando Nilla Pizzi vinse cantando “Grazie dei fiori” davanti a un pubblico di clienti del casinò. Nilla fu subito la regina alla quale occorreva contrapporre un reuccio, ed ecco Claudio Villa. Era tempo di case popolari, e nelle città le chiamarono “casette in Canada” come nella canzone. Nel 1958 fu Modugno a spiegare agli italiani che era arrivato il tempo del sogno, che stavamo per avventurarci tutti in un cielo blu di miracolo economico. Da quel momento “Volare” è diventato il nostro secondo inno nazionale. Le donne, però, restavano fedelissime, avvinte come l’edera. Tra innovazione e conservazione: “24 mila baci” da una parte, “Romantica” dall’altra. Sempre così, a volte la donna italiana non ha l’età, a volte muore d’amore. Sul palcoscenico sanremese transita ogni fenomeno: la contestazione arriva tra pietre e fiori nei cannoni, viene seppellita dalla zingara che legge la mano e capisce in anticipo. Inutile gridare “nessuno mi può giudicare”, ritornello che non è mai passato di moda, basta leggere i giornali. La stagione degli scioperi a Sanremo si risolse in un consiglio: “Chi non lavora non fa l’amore”. Negli anni di piombo Sanremo è sopravvissuto senza acuti, con vincitori dei quali non si ricorda nessuno. C’è voluto “un italiano vero” con un presidente partigiano per restituire dignità all’Italia in un momento difficile per resuscitare alla grande Sanremo. Sanremo: tanti ne parlano male, ma poi quasi tutti lo guardano. Ehilà, basta con la storia di Sanremo. Ma quando arrivano le canzoni. Ah, eccole. E questa chi è? Oh, adesso la riconosco. Arisa, quella di “Sincerità”. Canta “Malamorenò”, un pezzo che parla di un uomo e una donna rimasti soli sulla Terra, e costretti ad andare avanti solo con il loro amore. Bella canzone: sarei contento se vincesse il festival. Cavolo, si è fatto tardi. Sorseggio l’ultimo drink. Poi spengo le luci e vado a letto. A dormire, o a provarci. Nella penombra, mi riecheggiano le note delle canzoni di Arisa: “Può scoppiare in un attimo il sole. Tutto quanto potrebbe finire. Ma l’amore, ma l’amore no.Anche i prati rinunciano ai fiori. Perché i fiori hanno perso i coloriMa l’amore, ma l’amore no…” Così mi addormento ricordando le parole di Arisa…e quelle di Elton John! God natt. Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 16 febbraio 2010

De Pretore Vincenzo con Maria Ferrante, Davide Saliva, Sara Marfella e la regia di Beppe Farina al Fara Nume





Al Far Nume dal 18/2/2010 al 28/2/2010
“La Compagnia TFN”

presenta “DE PRETORE VINCENZO”
di Eduardo De FilippoRegia di Beppe Farina
con
Maria Ferrante,
Davide Saliva,
Sara Marfella

Una stanza al buio dove dorme De Pretore Vincenzo,un giovane ladruncolo a cui piace fare una vita comoda e senza privazioni...
Uno dei testi più belli di Eduardo, messo in scena dalla sapiente regia di Beppe Farina, che lo attualizza senza nulla togliere al testo originario.

…Da Wikipedia:
“De Pretore Vincenzo è una commedia di
Eduardo de Filippo rappresentata la prima volta nel 1957 e inserita dallo stesso autore nel gruppo di opere che ha chiamato Cantata dei giorni dispari.
Il
sipario si apre su una stanza al buio dove dorme De Pretore Vincenzo un giovane ladruncolo a cui piace fare una vita comoda e senza privazioni che si procura con ripetuti, piccoli furti. È una vita facile senza fatiche ma con la costante paura di essere arrestati. Dopo che la portiera lo ha svegliato portandogli la colazione entra nella stanza Ninuccia, una giovanissima serva, innamorata persa del giovane al quale confida di volerlo sposare a tutti i costi, altrimenti si ucciderà.
De Pretore racconta alla ragazza di avere trovato un antico prezioso anello che è convinto sia stato il
destino a portarlo nelle sua mani. Egli crede infatti che quell'anello sia per lui come il segno della sua appartenenza ad una nobile famiglia. Il giovane racconta a Ninuccia di venire da Melizzano, un paese dell'entroterra napoletano, dove era stato allevato da una donna, Maria, che lavorava nel palazzo del signore del luogo insieme al marito Giuseppe. Maria gli aveva sempre raccontato che era stato portato in paese da una lussuosa auto e abbandonato. Egli quindi è convinto di essere nobile, di avere diritto ad una vita corrispondente al suo rango e quindi di voler sposare una donna degna di lui e non una povera sguattera come Ninuccia, che per campare lava bottiglie in un'osteria. Anche lui ama la giovane ma la sposerà solo dopo essersi arricchito col suo "lavoro". Ma Ninuccia non vuole aspettare: vuol fare subito l'amore con il giovane ladro che non potrà però esaudire il suo desiderio poiché arrivano i carabinieri che lo arrestano.
Il quadro successivo mostra Ninuccia che aspetta, in una piazzetta dove campeggia il
tabernacolo semiabbandonato, scorticato e polveroso, di San Giuseppe, il ritorno dalla galera di De Pretore. Ninuccia, animata da una sincera fede popolare, invita il giovane ad affidare la sua vita alla protezione di un santo e per convincerlo gli racconta storie di grandi miracoli. Il giovane si persuade e sceglie come santo protettore il S.Giuseppe della piazzetta e, dopo aver fatto allontanare Ninuccia, in un colloquio semiserio col santo gli promette un grande restauro se lo aiuterà nel suo mestiere di ladro. I miracoli cominciano subito: nella piazza arrivano dei turisti stranieri che il giovane deruba facilmente.
È passato del tempo: in una specie di
sarabanda, nella piazza rimessa a nuovo, dove splende di luci la statua del santo, De Pretore, saltando come un invasato ruba sfacciatamente a destra e a manca, senza che nessuno se ne accorga, e contemporaneamente offre grandi ceri "per grazia ricevuta" al santo. E così continua, convinto che la sacra protezione lo renda come invisibile, sottraendo apertamente una borsa a un impiegato di banca che però reagisce sparandogli e ferendolo a morte.
Nella scena successiva appare, in una sorta di quadro popolare a forti tinte dove predomina il colore rosso delle mele e del sangue sul camicione bianco della tenuta celestiale di De Pretore, il paese di Melizzano che deve il suo nome alle mele che infatti sono ammucchiate in enorme quantità da ogni parte.
De Pretore si trova, senza sapere come né perché, di fronte al palazzo del Signore della sua infanzia e chiede di entrare mostrando il suo nobile anello come segno della sua nobile discendenza. Compare anche Ninuccia, vestita signorilmente, che gli fa capire che ormai è morto. Allora, pensa De Pretore, è inutile farsi accogliere dal Signore tanto vale cercare di entrare in Paradiso. Dovrà però convincere San Pietro, e farsi accompagnare dalla
Madonna, che ha l'aspetto della madre adottiva e da S.Giuseppe che ha le sembianze del tabaccaio della piazzetta, anche lui truffato da De Pretore quando era in vita.
È un Paradiso-Melizzano quello che vede De Pretore, che somiglia agli splendidi presepi barocchi napoletani con tutti i classici personaggi della sacra rappresentazione. De Pretore pretende la protezione di S.Giuseppe che, preso da simpatia, lo accompagna dal Signore che deve decidere se accoglierlo o meno nel suo palazzo.
Impietosito dal triste destino del giovane il Signore comanda: "De Pretore Vincenzo rimarrà in casa mia...Mi spiego? È giusto?". Su questo intercalare usato spesso nel parlare da De Pretore, "mi spiego e giusto", ripetuto in coro sempre più sottovoce dai personaggi si chiude la scena.
L'ultimo quadro della commedia rappresenta una «squallida stanzetta del pronto soccorso» dove De Pretore sta morendo tra la disperazione di Ninuccia che chiede di riavere l'anello del giovane ad un infermiere che le domanda chi essa sia. Ninuccia risponde: "Nessuno".
(tratto da Wikipedia)
…pubblicato da Mario Pulimanti


sabato 13 febbraio 2010

Avatar



Andate a vedere Avatar.
Merita di essere visto.
Ecco la trama:
Jake Sully, é un ex marine costretto a vivere su una sedia a rotelle. Nonostante la disabilità fisica, nel cuore Jake è rimasto un combattente. Viene arruolato e, dopo un viaggio di alcuni anni luce, raggiunge l'avamposto degli umani su Pandora, dove un consorzio di aziende è impegnato nell'estrazione di un raro minerale, indispensabile per risolvere la crisi energetica sulla Terra. Poiché l'atmosfera di Pandora è tossica, è stato sviluppato il Programma Avatar, che permette di collegare la coscienza umana a un avatar, cioè un corpo biologico guidato a distanza, in grado di sopravvivere all'atmosfera letale del pianeta. Questi avatar sono ibridi geneticamente modificati in cui il DNA umano è stato mescolato con quello della popolazione indigena di Pandora... i Na'vi. Rinato nel corpo di un avatar, Jake può camminare di nuovo e dare inizio alla missione che gli è stata assegnata: infiltrarsi nel mondo dei Na'vi, che sono diventati un serio ostacolo per le attività estrattive del prezioso minerale. Ma una bellissima donna Na'vi, Neytiri, gli salva la vita e questo cambia tutto. Jake viene accolto nel suo Clan e impara ad essere uno di loro, dopo avere superato molte prove e vicissitudini. Man mano che il rapporto tra Jake e la riluttante insegnante Neytiri si approfondisce, l'uomo impara a rispettare i Na'vi e il mondo in cui vivono e, alla fine, si schiera dalla loro parte. Presto Jake dovrà affrontare la prova finale, guidando i Na'vi in una battaglia epica che deciderà il destino di un mondo intero.

Genere: Azione, Fantascienza, Thriller
Durata: 166'
Regia: James Cameron
Distribuzione: 20th Century-Fox


Cast: Sam Worthington, Zoe Saldana, Laz Alonso, Sigourney Weaver, Michael Biehn, Wes Studi, Joel Moore, CCH Pounder



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Pubblicato da Mario Pulimanti



venerdì 12 febbraio 2010

Paranormal activity





Preparatevi, perché la mia visione del mondo potrebbe non coincidere esattamente con la vostra.

L’altra sera sono andato al cinema con il mio amico Ferruccio. Paranormal activity.

Coppietta perseguitata da oscura presenza notturna piazza telecamera davanti al letto.

Pessima idea.

L’horror a basso costo di Oren Peli è una bufala, frutto di passaparola e di abile marketing.

Scritto coi piedi, recitato peggio, noiosissimo nella prima parte, copiato da "Blair Witch Project" e nel finale da "Rec 2".

Non spaventerebbe neanche un criceto cardiopatico. Fortunatamente io e Ferruccio sappiamo inquadrare le sue conseguenze in termini che ci suggeriscono che le risposte appropriate a tutto quello che ci circonda non sia solamente il lamento e la rabbia, ma una grande e sonora risata.

E allora abbiamo finito la serata con due bei boccaloni di birra. Peccato, però che le bufale funzionino e i dilettanti trionfino. Per il cinema, o quello che ne rimane, sono tempi duri.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

martedì 9 febbraio 2010

Gianrico Tedeschi al Teatro Nino Manfredi di Ostia





Al Teatro Nino Manfredi di Ostia, dal 9 al 21 febbraio in scena Le ultime lune, una commedia di Furio Bordon.
La pièce nel 1993, un anno dopo la sua prima rappresentazione, vinse l'importante premio IDI.

Il riconoscimento dell'Istituto del Dramma Italiano solo l'anno prima, nel 1992, era andato al futuro Premio Nobel per la Letteratura 1997, Dario Fo.
“La commedia - come lo stesso Bordon la definisce - è una lezione d'arte e di vita, e l'interpretazione di Tedeschi è di quelle che pochi, anzi, oggi ormai pochissimi attori, riescono a regalarci”.
E se lo dice Bordon dobbiamo credergli.

L'autore non è nuovo nell'affidare il ruolo di protagonista a grossi interpreti. Infatti, nel 1996 “Le ultime lune” divennero un pezzo forte dell'indimenticabile Marcello Mastroianni.

Fu quella l'ultima apparizione in scena prima della sua scomparsa.
La trama della commedia ruota intorno a un vecchio di ottant'anni in attesa del figlio che lo deve accompagnare in una casa di riposo.

Nell'attesa ascolta la musica e parla con la moglie morta tempo prima.

La vita ormai è fatta solo di ricordi, ricordi che diventano sempre più pesanti una volta arrivato nella casa di riposo.
I critici sono tutti concordi nel giudicare la recitazione di Tedeschi di assoluto valore, in una commedia dove interpreta gli ottant'anni del protagonista, ma anche i suoi: “Commuove e diverte nell'affrontare un grave problema umano e sociale attraverso l'arte sublime di un teatro concepito in tutta la sua potenzialità espressiva”. E ancora: “L'interpretazione grintosa e giocata di Gianrico Tedeschi cambia volto allo spettacolo, dilatando il rilievo della prima parte e la durezza rabbiosa con cui il protagonista denuncia con acuti dettagli la condizione della vecchiaia”.
Con Gianrico Tedeschi, Marianella Laszlo eWalter Mramor.
TEATRO NINO MANFREDI - via dei Pallottini 10, Ostia Lido9-21 febbraio: Le ultime lune, di Furio Bordon

con: Gianrico Tedeschi,

Marianella Laszlo,

Walter Mramor

regia: Furio Bordon

scene: Milli

costumi: Stefano Nicolai

luci: Iuraj Saleri

Spettacoli: mar-sab ore 21; dom ore 17.30

Biglietti: Platea 19-23 €;

Galleria 13-20 €




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Pubblicato da Mario Pulimanti

giovedì 4 febbraio 2010

Mario Pulimanti, ovvero le confessioni di mente mente pericolosa




Mi sveglio.
Guardo fuori dalla finestra.
Gli alberi e il terreno sono coperti di ghiaccio e cadono fiocchi di nevischio misti a pioggia ghiacciata.
Molto raro per Ostia levante.
Per la maggior parte del tempo uno non si accorge neanche dell’inverno; di solito gli inverni sono autunni prolungati.
Ma quest’anno è diverso.
Il freddo è arrivato duro e cattivo proprio il giorno in cui, su consiglio di Luciano, ho deciso di cominciare a fare un po’ di footing.
Un uomo più saggio lo avrebbe visto come un presagio.
Voglio tornarmene a letto, e invece mi trascino in cucina, mi preparo un caffè e lo bevo.
Anche così, con il sapore del caffè in bocca, sono tentato di strisciare di nuovo sotto le coperte e rannicchiarmi al caldo.
No, non posso, debbo uscire.
Anzi, penso che debbo sbrigarmi, altrimenti faccio tardi in ufficio.
Esco dal bagno.
Mi infilo frettolosamente camicia e pantaloni, indosso la giacca ed esco.
Poi scosso da un brivido di freddo, mi abbottono per bene il cappotto.
Guardo l’orologio e realizzo che faccio ancora in tempo per un cappuccino prima di prendere l’autobus.
Sul metrò della linea Ostia-Roma, penso.
Questa mattina di pensieri ce n’è un’insalata
Il gruzzoletto in banca nel caso di vacche magre.
Così mi ha insegnato papà Valeriano.
E poi all’improvviso il gruzzolo è improvvisamente sparito.
E sono rimasto a secco.
No, non ho una scelta più retributiva di lavoro messa via nel cassetto dei calzini.
No, affatto.
Sì, la cosa può anche essere raccontata diversamente agli altri e a me stesso ma, a torta finita, il desiderio di maggior guadagno resta solo una chimera appollaiata in un retrobottega del mio cervello.
Il nocciolo è che di soldi, anzi di euro, ce ne sono pochi in circolazione e, almeno per quanto mi riguarda, ci sono troppe occasioni per non esserci più.
Sarò di una perspicacia rara, ma non mi riferisco a divertimenti e vacanze ai Caraibi, per esempio Barbados o altro.
Gli euro devono coprire tasse e balzelli vari.
Non mi lascio intrappolare.
Vada al diavolo pure la tristezza.
Arrivo in ufficio.
Percorro i gelidi corridoi.
Esito.
Davanti a me una collega con un viso umano piuttosto inquietante, occhi minacciosi e labbra sottili. Sobbalzando mi volto verso di lei.
Sta parlando con un uomo magro sulla cinquantina, con la faccia tonda, che guarda verso di me sogghignando: ladri di reggenze!
Bè, questa è la mia teoria.
Il mio volto si oscura: chi li fabbrica, mi chiedo.
I loro potenti sponsor?
No, non devo pensare a queste cose.
Cristo, adesso ho l’aspetto tormentato della persona invidiosa.
Capita, quando si ha fame.
Okay, al lavoro.
Pausa pranzo.
Ah, in una stanza dall’altra parte del corridoio un amico mi saluta.
Mi invita al bar.
Ci accomodiamo al tavolo, poi lui si siede di fronte a me.
Dopo di che, mangiando croissant al prosciutto, discutiamo del più e del meno.
Riprendo a lavorare.
Nel frattempo, si è fatto tardi.
Rientro a casa.
Sono seduto su un duro sedile di un vagone del metrò.
Socchiudo gli occhi..
Ma ecco che, riflettendo e rimuginando, a un tratto mi trovo, ahimè, coinvolto in mistiche congetture.
Mio malgrado, sia ben chiaro!
Sarà per il fatto che sono stanco.
Sarà perché mi sento una fame da lupi come mi accadeva quando avevo appena dato un esame all’Università.
Non lo so.
Però penso, penso, penso…
Non mi ritengo né allegro, né spiritoso e se pensate che sia soddisfatto del mio stipendio da statale, potete allora definire Bagdad una meta turistica.
Sono solo un funzionario statale bloccato al nono livello da molto tempo.
Funzionario statale suona, comunque, un po’ stalinista, a mio parere.
Da quando va avanti questa storia?
Da 20 anni.
Sto pedendo fino all’ultima molecola del mio amor proprio, anche se non ho mai pensato di suicidarmi.
Ehi, non mi va di essere inquadrato per uno che molla.
Esatto.
Penso ad un mio amico del quale sono stato il testimone di nozze.
E’ una cosa che fra uomini come me dovrebbe rappresentare un legame per tutta la vita.
Eppure ultimamente ci siamo visti poco.
Ho deciso, appena torno a casa gli telefono.
Parola di giovane marmotta.



Ultimamente ho preso la consuetudine di scrivere su giornali e su internet mie considerazioni per cercare di coinvolgere gli altri in un entusiasmo che temo siano invece riluttanti a condividere.
Forse perché non tento di dar di gomito all’eventuale lettore con affermazioni sin troppo marcate.
E agli amici che mi dicono che i termini con i quali ho a volte criticato la politica governativa colpisce solo per la timidezza del loro estremismo, rispondo che non sono certo un radicale in politica.
Riuscendo, però, solo a guadagnare il loro definitivo disprezzo.
Ammetto: il mio è un sarcasmo greve e non giocoso, le mie sono considerazioni di improbabile squallore.
E’ anche vero che viviamo in tempi spietati.
Nulla ci è perdonato.
Nulla ci permesso.
La verità, in fondo, è che le mie, come quelle di tutti, sono opinioni frutto dello sbandamento ideologico dilagante.
Sappiamo inquadrare le sue conseguenze in termini che ci suggeriscono che le risposte appropriate a tutto quello che ci circonda non sia solamente il lamento e la rabbia, ma una grande e sonora risata.
Cavolo, non sarò mica diventato qualunquista?
Certo, non riesco comunque ad agire perché per tutto il tempo, nonostante gli scoppi d’indignazione, penso di commettere un terribile errore, una sequela di terribili errori.
Le cose non possono stare come io sono sempre più certo che stiano.
Bando alla tristezza, meglio pensare ad altro,
Un mio grande amore è il teatro.
Come dice Giorgio Albertazzi: “Il cinema è bello, ma se lui è la pelle, il teatro è lo spirito”.
Mio padre, il poeta Antonio Valeriano, usava spesso dirci: “Amo l’arte e il bello in generale. Amo il mare e il suo profumo. Mi piace osservare le stelle. Adoro la campagna dolce di Collevecchio. Amo il cinema. Ma più di tutto amo il teatro, da quando ho memoria”.
E lui, che aveva iniziato scrivendo opere teatrali, ci confessava che il teatro lo attraeva molto, reputandolo una forma letteraria più completa rispetto al racconto e anche allo stesso romanzo.
Del resto, parafrasando il grande Nino Manfredi: “Il teatro è un piacere, se non è buono, che piacere è?”
Pensando al teatro, avverto un senso di benessere pervadermi il corpo.
Una sensazione simile a quella che provano i tossici quando si iniettano eroina di buon qualità.
Una specie di benessere che mi fa formicolare la testa, mi scivola lungo la mandibola, mi serra le palpebre, si insinua tra gengive e denti, scende giù per la trachea e mi saltella da una vertebra all’altra fino al bacino.
E’ come fare una doccia calda senza bagnarsi.
Meglio.
Un massaggio senza esser palpato.
Continuo a pensare.
La mia memoria si sta azzerando e nella scala evolutiva sono sprofondato negli abissi dove le sardine fuggono inseguite dai tonni.
Penso a mio padre.
Di che cosa è morto?
Della stessa cosa di cui muoiono tutti, alla fine: per una serie di circostanze.
Aveva una malattia che non poteva essere curata.
Non c’è stato nulla da fare.
Ma adesso è inutile parlarne.
Adesso.
Mmh. E allora dov’è il problema?
Mi chiedo: che c’è oltre la memoria?
Ah, tra un pensiero e l’altro arrivo alla stazione di Ostia Centro, dopo un’ora di viaggio e vari rallentamenti.
E dire che, aumentare la qualità di servizio e migliorarne il comfort, dovevano essere i due obiettivi primari della Società Met.Ro.
Entro a casa agitato.
Dolore.
Poi mi rendo conto.
Pulsazioni di una emicrania.
Inevitabile.
Ma certo non giusto.
Mi vergogno, stasera, della mia fragilità, del mio mal di testa.
Ecco: sono un paranoico terminale.
Gabriele, mio figlio, giovane, articolazioni sciolte, infinite possibilità.
Stufo dei miei lamenti mi consiglia di pensare a chi sta veramente male.
Rispondo: si tengano pure la loro, di sofferenza.
Io mi tengo la mia.
Ottimo persuasore, comunque.
Sto già molto meglio.
Intanto, Alessandro sta dicendo di aver preso nove in greco.
Ha l’espressione soddisfatta di un soriano che si è pappato una scatoletta di tonno.
Ci manca poco che cominci a farsi le unghie sulla poltrona.
Dopo cena mi siedo sul divano,
Quasi soprappensiero ripulisco con il dito il caffè rimasto nella tazzina.
Mi allento la cinta dei pantaloni con una smorfia di piacere.
Raccolgo il telecomando e passo pigramente da un canale all’altro, fermandomi infine su un telegiornale che guardo per qualche minuto con annoiata disattenzione, consapevole che mi si stanno abbassando le palpebre.
Non sto male.
Sono solo stanco, stanchissimo.
Prima di scivolare nel sonno, all’improvviso scuoto il capo incredulo.
Una notizia sorprendente.
“Sono 10 milioni le donne che hanno subito molestie o ricatti sessuali nel corso della vita. Sono 900mila i ricatti sessuali che avvengono sul lavoro e 500mila gli stupri o i tentati stupri. Questi dati drammatici emergono dall'ultima indagine dell´Istat, in occasione della giornata parlamentare contro la violenza alle donne. Centomila donne hanno subito ambedue le violenze”.
Questa notizia mi risulta molesta quanto il trapano di un dentista.
Non ha senso: qualcosa non torna. Assurdo!
Getto il telecomando per terra.
Mi stringo nelle spalle.
Non so se riuscirò a farmene una ragione.
A questo punto mi dichiaro battuto.
Ah, adesso sì che mi sono rovinato la giornata.
L’intera faccenda è vergognosa.
Sono tempi difficili quelli in cui viviamo.
Questo è tutto.
Vado a letto.
Mi addormento, immerso in un sonno privo di sogni.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)