Bellezza e tristezza
Sono
di Ostia.
E
non sono un bastardo.
Mi
chiamo Mario.
Mario Pulimanti.
Negli ultimi tempi
fluttuo in un mare di dolori fantasma e sensazioni fasulle, create dal cervello
per tormentarmi e confondermi.
Sento il solletico di una
mosca anche se non c’è nessuna mosca.
Sono sempre più
distratto.
Non avverto nulla e mi
rendo conto in ritardo al bar che una tazza di caffè bollente mi si è
rovesciata addosso e mi sta ustionando.
Comincio a analizzare ogni mio pensiero, cercando
qualcosa di anormale o di alterato.
Mi costringo a star sveglio di notte perché ho paura
dei miei sogni.
I sogni sembrano reali e non lo sono, e mi rendo
conto che sono molto vicini alla pazzia.
Ho due figli.
Gabriele, detto Gabry.
Alessandro, detto Alex.
Gabriele, il mio primogenito, è nato a Roma,
all'Ospedale San Giacomo, alle 20 e 30 di sabato 18 ottobre 1986.
Mentre nasceva, la TV stava trasmettendo la sigla di
apertura della trasmissione”Fantastico 7” con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini,
Alessandra Martines, il Trio Lopez-Marchesini-Solenghi e Nino Frassica.
La sigla era “Tutto matto” cantata da Lorella
Cuccarini.
Gabriele
non ha paura di dire ciò che pensa.
Lui
esprime sempre le sue idee.
Però
non è uno sconsiderato.
Sostiene
che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della
retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori
dal suo controllo, come foglie al vento.
Una
verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale.
Ecco
perché non parla di politica fuori di casa.
O
con estranei poco affidabili.
Alessandro, il mio secondogenito, è nato a Ostia,
all'Ospedale Grassi, alle 4 del mattino di mercoledì 9 novembre 1994.
Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo
splendido brano di Willie Nelson "Georgia in my mind".
Sono cose che succedono.
Di rado, certo, una volta nella vita, forse due, ma posso
assicurarvi che succedono perché è successo a me.
Non ci potevo credere neppure io, eppure ero lì: la mattina
del nove novembre all’ospedale Grassi di Ostia, una buona struttura idonea a
favorire un trattamento più umano del paziente.
Era il 1994. Il calendario della Chiesa
Cattolica Romana, festeggiava Sant’Oreste di
Tiana medico morto
nel 304 martire in Cappadocia, durante la persecuzione di Diocleziano.
Torturato e martoriato con i chiodi perché non rispettava i principi
deontologici della corporazione dei medici pagani, che nella sostanza
praticavano la stregoneria facendosi pagare lautamente dai loro pazienti.
Ero appena uscito dall’Ospedale.
Stavo rientrando a casa.
L’autoradio mi stava facendo ascoltare Willie Nelson che cantava
“Georgia on My Mind”, la canzone ufficiale dello stato degli
Stati Uniti della Georgia.
Erano le 5 di un mattino piovoso.
Due ore prima era nato Alessandro.
Esco.
Incontro un condomino.
Ci guardiamo come due
cammellieri dopo il passaggio di una tempesta di sabbia.
Piazza Scipione Africano.
Entro nel bar Magnanti.
Quello di Giovacchino.
Saluto Carmelo.
Bevo il suo caffè.
Ottimo.
Mi dirigo all’edicola di
Elisabetta e Riccardo.
A Via Triremi.
Qui, insieme al giornale, mi
da il buongiorno un ex collega.
Dice che da quando sta in
pensione è rinato.
Mente, consapevole che senza
una buona dose di ipocrisia non c’è più vita sociale.
Sorpasso via della
Santabarbara, via delle Carene, via delle Zattere.
Attraverso il Lungomare Paolo
Toscanelli.
A questo punto mi trovo
davanti allo stabilimento-ristorante “Anema e Core”.
Posto splendido.
Antonello e sua sorella
Nicole mi danno il benvenuto.
Mi siedo davanti al mare.
Prendo un aperitivo.
Alla mia destra una coppia.
Ridono, accarezzandosi
teneramente le mani.
Lei, color coscia di ninfa
emozionata.
Lui, il cui viso paffuto fa
pensare a un cherubino trombettiere.
Alla mia sinistra una coppia
di amici.
Parlano.
Il primo sta dicendo all’altro
che se si prende una cotta per una ragazza diventa più scemo di un pollo e meno
intraprendente di una vongola.
La ragazza che ama diventa
la ragazza a cui non si avvicina, a cui non rivolge più la parola, di fronte
alla quale distoglie lo sguardo.
L’altro gli replica che
questo in fondo non è diverso dal
comportamento che avresti verso una ragazza di cui non ti importa niente.
Distolgo lo sguardo.
Mi è appena passata davanti una
dea greca che ha lasciato la rigidità del marmo per tentare l’avventura umana.
Saluto Valentino e mi
incammino verso il Pontile.
Una ragazza sui pattini mi
manda a quel paese perché sto occupando la pista ciclabile.
E’ più vicina al look
puttana.
Supero il Pontile.
Piazza Anco Marzio.
Mentre mangio un krapfen di
fronte al bar di Alessandro Paglia, rifletto.
Prendi la storia di quel
bravo ragazzo, scapolo, che abbandona il mestiere di falegname per mettersi a
battere le strade dicendo alla gente che Dio li ama e che devono amarsi fra
loro.
Il giovanotto, in più, dà
seguito alle sue parole: ti guarisce i lebbrosi, ti restituisce la vista ai
ciechi, resuscita il suo amico Lazzaro, impedisce che una poveretta venga
lapidata per essersi fatta scopare da un barbuto diverso dal marito eccetera,
chi più ne ha più ne metta.
Miracoli, massime, buone
azioni a valanga, ecco il programma di Gesù.
Ebbene, cosa ci ricava alla
fine il ragazzo?
A trentatré anni lo
arrestano perché nessuno lo regge più, gli improvvisano un processo farsa e lo
inchiodano su due tavole.
Splendida ricompensa!
E’ chiaro che da allora la
vocazione alla gentilezza non va tanto per la maggiore.
Bisogna essere un santo per
fare il Gesù, dopo quello che è successo!
Con queste parole voglio
dimostrare che l’amore è dinamite.
Che le persone che parlano
d’amore passano per terroristi in una società retta dall’interesse e governata
dalla paura. Non viviamo nel mondo delle fate!
Via dei Pallottini.
Una locandina davanti al
teatro Nino Manfredi pubblicizza uno spettacolo per bambini.
“Alice nel paese delle
meraviglie”.
C’è un coniglio che corre sempre, un gatto
sornione, un cappellaio matto e una regina cattiva con un esercito di soldati
idioti. Chiamalo paese delle meraviglie! Paese da incubo, direi. …mi ha
stregato. Non era una donna. Era la donna, quella da cui veniamo e a cui
ritorniamo, la matrice dell’amore, madre e amante insieme, punto di partenza e
punto di arrivo.
Torno a casa.
Corso Duca di Genova.
Qualcuno ha scritto un
messaggio sul marciapiede.
Davanti al portone.
Tu sei il mio destino. Ed io
il tuo.
Penso: nix.
Nessuna giustificazione.
Senza attenuanti, senza
ricorso a servizi sociali o pene alternative.
Vado a letto.
Non riesco a dormire.
Per tutti gli dei, l’unica soluzione è alzarsi e
provare a fare qualcosa per distrarmi.
Non ho intenzione di camminare per casa a questa ora
del mattino, così accendo l’abat-jour, prendo un libro di Tinto Brass dal
comodino e mi appoggio con la schiena sui cuscini per leggere.
Vedo mamma con il suo abito di piume illuminata
dalla luce della luna.
Bellezza e tristezza.
Quando la pallida luce dell’alba comincia a
diffondersi su Ostia, il libro ormai mi è caduto sul petto e io sonnecchio
tranquillo, immerso in un sonno privo di sogni.
Mio caro lettore
clandestino, un grazie con l’inchino e il
cappello piumato e svolazzante.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
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