A casa, il letto è scomodo, la mia mente rifiuta di rilassarsi e l’orologio mi sfotte a ogni minuto che passa.
Sono stanco, addirittura esausto, ma i pensieri mi balenano nel cranio e non mi lasciano in pace.
Non c’è niente che funzioni.
Il tempo continua ad avanzare, portandomi con sé.
Quando comincio a sentire una lieve sonnolenza, il sole spunta filtrando dalle persiane e devo alzarmi per andare al lavoro.
Mi alzo e stiro le mie ossa stanche, poi faccio i miei soliti esercizi mattutini.
Due addominali, con l’intento di farne dieci l’indomani.
Tre flessioni sulle braccia, con un proposito simile.
E quindi via con la doccia.
Poi, faccio un rapido giro della casa.
Non ci vuole molto, dato che l’appartamento è grande più o meno come una scatola di biscotti. Però non ha la sorpresa dentro.
Ma non mi scoraggio.
Apro il frigorifero e tiro fuori il portaghiaccio.
Tre cubetti finiscono dentro un bicchiere, insieme a un dito di campari e una spruzzata di gin.
Mi siedo e penso, poi bevo e penso ancora.
Quando il cocktail finisce ne preparo un altro.
Sto sguazzando in una pozza di autocommiserazione.
Guardo il bicchiere semi vuoto che tengo in mano.
Ingollo il resto del cocktail e sto per prepararne un altro, quando mi squilla il cellulare.
E’ Ferruccio.
Mi chiede se posso accompagnarlo da una sua collega.
Le deve riconsegnare un libro.
Lo accompagno, volentieri.
A Casal Palocco lasciano aperta la porta di servizio per far entrare il fresco.
La cosa mi sembra molto strana, ma io sono un uomo di città.
Gli abitanti dei sobborghi residenziali non hanno la mentalità da porta blindata.
Compri una casa da un milione di euro in un bel quartierino e credi che non potrà mai accaderti nulla di male.
Sono quasi le undici quando entriamo nel vialetto di casa Martini, ristretto fra due vecchi pini.
La casa è marrone, a due piani, parzialmente nascosta da alberi e cespugli che hanno bisogno di essere potati.
Il prato è trascurato e coperto di foglie secche, che scricchiolano sotto i nostri piedi mentre ci avviciniamo alla porta d’ingresso.
Daniela ci apre subito, probabilmente ci ha visto arrivare.
E’ di corporatura robusta: aggiungete una cinquantina di chili alle modelle di Armani e vi farete un’idea.
Credo che in termini politicamente corretti si possa definire affetta da una disfunzione ghiandolare o da un eccesso di apporto calorico. Indossa una vestaglia rossa che la riveste come un tendaggio.
E’ truccata in modo semplice ma esperto, i suoi occhi castani ci guardano allegri attraverso il tessuto adiposo della sua faccia.
Il suo triplo mento traballa in un sorriso cordiale mentre ci invita a entrare.
“Scusa il ritardo” le dice Ferruccio “lui è Mario.” Le porgo la mano.
Ci fa entrare.
La seguiamo nel soggiorno dove ci fa accomodare su un divano, davanti a un tavolino pieno di polvere, poi traballa verso la cucina, insistendo per offrirci un caffè.
Ferruccio mi da una gomitata di nascosto. “Un gran pezzo di donna.” E ride di gusto.
Lei torna con due tazze di caffè sopra una scatola di biscotti. Mi porge una tazza.
Ferruccio prende la scatola di biscotti. Pesca qualcosa di appiccicoso emettendo un gemito di soddisfazione.
“Mi dispiace per la casa.” Daniela lascia cadere la propria mole sul divanetto di fronte a noi, che cigola la sua protesta. “La cameriera è influenzata.”
Parliamo del più e del meno. Parliamo dell’aumento del costo della vita. E della diminuzione del potere d’acquisto di stipendi e pensioni.
Lei ci dice che povero è anche chi ha un lavoro sottopagato e se lo tiene stretto: la sopravvivenza è fatta di uno stipendio di mille euro al mese per due persone, secondo il cosiddetto indice di povertà relativa, come è lo stipendio medio, per esempio, di un impiegato. E’ proprio il caso di dire che in Italia ci sono molte persone con pensioni di importo pari o inferiore al minimo, tanti anziani vivono soli. La disoccupazione è l’anticamera della povertà. Ma lo Stato e le varie autorità competenti non potrebbero cercare seriamente di porre un freno a questa triste situazione e, con un brusco testa-coda, provare, una volta per tutte, ad invertire il senso di marcia risolvendo questi scottanti problemi, riportando i cittadini a condizioni di vita più tranquille?
Poi cambia discorso, e ci parla del papà, morto da poco. I suoi occhi diventano lucidi, poi comincia a singhiozzare. Otto mesi non sono bastati per superare la morte di un genitore. C’è gente che non la supera mai. Come me. Maledetta pasquetta del novantadue. Ma questa è un’altra storia.
Ferruccio, dopo aver condiviso le sue opinioni su Berlusconi, ora condivide un abbraccio con la giovane donna. Lei si calma un po’ e riesce persino a rivolgerci un debole sorriso in mezzo alle lacrime.
Dopo un po’, le diciamo che è ora di andare via.
Lei posa i biscotti sul tavolino e oscilla un paio di volte sul divano, riuscendo a sollevare il suo considerevole peso al terzo tentativo.
La seguiamo nel corridoio, fino a raggiungere l’ingresso.
Poi la salutiamo.
Con la mente lucida, riesco a far partire la macchina al terzo tentativo.
Mentre guido, cerco di togliermi dalla mente l’immagine del dolore di Daniela.
Non ci riesco.
Lascio Ferruccio all’Infernetto e proseguo per Ostia.
Arrivo a casa e passo le successive quattro ore a riflettere.
Papà, mi manchi. Tanto!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
Sono stanco, addirittura esausto, ma i pensieri mi balenano nel cranio e non mi lasciano in pace.
Non c’è niente che funzioni.
Il tempo continua ad avanzare, portandomi con sé.
Quando comincio a sentire una lieve sonnolenza, il sole spunta filtrando dalle persiane e devo alzarmi per andare al lavoro.
Mi alzo e stiro le mie ossa stanche, poi faccio i miei soliti esercizi mattutini.
Due addominali, con l’intento di farne dieci l’indomani.
Tre flessioni sulle braccia, con un proposito simile.
E quindi via con la doccia.
Poi, faccio un rapido giro della casa.
Non ci vuole molto, dato che l’appartamento è grande più o meno come una scatola di biscotti. Però non ha la sorpresa dentro.
Ma non mi scoraggio.
Apro il frigorifero e tiro fuori il portaghiaccio.
Tre cubetti finiscono dentro un bicchiere, insieme a un dito di campari e una spruzzata di gin.
Mi siedo e penso, poi bevo e penso ancora.
Quando il cocktail finisce ne preparo un altro.
Sto sguazzando in una pozza di autocommiserazione.
Guardo il bicchiere semi vuoto che tengo in mano.
Ingollo il resto del cocktail e sto per prepararne un altro, quando mi squilla il cellulare.
E’ Ferruccio.
Mi chiede se posso accompagnarlo da una sua collega.
Le deve riconsegnare un libro.
Lo accompagno, volentieri.
A Casal Palocco lasciano aperta la porta di servizio per far entrare il fresco.
La cosa mi sembra molto strana, ma io sono un uomo di città.
Gli abitanti dei sobborghi residenziali non hanno la mentalità da porta blindata.
Compri una casa da un milione di euro in un bel quartierino e credi che non potrà mai accaderti nulla di male.
Sono quasi le undici quando entriamo nel vialetto di casa Martini, ristretto fra due vecchi pini.
La casa è marrone, a due piani, parzialmente nascosta da alberi e cespugli che hanno bisogno di essere potati.
Il prato è trascurato e coperto di foglie secche, che scricchiolano sotto i nostri piedi mentre ci avviciniamo alla porta d’ingresso.
Daniela ci apre subito, probabilmente ci ha visto arrivare.
E’ di corporatura robusta: aggiungete una cinquantina di chili alle modelle di Armani e vi farete un’idea.
Credo che in termini politicamente corretti si possa definire affetta da una disfunzione ghiandolare o da un eccesso di apporto calorico. Indossa una vestaglia rossa che la riveste come un tendaggio.
E’ truccata in modo semplice ma esperto, i suoi occhi castani ci guardano allegri attraverso il tessuto adiposo della sua faccia.
Il suo triplo mento traballa in un sorriso cordiale mentre ci invita a entrare.
“Scusa il ritardo” le dice Ferruccio “lui è Mario.” Le porgo la mano.
Ci fa entrare.
La seguiamo nel soggiorno dove ci fa accomodare su un divano, davanti a un tavolino pieno di polvere, poi traballa verso la cucina, insistendo per offrirci un caffè.
Ferruccio mi da una gomitata di nascosto. “Un gran pezzo di donna.” E ride di gusto.
Lei torna con due tazze di caffè sopra una scatola di biscotti. Mi porge una tazza.
Ferruccio prende la scatola di biscotti. Pesca qualcosa di appiccicoso emettendo un gemito di soddisfazione.
“Mi dispiace per la casa.” Daniela lascia cadere la propria mole sul divanetto di fronte a noi, che cigola la sua protesta. “La cameriera è influenzata.”
Parliamo del più e del meno. Parliamo dell’aumento del costo della vita. E della diminuzione del potere d’acquisto di stipendi e pensioni.
Lei ci dice che povero è anche chi ha un lavoro sottopagato e se lo tiene stretto: la sopravvivenza è fatta di uno stipendio di mille euro al mese per due persone, secondo il cosiddetto indice di povertà relativa, come è lo stipendio medio, per esempio, di un impiegato. E’ proprio il caso di dire che in Italia ci sono molte persone con pensioni di importo pari o inferiore al minimo, tanti anziani vivono soli. La disoccupazione è l’anticamera della povertà. Ma lo Stato e le varie autorità competenti non potrebbero cercare seriamente di porre un freno a questa triste situazione e, con un brusco testa-coda, provare, una volta per tutte, ad invertire il senso di marcia risolvendo questi scottanti problemi, riportando i cittadini a condizioni di vita più tranquille?
Poi cambia discorso, e ci parla del papà, morto da poco. I suoi occhi diventano lucidi, poi comincia a singhiozzare. Otto mesi non sono bastati per superare la morte di un genitore. C’è gente che non la supera mai. Come me. Maledetta pasquetta del novantadue. Ma questa è un’altra storia.
Ferruccio, dopo aver condiviso le sue opinioni su Berlusconi, ora condivide un abbraccio con la giovane donna. Lei si calma un po’ e riesce persino a rivolgerci un debole sorriso in mezzo alle lacrime.
Dopo un po’, le diciamo che è ora di andare via.
Lei posa i biscotti sul tavolino e oscilla un paio di volte sul divano, riuscendo a sollevare il suo considerevole peso al terzo tentativo.
La seguiamo nel corridoio, fino a raggiungere l’ingresso.
Poi la salutiamo.
Con la mente lucida, riesco a far partire la macchina al terzo tentativo.
Mentre guido, cerco di togliermi dalla mente l’immagine del dolore di Daniela.
Non ci riesco.
Lascio Ferruccio all’Infernetto e proseguo per Ostia.
Arrivo a casa e passo le successive quattro ore a riflettere.
Papà, mi manchi. Tanto!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
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