Credo che a buon ragione si possa dire che sia definitivamente
giunto al capolinea il progetto politico che era all'origine del Pd e cioè
l'idea di far nascere, sulle ceneri dell'ex Pci e di una parte della ex Dc, un
moderno partito riformatore e progressista.
Attribuire eccessive responsabilità per questo default
politico a Pierluigi Bersani è però al tempo stesso sbagliato e ingeneroso.
Giunto a capo del partito, Bersani si è rivelato privo delle
qualità minime di un leader.
Bersani si è illuso che bastasse controllare l'apparato del
partito per conquistare poi Palazzo Chigi.
Del tutto inadeguato al ruolo e alla complessità della partita
politica in atto, Bersani ha inevitabilmente fallito.
Ma non è il killer del Pd.
È solo l'ultimo, e forse meno dotato, figlio di un'illusione:
quella che, di fronte al fallimento di un'ideologia e di un'esperienza
politica, bastasse cambiare nome a un partito, senza modificarne a fondo
culture e gruppi dirigenti.
Il Pd in questi anni non è mai riuscito a liberarsi della sua maledizione: quella di essere un partito di ex.
Proporsi come artefici del cambiamento, senza avere il
coraggio e la forza di rinnovare innanzitutto se stessi, è un'impresa quasi
impossibile.
Soprattutto in un mondo che cambia con tanta rapidità.
E in politica i conti aperti prima o poi si devono pagare.
Come sta puntualmente avvenendo per il Pd.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

Nessun commento:
Posta un commento