mercoledì 13 marzo 2013

Hugo Chavez, falso mito

Hugo Chavez, falso mito Ritengo che Hugo Chavez, il defunto presidente del Venezuela sia un prodotto delle molte contraddizioni politiche ed economiche del Sudamerica. Come uomo merita il rispetto che si deve a una persona che ha lottato a lungo contro una malattia ed è morta a meno di 60 anni. Ma riesce difficile annoverarlo tra i martiri della libertà e fa amaramente sorridere vedere il suo nome inserito tra i simboli contemporanei delle lotte di liberazione. Il Venezuela che Chavez lascia è un Paese scarsamente democratico, brutalmente dominato da una casta e per nulla affrancato da una diffusa povertà, nonostante l'abbondante petrolio di cui dispone. Certo, il presidente venezuelano era un leader popolare e amato da una parte della sua gente. Del resto un dittatore, in una determinata fase storica, possa anche godere di un ampio consenso popolare. Ciò però non lo rende un modello di democrazia né un esempio da imitare. Con tutti i limiti che questi parallelismi genere hanno, sul piano politico penso che Chavez sia piuttosto la versione, aggiornata e corretta, del classico "caudillo" sudamericano, più simile a un Peron "militare" che a un Fidel Castro. Quanto al bilancio del suo lungo governo, è vero che dal 1999 l'indice di povertà estrema in Venezuela è diminuito, ma il 70% della popolazione è ancora oggi in condizioni di precarietà: vive cioè di sussidi e non ha lavoro. Nel frattempo è esplosa la criminalità: nel 1999 gli omicidi in Venezuela erano seimila, nel 2012 sono stati più di ventimila. Sul fronte economico l'enorme ricchezza petrolifera non ha impedito che il governo fosse costretto alcune settimane fa a svalutare la moneta nazionale del 50% e il tasso d'inflazione è il più alto del Sudamerica: 20%. Né si può affermare che Chavez abbia modernizzato il suo Paese. I dati ci dicono piuttosto il contrario: ha ingigantito gli apparati statali e soprattutto gli organici dell'impresa petrolifera di Stato che negli ultimi 15 anni ha visto passare da trentamila a centomila i propri dipendenti, mentre nello stesso periodo di tempo, la produzione di petrolio del Venezuela è calata da quattro milioni di barili al giorno a due. Il resto dell'industria invece ha chiusi i battenti o ridotto drammaticamente la sua produttività: oggi solo un terzo di ciò che viene consumato è prodotto in loco. Tutto il resto è importato. Insomma, tutto lascia intendere che Chavez abbia sfruttato l'enorme ricchezza che deriva al Venezuela dalla scoperta dell'oro nero più per rafforzare il proprio consenso e la sua presa ferrea ed autoritaria sul Paese che far crescere realmente il benessere del proprio popolo e la competitività della nazione. Ciò non toglie che qualcuno possa provare simpatia per lui, per il suo istrionismo, per il suo anti-americanismo risoluto e le non comuni capacità oratorie. Ma il giudizio politico, credo, sia cosa diversa. In conclusione, non ritengo giusto far di Chavez un mito. Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

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