Ostia. Attraverso il cortile acciottolato di Piazza Rendina, vicino Corso Duca di Genova. La macchina è parcheggiata in fondo alla piazza., davanti al cancello che separa Faber Beach dal mare. Giro la chiavetta dell’accensione e premo energicamente sul pedale dell’acceleratore. La macchina si risveglia tossicchiando. Mi porto sul lungomare, mentre la velocità aumenta in modo lento, ma regolare. Tiro giù il finestrino, inspiro una boccata di quest’aria fresca che mi schiaffeggia il viso. Sfrecciando lungo le strade del litorale, oltre il Pontile e la Rotonda, mi sento più potente di come sono in realtà. Una piacevole illusione. Non mi permetto di pensare a Simonetta, alla distanza che in questo momento sembra crescere tra noi due. Dopo otto o nove chilometri di dune e mare, la strada che sto percorrendo diventa la via principale di Torvajanica, la località più vicina. C’è un mercato nel mezzo della strada costeggiata da lunghe file di bassi edifici con le facciate di colore bianco. Alcuni sono adibiti a negozi, altri immagino siano le case di vacanzieri romani. Fermo al semaforo, ne approfitto per frugare nel borsello alla ricerca di una mentina. Parcheggio. Entro in un bar. Bevo un cocktail. Penso che sono nato a Testaccio, ho vissuto tanti anni alla Garbatella e ora mi ritrovo a Ostia. Non l’ho mai detto a nessuno, ma tutte le volte che penso che sono un pendolare sento la tristezza calarmi addosso come una nebbia. Ormai vedo il mondo con gli occhi completamente diversi e non posso fingere che non sia così. Mi sento un nodo allo stomaco. Non vedo, comunque, nessuna ragione valida per andare a stare altrove. Sembro sul punto di iperventilare. Falso allarme. Sono un emerito imbecille. Scoppio a ridere. Proprio così.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
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