lunedì 25 gennaio 2016

Schiavi del telefonino


Schiavi del telefonino

 

Con un sogghigno ammetto un mio grande difetto: non amo il telefonino! Appartengo a quella esigua minoranza di cittadini che per fare una telefonata vorrebbe ancora usare il telefono pubblico. Ed il mio non è certo un atteggiamento da snob. Cavolo, non credo di essere così raffinato. La ragione per la quale non amo il cellulare è molto più semplice: non mi piace.  Il telefonino squilla a scuola, al cinema, al supermercato, al bar, al teatro, in Chiesa. Il telefonino squilla al ristorante e tutti i clienti, simultaneamente, sfoderano il proprio cellulare. E invece, è quello del cameriere. Il telefonino squilla in volo e l’aereo rischia la catastrofe. La gente, oramai, arriva anche a dormire con il telefonino vicino il cuscino, come del resto fanno anche i miei figli Gabriele e Alessandro. Oltretutto induce al turpiloquio. Infatti, con il telefonino siamo sempre in contatto con tutti e tutto: mogli, figli, cognati, ma anche scocciatori vari che riescono inevitabilmente a raggiungerci sempre nei posti più impensati. L’unico vizio che il telefonino non asseconda è l’avarizia.  Perché ci fa spendere molto di più di quanto spendevamo prima, usando il vecchio telefono fisso o a gettone. Ma è dal punto di vista macro-economico che il telefonino diventa un vero danno sociale. Infatti da quando ci sono i telefonini, si studia poco, si lavora distrattamente e si produce sicuramente di meno. Perché siamo sempre al telefono per dire, molto spesso, parole inutili. Non dimentichiamoci poi, che, mentre conversiamo, veniamo ascoltati da poliziotti, carabinieri, giudici, agenti segreti, investigatori, radioamatori e semplici impiccioni, che vivono con l’orecchio incollato ai loro apparecchi d’intercettazione. Ed è per questi motivi che io, invece, vorrei ritornare alle vecchie tradizioni, come facevano i miei genitori e i miei nonni. E, senza la forza di 3 e l’aiuto di Tim, Wind e Vodafone, in un mondo di schiavi della scheda telefonica, vorrei tornare ad essere un gettone-dipendente.

 

 Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 21 gennaio 2016

La maggioranza degli statali non sono fannulloni


La maggioranza degli statali non sono fannulloni.

 

Si stanno sempre più colpendo con tutti gli strumenti propagandistici i lavoratori del pubblico impiego. La campagna comunicativa da tempo messa in atto per colpire gli impiegati pubblici sta aumentando, trasformandosi in un vero bombardamento mediatico. E invece di parlare delle colpe di larga parte della politica, che ci sta portando lentamente a combattere una guerra che di fatto ci ha tolto la sicurezza quotidiana, che di fronte alla questione delle banche sceglie di stare dalla parte dei più forti a danno dei deboli, in questi giorni l’argomento preferito dai media è costituito dai dipendenti pubblici. I lavoratori del pubblico impiego, infatti, sono di nuovo alla ribalta e lo sono occupando nei giornali, nei telegiornali, nei talk show e nei salotti televisivi spazi talmente ampi da instillare nell’opinione pubblica il convincimento che i problemi di cui sta parlando corrispondano ad un fenomeno di vasta scala, di per sé determinante per il futuro del Paese. Deve cessare l’atteggiamento di questo Governo, tutto teso a detronizzare il lavoro pubblico. Sarebbe, invece, ora che il Presidente del Consiglio dei Ministri intervenisse per sanzionare l’assenteismo parlamentare e recedesse, altresì, dal suo abuso costituzionale, visto che in questo momento sta commettendo una infrazione, eludendo una sentenza della Consulta che prevede un serio rinnovo dei contratti pubblici. Ormai, il presunto “fannullonismo” dei dipendenti pubblici costituisce un cavallo di battaglia di Matteo Renzi, alla stregua di quello che recentemente aveva portato in sella l’ex Ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta il quale, cavalcando un’onda anomala e producendo un quadro distorto e fuorviante del mondo del lavoro pubblico, si era costruito un alibi pretestuoso per produrre una riforma devastante e priva di ogni logica, che ha mortificato e svilito la professionalità degli operatori del servizio pubblico, con conseguenze nefaste per i lavoratori e per la qualità dei servizi offerti al cittadino. L’attuale Capo del Governo, Matteo Renzi, sta combattendo una battaglia personale e senza precedenti nella storia della Repubblica nei confronti dei lavoratori pubblici e di coloro che li rappresentano. Ritengo che questo atteggiamento miri allo smantellamento della Pubblica Amministrazione, alla compressione dei diritti, al dissesto del sistema pubblico che garantisce i servizi alla collettività: istruzione, legalità, giustizia, welfare, sicurezza e soccorso pubblico, in nome di interessi che intendono dirottare la macchina pubblica verso la strada della privatizzazione, accollando sulla collettività i costi di servizi che oggi vengono garantiti e assicurati gratuitamente e con la competenza di personale specializzato. Certamente episodi come quelli di Sanremo o di Salerno, riguardante alcuni dipendenti che hanno falsificato le loro presenze in ufficio, vengono utilizzati per colpire un’intera popolazione lavorativa. Le pecore nere vanno individuate e punite, però nei salotti televisivi regna il “Dagli all’untore!” nei confronti dei dipendenti pubblici ma nessuno parla di numeri. I dipendenti che per vari motivi sono finiti sotto accusa in tutta la Pubblica Amministrazione, lo abbiamo detto più volte e lo ribadiamo, non sono nemmeno l’un per cento dei lavoratori. E, se i comportamenti scorretti compiuti da pochissime persone diventano notizia da prima pagina offuscando il lavoro svolto quotidianamente dal rimanente novantanove per cento, vuol dire che dare risalto a certe situazioni paradossali, fa parte di un gioco sottile, sotteso ad avallare le scelte filo-governative poco propense al serio rinnovo dei contratti pubblici. Purtroppo è una storia che si ripete! Ogni qualvolta si parla di rinnovi contrattuali, si scatena la pubblicità regresso del pubblico impiego. Giornali, web e televisioni iniziano il bombardamento mediatico sulle cattive abitudini del travet, con l’evidente intento di imprimere nell’immaginario collettivo la figura del dipendente pubblico disonesto e fannullone. Ovviamente si devono condannare, senza alcuna attenuante, tutti quei dipendenti truffaldini che hanno posto in essere comportamenti illegittimi, fraudolenti e disonesti. Ma, allo stesso modo non si deve consentire a nessuno che tali episodi incresciosi e deprecabili diventino lo specchio di una realtà enorme come quella della P.A., dove 3 milioni di persone quotidianamente assicurano i servizi alla collettività, nonostante siano senza contratto da sette anni, nonostante i tagli al salario accessorio, nonostante le norme penalizzanti che, grazie agli ultimi governi, regolano il rapporto di lavoro, nonostante le carenze di organico che le costringono a carichi di lavoro enormi, nonostante l’elevata età media. Eppure, nonostante tutto ciò, la macchina pubblica cammina e va avanti e noi vorremmo solo che, invece di imbastire queste manfrine, il Governo si impegnasse affinché, attraverso la tempestiva riapertura dei tavoli di contrattazione, si possa riavviare un confronto serio e costruttivo con le rappresentanze dei lavoratori, finalizzato al miglioramento del servizio pubblico ed all’innovazione. Tantissimi lavoratori compiono responsabilmente la propria attività divenendo le prime vittime  di questo sistema, in quanto ingiustamente additati come appartenenti di una categoria di pigroni. Inoltre, i dipendenti pubblici italiani sono al 27°posto in Europa  per quanto riguarda  il totale di giorni di ferie/festività pubbliche di cui è possibile usufruire e agli ultimi posti per quanto riguarda l’ammontare degli stipendi! Di fatto, un impiegato pubblico, in media, guadagna circa 1.000/1.200 euro netti al mese e, a differenza dei politici, paga di tasca sua i mezzi pubblici e privati per andare al  lavoro: una spesa che, spesso, può incidere pesantemente sugli stipendi. Meglio, allora, non limitarsi a mettere alla gogna mediatica chiunque, considerando tutti i dipendenti pubblici fannulloni. Bisognerebbe, invece, sanzionare chi non svolge correttamente il proprio lavoro, dall’impiegato pubblico pigro al parlamentare che continua a godere di una serie di privilegi che, oltre ad essere ingiusti a priori, nell’Italia “in crisi” sono decisamente anacronistici. Abbiamo bisogno di una politica seria, che abbia veramente a cuore il destino del nostro Paese, che metta giù le mani dalla Pubblica Amministrazione.

 

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

venerdì 8 gennaio 2016

Pagano i correntisti se fallisce la banca


 

Pagano i correntisti se fallisce la banca

 

Come tutte le aziende, anche le banche possono fallire per varie ragioni possibili come la cattiva gestione o la bancarotta fraudolenta.

O per altri motivi.

Nessuna banca infatti riesce, per esempio, a reggere ad un prelievo di contante superiore a una certa soglia.

Questa soglia si chiama riserva di liquidità ed è la quota di depositi che ogni banca conserva in forma liquida per far fronte alle normali domande di ritiro dei risparmiatori.

Se però troppi correntisti ritirano i propri risparmi in contemporanea, la riserva di liquidità salta e la banca diventa insolvente.

Ed ora, con la nuova disciplina sulle crisi bancarie, a pagare i rischi  non saranno più gli Stati e la fiscalità generale con gli strumenti classici come gli aiuti finanziari e ricapitalizzazioni, ma anche i correntisti, cioè quelli che depositano denaro presso gli sportelli pensando di metterlo al sicuro da rapine e furti i quali.

Infatti ai correntisti, in caso di fallimento della banca, non saranno restituiti del tutto i soldi depositati sul proprio conto.

E’ vero che c’è un fondo di garanzia interbancario che scatta in caso di insolvibilità di un istituto.

Però questo consorzio obbligatorio riconosciuto dalla Banca d’Italia assicura i depositi bancari solo entro il limite di centomila euro per ciascun conto corrente. In sostanza, con questo fondo, il sistema creditizio nel suo insieme corre in soccorso dei correntisti della banca fallita rimborsando i risparmi fino a centomila euro.

Comunque il nostro sistema bancario non è da considerarsi ad altissimo rischio.

Difatti gli istituti salvati recentemente per decreto (Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara e CariChieti) rappresentano l'un per cento dell'intero settore.

In altri Paesi europei è successo di peggio, essendo fallite aziende di credito di maggiori dimensioni.

Naturalmente in Italia non mancano altre situazioni di aziende di credito in precario equilibrio, ma nel complesso il sistema tiene.

L'incognita principale è rappresenta dai miliardi di crediti che in questi anni le banche hanno concesso alle imprese ma che, se la ripresa dell'economia tarderà ad arrivare, rischiano di danneggiare i bilanci futuri di alcune aziende di credito.

Va però aggiunto che negli ultimi anni molto banche italiane hanno anche condotto una profonda opera di pulizia sui propri conti azzerando posizioni ormai insostenibili e migliorando notevolmente i propri parametri patrimoniali.

Le migliori sei banche europee sono quelle spagnole (come la BBVA -Banco Bilbao Vizcaya Argentaria- ed il Santander Central Hispano -che include anche Banesto-, che però sono immediatamente seguite da quelle italiane.

 

 Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

giovedì 7 gennaio 2016

L'amore é dinamite


L’amore è dinamite

 

Prendi la storia di quel bravo ragazzo, scapolo, che abbandona il mestiere di falegname per mettersi a battere le strade dicendo alla gente che Dio li ama e che devono amarsi fra loro.

Il giovanotto, in più, dà seguito alle sue parole: ti guarisce i lebbrosi, ti restituisce la vista ai ciechi, resuscita il suo amico Lazzaro, impedisce che una poveretta venga lapidata per essersi fatta scopare da un barbuto diverso dal marito eccetera, chi più ne ha più ne metta.

Miracoli, massime, buone azioni a valanga, ecco il programma di Gesù.

Ebbene, cosa ci ricava alla fine il ragazzo?

A trentatré anni lo arrestano perché nessuno lo regge più, gli improvvisano un processo farsa e lo inchiodano su due tavole.

Splendida ricompensa!

E’ chiaro che da allora la vocazione alla gentilezza non va tanto per la maggiore.

Bisogna essere un santo per fare il Gesù, dopo quello che è successo!

Con queste parole voglio dimostrare che l’amore è dinamite.

Che le persone che parlano d’amore passano per terroristi in una società retta dall’interesse e governata dalla paura.

Non viviamo nel mondo delle fate!

 

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)