Mare o campagna?
Dico la verità: a mia moglie
piace la vita in campagna.
Ad una sua amica, Simonetta come
lei, dice: “Ti rendi conto lo squallore? Palazzi brutti, macchine, cartelloni
arrugginiti. Io sono nata in campagna in mezzo alle mucche. Questa roba non fa
per me. Prima o poi prendo Margot e me torno al paese”.
Si gira a guardarla. “A
Collevecchio, in Sabina. Ci sei mai stata?”
“No. E’ bella?”
“Ovvio, è Sabina, non ti basta?”
risponde con un’alzata di spalle.
L’amica tira un respiro. “Che
palle. Vabbé, andiamo al bar. Ti va un tramezzino?”
“Come ce li hanno, nel cellophane
o sotto il tovagliolo?”.
Lei guarda dura. “E secondo te io
vado in un bar dove il tramezzino sta nel cellophane?” La ritengo un’offesa
personale, Simo”.
Ed escono chiudendo la porta.
In casa lo spostamento dell’anta
causa la caduta di tre colonne di fogli di Diritto Notarile di Gabriele che
volano a terra come foglie morte. Così come gli appunti di letteratura tedesca
di Alessandro.
Vedete, Simonetta è così.
Le piace stare seduta a guardare
il sole che tramonta.
Ha sempre desiderato avere una
casa con un panorama meraviglioso, vicino al campo di olivi, alle vigne, al
giardino di rose, ai gelsomini che profumano l’aria della sera.
Avrebbe gradito, infatti,
crescere i nostri due figli alla maniera degli antenati.
Lei stessa avrebbe insegnato loro
a fare il vino e ad allevare le api.
Ed i nostri figli -a suo dire-
sarebbero cresciuti in pace e sarebbero vissuti in serenità all’ombra di grandi
alberi solitari, ascoltando il pigolio degli uccelli che, dopo essersi rincorsi
in cerimonie di corteggiamento, cercano il nido su querce così alte che
sembrano reggere il cielo.
Al contrario, a me piace il mare.
Il mare è lo specchio dei nostri
pensieri, e sfortunatamente anche di quelli più profondi e malinconici.
Riflette ciò che sta nascosto
nelle profondità del nostro animo, le nostre paure inconfessate, perfino il
volto della morte sembra trasparire, a volte, sotto la sua superficie liquida e
mutevole, dietro l’orizzonte che fugge sempre più lontano, che non si fa mai
raggiungere. Di sera, la luna sorge dal mare illuminandolo.
E la superficie scagliosa del
mare riflette i raggi della luna in mille sfaccettature tremolanti. Dite che sto parlando a coda di porco, intorcinata, non in
forma esplicita?
Vabbè,
ok.
Mi siedo sul divano, di fronte al mare.
Ascolto Bob Dylan, a luci spente.
Mi inganna l’oscurità.
Sono un mercante di libri maledetti.
Fuori dal tempo.
Forse, non ho capito nulla.
Né qui, né altrove.
E morirò.
In terre lontane?
A Collevecchio?
A Ostia?
Sicuramente, sotto una cupola stellata.
Alle radici del cuore.
Addio arcobaleno, ciao.
Con un sospiro, mi raggomitolo sul divano e
rimango ad ascoltare il mare.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)
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